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In nome del Popolo italiano La prima Corte di Assise di Firenze


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Giovanni Drago (“combinato” in cosa nostra nel 1986 nella famiglia di Brancaccio, arrestato l'8-3-90, rende dichiarazioni dal dicembre 1992 ed è sottoposto a programma di protezione).
Fu “avvicinato” quando aveva circa 17 anni, agli inizi degli anni “80, dai fratelli Graviano, che già conosceva, per essere cresciuto nello stesso quartiere di Brancaccio e per aver frequentato la stessa scuola:

“Sì, di Graviano parlo di Graviano Giuseppe, Graviano Filippo e Graviano Benedetto, che sono fratelli, tutti e tre uomini d’onore della famiglia Brancaccio. Appunto, loro mi hanno, diciamo in gergo, avvicinato, ... con loro ho iniziato a fare le prime cose illecite, ai danni delle persone e dello Stato.”


Fu poi “combinato” nel 1986, subito dopo l’arresto di Filippo Graviano e Giovanni Di Gaetano, nella famiglia mafiosa di Brancaccio, alla presenza di Giuseppe Graviano, Giuseppe Savoca ed altri, con il rituale della “pungiuta” e della santina che brucia.
All’epoca capo della famiglia di Brancaccio era Giuseppe Savoca, capodecina Filippo Graviano, denominato “U Barone”.

La famiglia di Brancaccio faceva parte del mandamento di Ciaculli, rappresentato da Vincenzo Puccio, al quale subentrò Giuseppe Lucchese.


Poco dopo la “combinazione” di Drago, Pino Savoca fu “messo da parte” e la famiglia retta da Giuseppe Graviano, coadiuvato, con il consenso di Lucchese, da Drago medesimo Tale situazione durò fino alla data dell’arresto di Graviano.
Nel periodo tra il 1986 e il 1990 il mandamento di Ciaculli aveva un proprio “gruppo di fuoco” composto da “uomini d’onore” delle varie famiglie. Della famiglia di Brancaccio ne facevano parte lui stesso, Giuseppe e Benedetto Graviano. Filippo, benché detenuto, era considerato uno dei principali e importanti “uomini d'onore”, sia della famiglia di Brancaccio che del mandamento di Ciaculli.
Vide Salvatore Riina una sola volta, a una riunione tenutasi dopo la scomparsa di Agostino Marino Mannoia (avvenuta il 21-4-89; teste Firinu), a cui parteciparono Cancemi di Porta Nuova, Michelangelo La Barbera di Boccadifalco, Raffaele Ganci della Noce, Lucchese, Carlo Greco e Pietro Aglieri di Santa Maria di Gesù, Antonino Madonia di Resuttana. Egli intervenne per Brancaccio insieme a Giuseppe e Benedetto Graviano, Lorenzo “Renzino”Tinnirello e Francesco “Ciccio” Tagliavia (questi ultimi della famiglia di Corso dei Mille). Filippo Graviano non c’era in quanto “aveva gli arresti domiciliari”.

Nel corso di questo incontro Riina informò i presenti dell’avvenuta soppressione di Agostino Marino Mannoia, nominò Lucchese capomandamento di Ciaculli, e comunicò la decisione di uccidere Puccio, definito un traditore che aveva perso la testa, ordinando a Drago di incaricare dell’omicidio i suoi cugini Marchese, i quali erano detenuti con Puccio all’Ucciardone.


Vincenzo Puccio, nato a Palermo il 27.11.1945, arrestato il 12.10.1986 e condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise di Palermo il 23.6.1988 per l’omicidio del capitano dei CC Emanuele Basile, fu, infatti, assassinato all’interno del carcere dell’Ucciardone dai suoi compagni di cella Giuseppe Marchese, Antonino Marchese e Giovanni Di Gaetano, che lo colpirono ripetutamente alla testa con una grossa bistecchiera di ghisa.
Dopo l’arresto di Lucchese (1.4.1990; teste Cappottella), la guida del mandamento venne assunta da Giuseppe Graviano. A Drago lo dissero, quando era già in carcere, il fratello Giuseppe e Giuseppe Giuliano:

“Questo, ne sono stato informato da Giuliano Giuseppe detto “u fulunari”, e diciamo in maniera non come uomo d’onore, diciamo da mio fratello Drago Giuseppe. In quanto mi diceva di non avere nessun tipo di problema, che mi mandava a dire Graviano Giuseppe di non crearmi nessun tipo di problema, si sbrigava tutto lui, qualsiasi cosa faceva lui. Quindi, di stare tranquillo per il tutto.”


