Un mondo fremente, trepidante, incerto,
nato da quell'incontro ed eclissi dolorosi
apparve nel vuoto che i passi della Vita avean percorso,
un'oscurità impaziente, un'agitata ricerca.
C'era il contorcersi d'una forza semiconscia,
appena ridesta dal sonno dell'Incosciente,
legata a un'Ignoranza guidata dall'istinto,
per trovare se stessa e la sua presa sulle cose.
Erede della povertà e della perdita,
(10) assalita da ricordi che una volta afferrati svanivano,
tormentata da una speranza elevatrice obliata,
si sforzava, con mani brancolanti, quasi cieche,
di colmare il fossato dolente e disastroso
fra la sofferenza terrestre e la beatitudine da cui era caduta la Vita.
Un mondo sempre in cerca di qualcosa di perduto
insegue la gioia che la terra non è riuscita a serbare.
Troppo vicina alle nostre porte la sua inappagata inquietudine
perché la pace viva sull'inerte solidità del globo:
esso ha aggiunto la sua fame alla fame della terra,
(20) ha dato alle nostre vite la legge del desiderio insaziabile,
e del bisogno del nostro spirito ha fatto un abisso senza fondo.
Un'influenza è entrata nella notte e nel giorno dei mortali,
un'ombra ha obnubilato la razza nata nel tempo;
nella corrente turbata ove un cieco pulsare del cuore trasale
e il battito nervoso del sentimento si risveglia nei sensi
separando il sonno della Materia dalla Mente cosciente,
si smarrì un richiamo che non sapeva perché era venuto.
Un potere al di là della portata terrestre ha toccato la terra;
il riposo che avrebbe potuto essere non può più essere,
(30) un anelito informe s'appassiona nel cuore dell'uomo,
cose più felici implora il suo sangue:
altrimenti ei potrebbe vagare su un libero suolo assolato con la mente innocente
delle bestie che non ricorda il dolore, o vivere felice, impassibile, come i
fiori e gli alberi. La Potenza che giunse sulla terra per benedire è rimasta
sulla terra per soffrire e aspirare. Il riso infantile che attraverso il tempo
risuonava si tace: offuscata è la gioia di vivere innata nell'uomo e la
tristezza è la nutrice del suo destino.
(40) Dimenticata dietro a sé la gioia spensierata dell'animale, affanno e
riflessione gravano sul suo quotidiano cammino; egli si è elevato alla grandezza
e allo scontento, è consapevole dell'Invisibile. Cercatore insaziabile, ha tutto
da imparare: ha esaurito ormai gli atti di superficie della vita, i regni
nascosti del suo essere restano da esplorare. Egli diviene una mente, diviene
uno spirito e un me; nel suo fragile involucro si fa signore della Natura. In
lui la Materia si desta dalla sua lunga, oscura trance,
(50) in lui la terra sente la Divinità avvicinarsi. Potere senz'occhi che più non
vede il suo scopo, inquieta e affamata Energia di Volontà, la Vita gettò il
proprio seme nella forma indolente del corpo; e quello sollevò una Forza cieca
dal felice torpore costringendola a sentire, a cercare e a provare. Nell'enorme
travaglio del Vuoto, turbando coi suoi sogni la vasta routine e il sordo rullio
d'un universo assopito, la prigioniera possente lottò per liberarsi.
(60) Vibrante del suo intenso desiderio, si svegliò la cellula i la Vita accese
nel cuore un fuoco di passione e bisogno e in mezzo alla calma profonda delle
cose inanimate si levò la sua gran voce di sforzo, preghiera e conflitto. Una
coscienza brancolante in un mondo senza voce, una percezione senza guida le fu
data per il suo procedere; il pensiero era rifiutato e niente ella allora
sapeva, ma avea tutto l'ignoto da percepire e abbracciare.
Obbedendo alla spinta per nascere delle cose non nate, ella dal suo sigillo di
vita insensibile eruppe:
(70) nella sua sostanza di forza d'anima non pensante e muta, incapace di
formulare quel che indovinano le sue profondità, si svegliò una cieca necessità
di conoscere. La catena che la vincolava ella rese suo strumento; fu suo
l'istinto, crisalide della Verità, e lo sforzo e la crescita e la nescienza in
lotta. Infliggendo al corpo il desiderio e la speranza, imponendo la coscienza
all'incoscienza, introdusse nell'ottusa tenacia della Materia la sua angosciata
rivendicazione del supremo diritto perduto,
(80) la sua infaticabile ricerca, il suo cuore tormentato e ansioso, i suoi passi
errabondi e insicuri, la sua implorazione d'un cambiamento. Adoratrice d'una
gioia senza nome, nella sua oscura cattedrale di delizia offre riti segreti a
dèi nani e indistinti. Ma vano e senza fine è il sacrificio, il prete un mago
ignorante ch'opera solo futili mutazioni sul piano dell'altare e getta cieche
speranze in una fiamma priva di potere. Un fardello d'effimeri guadagni
appesantisce i suoi passi
(90) e a stento, sotto quel peso, può avanzare; ma le ore la chiamano, ella
prosegue il cammino andando di pensiero in pensiero, di mancanza in mancanza; il
suo maggiore progresso non è che un bisogno approfondito. La Materia non la
soddisfa, e si volge alla Mente; conquista la terra, suo dominio, poi reclama i
cieli. Insensibili, spezzando il lavoro da lei fatto, le ere titubanti passan
sulla sua fatica, ma non è ancora discesa alcuna grande luce trasformatrice,
nessun rapimento rivelatore ha toccato la sua caduta.
