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Volume primo traduzione italiana, introduzione e note: paola de paolis edizioni mediterraneelatin penauroville


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Canto Terzo
La Gloria e la Caduta della Vita


Un'ampia salita ineguale tentava ora i suoi passi.

Rispondendo all'appello ansioso d'una Natura più grande,

egli varcò i limiti della Mente incarnata

entrando in vasti domini, oscuri e contesi,

ove tutto era dubbio e mutamento, e niente sicuro,

un mondo di ricerca e lavoro senza posa

Come chi incontri il volto dell'Ignoto

e chieda senza che alcuno risponda,

attirato da un problema mai risolto,



(10) sempre incerto del terreno percorso,

sempre calamitato da un traguardo mutevole,

egli attraversava una terra popolata di dubbi

in confini instabili su una tremula base.

Innanzi a sé vedeva una frontiera mai raggiunta,

e ad ogni passo si credeva più vicino, orizzonte remoto e sfuggente d'un

miraggio.

Lì esisteva uno stato errabondo che non tollerava dimore,

un tragitto d'innumeri cammini interminabili.

Nulla ei trovava a soddisfare il cuore;



(20) un vagabondaggio instancabile era in cerca e non poteva cessare.

Lì la vita è l'Incalcolabile manifestato,

un movimento di mari agitati, un grande

e avventuroso salto dello spirito nello Spazio,

un perturbato disordine nella Calma eterna,

un impulso e una passione dell'Infinito.

Assumendo qualunque aspetto voglia la sua fantasia,

sottratta all'impedimento delle forme stabilite,

ha abbandonato la sicurezza del provato e del noto.

Non guidata dalla paura, questa pastora di greggi che percorre il Tempo,



(30) non intimorita dalla minaccia del Fato e dall'insorgere del Caso,

essa accetta il disastro come un rischio ordinario;

incurante della sofferenza, indifferente al peccato e alla caduta, va incontro

al pericolo e alla scoperta nelle distese vergini dell'anima. Esistere non

sembrava che un lungo esperimento, l'azzardo d'una Forza ignorante e

investigante che prova tutte quante le verità e, non trovandone alcuna suprema,

prosegue insoddisfatta, incerta del suo fine. La vita era modellata sulla

visione d'una mente interiore:



(40) andava di pensiero in pensiero, di fase in fase, torturata dai suoi propri

poteri, oppure orgogliosa e felice, ora padrona di se stessa, ora giocattolo e

schiava. Un'immensa incoerenza era la sua legge d'azione, come se ogni possibile

dovesse essere esaurito, e angoscia e beatitudine fossero passatempi del cuore.

In una rintronante galoppata di vicissitudini travasava i campi di corsa della

Circostanza, oppure, oscillante, altalenava fra le sue vette e i suoi abissi,

sollevata o spezzata sulla ruota incostante del Tempo.

(50) In mezzo a uno strisciare tedioso di desideri grigi essa torcevasi, verme

tra i vermi nel fango della Natura, poi, di statura titanica, prendea tutta la

terra come cibo, ambiva a vestirsi dei mari, a coronarsi di stelle, e scavalcava

gridando, l'un dopo l'altro, picchi giganteschi, reclamando a gran voce mondi da

conquistare e dominare. Poi, impudicamente innamorata del volto dell'Afflizione,

s'immergea nell'angoscia dei baratri e, voltolandosi, si aggrappava alla propria

miseria. In un penoso rapporto col suo sé dissipato,

(60) scriveva il bilancio di tutto quello che aveva smarrito, o teneva compagnia

al dolore come a un vecchio amico. Presto aveva consumato la festa d'ebbrezze

violente, o, legata a una gioia inadeguata, indugiava, perdendo i tornanti del

destino, perdendo lo scopo della vita. Era prevista una scena per tutti i suoi

umori infiniti, ove ciascuno poteva essere la legge e il modo di vita, ma

nessuno offrire una pura felicità;

essi lasciavan solo un aroma vibrante o la brama veemente che porta una fatica

mortale.