Conobbe Antonino Mangano come “uomo d’onore” della famiglia di Roccella, agente di assicurazioni e con interessi nel commercio degli agrumi, succeduto, insieme al “dottor Guttadauro”, a Giuseppe Abate nella direzione della famiglia di Roccella (informazioni complete su Abate e Guttadauro, identificato per Giuseppe Guttadauro medico chirurgo, sono state fornite dal teste Firinu nel processo 12/96).
Conobbe come “uomini d’onore” Cristofaro “Fifetto” Cannella e Giuseppe Barranca, rispettivamente “combinati” nella famiglia di Brancaccio e in quella di Corso dei Mille.

Del primo ha riferito:

“ ... era a disposizione di Graviano Giuseppe, dei fratelli Graviano; tutto quello che gli dicevano, quello che gli dicevano loro, lui faceva.

Ha fatto anche, per conto della famiglia, delle estorsioni. Delle estorsioni a danni di commercianti.”

Del secondo ha specificato che faceva tutto quello che gli chiedeva Tagliavia e, in particolare, che, dopo la collaborazione di Marino Mannoia, gli fu ordinato di seguire le donne parenti del “pentito”.
Conobbe Gaspare Spatuzza:

“Spatuzza Gaspare abita in via Conte Federico. Una persona che noi avevamo fiducia, non quanto ne avevamo a Fifetto Cannella. Una persona quindi vicina ai Graviano e che faceva tutto quello che gli diceva Graviano Giuseppe. Questa persona ci ha condotto delle persone che poi sono state strangolate.”


Conobbe Gioacchino Pennino, “dottore specialista in analisi”. Gli fu presentato da Giuseppe Graviano come “uomo d’onore” della famiglia di Brancaccio.

In più occasioni accompagnò Giuseppe Graviano da Pennino: qualche volta per questioni di ordine medico; il più delle volte per questioni “inerenti a cosa nostra”, ma, in questi casi, egli rimaneva in disparte.


Conobbe Salvatore Giuliano, detto “il postino”, il quale in occasione di un omicidio attirò la giovane vittima in un tranello in un luogo vicino alla pescheria di Tagliavia dove venne strangolata; il figlio di Giuliano (si tratta dell’imputato Francesco) lo salutava ma non ebbe mai contatti diretti con lui.
Conobbe, ovviamente, Leoluca Bagarella che aveva sposato sua cugina Vincenza Marchese. Bagarella e i Graviano avevano ottimi rapporti e si mandavano, anche attraverso di lui, saluti reciproci.
Conobbe i fratelli Marcello e Vittorio Tutino come “due persone affiliate vicino a noi uomini d’onore vicinissimo ai Graviano”.

Su Vittorio Tutino ha aggiunto:

“Mi ricordo intimidazioni fatte a un vicino di casa dei Graviano. Questo aveva avuto una discussione, un battibecco con Graviano Filippo e Graviano Filippo gli ordinò di fare il danno alla macchina ... Infatti, quest’ultimo, cioè il Tutino Vittorio, gli è andato a conficcare un piccone sul tetto della persona designata.

Insomma, era una persona che tutto quello che gli si diceva che in particolare gli dicevano i Graviano lui faceva.”


Conobbe Michele Carra (si tratta del padre dell’imputato Pietro) ma solo come autotrasportatore.
Ha dichiarato che tutti e tre i fratelli Graviano avevano buoni rapporti con Pietro Ocello, rappresentante della famiglia di Misilmeri e capo del mandamento omonimo.