(100) Solo un barlume a volte fende il cielo della mente giustificando la
provvidenza ambigua che fa della notte un sentiero verso aurore ignote o una
chiave occulta per uno stato più divino.
Nella Nescienza cominciò la sua impresa poderosa, nell'Ignoranza ella persegue
l'opera incompiuta, a tastoni cerca la conoscenza, senza incontrare il volto
della Saggezza Elevandosi lentamente a passi incoscienti, figlia abbandonata
degli Dei, vaga quaggiù come un'anima infante lasciata alle porte dell'Inferno,
(110) brancolante nella nebbia in cerca del Paradiso.
In questa lenta ascesa egli doveva seguire il suo passo (I) a partir dal suo
timido e confuso inizio subcosciente: solo così può venir la salvezza finale
della terra.
Perché solo così egli poteva conoscere l'oscura causa
di tutto ciò che ci trattiene e frustra Dio
quando l'anima prigioniera vede il carcere aprirsi.
Lungo rapide vie di declino attraverso porte pericolose,
egli si ritrovò in un buio grigio
brulicante d'istinti venuti da immemori abissi,
(120) impazienti di rivestire una forma e conquistare un posto. La Vita era
intima qui con la Morte e la Notte e della Morte mangiava il cibo per poter
respirare un momento; era la trovatella adottata loro inquilina. Accettando la
subcoscienza, nel regno della tenebra muta ospite temporanea, non sperava più.
Lì, assai lontana dalla Verità e il pensiero luminoso, ei vide la sede
originaria, la nascita separata della Potenza detronizzata, deformata e
sofferente. Aspetto infelice della falsità resa vera,
(130) smentita della nostra nascita divina, indifferente alla bellezza e alla
luce, essa andava ostentando la sua animale ignominia senza ricorrere a
camuffaggi, brutale e nuda, ritratto autentico, riconosciuto e firmato della sua
forza reietta, esiliata dal cielo e la speranza, caduta, gloriantesi
dell'abiezione del suo stato, dell'avvilimento di una forza un tempo semidivina,
dello sgraziato squallore dei suoi desideri bestiali,
del volto impudente della sua ignoranza,
(140) del corpo ignudo della sua povertà. Qui, all'inizio, era strisciata fuori
della sua capanna di fango ov'era giaciuta incosciente, rigida e muta:
l'angustia e il torpore la trattenevano ancora, una tenebra addosso che la Luce
non dissipava. Non s'avvicinava, dall'alto, alcun contatto redentore: sollevar
gli occhi al cielo era alieno alla sua vista, dimenticata la divinità intrepida
della sua marcia; rinnegata era la gloria e la letizia, l'avventura nei campi
perigliosi del Tempo:
(150) annaspando, essa arrivava a mala pena a sopportare e a vivere.
La vasta nebbia inquieta d'uno Spazio in cerca, una regione senza un raggio di
luce, inghiottita sotto fasce indistinte, che sembrava, senza nome, senza corpo
e riparo, una mente bendata, priva di visione e di forma, chiedeva un corpo per
tradurre la sua anima. Non esaudita la sua preghiera, essa cercava a tastoni il
pensiero. Non ancora dotata d'energia per pensare, e appena per vivere, si
affacciava su un mondo fantasma e pigmeo dov'era la fonte di questa triste
magia.
(160) Ai cupi confini in cui la Vita e la Materia s'incontrano, egli errava fra
cose impossibili da scorgere e indovinare pienamente, inseguito da inizi mancati
e da fini perduti. lì la vita nasceva ma moriva prima di poter vivere. Non c'era
un terreno solido, una direzione costante; avea potere solo qualche fiamma di
Volontà smemorata. Lui stesso era incerto a se stesso, poco percettibile, fioco,
come in una lotta del Vuoto per esistere. In dominî estranei ove tutto era
sensazione vivente ma non c'era signoria di pensiero, né causa né regola,
(170) solo un acerbo cuore di fanciullo implorava giochi di felicità, la mente
vacillava, disordinato bagliore nascente, ed energie erratiche e confuse
spingevano verso la forma prendendo ogni fuoco di paglia per la guida d'un sole.
