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Volume primo traduzione italiana, introduzione e note: paola de paolis edizioni mediterraneelatin penauroville


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Canto Settimo
La Discesa nella Notte

Sciolta la mente dalla vita, resa calma per conoscere,

divorziato il cuore dalla cecità e l'angoscia,

dal marchio delle lacrime e '1 vincolo dell'ignoranza,

egli si volse per trovare la causa di quell'immenso fallimento del mondo.

Distolse lo sguardo dal volto visibile della Natura

e lo diresse nel Vasto impercettibile,

la formidabile Infinità sconosciuta,

addormentata dietro l'interminabile spirale delle cose,

che porta l'universo nelle sue estensioni senza tempo:



(10) le piccole onde del suo essere sono le nostre vite.

I mondi vengon costruiti dal suo Respiro incosciente

e la Materia e la Mente sono sue forme o suoi poteri,

i nostri pensieri di veglia il prodotto dei suoi sogni.

Il velo che copre le profondità della Natura fu lacerato:

egli vide la fonte del dolore permanente del mondo

e la bocca della fossa nera dell'Ignoranza;

il male, protetto alle radici della vita,

alzò la testa e lo guardò negli occhi.

Su una riva indistinta dove muore lo Spazio soggettivo,



(20) da una cresta abrupta dominante tutto ciò che esiste,

una risvegliata Nescienza tenebrosa,

gl'immensi occhi vacui stupiti di fronte al Tempo e alla Forma,

guardava fissamente le invenzioni del Vuoto vivente

e l'Abisso donde sorsero i nostri inizi.

Dietro, appariva una maschera grigia e scolpita della Notte

che sorvegliava la nascita di tutte le cose create.

Una Potenza nascosta cosciente della propria forza,

una vaga Presenza in agguato ovunque,

un Fato contrario che minaccia tutto ciò ch'è formato,



(30) una Morte nel ruolo d'oscuro seme della vita,

sembrava generare ed uccidere il mondo.

Allora, dal cupo mistero dei baratri e dal petto cavernoso della Maschera usci

lentamente qualcosa che pareva un Pensiero informe. Un'Influenza fatale colse di

soppiatto le creature, il cui contatto letale inseguiva lo spirito immortale, il

dito ossessionante della morte si posò sulla vita e obnubilata dall'errore,

dalla sofferenza e 'l dolore fu la volontà, innata nell'anima, di verità, gioia

e luce.


(40) Una deformazione serpeggiò, che pretendevasi la tendenza vera e propria

dell'essere, il giusto impulso della Natura Una Mente ostile e pervertitrice

all'opera, nascosta in ogni angolo di vita cosciente, corrompeva la Verità

usando le sue stesse formule; intercettatrice dell'ascolto dell'anima,

affliggendo la conoscenza con la sfumatura del dubbio, catturava gli oracoli

degli dei occulti, eclissava i pali indicatori del pellegrinaggio della Vita,

cancellava gl'incrollabili editti gravati sulla roccia dal Tempo,

(50) e sulle fondamenta della Legge cosmica erigeva i piloni di bronzo del suo

malgoverno. Perfino la Luce e l'Amore, pe'l sortilegio di quel celato pericolo

passati dalla natura radiosa degli dei allo stato d'angeli caduti e soli

ingannatori, divennero pericolo e malia, una dolcezza perversa, un maleficio di

nascita celeste: il suo potere riuscì a deformare le cose più divine. Un vento

di tristezza soffiò sul mondo; ogni pensiero fu assediato dalla menzogna, ogni

atto

(60) marchiato col segno del difetto o della frustrazione, ogni tentativo elevato

marchiato dal fallimento o 'l vano successo, ma nessuno poteva conoscere la

ragione della propria caduta. La Maschera grigia sussurrava e, benché nessun

suono si udisse, nel cuore ignorante fu gettato un seme che produceva il frutto

nero della sofferenza, della morte e la disgrazia. Dalle steppe glaciali d'un

Invisibile battuto dai venti, impercettibili, indossando la maschera grigia

della Notte,

giungevan come ombre i messaggeri terribili,

invasori da un periglioso mondo di potere,

(70) ambasciatori dell'assoluto del male.

In silenzio parlavano le voci inaudibili,

mani che nessuno vedeva piantavano il seme fatale,

nessuna forma appariva, ma un lavoro atroce era fatto,

un decreto d'acciaio scritto in ricurvi caratteri onciali

imponeva una legge di peccato e di avverso destino.