Dopo l’uccisione di Ocello, il mandamento di Misilmeri (famiglie di Marineo, Bolognetta e Belmonte Mezzagno) fu retto da Piero Lo Bianco, il quale, però, “si doveva rivolgere al Giuseppe Graviano per ciò che succedeva nel mandamento di Misilmeri”. Tanto gli fu riferito da Giuliano Giuseppe, uomo d’onore di Corso dei Mille.


Ha aggiunto che, quando i Graviano erano liberi, Giorgio Pizzo rendeva loro il conto delle estorsioni.

Calogero Ganci (in cosa nostra dal 1980 come membro di gruppo familiare di risalente apparteneza mafiosa, figlio del capomandamento della Noce Raffaele, arrestato il 10-6-93, rende dichiarazioni dal 7-6-96 ed è sottoposto a regime di protezione).
Ganci ha così descritto la successione al vertice di Brancaccio:

“La famiglia di Brancaccio prima era aggregata al mandamento di Ciaculli.

Dopo la morte di Scarpa Giuseppe, diciamo che a reggere il mandamento sempre di Ciaculli c’è stato Puccio Vincenzo.

Poi, dopo la morte di Puccio Vincenzo è passata in mano a Giuseppe Lucchese.

Dopo l’arresto di Giuseppe Lucchese, passa la reggenza e il mandamento alla famiglia di Brancaccio. E vengono messi come reggenti i fratelli Graviano: Giuseppe e Filippo...Fino al ‘96, quindi al giorno della mia collaborazione, i fratelli Graviano erano reggenti di Brancaccio ... furono messi, a reggere il mandamento, Filippo e Giuseppe Graviano, perché questi due ragazzi erano vicini al Lucchese. E quindi erano in buoni rapporti.

E poi, il Riina, dato che questi, i Graviano, erano stati sempre assieme anche al Lucchese, veniva agli appuntamenti con loro, alcune volte diciamo il Riina parlava assieme a Lucchese e anche ai Graviano, diciamo, le persone designate come persone di fiducia a noi come schieramento, diciamo, di uomini di fiducia, erano i Graviano.

Quindi, i fratelli Graviano erano molto vicini a Riina.”
Conobbe personalmente i fratelli Graviano e con loro commise anche dei delitti.

In un’occasione, intorno al 1989, tentò di uccidere “Totuccio” Contorno, insieme a Filippo Graviano, Angelo La Barbera, Giuseppe Lucchese ed altri, quando Contorno abitava in una villa “nelle campagne di Bagheria e Casteldaccia”.

“Loro avevano aperto una concessionaria Renault nel nostro territorio in via Di Blasi, si chiama. No, non è Di Blasi. In via... Comunque è una traversa di via della Regione Siciliana. E con i Graviano, spesso e volentieri, o io, o mio padre, o altro mio fratello, per dire, ci abbisognava qualche cosa: ‘passiamo dalla concessionaria’. E, o c’era Giuseppe, o c’era il Filippo, o il Benedetto. E noi, diciamo, i rapporti ci sono stati.”

“ ... i Graviano c’erano anche quando loro si incontravano col Riina eravamo noi che li portavamo da Riina agli appuntamenti ... “

“ ... alcune volte io stesso, che loro ricevevano l’appuntamento a Villa Serena, e da lì si portavano in una casa di un certo Guddo Girolamo che è dietro Villa Serena. E ci portavo agli appuntamenti con Riina.”

“ ... dopo l'arresto di Lucchese, il Riina designò loro come reggenti di Brancaccio.

E io, tramite mio padre, tramite mio fratello, seppi che loro reggevano il mandamento di Brancaccio”.
Si occupò di coprire e assistere Riina durante la latitanza fin dal 1978. La sua famiglia e il padre Raffaele erano legatissimi a Riina che, dopo l’arresto di R. Ganci (catturato insieme a lui stesso e al cugino Francesco Paolo Anselmo) e Giuseppe Gambino (all’epoca capomandamento di San Lorenzo) i quali ne curavano la latitanza, fu “seguito” da Salvatore Biondino (reggente di San Lorenzo).
Conobbe Benigno in carcere. Questi gli fece capire di essere coinvolto nelle stragi in continente, che erano state opera di cosa nostra, accennandogli che vi avevano avuto un ruolo i Graviano, Grigoli e Spatuzza.