Questa forza dagli occhi bendati non sapeva posare che passi avventati;
chiedendo la luce, seguiva il filo dell'ombra. Un Potere incosciente brancolava
verso la coscienza, la Materia colpita dalla Materia baluginava ai sensi,
contatti ciechi, reazioni lente sprigionavan scintille d'istinto da un fondo
subliminale celato,
(180) le sensazioni affluivano, mute sostitute del pensiero, la percezione
rispondeva ai colpi risveglianti della Natura ma era ancora una risposta
meccanica, una scossa, un salto, un sussulto nel sogno della Natura, impulsi
rozzi, sfrenati correvano urtandosi, indifferenti a ogni altro movimento che il
proprio e, oscuri, scontravansi a impulsi ancora più oscuri, liberi in un mondo
di anarchia stabilita. Il bisogno d'esistere, l'istinto di sopravvivenza
assorbivano la volontà tesa del momento precario,
(190) e un desiderio che non vedeva tastava il terreno in cerca d'alimento. Gli
scatenamenti della Natura eran l'unica legge, la forza lottava contro la forza,
ma nessun risultato restava: solo una presa e un impulso nescienti erano
acquisi, sentimenti ed istinti ch'ignoravan la propria origine, piaceri e
spasimi dei sensi, presto afferrati e perduti e il movimento bruto di vite
irriflessive. Era un mondo vano e superfluo la cui volontà d'essere portava
magri e tristi risultati, un'assurda sofferenza ed un grigio malessere.
(200) Niente sembrava degno del travaglio di divenire.
Ma giudicava altrimenti il suo occhio spirituale risvegliato. Come, testimone
solitaria, brilla una stella che arde in disparte, sentinella isolata della
Luce, nella feconda deriva di una Notte obliosa, unico essere pensante in un
mondo inconsulto, in attesa di qualche prodigiosa aurora di Dio, egli vide lo
scopo dei lavori del Tempo. Perfino in quell'assenza di mira si compiva un
lavoro,
gravido di magica volontà e cambiamento divino.
(210) Le prime contorsioni di serpente della Forza cosmica
snodavansi dal mistico anello della trance della Materia;
Essa sollevò la testa nell'aria calda della vita.
Non poteva ancora sciogliersi dal sonno anchilosante della Notte
né sfoggiare ancora la meraviglia delle macchie e striature della mente,
porre sul suo cappuccio ingioiellato la corona dell'anima
o ergersi nell'incendio del sole dello spirito.
Non si eran viste fino ad allora che bruttura e forza,
lo strisciare nascosto della coscienza verso la luce
attraverso un fertile limo di cupidigia e sensi voraci,
(220) sotto la crosta corporea d'un sé ispessito
un lento e fervido lavorio nell'ombra,
il lievito torbido del mutare appassionato della Natura,
fermento della creazione dell'anima dal fango.
Un processo celeste indossava quest'infelice travestimento,
nella sua notte clandestina un'ignoranza caduta
penava per condurre a buon fine il suo silente lavoro indecoroso,
mascheramento del bisogno dell'Incosciente
di liberare la gloria di Dio nella melma della Natura.
La sua visione, spirituale in occhi che l'incarnavano, (II)
(230) poteva penetrare nella nebbia grigia e fosforescente
e scrutare i segreti del flusso cangiante
ch'anima queste mute e solide cellule
e porta il pensiero e la brama della carne,
la cupidigia e la fame acute del suo volere.
Egli anche questo segui lungo il suo corso misterioso
e rintracciò dei suoi atti la fonte miracolosa.
Una Presenza mistica che nessuno può sondare o governare,
creatrice di questo gioco di luce e d'ombra
in tale paradossale vita dolceamara,
(240) chiede al corpo le intimità dell'anima
e con la rapida vibrazione d'un nervo
collega alla luce e all'amore le sue pulsazioni meccaniche.
Richiama i ricordi dormienti dello spirito
dagli abissi subconsci che la schiuma del Tempo ricopre;
dimentichi della loro fiamma di verità gioiosa, essi, arrivando con occhi
sbattuti che vedono a stento, giungon camuffati da sentimenti e desideri, come
alghe che galleggian per un poco in superficie e si sollevano e affondano al
ritmo d'una sonnambula marea.
(250) Per quanto impuri, degradati i suoi movimenti, sempre una verità celeste
cova negli oceani della vita; nelle sue membra più oscure brucia quel fuoco. Un
tocco della divina ebbrezza negli atti della creazione, un ricordo perduto della
felicità resta ancora nascosto nelle mute radici della morte e la nascita, la
bellezza insensibile del mondo riflette la delizia di Dio. (III) Questo sorriso
di rapimento si cela ovunque; scorre nel soffio del vento, nella linfa
dell'albero, la sua magnificenza di toni risplende nelle foglie e nei fiori.