(70) In mezzo alla sua rapida e inaudita varietà qualcosa restava inappagato,

sempre identico e non vedeva nel nuovo che il volto dell'antico, perché ogni ora

ripeteva tutto il resto delle ore ed ogni cambiamento prolungava lo stesso

malessere. Spirito incerto del suo sé e la sua meta, presto stanca della troppa

gioia e contentezza, essa ha bisogno dello sprone del piacere e 'l dolore, del

gusto innato della sofferenza e l'inquietudine: si accanisce per un fine che mai

può raggiungere.

(80) Un sapore perverso tormenta le sue labbra assetate: per la pena essa piange

che deriva dalla sua propria scelta, anela al piacere che ha dilaniato di ferite

il suo petto; aspirando al cielo, volge i passi all'inferno. Ha scelto l'azzardo

e il pericolo quali compagni di gioco; ha preso la tremenda oscillazione del

destino per culla e seggio. Ma pura e luminosa fu la sua nascita

dall'Intemporale, un rapimento cosmico perduto le si attarda negli occhi, i suoi

umori sono aspetti dell'Infinito: la bellezza e la felicità sono il suo diritto

innato,


(90) e la Beatitudine infinita è la sua eterna dimora.

Tutto questo rivelava adesso il suo antico volto di gioia, improvvisa scoperta

per il cuore dell'afflizione, per indurlo a resistere, agognare e sperare. Anche

in mondi mutevoli privi della pace, in un aere oppresso dalla mestizia e la

paura e quando i suoi piedi calpestavano un suolo insicuro, ei vide l'immagine

d'uno stato più felice. In una architettura di Spazio ieratico che in cerchi

saliva verso le cime della creazione,

(100) a un'altezza azzurra che mai era troppo elevata per una calda comunione fra

il corpo e l'anima, distante come il cielo, vicino come il pensiero e la

speranza,

traduceva il regno d'una vita senza dolore. Al di sopra di lui, in una nuova

volta celeste altra che i cieli visibili agli occhi mortali, come su un soffitto

istoriato degli dei, arcipelago di riso e di fuoco, stelle come isole nuotavano

in un cielo increspato di onde. Spirali turrite, magici anelli di vivo colore

(110) e sfere baluginanti di strano gaudio fluttuavano attraverso la distanza

come un mondo simbolico. Sull'agitazione e la fatica che non potean condividere,

sulla sventura che non potean soccorrere, impenetrabili alla sofferenza, alla

lotta, all'angoscia della vita, incontaminati dalla sua rabbia, dalla sua

malinconia e il suo odio, impassibili, intatti, grandi piani di visione

abbassavan lo sguardo, perennemente beati nel loro diritto intemporale.

Assorbiti nella propria bellezza e letizia, vivevano sicuri della loro gioia

immortale.



(120) In disparte, tuffati nella loro gloria innata, remoti scivolavano ardenti

in una vaga bruma luminosa, rifugio perpetuo d'una luce fantastica, nebulosa

degli splendori degli dei fatta dei sogni dell'eternità. Quasi incredibili per

la fede umana, non apparivan facilmente quali la sostanza di ciò che esiste.

Come attraverso un prodigioso schermo televisivo, delineati a una specie

d'occhio interiore ingranditore, brillavano simili a immagini proiettate da una

scena lontana;

(130) troppo sublimi e lieti per esser captati da palpebre umane. Ma violini e

reali per il cuore che anela, per il pensiero e il sentimento appassionati del

corpo, sono i reami nascosti della beatitudine. In qualche chiuso e irraggiunto

dominio che pur percepiamo, immuni dalla morsa crudele della Morte e del Tempo,

sottratti alle incursioni della tristezza e del desiderio, in splendide,

incantate e sicure periferie, nella felicità sono per sempre immersi.