Gioacchino Pennino (“combinato”in Cosa Nostra nel 1977 nella famiglia di Brancaccio, arrestato nel marzo 1994 in Croazia dove aveva riparato nel dicembre 1993, rende dichiarazioni dal mese di settembre 1994 ed è sottoposto e programma di protezione)
Ha detto di aver conosciuto i tre fratelli Graviano fin da ragazzi, in quanto frequentavano, all’epoca, negli anni ‘70, la casa di Giuseppe Di Maggio, capo della famiglia di Brancaccio.
Nel 1982 Pino Savoca successe a Giuseppe Di Maggio nella guida della famiglia. Nel 1983 i tre fratelli Graviano erano già uomini d’onore.
Successivamente Pino Savoca fu arrestato, insieme a Benedetto Graviano, ed egli non seppe, per un certo tempo, chi fosse alla guida della famiglia, finché, un giorno, agli inizidel 1985, Giuseppe Graviano lo convocò in un agrumeto e gli comunicò che avrebbe dovuto rivolgersi a lui per ogni evenienza.

Così, egli comprese che Giuseppe Graviano era il nuovo capo della famiglia, ma, considerata la giovane età del ragazzo, ne rimase sorpreso. Successivamente, però, la circostanza gli fu confermata da Pinuccetto Greco, capo dell’allora mandamento di Ciaculli.

Nessuno, comunque, gli comunicò mai ufficialmente chi fossero i capi della famiglia e del mandamento.
In effetti, da quel momento egli mantenne i rapporti col vertice di Brancaccio tramite Giovanni Drago e Sebastiano”Iano” Lombardo. Dopo l’arresto di Drago, solo per tramite di Lombardo.
Queste stesse persone gli fecero capire che, dopo la scarcerazione di Filippo Graviano (7-10-88), a dirigere la famiglia, e quindi il mandamento, subentrarono i due fratelli Graviano (Filippo e Giuseppe):

“ ... Quindi, io ho saputo che alla rappresentanza della famiglia di Brancaccio c’erano Giuseppe e Filippo Graviano.

Ho dovuto dedurre, perché non posso altro dire che dedurre, perché nessuno me l’ha confermato che, allorquando nel 1983... ‘93 viene da me una persona che io avevo avuto presentato come affiliato alla famiglia di Ciaculli, e mi viene a dire che aveva avuto il permesso affinché la figlia, che era biologa, potesse acquisire un laboratorio, e il permesso glielo avevano dato, e io dissi: ‘ma chi te l’ha dato?’ ‘I picciotti. Tu non lo sai, Fifo e Giuseppe’.

E io acquisii che questo affiliato della famiglia di Ciaculli si rivolgeva direttamente, direttamente ai fratelli Graviano”.


“ ... Quindi i punti di riferimento miei sono stati i picciotti, perché Iano Lombardo li chiamava i picciotti e parlava proprio di Fifo e di Giuseppe Graviano”.
Seppe, per la verità, perché gli fu comunicato espressamente, che Lombardo era stato messo un po’ da parte da quelli della famiglia, ma continuarono a vedersi. Una volta Lombardo, tra settembre e dicembre del 1993, si confidò con lui:

“E, in quella occasione, lui, essendo conscio che era stato messo da parte, mi ebbe a dire: ‘dottore, ha fatto bene ad andarsene in Croazia, qua non si può stare più. I picciotti, Giuseppe e Fifo sono dei pazzi. Non so dopo quello che hanno combinato, per quanto concerne le stragi. Non si... Addirittura vogliono alzare il tiro, vogliono alzare il tiro contro i Carabinieri, contro il Vaticano.’

E io, in quella occasione, rammento un particolare. E gli ebbi a dire: ‘manca solo all'appuntamento la Finanza.’