(260) Quando dalla sua semisonnolenza la vita eruppe nella pianta che sente e
soffre ma non può muoversi o gridare, nella bestia, nell'uccello alato e
nell'uomo pensante, esso fece del ritmo del cuore il battito della sua musica;
costrinse i tessuti incoscienti a risvegliarsi, a cercar la letizia e a ottenere
il tormento, a trasalir del piacere e del riso di breve delizia, a fremere di
dolore e agognare l'estasi. Imperioso, senza voce, malcompreso, troppo lontano
dalla luce, troppo vicino al cuore dell'essere,
(270) nato stranamente nel Tempo dalla Beatitudine eterna, preme al centro del
cuore e sul nervo vibrante; la sua penetrante ricerca di sé lacera la nostra
coscienza; è questo sprone a causare la nostra sofferenza e il piacere:
penetrato da esso, eppure cieco alla sua vera gioia, il desio dell'anima si
slancia all'esterno verso cose effimere. Irresistibile è l'impulso ardente della
Natura, si solleva tutto attraverso il sangue e i sensi intensificati; un'estasi
dell'infinito ne è la causa. Questa in noi si tramuta in amori e brame finiti,
(280) in volontà di conquistare e avere, d'afferrare e tenere,
d'allargare lo spazio e l'orizzonte della vita, e la sfera del piacere,
volontà di combattere, sopraffare e appropriarsi,
speranza di mescolare la propria alla gioia degli altri,
smania di possedere e d'essere posseduti,
di godere e d'essere goduti, di sentire, di vivere.
Qui si trovava il suo primo, breve tentativo d'esistere,
la rapida fine della sua momentanea delizia
il cui fallimento, come un marchio, perseguita ogni vita ignorante.
Infliggendo ancora alle cellule la sua abitudine,
(290) il fantasma di un inizio buio e sventurato
insegue spettrale tutti i sogni e atti nostri.
Benché ci siano sulla terra vite fermamente stabilite,
un funzionamento d'abitudine o il sentimento d'una legge,
una regolare ripetizione nel flusso,
le radici della sua volontà son sempre le stesse;
siamo fatti della stoffa di queste passioni.
Questo era il primo grido del mondo che si destava.
Ancora ci avviluppa strettamente e blocca il dio.
Anche quando nasce la ragione e prende forma l'anima,
(300) nella bestia, nel rettile e nell'uomo pensante
esso perdura ed è la fonte di tutto il loro esistere.
Occorreva anch'esso perché ci fosse il respiro e la vita.
Lo spirito, in un mondo finito e ignorante,
deve così liberare la sua coscienza imprigionata,
espulsa a piccoli getti, in punti tremanti,
dalla sigillata infinitudine dell'Incosciente.
Allora, a poco a poco, essa aumenta di massa, leva gli occhi alla Luce.
Questa Natura vive vincolata alla sua origine,
l'artiglio d'una forza inferiore è ancora su di lei;
(310) i suoi istinti sollevansi dal fondo di baratri incoscienti;
la sua vita confina col Nulla inanimato.
Sotto questa legge un mondo ignorante fu creato.
Nell'enigma delle ottenebrate Vastità,
nella passione e perdita di sé dell'Infinito,
quando tutto era immerso nel Vuoto negatore,
mai la notte del Non-Essere avrebbe potuto salvarsi
se l'Essere non si fosse tuffato nell'ombra portando con sé la sua triplice
croce mistica. Invocando la verità intemporale nel tempo cosmico,
(320) la felicità mutata in dolore, la conoscenza resa ignorante, la forza di Dio
trasformata in un'impotema di fanciullo possono col loro sacrificio far
discendere il cielo. Una contraddizione è alla base della vita: l'eterna, la
divina Realtà s'è rivestita dei suoi propri contrari; l'Essere è divenuto il
Vuoto, la Forza-Cosciente Nescienza e cammino d'una cieca Energia, e l'Estasi
prese la forma della sofferenza universa. Secondo una legge di misteriosa
gestione,
(330) una Saggezza che prepara i suoi fini lontani ha così progettato l'avvio del
suo lento gioco d'eoni. La ricerca e la lotta dagli occhi bendati, la stretta
annaspante d'una Natura semivisibile e di un'Anima dissimulata, un giocare a
nascondersi e trovarsi in stanze crepuscolari un gioco d'amore e d'odio, di
paura e speranza continua nella camera d'infante della mente la sua ruzza dura e
violenta di gemelli autogeneratisi. Alla fine l'Energia in lotta può emergere e
incontrare in domini più vasti l'Essere silenzioso; allora essi posson vedere e
parlare e, petto contro petto, in una coscienza più larga, una luce più chiara,
i Due s'abbracciano, s'affrontano, si conoscon l'un l'altro guardando più da
presso ora il volto del compagno di gioco. Anche in questi intrecci informi egli
poté sentire la risposta della Materia a un moto embrionale dell'anima. Vide lo
Spirito possente nascosto nella Natura, osserva la gracile nascita d'una Forza
tremenda, insegui l'enigma del passo sperimentale della Divinità, udì i fievoli
ritmi d'una gran Musa non nata.