La Vita lo guardò con occhi mutati e tristi:

la sua bellezza egli vide, e vide il cuore assetato delle cose

che si accontenta d'una piccola felicità

rispondere a un tenue raggio di verità o d'amore;



(80) vide la sua luce solare dorata e l'azzurro suo cielo lontano,

il verde delle sue foglie, il colore e 'l profumo dei suoi fiori,

il fascino dei bimbi e l'amore degli amici,

la bellezza delle donne, il tenero cuore degli uomini,

ma anche i Poteri tremendi che governano i suoi umori,

e l'angoscia di cui essa ha cosparso i suoi cammini,

il Fato alle calcagna dei passi umani nell'intentato

e il suo male, la sua mestizia e 'l suo ultimo dono: la morte.

Un soffio di disillusione e di decadenza,

corruttore, aspettava la maturità della Vita



(90) per far marcire il seme gonfio dell'anima:

il progresso divenne un fornitore della Morte.

Un mondo che s'aggrappava alla legge d'una Luce uccisa

carezzava i cadaveri putridi di verità defunte,

salutava come cose libere, nuove e vere le forme contorte,

beveva la bellezza dalla bruttezza e il male

che si sentivan ospiti a un banchetto degli dei,

e gustava la corruzione come un cibo assai saporoso.

Un'oscurità s'insediò nell'aria pesante;

essa cacciò il sorriso luminoso dalle labbra della Natura,



(100) uccise la fiducia innata nel suo cuore

e le mise negli occhi lo sguardo obliquo della paura.

La cupidigia che perverte il bene naturale dello spirito

sostituì con ma virtù e un vizio fabbricati

l'impulso franco e spontaneo dell'anima: affliggendo la Natura con la menzogna

della dualità, i loro valori gemelli acuirono il gusto proibito, fecero del male

ciò che riposa da un bene contraffatto, l'ego s'ingrassò della giustizia e del

peccato e ciascuno divenne uno strumento dell'Inferno.



(110) Rigettate a cumuli lungo una strada monotona, le antiche, semplici gioie

furono abbandonate sul terreno incolto della discesa della vita verso la Notte.

Ogni gloria di vita fu offuscata; appannata dal dubbio; ogni bellezza finì in un

volto che invecchiava; ogni potere fu chiamato tirannia maledetta da Dio e la

Verità, invenzione necessaria alla mente: l'inseguimento della gioia era adesso

una caccia stanca; ogni conoscenza si ridusse a un'Ignoranza interrogativa.

Come da un'oscura matrice ei vide emergere

(120) il corpo e il volto d'un cupo Invisibile nascosto dietro le belle

apparenze della vita. Il suo pericoloso commercio è la causa del nostro

soffrire. Il suo soffio è un veleno sottile nel cuore degli uomini, ogni male

inizia dal viso ambiguo. Un pericolo infestava ora l'aria consueta; il mondo si

riempiva d'Energie minacciose, e ovunque egli volgesse gli occhi in cerca

d'aiuto o di speranza, nel campo e la casa, la strada, l'accampamento e il

mercato, incontrava l'aggirarsi furtivo, su e giù in cerca di preda,

(130) d'Influenze incarnate, armate e inquietanti. Scure e nude figure di dee in

marcia allarmavano l'aere d'un grandioso malessere; spaventosi rumori di passi

s'avvicinavano invisibilmente, forme ch'eran minacce invadevano la luce

spettrale, ed esseri malefici l'oltrepassavano sulla via, il cui solo sguardo

era una calamità: incanto e soavità improvvisi e formidabili, volti che

sollevavan labbra ed occhi ammaliatori

l'avvicinarono armati di beltà come d'un laccio,

(140) ma celavano un disegno fatale sotto ciascun tratto e in un momento potevano

pericolosamente cambiare. Ma soltanto lui discemeva quell'attacco dissimulato.

Un velo ricopriva la visione interiore, c'era una forza che nascondeva i suoi

passi terribili; tutto veniva smentito, ma si credeva la verità; tutti eran

circondati senza saper dell'assedio: perché nessuno di loro poteva vedere gli

autori della propria caduta.