E lui disse: ‘no, guardi, la Finanza non manca...’, in quanto Giuseppe Graviano si sarebbe fatto fidanzato con la figlia di un finanziere che, in un certo qual modo era interessato ad una tabaccheria sita nel territorio di Brancaccio”.


Ha, poi, parlato della villa di Forte dei Marmi, affittata da Leo Vasile per conto dei Graviano.
Ebbe contatti, per ragioni di comune attività politica nella DC, con Nino Mangano, assicuratore in Corso dei Mille, presentatogli come capo di Roccella, e che fu poi eletto nel consiglio di quartiere di Settecannoli-Roccella diventandone presidente.

Salvatore Cancemi (“combinato” in Cosa Nostra nel 1976 nella famiglia di Portanuova, costituitosi il 22-7-93, rende dichiarazioni dal 22-7-93 ed è sottoposto a programma di protezione).
Dal 1976 al luglio 1993 ha percorso tutti i gradi della “carriera” criminale: da soldato a capodecina a sottocapo a reggente.
Cancemi ha riferito che i capi del mandamento di Brancaccio erano i fratelli Graviano. Si trattava di un caso di co-reggenza, come avveniva a Corleone con Riina e Provenzano nonché a La Guadagna (o S. Maria del Gesù), mandamento retto da Pietro Aglieri e Carlo Greco.
La decisione di mettere a capo del mandamento di Brancaccio i Graviano fu presa direttamente da Riina:

“Nel senso che, prima qua il Riina aveva messo a capomandamento il Benedetto, il fratello più grande, credo, Benedetto Graviano, no? Poi lui dice che se n’era accorto che non lo vedeva sveglio, diciamo, a questo Benedetto. E ci ha messo anche a Filippo e a Giuseppe. Quindi tutti e tre reggevano il mandamento. ... Io mi ricordo che quando Riina lo ha detto, non è che lo ha detto a me solo. C’era Ganci (del quale ha precisato che “era nel cuore di Riina”; n.d.e.), c’era Biondino, c’era qualche altro, diciamo, quando ha detto queste cose. Diciamo che a Brancaccio il mandamento lo reggevano i fratelli Graviano, tutti e tre.

Appunto spiegava perché il Benedetto non ci sembrava tanto sveglio. Poi io dico le parole che ha detto lui.”
Ha proseguito spiegando:

“Lucchese Giuseppe era diciamo in famiglia, in famiglia a Ciaculli. Che prima il mandamento appunto era a Ciaculli.

Dopo l'arresto di Lucchese, il Riina dice: ‘questi Ciaculli sono quelli che ci hanno portato sempre danno a cosa nostra...’, insomma parlava male di Michele Greco, di tutti questi qua. Addirittura io ci ho sentito dire che ci voleva portare un trattore, che voleva portare il paese tutto a suolo, diciamo. Perché dice tutti i mali di cosa nostra venivano da questi Grechi. Lui diceva così. E quindi poi appunto ha detto, dice: ‘questo mandamento non si chiama più Ciaculli, si deve chiamare Brancaccio’. Quello che ha detto lui.”

Tutto ciò fu detto in un incontro che si verificò a Palermo, dietro Villa Serena, nella villa di Girolamo Guddo.


Ha aggiunto di aver avuto rapporti con tutti i fratelli Graviano per ragioni di cosa nostra e di averli conosciuti tutti personalmente:

“Sì, io avevo rapporti con tutti e tre i fratelli. Sia prima con Benedetto, poi con Filippo e con Giuseppe, sempre per motivi di cosa nostra, per necessità di cosa nostra, per rapporti che ci sono mandamento al mandamento di cosa nostra.”

“I rapporti sono quelli di cosa nostra. Quando dico di cosa nostra intendo, per dire che c’è qualche ditta che deve fare un lavoro nel territorio di Portanuova, oppure viceversa e quindi interessava a loro, oppure interessava a noi della famiglia. Quindi si andava a chiarire, questa ditta può venire a fare questo palazzo qua. Insomma, rapporti di queste cose diciamo, cose di cosa nostra. Certo non è che si parlava di donne, di cose. Cose di cosa nostra, necessità di cosa nostra, lavori, di estorsione, di queste cose.”
Conosceva già i tre fratelli Graviano quando Riina li mise a capo del mandamento di Brancaccio:

“Sì, io li conoscevo diciamo, li incontravo, certe volte due assieme, Filippo e Giuseppe, oppure viceversa, Benedetto con Giuseppe, io li vedevo. Non è perché, quando c’era il Benedetto, per dire, evitava di camminare il fratello assieme, assolutamente. Camminavano assieme diciamo.