(350) Venne allora un soffio più ardente di Vita in risveglio e dall'abisso
indistinto delle cose sorsero
le strane creazioni di un senso pensante,
esistenze a metà reali e a metà sognate.
Era li una vita che non sperava di sopravvivere:
nascevano esseri che perivan senza lasciar traccia,
eventi ch'eran le membra d'un dramma amorfo,
e azioni guidate da una cieca volontà di creatura.
Un Potere in cerca trovava la sua strada verso la forma,
modelli d'amore, di gioia e dolore eran costruiti
(360) e figure simboliche per gli umori della Vita.
Un edonismo-insetto svolazzava e andava ventre a terra,
crogiolandosi ai fremiti di superficie d'una Natura aprica,
ebbrezze di drago, agonie di pitone
strisciavan nella palude e nel fango e leccavano il sole.
Forze enormi munite di corazze scuotevano un suolo fragile e tremante,
grandi creature possenti dal cervello nano,
e tribù pigmee imponevano il loro esiguo movimento di vita.
In un tipo nano d'umanità
la Natura lanciava ora l'estrema esperienza,
(370) punto cruciale del capriccio del suo disegno,
risultato luminoso della sua ascesa semi-cosciente
su gradini intermedi fra le sue sublimità e il suo grottesco,
verso realizzazioni massiccie a partire da infinitesime,
verso un sottile equilibrio del corpo e dell'anima,
verso un ordine di piccolezza intelligente.
Attorno a lui, nella pulsazione dei momenti del Tempo,
sorse il regno del sé animale
dove l'atto è tutto e la mente ancora nata a metà
e il cuore obbedisce a un controllo muto e invisibile.
(380) La Forza che opera alla luce dell'Ignoranza
cominciava il suo esperimento animale,
popolando di creature coscienti il suo ordine cosmico;
ma esse eran conscie solo del mondo esteriore,
rispondevano solo ai contatti e alle superfici
e al pungolo del bisogno che ne sospingeva le vite.
Un corpo che ignorava la propria anima all'interno
viveva lì e ardea di desiderio, provava collera, gioia e dolore;
c'era una mente che incontrava il mondo oggettivo come uno straniero o un nemico
alla porta:
(390) i suoi pensieri erano impastati delle impressioni dei sensi; non captava lo
spirito nella forma, non entrava nel cuore di ciò che vedeva, non cercava il
potere dietro l'atto, non studiava il motivo nascosto delle cose né si sforzava
di trovare il senso di tutto questo. Eran lì degli esseri rivestiti d'una sagoma
umana; vivevano assorbiti nella passione della scena, ma senza sapere chi
fossero né perché vivessero: paghi di respirare, di sentire, percepire e agire,
(400) la vita non aveva per loro altro scopo che la gioia e lo stimolo e il
diletto delle cose esteriori; identificati alla conchiglia che racchiude lo
spirito, lavoravan pei bisogni del corpo, non bramavano altro. Lo spettatore
velato che vegliava nel loro profondo non fissava il suo occhio interiore su di
sé né lo volgeva a scoprire l'autore dell'intrigo: non vedeva che la commedia e
il teatro. Nessuna tensione covava un sentimento più profondo, non era nato il
fardello della riflessione:
(410) la Mente guardava con occhi ignari la Natura, adorando i suoi benefici e
temendone i colpi mostruosi. Non meditava sulla magia delle sue leggi, non avea
sete dei pozzi segreti della Verità, ma teneva un registro di fatti accalcantisi
e infilava sensazioni su un vivo filo: cacciava, fuggiva e fiutava i venti, o
impigriva inerte al sole e alla dolcezza dell'aria: cercava i contatti
avvincenti del mondo, ma solo per nutrire di delizia i sensi di superficie.
(420) Questi esseri sentivano fremere la vita nel contatto non erano capaci di
sentire, dietro il contatto, l'anima. Proteggere la forma dei loro sé dai danni
della Natura, godere e sopravvivere era tutta la loro cura.
Il limitato orizzonte dei loro giorni era riempito
di cose e creature che potevano aiutare e ferire:
i valori del mondo eran sospesi al loro piccolo sé.