Cosciente di qualche oscura saggezza ancora ignota ch'era il sigillo e la

garanzia di questa forza,



(150) egli seguì la traccia dei passi confusi e tremendi, ritornando alla notte

da cui eran venuti. Giunse a una distesa deserta, proprietà di nessuno: tutti vi

potevano entrare, ma nessuno restare per molto. Era una terra di nessuno d'aria

malefica, una regione affollata senza una sola dimora, una zona di confine fra

il mondo e l'inferno. L'irrealtà regnava lì sulla Natura: era uno spazio ove

niente poteva esser vero, poiché niente era ciò che avea preteso di essere:



(160) una sublime apparenza avvolgeva un vuoto specioso. Nulla però voleva

confessare la propria pretesa, neppure a se stesso, nell'ambiguità del cuore: un

vasto inganno era le legge delle cose; solò per quell'inganno potean vivere. Un

Nihil insostanziale avallava la falsità delle forme che questa Natura assumeva e

conferiva loro per un poco una parvenza d'essere e di vita. Una magia presa in

prestito le traeva dal Vuoto; esse prendevano un contorno e una consistenza che

non era la loro

(170) e mostravano un colore ch'erano incapaci di conservare, specchi d'un

fantasma di realtà. Ciascuno splendore iridato era una stupenda bugia; una

bellezza irreale ornava un viso d'incanto. Non si poteva contare sulla durata di

nulla:


la gioia nutriva le lacrime, il bene rivelavasi un male, ma dal male mai

coglievasi un bene: l'amore presto in odio finiva, la felicità uccideva di

dolore, la verità diveniva falsità e la morte governava la vita. Un Potere che

rideva ai malanni del mondo,



(180) un'ironia che univa i contrari del mondo e lì gettava nelle braccia l'uno

dell'altro perché lottassero, metteva sul volto di Dio un rictus sardonico.

Distante, la sua influenza penetrava ovunque e lasciava sul petto l'impronta

d'uno zoccolo fesso; un animo contorto e uno strano, cupo sorriso si facevan

beffe della sinistra commedia della vita. Annunciando l'arrivo d'una Forma

pericolosa, una marcia infausta attenuava il rumore dei suoi passi tremendi

perché nessuno potesse comprendere o mettersi in guardia;

(190) nessuno udiva, fino al contatto d'una stretta terribile. Oppure tutti

presagivano un avvicinamento divino, sentivano un'atmosfera profetica, una

speranza celeste, tendevan le orecchie a vangeli, gli occhi in cerca d'una nuova

stella. Il Diavolo era visibile, ma in un manto di luce; sembrava un angelo

venuto in soccorso dai cieli: armava con la Scrittura-e la Legge la Menzogna;

ingannava con la saggezza, con la virtù uccideva l'anima e menava alla

perdizione per il cammino del cielo. Dava un eccessivo senso di potere e di

gioia,


(200) e, quando dall'intero si levava l'allarme, rassicurava l'orecchio con dolci

melodie o catturava la mente nella sua stessa rete; la sua logica rigorosa facea

sembrare vero il falso. Stupefacendo l'eletto con la sua santa dottrina, parlava

come con la voce stessa di Dio. L'aria era piena di perfidia e d'astuzia; in

questo luogo, dire il vero era uno stratagemma; l'imboscata era in agguato in un

sorriso, e il pericolo rendeva la sicurezza sua copertura, la fiducia sua porta

d'ingresso:

(210) la menzogna arrivava ridendo, cogli occhi della verità;

ogni amico poteva mutarsi in un nemico o una spia,

la mano ch'uno stringeva celava nella manica un colpo di pugnale

e un abbraccio poteva divenire la gabbia di ferro della Fatalità.

Agonia e pericolo s'avvicinavan furtivi alla preda tremante

e parlavan soavi come a un timido amico:l'attacco scattava

improvviso, veemente e invisibile;

la paura balzava sul cuore a ogni svolta

e gridava con terribile voce d'angoscia;

essa invocava un salvatore, ma nessuno veniva



(220) Tutti camminavano all'erta, ché la morte era sempre vicina;

ma la cautela sembrava un futile dispendio di pena

perché tutto ciò che proteggeva si rivelava una trappola mortale,

e quando dopo lunga apprensione la salvezza giungeva

portando un felice sollievo che disarmava la forza,

essa serviva da passaggio ridente a un destino peggiore.