Sotto i nostri occhi, in sogno, nella trance e la contemplazione,

(140) attraverso un campo interiore di visione sottile, vasti paesaggi estatici

ch'al nostro sguardo scompaiono, passan le forme del regno perfetto lasciando

dietro a sé la traccia d'una splendida memoria. Scene immaginate o grandi mondi

eterni, percepiti in sogno o dai sensi, ci toccano il cuore con le loro

profondità; d'apparenza irreale, eppure più reali della vita, più felici della

felicità, più veri delle cose vere, s'eran questi dei sogni o immagini captate,

la verità del sogno rendea false le vane realtà della terra.

(150) In un rapido momento eterno vivon lì stabiliti oppure, di continuo

richiamati, tornano alla nostalgia degli occhi calmi cieli di Luce imperitura,

continenti illuminati di pace violetta, oceani e fiumi dell'allegria di Dio e

contrade serene sotto soli purpurei.

Stella, una volta, di un'idea che brilla da lungi o scia di sogno della cometa

dell'immaginazione, tutto questo prese ora l'aspetto d'una realtà vicina.

L'abisso fra la verità del sogno e la realtà terrestre fu traversato,

(160) i mondi prodigiosi della vita cessaron d'esser sogni; la sua visione fece

proprio tutto ciò ch'essi rivelavano: le loro scene, i loro avvenimenti

s'offrirono ai suoi occhi e al suo cuore e li colpirono di puro incanto e

beatitudine. Una regione culminante, senza un alito di vento, attirò il suo

sguardo, i cui limiti si protendevano in un cielo del sé e si tuffavano verso

una strana base eterea. Rifulgeva la quintessenza della suprema delizia della

Vita. Su una vetta spirituale e misteriosa solo la sublime e trasfigurante

frontiera d'un miracolo



(170) separava la vita dall'Infinito senza forma e proteggeva il Tempo

dall'eternità. Da questa sostanza amorfa il Tempo conia le sue figure; la quiete

dell'Eterno contiene l'atto cosmico:

le immagini proteiformi della Forza Universale han tratto il vigore di essere,

la volontà di durare, da un profondo oceano di pace dinamica. Capovolgendo

l'apice dello spirito in direzione della vita, ella impiega le plastiche libertà

dell'Uno per gettare nello stampo degli atti i sogni del Suo capriccio; (I)

(180) l'appello della sua saggezza consolida i Suoi piedi sbadati, egli sostiene

la Sua danza su una rigida base: la sua immutabilità intemporale e silente deve

standardizzare il miracolo della Sua creazione. Servendosi delle energie del

Vuoto, prive di visione, ella inventa la scena d'un universo concreto i cui

passi ha stabilito grazie al suo pensiero e nei cui atti ciechi vede coi lampi

della sua Luce che tutto conosce. Al Suo volere si piega la Sopramente

inscrutabile per guidare la Sua forza che sente ma è incapace di conoscere,

(190) il soffio del suo potere controlla i Suoi marì agitati(II) e la vita

obbedisce all'Idea dominante. Al Suo volere, diretta da un'Immanenza luminosa,

la Mente, avventurosa e sperimentatrice, s'apre un varco tra oscuri possibili in

mezzo a formazioni fortuite d'un mondo ignaro. Verso la Verità s'incammina la

nostra umana ignoranza perché la Nescienza possa divenire onnisciente,

gl'istinti trasmutati modellansi in pensieri divini, i pensieri albergan la

visione infallibile e immortale

(200) e la Natura ascende verso l'identità di Dio. Il Signore dei mondi, fattosi

Suo schiavo, è l'esecutore delle Sue fantasie: ella ha canalizzato i mari

dell'onnipotenza; ha limitato con le Sue leggi l'Illimitabile. L'Immortale si è

impegnato a compiere le Sue opere; lavora ai compiti assegnati dalla Sua

Ignoranza, celato sotto la cappa della nostra condizione mortale. I mondi, le

forme creati dalla Sua immaginazione di dea han perso su cime invisibili la loro

origine:

(210) pur separati, allontanandosi dalla loro fonte intemporale,

pur deformati, foschi, maledetti e caduti, ché anche la caduta ha la sua

gioia pervertita

e niente ella trascura che serva alla delizia,anch'essi possono ritornare

alle vette o, quaggiù,

vanificare la sentenza della caduta dello spirito,

riottenere la propria divinità perduta.