Isolati, stretti nella morsa del vasto ignoto,
per salvare le loro vite esigue dalla Morte circostante
costruivano un minuscolo cerchio di difesa
(430) contro l'assedio dell'immenso universo:
depredavano il mondo e ne eran preda,
senza sognare mai di conquistare e esser liberi.
Obbedienti ai cenni e ai tabù incrollabili della Potenza Cosmica,
traevano una magra porzione dalla sua ricca riserva;
non c'era alcun codice cosciente, alcun piano di vita:
i tipi di pensiero d'un piccolo gruppo
fissavano una legge di comportamento tradizionale.
Non conoscendo l'anima se non come un fantasma interiore,
legati al meccanismo di vite immutabili
(440) e al battito di sensi e sentimenti ottusi e abituali,
giravano nei solchi inveterati del desiderio animale.
Difesi tutt'intorno da muri di pietra, lavoravano e guerreggiavano,
grazie a un'allenza di egoismi compivano un po' di bene
o causavano un danno terribile e un dolore crudele
a vite sensibili senza credere di fare del male.
Euforici del saccheggio di lieti e pacifici focolari,
satolli di massacro, di bottino, di stupri e d'incendi,
facevan dei sé umani la loro preda indifesa,
menavano un gregge di prigionieri a soffrire per tutta la vita,
(450) o rendevano la tortura uno spettacolo e una festa,
beffardi o eccitati davanti ai tormenti delle vittime squarciate;
ammirandosi come titani e come dei,
cantavano fieri le loro imprese gloriose
e lodavano la loro vittoria e la loro splendida forza.
Animale nella mandria fatta d'istinti,
spinto da impulsi vitali, costretto da bisogni comuni,
ciascuno nel suo simile vedeva riflesso il proprio ego;
tutti servivano lo scopo e l'azione del branco.
Quelli pari a sé, per nascita o abitudini,
(460) eran per lui parte della sua vita, i suoi sé ausiliarî, stelle costituenti
la sua personale nebulosa, compagni satelliti del sole del suo Io. Padrone
dell'ambiente della sua vita, guida d'una massa umana pigiata in un gregge per
sentirsi sicura su una terra perigliosa, egli raggruppava tutti attorno a sé
come Poteri minori per fare fronte comune al mondo, o, debole e isolato su una
terra indifferente, come una fortezza per il suo cuore indifeso,
(470) oppure per lenire la solitudine del suo corpo. Negli altri non della sua
razza intuiva un nemico, una forza aliena e dissimile da fuggire e temere, un
estraneo e avversario da odiare ed abbattere. O viveva come vive la bestia
solitaria; in guerra contro tutti, sosteneva il suo singolo destino. Assorbito
nell'azione presente, i giorni fugaci, nessuno pensava a guardare oltre i
guadagni del momento, né sognava di far di questa terra un mondo più bello, né
sentiva un contatto divino sorprendergli il cuore.
(480) La contentezza donata dall'ora fuggevole, il desiderio afferrato, la
letizia, l'esperienza conquisa, il movimento, la velocità e il vigore eran gioia
sufficiente come le brame corporali condivise, la contesa e il gioco, le lacrime
e il riso, ed il bisogno detto amore. Nella guerra e la stretta queste esigenze
vitali univansi alla Vita Tutta, lotte di una divisa unità che infligge
l'avvicendarsi della sofferenza e la felicità per ignoranzdel Sé eternamente
uno. Armando le sue creature di delizia e speranza,
(490) una Nescienza semirisvegliata si dibatteva lì per conoscere, con la vista e
il tatto, l'esterno delle cose. L'istinto era formato; nel sonno popolato della
memoria il passato continuava a vivere come in un mare senza fondo: invertendo
nella forma di semi-pensiero la sensazione accelerata, essa tastava il terreno
cercando la verità brancolando,
serrava a sé il poco che riusciva a raggiungere e a cogliere e lo metteva da
parte nella sua caverna subcosciente. Così l'essere oscuro deve crescere in luce
e forza ed elevarsi alla fine al suo più alto destino,
(500) alzare gli occhi a Dio e percorrer con essi l'universo, apprendere grazie
al fallimento, progredire grazie alla caduta e combatter contro l'ambiente e il
fato, e mediante il dolore scoprire la sua anima profonda, mediante il possesso
crescere verso le proprie vastità. A metà strada essa si fermava non trovando
più il suo cammino. Ancora nulla era realizzato, solo l'inizio, eppure l'orbita
della sua forza sembrava compiuta. Aveva fatto solo scaturire scintille
d'ignoranza; solo la vita poteva pensare, non la mente,
(510) solo i sensi potevan percepire, non l'anima. Solo erano accesi un calore
della fiamma di Vita, un certo gaudio d'esistere, qualche trasalimento dei
sensi. Tutto era lo slancio d'una Forza semicosciente, uno spirito dilagante,
annegato nella schiuma densa della vita, un vago sé che la forma tentava
d'afferrare delle cose. Dietro tutto movevasi, in cerca di vasi per contenere
una prima grezza vendemmia delle uve di Dio, effluvio, sul fango della terra,
della superna Beatitudine, vino inebriante d'estasi cupa e torbida
(520) che ubriaca l'anima e la mente stordite, (IV) indistinta, non ancora colata
nella forma spirituale, oscura abitante del cuore cieco del mondo, la volontà
d'una divinità non nata, un Desiderio muto.
