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Le cicogne di Linum


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Le cicogne di Linum




Prima di ieri non avevo mai visto cicogne da vicino. Non immaginavo neanche quanto grandi fossero i loro nidi che, come ho osservato lungo la strada principale di Linum, usano costruire nei posti più diversi che offrono sufficiente sicurezza. Sia che fossero stati costruiti sulla cima di un albero, su un traliccio in ferro non utilizzato, oppure sulla bocca di un camino di una vecchia casa abbandonata, questi nidi avevano tutti l’aspetto di capienti canestri intrecciati ai loro supporti in maniera tale da resistere all’azione del vento.
È davvero insolita la veduta di tutta una strada adornata qua e là dalle dimore di questi uccelli migratori. Invece di vedere vasi di fiori sui balconi o alle finestre, vedevo nidi di cicogne sui tetti. Si trovavano così vicini che sembravano essere a portata di mano. Questa di Linum era una strada tutta particolare. Sembrava fosse stata appositamente ornata di questi uccelli per meglio accogliere i visitatori. Avevo appena cominciato a percorrerla che la mia attenzione venne attratta da questi volatili. Quando stavano in piedi sul nido o vi arrivavano dagli stagni vicini, quando spiccavano il volo e si libravano nell’aria a breve distanza, era allora che questi uccelli m’incantavano per come erano e per lo spettacolo che offrivano. Quale migliore idea di benvenuto avrebbe potuto esprimere la comunità di Linum?
Era come ammirare una sequenza di scene sempre nuove, come se ogni cicogna recitasse il suo ruolo di intrattenimento. Volevo osservarne una ancora un po’ che se ne presentava già subito un’altra. Tutto mi entusiasmava e, senza che me ne accorgessi, mi trovai al centro di un palcoscenico che una strada parata a festa animava in continuazione. Non era una piacevole distrazione cui si assiste per passatempo, era uno spettacolo avvincente, capace di destare e mantenere attenzione. Fu proprio così: il mio primo approccio governato dalla curiosità diventò presto voglia di vedere e di sapere di più su questi uccelli. Mi fermai ad ammirarne la forma slanciata, la linea snella ed elegante, le piume bianche, le lunghe zampe e il becco di colore rosso arancione.
Strade variamente adornate se ne vedono ovunque nei giorni di festa. Ma questa, qui a Linum, adornata di creature viventi, in sosta nel loro viaggio dall’Africa verso i Paesi del Nord-Europa, offriva una scenografia indimenticabile, autentica e unica nel suo genere. Assistevo a un susseguirsi di immagini che descrivevano momenti ed abitudini di vita di queste creature. Planando leggera con le grandi ali dalle penne nere, una di esse venne a posarsi sul nido per nutrire i suoi piccoli. Aveva cercato le sue prede negli stagni che si estendono nelle vicinanze di Linum e cominciò a nutrire i suoi piccoli rigurgitando cibo nelle loro bocche. Situato alla mia sinistra e costruito sulle rovine di un rudere abbandonato, vidi un altro nido da dove una cicogna spiccò il volo alta e maestosa. Volteggiò brevemente sopra di esso e, in un battito d’ali, si diresse verso lo stagno, dove lombrichi, rane, rettili e roditori erano le sue prede preferite.
La seguivo con lo sguardo e mi piaceva immaginare di volare insieme a lei e raggiungere quei campi verdi e acquitrinosi ove non c’erano alberi ma cespugli e canali di scolo. Qua e là, sparsi intorno in piccoli gruppi, altre cicogne cercavano a testa bassa le loro prede. Qualcuna aveva appena catturato una rana e si apprestava a riprendere la via del ritorno per raggiungere il proprio nido. Qualcun’altra immergeva la testa nello stagno in cui si muoveva e ne emergeva subito dopo tenendo col becco un rettile che si dimenava mentre lentamente veniva inghiottito.
Assorto in queste immagini, la stavo ancora seguendo mentre si allontanava, quando mi arrivò alle orecchie il rumore d’ali di un’altra cicogna. Come fosse fiera e compiaciuta della sua bellezza, dava l’impressione di voler rimanere vicina e sospesa nell’aria per alcuni secondi per lasciarsi ammirare. Non mi aspettavo di assistere a una simile scena, ma l’incanto durò poco perché essa si lasciò dolcemente portare dalla corrente d’aria e raggiunse poco dopo il nido. Il sole del tardo pomeriggio mi consentì di osservarla con la sua compagna mentre entrambe, intente a spulciarsi, si alternavano in una varietà di pose e movimenti. Battevano il becco, si ergevano sulle zampe sottili, piegavano la testa all’indietro e, sfregando il collo, pareva cercassero sempre di più il contatto dei loro corpi.
Questo cerimoniale mi riportò alla mente delle scene già viste nella riserva naturale di Vendicari in Sicilia. Sebbene io mi trovassi a oltre duemila kilometri da Vendicari, era come se io vi fossi ritornato come ero solito fare anni addietro quando andavo ad osservare quelle paludi. Ne subivo ancora il fascino. Quelle distese acquitrinose e sabbiose, assolate e silenziose, da sempre dimora temporanea preferita da una moltitudine di uccelli migratori, venivano ora sotto i miei occhi in tutta la loro superba bellezza. Il cielo era terso e di un azzurro intenso. Un leggero vento fresco soffiava dal mare mediterraneo mitigando con la sua frescura il calore del sole rovente di luglio.
Sfogliando a ritroso le pagine dei miei ricordi rivedevo la torre sveva in pietra arenaria da dove si percorreva con lo sguardo la lunga striscia di costa con la tipica macchia mediterranea di arbusti, cespugli di timo e di lentisco, palme nane, papaveri rossi. Davanti allo sfondo azzurro del mare, a sud delle rovine di Eloro, si stendeva la vasta veduta delle secche rocciose, delle saline abbandonate, dei canali, delle paludi e degli stagni interamente asciutti e coperti da una bianca coltre di sale. Pur trovandomi a debita lontananza dalle paludi e dalle dune di sabbia irte di cespugli che ondeggiavano al vento, seguivo abbastanza bene i movimenti degli uccelli.
In quel lungo litorale ricco di paludi, dune sabbiose e rocce calcaree, venivano fenicotteri, cigni, pellicani, aironi, cormorani ed anatre. Probabilmente c’erano anche le cicogne di Linum a trascorrere la loro sosta da o per l’Africa. Vedevo uccelli spostarsi incurvati alle paludi ed intenti ad immergere il becco per procurarsi il cibo. A primavera e in autunno, quando la fauna acquatica era più numerosa, tutta l’oasi si riempiva di suoni e pareva di assistere all’esecuzione di un coro di centinaia di voci, ognuna con la propria distinta melodia. Così esili e così forti, quelle creature avevano sorvolato il Mediterraneo e raggiunto quell’oasi nella costa meridionale della Sicilia. Ad accoglierle trovavano un clima e un habitat naturale dei più adatti, ma soprattutto l’amore per la natura della gente del luogo.
Da sempre quella fascia costiera della Sicilia, che si estende di fronte all’Africa, è stata terra di approdo d’innumerevoli mercanti e invasori. Qui sbarcarono Fenici, Greci, Punici, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni; qui cominciò l’invasione degli Alleati nella seconda guerra mondiale e ancora qui, oggi, vengono continuamente a sbarcare gli immigrati. La gente che ieri vedeva arrivare invasori, oggi assiste all’arrivo di persone inermi che lasciano il loro paese per bisogno. Proprio su questa fascia costiera del Mediterraneo, situata fra Noto e Pachino e non lontana dalla riserva di Vendicari, oltre agli uccelli, arrivano anche scafi stracolmi di uomini, donne e bambini. Dopo un lungo e pericoloso viaggio, durante il quale hanno sofferto fame e sete, prima di arrivare in questa costa, vengono bloccati al largo, rifocillati e accompagnati nei cosidetti “centri di accoglienza”. Quanta diversità fra gli uomini e gli animali! Gli uccelli proseguono liberi il loro viaggio fino ai paesi del Nord-Europa, gli immigrati no.