Preso a un tratto dall'orizzonte d'una visione eterna,

ei vide il fasto e lo splendore delle Sue alte sfere natali

e le Sue regioni raccolte nelle profondità inferiori.



(220) Al di sopra, era la monarchia d'un sé non caduto,

al di sotto, la lugubre trance degli abissi,

polo opposto od antipodi oscuri.

C'eran le vastità degli assoluti della vita nella loro gloria:

tutti ridevano in una sicura immortalità

e un'eterna infanzia dell'anima

antecedenti le tenebre e la nascita del dolore e 'l tormento,

ove tutti potevano osare esser se stessi e uno

e la Saggezza giocava in un'innocenza esente da peccato

con la Libertà ignuda al sole felice della Verità.



(230) C'erano mondi del Suo riso e della Sua terribile ironia,

c'erano dominì del Suo gusto del lavoro, della lotta e le lacrime;

il Suo capo riposava sul petto della Morte amorosa,

il sonno imitava per un poco la pace dell'estinzione.

La luce di Dio ella ha separato dal suo buio

per provare il sapore dei puri contrari.

Mescolandosi qui nel cuore dell'uomo, i loro toni e colori

han tessuto il disegno variabile del suo essere,

la sua vita, corrente che fluttua in avanti nel Tempo,

la mobilità costante e fissa della sua natura,



(240) la sua anima, film mutevole d'una foto animata,

il cosmico caos della sua personalità.

La grande creatrice col Suo tocco segreto

ha convertito in patos e potere il sogno di sé dell'essere,

e fatto del suo mistero insondabile un Mistero della Passione.

Ma eran qui dei mondi sollevati a metà strada dal cielo. C'era il Velo, ma non

il muro d'Ombra; sotto forme non troppo lontane dalla portata umana, qualche

passione della purezza inviolata penetrò, raggio dell'originaria Beatitudine.



(250) Le-gioie del cielo, fosse la terra stata pura, avrebbero potuto

appartenerle; i nostri sensi e il cuore divinizzati esser toccati da qualche

luminoso estremo di Felicità naturale, qualche fremito degli assoluti della

Soprannatura: tutte le energie ridere e far sfoggio di sé sulle dure strade

della terra senza mai sentire l'acutezza crudele della sua sofferenza, tutto

l'amore aver libero gioco, e in nessun dove la vergogna della Natura. Ma essa ha

chiuso i suoi sogni nella scuderia delle corti della Materia (III) e le sue

porte sono ancora sbarrate alle cose supreme.



(260) Questi mondi potean sentire il soffio di Dio visitare le loro cime; v'era

qualche riflesso della sponda del Trascendente. Attraverso i bianchi silenzi

degli eoni, forme immortali della gioia incarnata solcavano ampi spazi vicini al

sonno dell'eternità. Pure e mistiche voci, nella quiete della beatitudine,

invocavano le tenerezze immacolate dell'Amore, chiamando il suo tocco soave a

far vibrare i mondi, le sue mani gloriose a esaltare le membra della Natura, la

sua dolce, intollerante potenza d'unione (IV)

(270) a prender tutti gli esseri nelle sue braccia salvatrici, trascinando il

ribelle e il derelitto verso la sua pietà per imporre loro quella letizia che

rifiutano. Un canto imeneo al Divino invisibile, la rapsodia ardente d'un bianco

desiderio attirava nel cuore una musica immortale risvegliando l'orecchio

assopito dell'estasi. Una sensibilità più pura, più infuocata dimorava lì, una

spinta bruciante, intollerabile per qualunque corpo terrestre; il respiro era

largo, leggero, spazioso e il cuore s'affrettava da un battito inebriato

all'altro.