Una terza creazione rivelò allora il suo volto. Lo stampo d'una prima mente del
corpo fu creato. Una scintilla di luce attizzò la buia Forza Cosmica; dotò
dell'Idea veggente un mondo ch'era guidato e armò della punta del pensiero
dinamico l'atto: un piccolo essere pensante osservò i lavori del Tempo.
(530) Una difficile evoluzione dal basso chiamò un intervento mascherato
dall'alto; altrimenti questo grande universo, cieco e incosciente, non avrebbe
mai potuto svelare la sua mente nascosta, come, nell'animale e nell'uomo,
l'Intelligenza che concepì il piano cosmico non avrebbe potuto operare, sia pure
a occhi chiusi. Egli vide dapprima un potere mentale incerto e oscuro muoversi
dissimulato dalla Materia e dalla vita silente. Sottile corrente, esso scorreva
nel vasto fluire della vita, sballottato alla deriva sotto un cielo alla deriva,
(540) tra il sollevarsi e il fremito dello sciabordio tralucente, riversato in
spruzzi di sensazione e ondate di sentimento. Immerse in mezzo a un mondo
insensibile, onde e schiuma della sua coscienza correvano in frotta premendo e
mulinando attraverso uno stretto passaggio, trasportando l'esperienza nella sua
marcia affollata. Esso fluiva, emergendo nella luce superiore, dal fondo gorgo
della sua nascita subliminale per raggiungere qualche altra esistenza ancora
ignota. Non c'era alcun sé pensante, alcuna meta:
(550) tutto era tensione disorganizzata e vaghe ricerche. Solo affioravano alla
superficie instabile le sensazioni, i morsi lancinanti del desiderio, i
trasalimenti della passione, i gridi dell'emozione breve, un colloquio
occasionale della carne con la carne, un mormorio del cuore al cuore ardente e
muto, barlumi di conoscenza senza alcuna forma di pensiero, zampilli di volontà
subcosciente o strattoni di fame. Tutto era un pallido bagliore su una
superficie spumeggiante: essa faceva turbinare un sé fantasma alla deriva
(560) su una piena incosciente di Forza nel Tempo. Giunse allora la pressione
d'un Potere veggente che trasse tutto nella danza d'una massa torbida attorno a
un unico punto luminoso, centro di riferimento in un campo cosciente, immagine
d'una Luce unitaria interiore. Esso accese l'impulso della piena semisensibile
dando anche un'illusione di fissità,
come se un mare potesse servire da terra ferma.
Questo strano Potere osservante impose la sua visione.
(570) Costrinse il flusso a un limite e a una forma,
diede al suo corso una riva stretta e più bassa,
tracciò linee per intrappolare la non-forma dello spirito.
Modellò la mente vitale dell'uccello e del quadrupede,
la risposta del rettile e del pesce,
lo schema primitivo dei pensieri dell'uomo.
Un movimento finito nell'Infinito
s'aprì un varco in volo nell'aere vasto del Tempo;
la marcia d'una conoscenza iniziò nella Nescienza
e protesse nella forma un'anima separata.
(580) Si riservò il diritto d'essere immortale,
ma eresse un muro contro l'assedio della morte
e lanciò un uncino per agganciare l'eterno.
Un'entità pensante apparve nello Spazio.
Un piccolo mondo ordinato sorse alla vista,
ove l'essere aveva una cella per l'atto e la visione,
un pavimento per camminare, un raggio d'azione libero ma povero.
Una personalità strumentale nacque,
e un'intelligenza ristretta e bloccata
acconsentì a limitare in ristretti confini
(590) la sua ricerca; incatenò il pensiero alle cose visibili,
proibendo l'avventura dell'Invisibile
e i passi dell'anima attraverso le infinità sconosciute.
Una ragione-riflesso, specchio dell'abitudine della Natura,
illuminò la vita perché conoscesse e fissasse il suo campo
accettando una pericolosa e ignorante brevità
e il fine inconcludente del suo procedere,
e mettesse a profitto l'occasione precaria dell'ora
nelle frontiere assegnate del suo destino.