Non c'era alcuna tregua alcun luogo sicuro per riposare;

non si osava dormire o ritirare le armi:

era un mondo di battaglia e di attacchi a sorpresa.

Quelli ch'erano lì vivevan tutti solo per se stessi;



(230) tutti facevan guerra a tutti, ma con un odio comune

si rivoltavano contro la mente che cercava un bene superiore;

la Verità era esiliata per tema che osasse parlare

e ferisse con la sua luce il cuore dell'ombra

o arrivasse, con l'orgoglio del suo sapere, a maledire

l'anarchico sistema delle cose stabilite.

Poi la scena cambiò, senza perdere la sua essenza spaventosa:

mutando le sue forme, la vita restava la stessa.

C'era una capitale senza uno Stato:

non aveva alcun governante, solo gruppi rivali.



(240) Egli vide una città dell'antica Ignoranza

fondata su un suolo che non conosceva la Luce.

Ciascuno lì camminava da solo nella propria tenebra:

eran d'accordo sol per differire sulle vie del Male,

vivere a proprio modo e per il proprio sé

o far valere una menzogna un torto comuni;

l'Ego era lì signore sul suo seggio di pavone e l'Impostura, sua compagna e

regina, gli sedeva accanto: il mondo era a loro rivolto, come il Cielo alla

Verità e a Dio. L'ingiustizia giustificava con decreti immutabili

(250) i pesi sovrani del traffico legalizzato dell'Errore, ma tutti i pesi eran

falsi e nessuno uguale ad un altro; essa vegliava di continuo, con la sua

bilancia e una spada, ché nessuna parola sacrilega denunzi le formule consacrate

del suo vecchio malgoverno. Avvolta in nobili dichiarazioni, la volontà

egoistica marciava a gran passi e la licenza andava impettita parlando a vanvera

d'ordine e di diritto: non un altare eretto alla Libertà; la vera libertà era

aborrita e perseguitata: ovunque introvabili armonia e tolleranza;

(260) ciascun gruppo proclamava la propria legge, crudele e nuda. Un quadro etico

di protuberanti regole scritturali o una teoria appassionatamente creduta e

lodata sembrava una tavola del codice sacro del Cielo supremo. Una pratica

formalista, in cotta metallica e calzata di ferro, dava a una razza guerriera

dura e spietata, tratta dalle viscere selvagge della terra, il portamento fiero

ed austero d'una rude nobiltà, una posizione civica rigida e formidabile. Ma

tutti i loro atti privati smentivano quella posa:

(270) potere e utilità eran la loro Verità e il loro Diritto, una rapacità

d'aquila ghermiva il bene ch'essa concupiva, i becchi colpivano e gli artigli

laceravano ogni preda più debole. Nel dolce riserbo dei loro piacevoli peccati

essi seguivano la Natura e non un Dio moralista. Trafficanti incoscienti di

balle di contrari, facevan quello che in altri perseguitavano; quando il loro

sguardo si posava sul vizio del loro simile, ardevano d'indignazione, di collera

virtuosa; dimentichi della propria colpa sepolta in fondo a se stessi,

(280) lapidavano, come fa la plebaglia, un vicino sorpreso a peccare. Un giudice

pragmatista interiore emetteva falsi decreti,

poneva le peggiori iniquità sul piedistallo dell'equità,

dimostrava la giustezza di azioni cattive, ratificava la scala

d'interesse e desiderio dell'ego mercantile.

così si manteneva un equilibrio, e il mondo potea vivere.

Un fervore bigotto promuoveva i loro culti crudeli,

ogni fede diversa dalla loro era frustata a sangue quale eresia;

indagavano, imprigionavano, torturavano, bruciavano o colpivano

e forzavano l'anima ad abbandonare il bene o a morire.



(290) In mezzo ai suoi credi in urto e alle sue sette antagoniste,

la religione sedeva su un trono macchiato di sangue.

Cento tirannie opprimevano e uccidevano

fondando l'unità sulla frode e la forza.

Solo l'apparenza era lì stimata reale:

l'ideale era il bersaglio d'un cinico scherno;

subissata dalle urla della folla, derisa dagli intelletti illuminati,

la ricerca spirituale errava reietta,giudicata trama di pensiero d'un

sognatore illuso

o folle chimera o ipocrita contraffazione,



(300) il suo istinto appassionato braccato attraverso menti oscure

perdute nei circuiti dell'Ignoranza

Lì una menzogna era il vero, e la verità una menzogna.