(280) La voce del Tempo celebrava la gioia dell'Immortale;

ispirazione e grido lirico,

giungevano i momenti, l'estasi sulle ali;

una Bellezza inimmaginabile, d'una celeste nudità, movevasi

sciolta dai confini nelle vastità del sogno;

il grido degli Uccelli del Prodigio chiamava dai cieli

le genti immortali delle rive della Luce.

Direttamente dalle mani di Dio la Creazione erompeva;

meraviglia ed incanto vagabondi sui cammini.

Il solo fatto d'esistere era delizia suprema,



(290) la Vita un riso lieto dell'anima,

e la Gioia regnava, suo ministro l'Amore.

Li prendea corpo la luminosità dello spirito.

I contrari presenti nella vita erano amanti o amici naturali

e gli estremi, i margini affilati dell'armonia:

l'indulgenza, con tenera purezza, veniva

a nutrire il dio sul suo petto materno:

li nessuno era debole, così la menzogna non poteva vivere;

l'ignoranza era un'ombra leggera che schermava la luce,

l'immaginazione il libero arbitrio della Verità,



(300) il piacere un candidato al fuoco celeste;

l'intelletto era un adoratore della Bellezza,

la forza era la schiava della calma legge spirituale,

il potere posava il capo sui seni della Beatitudine.

Li si trovavano apogei di gloria inconcepibili,

le autonomie del governo in sé, immobile, della Saggezza,

e l'alta dipendenza del suo sole verginale,

le teocrazie illuminate dell'anima veggente

in trono, nel potere del raggio del Trascendente.

Una visione di magnificenza, un sogno di grandezze



(310) entrava con passo maestoso nei regni rilucenti di sole:

assemblee, senati affollati degli dei,

le potenze della Vita regnavan su seggi di volontà marmorea,

sublimi dominazioni e autocrazie,

energie coronate d'alloro e forme imperiose in armi.

Lì tutti gli oggetti erano grandi e belli,

tutti gli esseri avevano un'impronta regale di potere.

Lì risiedevano le oligarchie della Legge naturale, teste fiere e violente

servivano una sola fronte calma e monarchica: tutti gli atteggiamenti dell'anima

eran rivestiti di divinità.



(320) Lì s'incontravan le ardenti e mutue intimità della gioia di dominare e

quella di servire imposte dell'Amore al cuore dell'Amore che obbedisce e al

corpo dell'Amore mantenuto sotto un giogo inebriante. Tutto era un gioco di

regalità confluenti. Ché la forza prostrata di chi adora è sollevata

dall'adorazione vicino all'orgoglio e la felicità del dio venerato dall'anima:

lì il sovrano è uno con tutti quelli che governa; per colui che serve con un

cuore libero ed eguale, l'obbedienza è la scuola d'un tirocinio principesco,

(330) la sua corona e il suo privilegio di nobiltà, la sua fedeltà è l'idioma

d'una natura elevata, il suo servizio, una sovranità spirituale. C'erano regni

ove il Conoscere s'univa alla Potenza creatrice (V) nel Suo domicilio sublime

facendola tutta sua: s'impadroniva il grande Illuminato delle Sue membra lucenti

e le colmava della passione del suo raggio finché tutto il Suo corpo nel fosse

la trasparente dimora e tutta l'anima la controparte della sua Trasfigurati in

un'apoteosi dal tocco della saggezza,

(340) i Suoi giorni divenivano un sacrificio luminoso; falena immortale in un

fuoco felice e imperituro, ella bruciava nella dolcezza della sua fiamma

intollerabile. (VI) Una Vita prigioniera sposava il Suo conquistatore. Nel suo

ampio cielo ella rifaceva a nuovo il Suo mondo; alla calma andatura della mente

dava la velocità del motore, al pensare, un bisogno di vivere quello che l'anima

vedeva, al vivere, l'impulso di sapere e vedere. Il suo splendore la stringeva,

la Sua potenza serravasi a lui; lei incoronava regina in vesti porpuree l'Idea,

(350) poneva il Suo magico scettro serpentino nel pugno del Pensiero, faceva

delle forme le ritmiche figure della sua visione interiore, e dei Suoi atti il

corpo vivente della sua volontà

Tuono fiammeggiante, lampo creatore,

la sua Luce vittoriosa cavalcava la Sua Forza immortale;

un possente galoppo di centauro portava il dio.

La vita era in trono con la mente, doppia maestà.

C'erano mondi d'una felicità grave ed austera,

d'una azione sfumata di sogno, d'un riso soffuso di pensiero,

e la passione lì potea attendere per il proprio desio



(360) finché udisse l'avvicinarsi di Dio.

C'erano mondi di un'allegria e una gioia infantili;

una giovanilità spensierata della mente e del cuore

trovava nel corpo uno strumento celeste;

accendeva un alone dorato attorno al desiderio

e liberava l'animale deificato nelle membra

a divine capriole d'amore, di beltà e beatitudine.

Su un suolo radioso che contemplava il sorriso del cielo,

un pronto slancio vitale ignorava ogni limite o arresto:

non conosceva fatica; erano di gioia le sue lacrime.



(370) lì il lavoro era un gioco e il gioco l'unico lavoro,

i compiti del cielo lo svago d'una potenza divina:

baccanale celeste eternamente puro,

non trattenuta dalla debolezza come nelle strutture mortali,

la vita era un'eternità di stati d'estasi:

non veniva mai la vecchiaia, mai la preoccupazione solcava il volto di rughe.

Imponendo all'immunità delle stelle

la corsa e il riso d'energie immortali,

i fanciulli divini correvano nudi nei loro campi di gioco

sbalordendo i venti per il loro splendore e la loro velocità;



(380) della tempesta e 'l sole faceansi dei compagni,

scherzavano con la candida schiuma dei mari agitati,

uccidevano la distanza sotto le loro ruote

e lottavano nelle arene della loro forza.

Nel loro fulgore imperiosi come i soli,

infiammavano il cielo con la gloria delle loro membra,

munificenza divina lanciata al mondo.

Sortilegio per forzare il cuore della delizia assoluta,

portavan la fierezza e la maestria del proprio fascino

quasi stendardo della Vita sulle vie dello Spazio.



(390) Le idee erano luminose camerate dell'anima; la mente giocava con la parola,

scagliava giavellotti di pensiero, ma senza bisogno, per conoscere, dello sforzo

di questi strumenti; la conoscenza, come il resto, era un passatempo della

Natura. Investiti del raggio luminoso di freschezza del cuore, eredi fanciulli

d'un primo istinto di Dio, abitatori della perpetuità del Tempo vibranti ancora

della prima estasi della creazione, imbevevano l'esistenza della loro giovinezza

d'anima. Tirannia squisita e veemente,

(400) la forte costrizione della loro volontà di godere riversava attraverso il

mondo fiumi ridenti di letizia. Regnava lì un respiro di nobile ed immune

contentezza, un procedere fausto di giornate nell'aria tranquilla, un flusso

d'amore e di pace universali. La sovranità d'una dolcezza inesauribile viveva

come un canto di piacere sulle labbra del Tempo. Un ordine vasto e spontaneo

liberava la volontà, le ali solari dell'anima spiegate verso la beatitudine, la

portata e grandezza dell'atto senza impedimenti

(410) e la libertà incomparabile del fuoco repentino del cuore. Non esisteva

alcuna menzogna lì di separazione dell'anima, nessuna torsione di pensiero o

parola veniva a spogliare la creazione della sua innata verità; tutto era

sincerità e forza naturale. Lì la libertà era la regola unica e la legge

suprema. In una successione felice, questi mondi s'elevavano o affondavano: in

regni di singolare bellezza e sorpresa, in campi di magnificenza e di potere

titanico, la vita giocava tranquilla coi suoi desideri immensi.