Poi il Riina ha comunicato quel discorso che ho fatto prima, che ci sembrava un po’stonato e dice: ‘così ci mettiamo altri due fratelli accanto e la cosa funziona meglio. Quindi il mandamento, che voi sapete se non... quello che hanno di bisogno, di questo mandamento, sono tutti e tre i fratelli Graviano che reggono il mandamento.”
L’espressione solitamente usata da Riina per investire qualcuno di autorità era la stessa usata in occasione della designazione dei Graviano:

“Questa era l’espressione che usava Riina, non solo in questa occasione attenzione, quasi in tutte le occasioni lui usava queste parole: ‘se avete di bisogno rivolgetevi là, se avete di bisogno parlate con questo’. Insomma, erano parole che usava lui.”


Ha precisato che, quando aveva bisogno di parlare con “i Graviano”, non era necessario che li incontrasse tutti e tre, ma bastava che parlasse con uno solo di essi, “perché Riina aveva detto che erano tutti e tre la stessa cosa. Quindi capitava che vedevo Benedetto, capitava vedevo Giuseppe, la cosa funzionava così”.
I Graviano erano in ottimi rapporti con Riina:

“Riina Salvatore veniva di una guerra, se così possiamo dire. Quindi, il significato di mettere i Graviano in quel posto non può essere che sono persone di grandissima fiducia di Riina. Non è che Riina era così stupido che là ci andava a collocare delle persone poco affidabili. Ci metteva persone di grande fiducia, il Riina. Quindi i rapporti erano buonissimi”.



Salvatore Cucuzza (“combinato “ in cosa nostra nel 1975, ma già “vicino” dal 1970, nella famiglia di Borgovecchio, detenuto dal 1976 al 1979 e dal 1983 al 1994, arrestato il 4.5.1996, rende dichiarazioni dall’ottobre 1996 ed è sottoposto a programma di protezione).
“Uomo d’onore” del mandamento di Portanuova (famiglie anche di Borgovecchio e Palermo Centro), di cui, scarcerato nel 1994 assunse la co-reggenza, designato dal capomandamento detenuto Flippo Calò, insieme a Vittorio Mangano subentrando a Cancemi, conobbe Michele Graviano. Questi, padre di Giuseppe, Filippo e Benedetto, venne ucciso dai “perdenti”, esecutore Contorno.
Conobbe Filippo e, soprattutto, Benedetto Graviano con il quale fu detenuto. Erano stati “combinati” dopo la morte del padre. Era, dunque, molto informato di Brancaccio, anche perché padrino di Lucchese e detenuto pure con Greco e Puccio. I Graviano ressero la famiglia di Brancaccio dall’arresto di Savoca e il mandamento dopo quello di Lucchese.
Uscito di carcere nel 1994, Brancaccio era retto, per i Graviano, da Nino Mangano con cui si incontrò in diverse occasioni anche per avere contatti con Bagarella che a Brancaccio aveva la propria “base operativa”.

Conobbe Spatuzza e diversi “ragazzi” di Brancaccio: il “cacciatore”, E. e P. Di Filippo. Era tutta gente a disposizione di Bagarella, non erano “combinati” e servivano “solo” per le azioni.

Conobbe, su presentazione di Bagarella, M. Messina Denaro, reggente di Trapani come capofamiglia di Castelvetrano. Questi conduceva la latitanza a Brancaccio e si accompagnava ai “ragazzi”.

Quando fu arrestato Nino Mangano si rese necessario stabilire rapporti con Messina Denaro per capire quale effettivamente fosse la situazione del mandamento che era stato gestito, in perfetto stile “corleonese”, in assoluta segretezza. Fu persino necessario “ricombinare” Spatuzza.


