Varianti del Canto VII (I)
Un'influenza fatale colse di soppiatto le creature:
il suo contatto letale inseguiva lo spirito immortale,
il dito freddo e intirizzito della morte si posò sulla vita
e sopraffatta dall'errore, dalla sofferenza e 'l dolore
fu la volontà, innata nell'anima, di verità, gioia e luce
Una deformazione serpeggiò, che pretendevasi
la tendenza vera e propria dell'essere, il giusto impulso della Natura,
la torsione e la curva che il cosmo assume alla sua nascita,
un'idiosincrasia dell'Assoluto
Nascosta in ogni angolo di vita cosciente
una Mente ostile e pervertitrice era all'opera
corrompendo la Verità con le sue stesse formule,
attingendo la Conoscenza con la sfumatura del dubbio
Niente si salvava dall'astuzia del suo tocco
o era armato contro l'ironia del suo sorriso
Intercettatrice degli ascolti dell'anima
essa catturava gli oracoli degli dei occulti,
cancellava gl'incrollabili editti gravati sulla roccia dal Tempo,
eclissava i pali indicatori del pellegrinaggio della Vita,
e sulla fondamenta della legge cosmica
erigeva i piloni di bronzo del suo malgoverno
(Cfr. vv. 35-S I )
* *
In silenzio parlavano le voci inaudibili,
mani che nessuno vedeva piantavano il seme fatale,
nessuna forma appariva, ma un lavoro atroce era fatto
Nel cuore, privato del diritto innato della veggenza,
non poteva più leggersi ora il volere di Dio;
un decreto d'acciaio scritto in ricurvi caratteri onciali
imponeva una legge di peccato e di avverso destino
(Cfr. vv. 71-75)
*.*
Era uno spazio ove niente poteva esser vero;
poiché tutto era altro da quello che pretendeva di essere
e nessuno confessava a se stesso il proprio raggiro
ma giustificava il suo torto come diritto innato;
ciascuno s'abbarbicava alla propria menzogna come a verità celeste,
nascondendosi alla propria anima, alla Natura e a Dio:
un vasto inganno era la legge delle cose
Solo per quell'inganno potean vivere:
nell'errore movevansi, respiravano e trovavan la loro forza
Tutto ciò che attraeva aveva un fascino vano;
ciascuno splendore iridato era una stupenda bugia:
una bellezza irreale mostrava un volto d'incanto
(Cfr. vv. 158-(173)
* *
Lì la Vita esibiva all'anima spettatrice
le profondità fantasma del suo strano miracolo
Come un'imperatrice prostituita in una bettola,
nuda, spudorata, esultante levava
il suo volto malvagio di bellezza e fascino perigliosi
e, attirando il panico verso un bacio fremente
entro la magnificenza dei suoi seni fatali,
allettava lo spirito a cadere nel loro abisso
Una volta affondato, esso non chiedeva liberazione,
prendeva una gioia violenta all'estasi dei propri dolori,
trovava un gusto di libertà nella scelta di delicate catene
e regnava, sovrano della propria decadenza
Una pletora di scene assediava lo sguardo,
trame di pensiero che si riproducevano nella vita
e insegnavano alla natura ad essere quello ch'essa vedeva;
perché è la mente a dare ai giorni la loro forma
coi colori che assorbe dalle tinte del mondo
e il pensiero decide il destino dell'anima
Attraverso il campo visuale la Vita moltiplicava,
come su un film scenico o un'illustrazione mobile,
lo splendore implacabile dei suoi fasti da incubo e la sua visione incantata di
gioie infernali: una gloria di cose abominabili Sullo sfondo cupo d'un mondo
senz'anima, in un livido chiaroscuro essa inscenava i suoi drammi della
tristezza delle profondità scritti sui nervi angosciati delle cose viventi: le
sue epopee d'orrore e di truci atti crudeli paralizzavano la pietà nel petto
indurito, e lo spettacolo dell'anima degradata disseccava le fonti della
simpatia naturale.
Nei suoi baracconi del peccato e ritrovi notturni del vizio,
le sue sordide immaginazioni incise nella carne, fotoincisioni firmate della sua
infamia, rendevano pubblica la sporcizia nascosta dei reati della Natura, e
scenari ripugnanti, odiosi e macabri e maschere animalesche, oscene e terribili
venivano teletrasmessi dai baratri della Notte: caricature deformi del reale e
capolavori artistici di strane forme distorte calpestavano i sensi lacerati
facendo loro assumere forme tormentate
Un'abilità di mostruosità ingegnose
ingrandiva l'abiezione e sublimava la lordura
(Cfr. vv. 353-(393)
* *
(Un'altra versione di parte della precedente variante)
Una volta preso, niente più poteva aiutarlo,
consumato alla fiamma di atroci beatitudini
Provava una gioia violenta all'estasi dei propri dolori,
e regnava, sovrano della propria decadenza
Una pletora di scene assediava il suo sguardo,
attraverso il suo campo visuale la Vita moltiplicava **
come su un film scenico o un'illustrazione mobile
lo splendore implacabile dei suoi fasti da incubo *
e la sua visione incantata di gioie infernali:
sullo sfondo cupo d'un mondo senz'anima
in un livido chiaroscuro essa inscenava
i suoi drammi della tristezza delle profondità
scritti sui nervi tormentati delle cose viventi;
le sue epopee d'orrore e crudele maestà
paralizzavano la pietà nel petto indurito,
abituando alla carneficina come ad un pasto,
alla tortura come a un piacevole incontro di pugilato,
abolendo la protesta e il disgusto della mente,
la rivolta della vita, l'antipatia del corpo
"suoi": 'her' nel testo inglese. si riferisce qui alla "Vita".
NOTA SPECIALI
I nota a pie di pagina per le varianti del Canto VI.
II suoi": 'its' nel testo inglese, si riferisce alla mente citata più sopra. "il suo": dello "spirito", che è il soggetto dei versi precedenti.
|