(420) Poteva costruire mille Eden e non fermarsi; nessun limite era posto alla

sua grandezza, alla sua grazia e alla sua varietà celestiale. Risvegliata al

grido e al tumulto d'innumerevoli anime, sorta dal seno di qualche profondo

Infinito,

sorridente all'amore e alla speranza come un neonato,

nella sua natura ospitando il potere dell'Immortale,

portando nel suo petto il Volere eterno,

essa non avea bisogno di guida, ma solo del suo cuore luminoso:

nessuna caduta degradava la natura divina dei suoi passi,

(430) nessuna Notte aliena era venuta ad accecare i suoi occhi.

Recinti o barriere di restrizione erano inutili;

ciascun atto era una perfezione e una gioia.

Abbandonandosi ai rapidi umori della sua fantasia

e alla fertile e colorata esuberanza della sua mente,

iniziata di sogni divini e possenti,

magica costruttrice d'innumeri forme

ch'esplora le cadenze dei ritmi di Dio,

essa tesseva a suo piacimento la danza incantata delle sue meraviglie,

dionisiaca dea della delizia,



(440) baccante dell'estasi creatrice.

Questo mondo di beatitudine ei vide e ne sentì il richiamo,

senza trovare un passaggio per penetrarne la gioia;

non c'era alcun ponte a coprire l'abisso cosciente.

Un aere più buio accerchiava ancor la sua anima

legata all'immagine d'una vita inquieta.

Malgrado l'anelito della mente e la brama dei sensi,

a un Pensiero triste fabbricato dal grigiore dell'esperienza

e a una visione appannata dall'ansia, dal dolore e dal sonno

tutto questo non sembrava che un sogno luminoso e gradevole



(450) concepito, in una nostalgica distanza, dal cuore

di chi cammini nell'ombra della pena terrestre.

Anche se aveva sentito una volta l'abbraccio dell'Eterno,

la sua natura viveva troppo vicina a mondi sofferenti,

e dove lui si teneva s'aprivan gl'ingressi della Notte.

Assediata troppo da presso dagli affanni del mondo,

difficilmente la densa forma in cui siamo stati creati

è in grado di risponder con vera gioia alla gioia, con pura luce alla luce.

Ché la sua tormentata volontà di pensare e di vivere

si destò dapprima a un miscuglio di dolore e piacere

e ancora conserva l'abitudine della sua nascita: una tremenda dualità è il

nostro modo di essere. Ai crudi inizi di questo mondo mortale, non esisteva la

vita, né il gioco della mente o il desiderio del cuore. Quando nel Vuoto

incosciente la terra fu costruita e nulla esisteva salvo una scena materiale,

identificati col mare, il cielo e la pietra, i suoi giovani dei agognavano alla

liberazione delle anime addormentate negli oggetti, vaghe, inanimate. In quella

grandiosità desolata, in quella nuda bellezza,

(470) nella sorda immobilità, in mezzo ai suoni inascoltati, pesante era

l'incomunicato fardello della Divinità in un mondo che non aveva bisogni; perché

non c'era nessuno a sentire o a ricevere. Questa solida massa che non tollerava

alcun palpito di senso non poté contenere il loro vasto impulso creatore: non

più nell'armonia della Materia immerso, lo Spirito perse il suo statuario

riposo. Nella trance indifferente cercò brancolando la visione, s'appassionò ai

movimenti d'un cuore cosciente,

(480) affamato di parola, pensiero, gioia e amore, nella ronda ottusa e

insensibile dei giorni e le notti anelò al battito del desiderio e della

risposta. L'incoscienza in equilibrio scossa da un contatto, il Silenzio

intuitivo tremante d'un nome, gridarono alla Vita d'invadere lo stampo

insenziente e di svegliare nelle forme brute la divinità. Fu udita una voce sul

globo che ruotava silente, un mormorio gemette nel Vuoto disattento. Un essere

sembrò respirare ove prima nessuno ce n'era:

(490) qualcosa represso in profondità morte e inconsapevoli, privato d'esistenza

cosciente, perduto alla gioia, si volse come chi dorma da tempo immemorabile.