Spinti dal bisogno di trovare un lavoro in Europa, si sono sottoposti a pagare alti costi e hanno affrontato privazioni e pericoli indicibili pur di raggiungere la terra promessa del ricco Occidente. Quelli di loro che, venendo dall’Africa, riescono ad arrivare in Sicilia si vedono rinchiusi in vari centri di accoglienza come quelli di Pantelleria e di Pozzallo. I loro centri di accoglienza, purtroppo, a differenza di quelli che la Natura ha destinato per gli uccelli, sono circondati da guardie e filo spinato.


Loro, mi dicevo, non hanno ali per venire a Linum! Li vedi camminare avanti e indietro dietro il filo spinato. Sono confusi e preoccupati. Vedo nuclei familiari seduti all’ombra ad aspettare. Nessuno che ride, tutti che aspettano l‘evolversi degli eventi. Se guardi gli occhi di quella giovane donna col bambino in braccio, ti accorgi che ti scrutano in profondità e, anche se non conosci la sua lingua, capisci quali e quante domande vorrebbe porti.
C’è un uomo, in piedi e sotto il sole rovente, che ha le mani aggrappate al filo spinato. Si chiama Yussef. Vorrebbe poter essere al di là della recinzione che gli preclude la libertà. Non sa cosa l’aspetta e ha paura. Vorrebbe gridare a squarciagola questa sua paura a chi non sa che lui ha lasciato in patria la famiglia da mantenere e i debiti da pagare. Alza lo sguardo al cielo e lo riabbassa portandosi le mani alle tempie come per concentrarsi e capire meglio la sua situazione. Non trova risposte alle sue domande, non intravede vie d’uscita da una situazione che è tanto opprimente quanto una prigione. Contempla nel vuoto con gli occhi umidi. Gli scorrono innanzi le immagini dei familiari ai quali non può dare altro che lacrime che sanno di sale. Rivede la sua bambina corrergli incontro per essere presa in braccio come quando ritornava dal lavoro. Ripensa all’ambiente che ha lasciato, agli amici con i quali si incontrava e a quando, un mese prima, ha deciso di lasciare il suo paese per trovare un lavoro in Europa. Torna a rivolgere lo sguardo al cielo. Il cielo è simbolo di libertà e la sua bocca abbozza appena un sorriso. Ha visto le cicogne. Come lui, vengono anch’esse dal Ciad, ma proseguono libere nel loro volo verso il nord. Lui no! Lui non ha ali per venire a Linum. Come Omar, Mohamed, Janina e tutti gli altri, Yussef è ancora là, dietro il recinto di Pozzallo. Entro quindici giorni verrà rimpatriato come tutti gli altri. Perché?




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