Ebbe da Bagarella delle confidenze sul comportamento dei “ragazzi” mandati a Formello per Contorno, di come lo avessero visto in un bar e non gli avessero sparato: “Ma come, non avevano un revolver?” Bagarella aggiunse che erano persone del gruppo di Mangano di cui si serviva, ma non gli fece i nomi.

Ha ricordato che del gruppo di Brancaccio facevano parte anche Garofalo e Calvaruso, e di conoscere come membro della famiglia Gioacchino Pennino.

C)

Giovanbattista Ferrante (“combinato” in cosa nostra nel 1980 nella famiglia di San Lorenzo, arrestato l'11-11-93, rende dichiarazioni dal luglio 1996 ed è sottposto a programma di protezione).
Dopo l'arresto di Peppuccio Lucchese, avvenuto intorno al 1990-91, agli incontri che si svolgevano con Riina e con Salvatore Biondino partecipò, per un breve periodo di tempo, per il mandamento di Ciaculli-Brancaccio, Peppuccio Giuliano, cugino di Lucchese. Quindi subentrò Giuseppe Graviano. Era questi, benché si parlasse dei “fratelli Graviano”, che compariva. In seguito, in carcere, seppe da Filippo che vi era anche un’altro fratello. Lo stesso Filippo gli confidò che lui e i fratelli erano in stretti rapporti con Messina Denaro e che avevano trascorso le vacanze insieme al Forte dei Marmi.
Giuseppe Graviano partecipò alla fase preparatoria della strage di Capaci. Fu lui a procurare l'esplosivo.

Successivamente, egli continuò a vedere alle riunioni dei capi Giuseppe Graviano.


Arrestato Salvatore Biondino, già capodecina e poi capomandamento di San Lorenzo (comprendente anche le famiglie di Capaci, Sferracavallo, Partanna-Mondello e Carini, con un’estensione territoriale dalla Favorita a Punta Raisi) succeduto a Gambino, i contatti con i Graviano li manteneva Salvatore Biondo, detto “il corto”.
Nel periodo successivo all’arresto di Salvatore Biondino vi fu una richiesta formulata da Giuseppe Graviano, Filippo Graviano e Leoluca Bagarella alla famiglia di San Lorenzo. In pratica, fu chiesto loro di assassinare un pittore, tale Bronzini o Bronzino, che abitava a circa 100 metri dalla chiesa di S. Lorenzo.
I fratelli Graviano parteciparono al sequestro del gioielliere Fiorentino, avvenuto nel 1984-85 e tennero in custodia l’ostaggio per un breve periodo. Non ricorda, però, se a questo sequestro parteciparono tutti i fratelli o alcuni soltanto di essi.

Emanuele Di Filippo (introdotto in cosa nostra nel 1983 dal cognato Antonino Marchese capofamiglia di Corso dei Mille, componente del gruppo di fuoco di Ciaculli fino al 1985, arrestato il 2-2-94, rende dichiarazioni dal maggio 1995 ed è sottoposto a programma di protezione).
Ha riferito che negli anni 1990-92 fu coinvolto in traffici di stupefacenti insieme al fratello Pasquale. Ne ha descritto le modalità di esecuzione negli stessi termini del fratello e, per quanto da questi confidatogli, che in essi erano coinvolti i Graviano.

Vi parteciparono anche Lo Nigro, che trasportava hashish con il suo motoscafo, e Barranca, quest’ultimo molto vicino a Renzino Tinnirello detto “u turchicieddu”.


A partire dal 1991, prese a tenere i contatti tra Antonino Marchese, il cognato detenuto nel carcere di Voghera, e Filippo Graviano, che era in libertà.

Ciò faceva facendogli recapitare, durante i colloqui, i bigliettini che gli mandava Filippo Graviano e portando a questi le risposte del cognato.

A volte il cognato gli dava anche messaggi verbali per Graviano. Una volta, per esempio, gli disse di attivarsi per la vendita di un suo terreno.