Conscio della propria realtà sepolta, ricordando il suo sé e il suo diritto

obliati, bramò di conoscere, di aspirare, di godere e di vivere.

La Vita intese l'appello e lasciò la sua luce natale. Dilagando dal suo luminoso

e magnifico piano sul rigido avvolgersi e spiegarsi dello Spazio mortale, anche

quaggiù l'Angiola graziosa dall'ampie ali riversò

(500) il suo splendore, la sua celerità e beatitudine, sperando colmare di gioia

un bel mondo nuovo. Come una dea che raggiunge il petto d'un mortale

riempiendone i giorni con la sua stretta celeste, ella discese per far delle

forme transeunti la sua casa; nel grembo della Materia gettò il fuoco

dell'Immortale, nel Vasto insenziente destò il pensiero e la speranza, colpi col

suo fascino e la sua beltà la carne e i nervi e forzò alla delizia la struttura

insensibile della terra. Vivo e vestito d'alberi, d'erbe e di fiori,

(510) il grande corpo bruno della terra sorrise ai cieli, l'azzurro rispose

all'azzurro nel riso del mare; nuove creature dotate di sensi popolaron gli

abissi invisibili, la gloria e rapidità della Vita divennero la bellezza delle

bestie, l'uomo osò e pensò e affrontò con la sua anima il mondo. Ma mentre

diffondersi il magico soffio della Vita, prima che i suoi doni potessero

raggiungere i nostri cuori prigionieri, una Presenza cupa ed ambigua mise tutto

in questione. La Volontà segreta che si veste della Notte ed allo Spirito offre

la prova della carne



(520) impose una maschera mistica di morte e sofferenza. Confinata ora negli anni

lenti e dolorosi dimora la viaggiatrice alata e meravigliosa e più non può

richiamare il suo stato più felice, ma obbedire deve alla legge dell'inerte

Incosciente, fondamento insensibile d'un mondo ove limiti ciechi sono applicati

alla bellezza e la tristezza e la gioia vivono come compagne rivali. Un oscuro e

terribile mutismo calò su di lei: abolito fu il suo spirito sottile e possente,



(530) ucciso il suo dono di felicità di dio infante, e tutta la sua gloria

trasformata in piccolezza

e tutta la sua dolcezza in desiderio mutilato. Nutrir con le sue opere la morte

è qui la condanna della vita. La sua immortalità fu talmente velata ch'ella

apparve, infliggendo la coscienza a cose incoscienti, come un episodio in una

notte eterna, un mito d'essere che doveva eclissarsi per sempre. Tale fu il

triste mistero del suo cambiamento.
NOTE SPECIALI

I La maiuscola degli aggettivi possessivi in tutto questo passaggio (fino al v. (244) rinvia alla "Forza Universale" (v. (174) che è anche la "grande creatrice" citata al v. 242, e la minuscola all'"Uno".

II "suo potere": della Sopramente.

III "essa": la Terra di cui al v. 250.

IV "intollerante": vd. nota a I, 1, 222-224 in fine di volume.

V Traduciamo con "Conoscere" e "Potenza" i termini 'Knowledge' e 'Power' del testo originale per mantenerne rispettivamente il genere maschile e femminile (cfr. nota a II, 1, 30). La maiuscola agli aggettivi e pronomi possessivi in tutto questo passaggio si riferisce alla "Potenza creatrice".

VI "intollerabile": vd. nota a I, 1, 222-224 in fine di volume.
Fine del Canto Terzo

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