A questo punto, il Viaggiatore del cammino ascendentepoiché la strada

celeste serpeggia sfidando i Regni infernalideve fare una sosta, o

attraversare lentamente quello spazio pericoloso,

una preghiera sulle labbra, e il grande Nome.

Se l'acuta punta di lancia del discernimento non sondasse tutto,

egli potrebbe inciampare nella rete inestricabile della menzogna.

Spesso deve voltarsi e guardare al di sopra della sua spalla



(310) come chi senta sul collo il respiro d'un nemico;

altrimenti, sorprendendolo da dietro, un colpo a tradimento

potrebbe stenderlo e inchiodarlo all'empio suolo,

trafitto alla schiena dalla picca aguzza del Male.

Così qualcuno poteva cadere sulla strada dell'Eterno,

perdendo l'unica occasione dello spirito nel Tempo

senza che alcuna notizia di lui giunga agli dei in attesa,

segnato "perdente" nel registro delle anime,

il suo nome simbolo d'una speranza fallita, ricordo della posizione d'una stella

morta.


(320) Erano salvi solo coloro che conservavano Dio nel loro cuore: loro armatura

il coraggio, loro spada la fede, dovean marciare, la mano pronta a colpire,

l'occhio pronto a esplorare, proiettando innanzi lo sguardo come un giavellotto,

eroi e soldati dell'esercito della Luce. Anche così, passato l'orrendo pericolo,

a malapena, liberati in un'aria più calma e più pura, essi osavano alla fine di

nuovo respirare e sorridere. Di nuovo andavano sotto un sole reale. Benché

l'Inferno rivendicasse il dominio, lo spirito aveva ancora un potere.

(330) Egli oltrepassò senza discutere questa terra di nessuno; le cime io

inviavano in missione, l'Abisso lo desiderava: nessuno a sbarrargli la strada,

nessuna voce a interdirgliela. Ché rapido e facile è il cammino che discende, ed

ora il suo viso era rivolto alla Notte.

Una più grande oscurità l'aspettava, un regno peggiore, se può esserci un peggio

dove tutto è l'estremo del male; eppure, rispetto al mascherato, il senza-

maschera, nudo, è peggiore. Lì, Dio e la Verità e la Luce superna non eran mai

stati, oppure non avean più potere.



(340) Come, nella trance d'un momento profondo, si scivola oltre la frontiera

mentale in un altro mondo, egli oltrepassò un confine la cui traccia segreta

l'occhio non poteva scorgere, ma solo l'anima sentire. Giunse in un dominio

corazzato e feroce e si vide errare come un'anima persa in mezzo ai muri

anneriti e gli orridi tugun della Notte. Attorno a lui si ammassavano capanne

grigie e squallide, adiacenti ai superbi palazzi del Potere pervertito, ambienti

inumani e quartieri demoniaci.

(350) Un orgoglio del male carezzava la propria desolazione; un ossessivo

splendore di miseria pesava su quei funesti, lugubri sobborghi delle città della

vita spettrale.

Lì la Vita esibiva all'anima spettatrice

le profondità fantasma del suo strano miracolo.

Dea vigorosa e caduta, senza speranza,

oscurata, deformata da qualche atroce sortilegio di Gorgone,

come un'imperatrice prostituita in una bettola,

nuda, spudorata, esultante levava

il suo volto malvagio di bellezza e fascino perigliosi



(360) e, attirando il panico verso un bacio fremente

entro la magnificenza dei suoi seni fatali,

allettava lo spirito a cadere nel loro abisso.

Attraverso il campo visuale di lui essa moltiplicava,(I)

come su un film scenico o un'illustrazione mobile,

lo splendore implacabile dei suoi fasti da incubo.

Sullo sfondo cupo d'un mondo senz'anima,

in un livido chiaroscuro essa inscenava

i suoi drammi della tristezza delle profondità

scritti sui nervi tormentati delle cose viventi:



(370) epopee d'orrore e di turpe maestà,

statue contorte vomitate e indurite nel fango della vita,

una pletora di forme ripugnanti e di atti ripugnanti

paralizzava la pietà nel petto indurito.