Una piccola gioia e conoscenza soddisfacevano
(600) questo piccolo essere legato in un nodo
e appeso a una protuberanza del suo ambiente,
a una piccola curva ritagliata nello Spazio sterminato,
piccola spanna di vita in tutta la vastità del Tempo. C'era un pensiero che
ideava, una volontà che si sforzava, ma per mire meschine in uno stretto
orizzonte, sperperando un'immane fatica per cose impermanenti. Quest'essere si
sapeva creatura del fango; non chiedeva una legge più larga, un fine più
elevato; il suo sguardo non si volgeva all'interno, né mirava in alto.
(610) Studioso vòlto al passato sul banco sgangherato della logica, indottrinato
dai sensi ingannevoli, scambiava l'apparenza per il volto di Dio, per luci
fortuite la progressione dei soli, pe'l firmamento una striscia stellata di blu
incerto; gli aspetti dell'esistere fingevan d'essere il tutto. Un laborioso
scambio facea sentir la sua voce, mercato di pensieri e azioni futili: una vita
presto consumata, una mente schiava del corpo sembravano qui il coronamento
brillante del lavoro della Natura,
(620) ed ego minuscoli prendevano il mondo quale mezzo per saziare per un poco
appetiti nani e brevi desideri, in un tragitto chiuso della morte vedevano
l'inizio e la fine della vita, come se un vicolo cieco fosse il simbolo della
creazione, come se per questo l'anima avesse bramato la nascita nel paese di
meraviglie d'un mondo che si autocrea e nelle congiunture dello Spazio cosmico.
Questa creatura appassionata solo di sopravvivenza, incatenata a deboli pensieri
di non grande portata e ai bisogni, alle pene e alle gioie del corpo,
(630) questa fiamma che ingrandiva con la morte del suo alimento aumentava con
ciò che afferrava e faceva suo: ammassava e cresceva senza darsi ad alcuno.
Sperava solo la grandezza del suo covo, il piacere e la vittoria in esigui campi
di potere e la conquista dello spazio vitale per sé e la sua stirpe, animale
confinato allo spazio del suo pascolo. Non conosceva l'Immortale nella propria
casa; non avea alcun motivo superiore e più profondo di vivere.
Soltanto i limiti la rendevano forte;
(640) abile a captare la verità per un uso esteriore,
la sua conoscenza era lo strumento del corpo;
assorbita nei lavori piccini della sua prigione,
girava attorno ai medesimi punti invariabili
nello stesso cerchio d'interesse e desiderio,
ma si credeva padrona del suo carcere.
Sebbene fatto per l'azione e non per la saggezza,
il pensiero era il suo culmine - o il bordo della sua grondaia:
vedeva un'immagine del mondo esterno
e vedeva il suo sé di superficie, non conosceva altro.
(650) Alla fine d'una lenta, confusa, imbrogliata ricerca di sé,
la mente si elevava a una chiarezza tagliente, precisa,
un barlume racchiuso in un'ignoranza di pietra
Sotto la direzione gretta di questo pensiero vincolato,
legata al suolo, ispirata da cose ordinarie,
attaccata a un mondo ristretto e familiare,
in mezzo alla moltitudine dei suoi intrighi motivati,
dei suoi atti mutevoli e i milioni delle sue maschere,
la vita era un gioco tediosamente uniforme.
Non c'era alcuna vasta prospettiva dello spirito,
(660) alcuna improvvisa invasione di sconosciuta delizia,
alcuno spazio dorato di ampia liberazione.
Questa condizione insignificante somigliava ai nostri giorni umani
ma fissava l'eternità d'un modello immutabile,
movimento d'un attimo destinato a durare nel Tempo.
L'esistenza, come un ponte, valicava gli abissi incoscienti,
costruzione semi-illuminata nella nebbia,
che da un vuoto di Forma sorgeva alla vista
e s'aggettava in un vuoto dell'Anima.
Piccola luce nata in una grande tenebra,
(670) la vita ignorava la sua meta e la sua provenienza.
Attorno a tutto fluttuava ancora la caligine nesciente.
NOTE SPECIALI
I "il suo passo": il passo della Vita
II "La sua visione": la visione del re Aswapati.
III "la bellezza insensibile": "senseless beauty" nel testo originale. La traduzione dell'aggettivo 'senseless' (che riappare in Sav. Il, 8, 401 e 15, 84) con 'insensibile' sembra giustificata, nella Seconda Parte del Poema, dal v. 622 del Canto IV del Libro X: [It made] of Bliss the Beauty of an insentient world "[Una Verità suprema fece] della Beatitudine la Bellezza di un mondo insensibile".
IV Inversione dei vv. 519 e 520 del testo originale.
Fine del Canto Quarto
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