Questa “corrispondenza” durò circa un anno, perché poi il cognato fu trasferito a Pianosa.


Oltre ai bigliettini da recapitare al cognato, Filippo Graviano gli dava regolarmente anche soldi:

“Faccio presente che, insieme ai bigliettini, Filippo Graviano mi dava anche dei soldi. Questi soldi erano divisi in questa maniera: puntualmente, mensilmente mi dava dai tre ai quattro milioni che sarebbe lo stipendio di mio cognato Marchese Antonino. Oltre, nei vari anni, cioè, durante l'anno, mi dava delle somme di soldi che si aggiravano dai 30 ai 40 milioni.

E per quanto riguarda questi soldi di questa cifra, mi diceva: “digli a Nino che questi soldi glieli manda lo zio”.

“Lo zio”, mi disse dopo mio cognato, si trattava di Totò Riina.”


Per lo svolgimento di questo compito di “messaggero” si recò in diverse occasioni a casa dei Graviano che abitavano a Brancaccio vicino a una fabbrica di blocchetti in muratura di loro proprietà.
Aveva già avuto modo, comunque, di conoscere Filippo Graviano in precedenza. Infatti, nel periodo in cui faceva parte del gruppo di fuoco di Ciaculli (1983-85) cooperò, insieme a Filippo Graviano e Giovanni Di Gaetano, non ricorda se c’era anche Benedetto Graviano, nella “scomparsa” dei fratelli Fragalà.
All’epoca di questo plurimo omicidio conosceva solo di vista Filippo Graviano, mentre conosceva bene Benedetto.
Successivamente, apprese dal fratello e da Antonino Giuliano (altro “uomo d’onore” della famiglia di Ciaculli) che i Graviano erano diventati esponenti di rilievo in cosa nostra:

“Ho saputo che tutta la zona di Brancaccio era in mano ai fratelli Graviano e la persona più in carica a livello di comando era Giuseppe.”


Infine, dopo l’arresto di Pino Savoca (il rappresentante della famiglia di Brancaccio), apprese che “tutto il comando di Brancaccio lo presero nelle mani i fratelli Graviano”.
Parlando di tali Federico Vito e Bruno Salvatore ha riportato, per averlo appreso dal fratello Pasquale, che erano persone importanti in cosa nostra e che erano vicino ai fratelli Graviano, precisando:

“Guardi, io per i Graviano mi riferisco a tutti e tre, perché tutti e tre, in seno all’organizzazione, avevano un ruolo importante.”


Per esperienza diretta si rese conto della “scalata” dei Graviano, giacché il cognato Antonino Marchese gli chiedeva, dal carcere, di rivolgersi a loro perchè ne curassero gli affari all’esterno.

Era, comunque, notorio nell’organizzazione che a Brancaccio comandavano i Graviano.


Conobbe i fratelli Marcello e Vittorio Tutino, entrambi molto vicini ai fratelli Graviano, e di Vittorio ha specificato: “ ... veniva utilizzato anche per conto dei Graviano nel dare bastonate a gente che non si comportava bene nella nostra zona.”
Ai Graviano erano, ancora, molto vicini Cristofaro Cannella, nonché Renzo Tinnirello e Francesco Tagliavia, i quali dipendevano da loro e comandavano a Corso dei Mille.
In sede di indagini preliminari riconobbe in una fotografia mostratagli dal P.M. Spatuzza, indicato come uomo di fiducia di Bagarella secondo le informazioni avute in carcere da Antonino Sacco. Da questi seppe pure delle preoccupazioni manifestategli durante l’ “ora d’aria” da Giacalone per le indagini in corso sulle stragi e dei messaggi di stare tranquillo che i Graviano gli facevano pervenire.
Ha parlato, infine, di Pietro Carra e della famiglia Carra, autotrasportatori che si prestavano a viaggi illeciti per il contrabbando di sigarette e per merce ricettata. Vide Carra sconvolto e in lacrime quando, arrestato Bartolomeo Addolorato che con lui aveva trattato un affare di argento provento di rapina, trapelò che collaborava con gli inquirenti.
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