In baracconi del peccato e ritrovi notturni del vizio,

le raffinate infamie della concupiscenza del corpo

e sordide immaginazioni incise nella carne,

facevan della lussuria un'arte decorativa:

abusando del dono della Natura, la sua abilità pervertita

immortalizzava il seme gettato della morte vivente,



(380) in un calice di melma versava il vino bacchico,

a un satiro offriva il tirso d'un dio.

Impure, sadiche, storcendo la bocca,

tetre invenzioni immonde, orribili e macabre,

venivano teletrasmesse dai baratri della Notte.

La sua abilità ingegnosa nella mostruosità,

insofferente di ogni forma e atteggiamento naturali,

sbadiglio di linee nude esagerate,

conferiva alla caricatura una cruda realtà,

e ostentazioni artistiche di strane forme distorte,



(390) e maschere animalesche, oscene e terribili calpestavano i sensi lacerati

facendo loro assumere pose di tormento. Adoratrice d'un male inesorabile, essa

ingrandiva l'abiezione e sublimava la lordura; un potere dragonesco di energie

rettili, le strane epifanie d'una Forza strisciante e grandiosità di serpente

acquattate nel fango attiravano l'adorazione verso un luccicore di limo. Tutta

la Natura, staccata dal suo quadro e basamento, era contorta in un atteggiamento

contro natura:

(400) la repulsione stimolava il desiderio inerte; l'agonia era resa un piccante

cibo della delizia, l'odio era incaricato del lavoro della lussuria e la tortura

prendeva la forma d'un amplesso; un'angoscia rituale consacrava la morte;

l'adorazione era offerta al Non-divino. Un'estetica nuova dell'arte dell'Inferno

che allenava la mente ad amare ciò che l'anima ha in odio, imponeva ai nervi

frementi la devozione e costringeva a vibrare il corpo restio.



(410) Troppo dolce e troppo armoniosa per eccitare in questo regime che insozzava

il nucleo dell'essere, la bellezza era bandita, il sentimento del cuore

intorpidito nel sonno e al loro posto nutriti i brividi della sensazione; il

mondo era sondato in cerca di sprazzi d'appello sensoriale. Qui il freddo

intelletto materiale era il giudice ed aveva bisogno del pungolo, la scossa e la

sferza sensuali perché la sua dura aridità e i suoi nervi intirizziti potessero

sentire qualche passione, potere ed aspra punta di vita. Una filosofia nuova

teorizzava i diritti del male,



(420) si gloriava del brillante marciume della decadenza, o dava a una Forza di

pitone la parola che persuade e armava di sapere la bestia primitiva. China a

covare solo la vita e la Materia, la mente si mutava nell'immagine d'un animale

rampante;

entrava carponi nella fossa per scovare la verità illuminando la sua ricerca coi

bagliori del subcosciente. Da lì, ribollenti, si levavano, offuscando l'aria

superiore, la sozzura e i segreti putrescenti dell'Abisso: tutto questo, essa lo

battezzava fatto positivo e vita reale.



(430) E questo costituiva adesso l'atmosfera fetida. Una passione di bestia

selvaggia usciva furtiva dalla Notte segreta per spiare con occhi seducenti la

preda: attorno a lui, come un fuoco di lingue crepitanti, (II) un'estasi

bestiale pencolava e rideva; l'aria rigurgitava di desideri bruti e feroci;

affollandosi in sciami mostruosi e pungenti, premevan con pernicioso ronzio

contro la sua mente pensieri capaci d'avvelenare il soffio più celeste della

Natura, forzando la riluttanza delle palpebre, assalivan la vista

(440) atti che rivelavano il mistero dell'Inferno. Tutto ciò che trovavasi lì era

di tale fatta.

Una razza posseduta abitava quei luoghi. Una forza demoniaca in agguato nelle

profondità dell'uomo, che palpita, repressa dalla legge umana del cuore,

impaurita dallo sguardo calmo e sovrano del Pensiero, può, in un incendio, in un

terremoto dell'anima levarsi e, invocando la sua notte natale, rovesciar la

ragione, occupare la vita e imprimere il suo zoccolo sul suolo vacillante della

Natura:


(450) questa era per essi il nucleo ardente del loro essere. Energia potente, dio

mostruoso, dura verso i forti, implacabile verso i deboli, sul mondo aspro e

impietoso ch'essa generava, sbarrava le palpebre di pietra della sua idea fissa.

Il suo cuore era ebbro d'una brama atroce, nell'altrui sofferenza sentiva un

fremito di delizia e ascoltava la musica grandiosa della morte e la rovina.

Avere il potere, dominare, era l'unica virtù, l'unico bene: essa rivendicava il

mondo intero come soggiorno del Male,

(460) e proclamava l'odioso regno totalitario del suo partito il crudele destino

di tutto ciò che respira. Tutto era formato e standardizzato su un unico piano

sotto il peso soffocante di un'oscura dittatura. Per strada e in casa, ai

consigli e ai tribunali egli incontrava degli esseri che sembravano uomini

viventi

- e si elevavano a parole sulle ali sublimi del pensiero ma davan ricetto a



tutto ciò che è subumano, vile e più basso dello strisciare del più infimo

rettile. La ragione, destinata ad avvicinare gli dei



(470) e sollevare alla scala celeste grazie al contatto della mente, non serviva

che ad aumentare alla luce del suo raggio la bieca mostruosità della loro innata

natura Spesso, studiando un volto familiare incontrato con gioia a una svolta

pericolosa, sperando di riconoscere uno sguardo di luce, la sua visione,

avvertita dall'occhio interiore dello spirito, vi scopriva all'improvviso il

marchio dell'Inferno, o, col senso interiore che non può ingannarsi, riconosceva

sotto l'aspetto d'una forma leggiadra o virile

(480) il demone, il goblin ed il ghoul. Regnava l'insolenza d'una forza gelida

dal cuore di pietra, potente, obbedita, approvata dalla legge del Titano, la

risata enorme d'una crudeltà gigantesca e i misfatti feroci e compiaciuti d'una

violenza d'orco. In questo vasto, cinico covo di bestie pensanti, invano si

cercava una traccia di pietà o d'amore; in nessun luogo era un tocco di

dolcezza, solo la Forza e i suoi accoliti, avidità ed odio: non un aiuto per la

Sofferenza, nessuno per salvare,

(490) nessuno osava resistere o dire una parola nobile. Armata dell'egida del

Potere tirannico, firmando gli editti del suo governo terribile su cui apponeva

il sigillo del sangue e della tortura, la Tenebra proclamava i suoi slogan al

mondo. Un silenzio servile e con paraocchi faceva tacere la mente

o si limitava a ripetere le lezioni apprese,

mentre insignita di mitra, tenendo il bastone del buon pastore,

la Falsità insediava sui cuori impauriti e prostrati

i culti e i credi che organizzano la morte vivente



(500) e uccidono l'anima sull'altare d'una menzogna.

Tutti erano ingannati o servivano il proprio inganno;

in quest'atmosfera asfissiante, la Verità non poteva vivere.

Lì, lo squallore credeva alla propria gioia

e la paura e la debolezza abbracciavano le loro abiette profondità;

tutto ciò che è basso e sordidamente pensato, vile,

tutto ciò che è squallido, povero e miserabile,

respirava la sua aria naturale con una snerbata contentezza

senza provare alcuna sete di liberazione divina:

arrogante, deridendo gli stati più luminosi,



(510) il popolo degli abissi disprezzava il sole.

Un'autoarchia barricata escludeva la luce:

fermo nella sua volontà d'essere il proprio grigio sé,

esso vantava la sua norma unica e il suo modello splendido:

leniva la sua fame con sogni di predone;

esibendo la croce della sua servitù come una corona,

s'abbarbicava alla sua lugubre e rigida autonomia.

Una gola di toro muggiva con la sua lingua d'ottone;

il suo duro e impudente clamore, riempiendo lo Spazio

e minacciando tutti quelli che osavano ascoltare la verità,



(520) reclamava il monopolio delle orecchie stordite;

un'acquiescenza di sordi accordava il suo suffragio,

e dogmi fanfaroni sbraitati nella notte

mantenevan per l'anima caduta, un tempo creduta un dio,

l'orgoglio del suo assoluto abissale.

Scopritore solitario in questi regni minacciosi

protetti contro il sole come città di termiti,

oppresso tra la folla, il calpestio, il rumore e i lampi,

passando da un'ombra a un'altra più intensa e pericolosa,

egli lottava contro poteri che carpivano alla mente la sua luce



(530) e cercava di staccarsene di dosso le influenze.

Presto emerse in uno spazio oscuro e senza muri. Aveva ormai oltrepassato le

popolate regioni; camminava fra le vaste rive della sera declinante. Attorno a

lui cresceva un arido vuoto spirituale, un minacciante deserto, un sinistro

isolamento che lasciava la mente disarmata contro un assalto invisibile, pagina

bianca su cui chiunque volesse poteva scrivere messaggi assolutamente mostruosi

senza controllo. Punto in movimento sulle strade in discesa della Tenebra

(540) in mezzo a campi sterili, granai e capanne sparse e rari alberi storti e

fantomatici, egli affrontò un senso di morte e di vuoto cosciente. Ma una Vita

ostile era ancora lì invisibile, il cui equilibrio mortale che resisteva alla

luce e alla verità rendea vivente una desolata breccia nella nullità. Udì le

orrende voci che negano; assalito da pensieri sciamanti come orde spettrali,

preda dei fantasmi del buio dagli occhi sbarrati e d'un terrore che s'avvicinava

con la sua bocca letale,

(550) spinto da uno strano volere sempre più in basso, il cielo, al di sopra,

un'intimazione di Giudizio Universale, egli lottava per proteggere lo spirito

dalla disperazione, ma sentiva l'orrore della Notte crescente e l'Abisso levarsi

a reclamare la sua anima. Cessarono allora le dimore e le forme delle creature:

la solitudine l'avvolse nelle sue pieghe silenti. Tutto svanì d'un tratto come

un pensiero espunto; il suo spirito divenne un golfo spalancato all'ascolto,

vuoto della morta illusione d'un mondo:

(560) nulla restava, neppure un volto cattivo. Era solo, con il grigio pitone

della Notte. Un Niente denso e anonimo, cosciente, muto, che sembrava vivo ma

senza corpo né mente, agognava d'annullare tutti gli esseri per poter esistere

eternamente nudo e solo. Come nelle fauci impalpabili d'una bestia amorfa,

afferrato, strangolato da questa macchia avida e vischiosa, attratto verso una

specie di bocca nera gigantesca, una gola trangugiante, un enorme ventre di

rovina,

(570) il suo essere disparve alla sua propria visione, tirato verso i baratri che

avevan fame della sua caduta. Un vuoto informe opprimeva il suo cervello che

dibattevasi, un'oscurità macabra e fredda intirizziva la sua carne, il sussuto

d'una grigia suggestione gli gelava il cuore; strappata dalla sua calda dimora

da una forza di serpente e trascinata verso l'estinzione in una tetra vacuità,

la vita s'aggrappava al suo posto, vi si attaccava con respiro affannoso; il

corpo di lui era lambito da una lingua tenebrosa L'esistenza, asfissiata,

travagliava per sopravvivere;



(580) la speranza periva strangolata nella sua anima vuota, fede e memoria

abolite morivano e tutto ciò che aiuta lo spirito nella sua rotta. Lungo ogni

nervo teso e doloroso strisciava, lasciando dietro a sé una traccia cocente e

tremante, una paura senza nome e inesprimibile. Come il mare avanza verso una

vittima legata e immobile, allarmò la sua mente per sempre muta l'avvicinarsi di

un'implacabile eternità di dolore inumano e intollerabile.



(590) Questo doveva sopportare: la sua speranza del cielo alienata; doveva

esistere sempre, senza la pace dell'estinzione, in un Tempo lento e sofferente e

uno Spazio torturato un niente angosciato il suo stato senza fine. Una cavità

senza vita era ora il suo petto, e lì dove un tempo era il pensiero luminoso,

restava solo, pallido spettro immoto, un'incapacità d'aver fede e sperare e

l'atroce convinzione di un'anima vinta, ancora immortale ma che ha perduto la

sua divinità

(600) perduto il suo sé, e Dio, e il contatto di mondi più felici. Ma lui

resistette, fece tacere il vano terrore, sopportò le spire soffocanti

dell'angoscia e del panico;

tornò allora la pace e lo sguardo sovrano dell'anima. All'orrore assoluto

rispose una calma Luce: immutabile, imperitura e non-nata, possente e muta la

Divintà in lui si destò e affrontò il dolore e il pericolo del mondo. Egli

dominò con uno sguardo le maree della Natura: col suo spirito nudo incontrò

l'Inferno senza veli.


NOTE SPECIALI

I "di lui": del re Aswapati.

II "attorno a lui": attorno al re Aswapati.
Fine del Canto Settimo


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