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In nome del Popolo italiano La prima Corte di Assise di Firenze


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L’analisi con metodo EGIS svolta dal c.t. del P.M. Massari sulla Mitsubischi Pajero intestata a Massimo Scarano (la Jeep di Scarano) e su alcuni oggetti in essa ritrovati ha rivelato tracce di NG-EGDN-DNT-TNT-PETN-T4.

P)

Giacalone ha parlato a lungo con Calvaruso, il quale ne ha riferito ex art. 210 c.p.p., durante un comune e verificato periodo di detenzione nel carcere di Rebibbia, di diversi particolari relativi alla strage di Formello la cui corrispondenza allo svolgimento della vicenda è riscontrabile sulla base dei risultati della prova generica e specifica diversamente acquisiti: i nomi degli esecutori, la base logistica in un villino vicino Roma, i pedinamenti a Contorno, il sotterramento di esplosivo non usato però per colpire Contorno, il trasporto delle tegole, la macchina che di solito guidava Contorno, il lungo periodo trascorso per la preparazione e l’esecuzione della strage.



Q)

Restano da evidenziare gli elementi, per sé stessi sufficienti a fondare una piena e tranquillante valutazione di affidabilità delle dichiarazioni rese ex art. 210 c.p.p., sulla disponibilità e sull’uso della villa di Capena.


A parte le testimonianze del proprietario Giuseppe Alei e dell’agente immobiliare Roberto Petrucci al quale si rivolse Scarano (i recapiti telefonici di entrambi vennero trovati in possesso di Giacalone al momento del suo arresto, e la copia del contratto di locazione nell’Audi 80 sequestrata a Scarano), e quelle di Simonetta Cantale, Roberta Bendia, Anna Pagnozzi e Giuseppe Santamaria, lo stesso Giacalone, prima che fossero noti i risultati delle consulenze esplosivistiche, ha ammesso di esservi stato un paio di volte accompagnato dal genero Lo Nigro e da Giuliano. Anche quest’ultimo ha detto di avervi dormito per una notte, ospite di Scarano, di ritorno da un viaggio a Lanciano dove si era recato con Giacalone.
Sul piano dei riscontri propriamente oggettivi, rinviando agli accertamenti tecnici già richiamati a proposito del punto nel giardino della villa in cui era stato nascosto e poi disotterrato il materiale non esploso all’Olimpico, il m.llo Silvestrini ha deposto che, in occasione di un accesso alla villa insieme al c.t. Massari, ebbe ad accorgersi che in un recipiente dentro un cestino di vimini vi erano dei particolari strumenti, di evidente destinazione allo scasso e all’effrazione, che si presentavano formati da sottili pezzi di metallo con a un’estremità, a mo’ di impugnatura, due monete legate insieme da nastro isolante.

Ciaramitaro ha riconosciuto questi oggetti, definendoli “tecnicamente” spadini, come da lui consegnati a Giuliano nell’estate del 1993; ha spiegato che Giuliano ne aveva fatto a lui espressa richiesta conoscendolo come “esperto nel ramo” dei furti d’auto; si è detto sicuro che quelli mostratigli nel corso del suo esame nel processo 12/96 erano gli stessi in quanto da lui realizzati usando per la lama un coltello da cucina e una sonda da meccanico per la regolazione delle punterie e per l’impugnatura scotch nero da elettricista, specificando che senz’altro si trattava di quegli “spadini” perché lui, contrariamente all’abitudine di altri “esperti”, preferiva farli più corti.

Anche Trombetta, pure “esperto nel ramo”, ha dichiarato di aver dato a Spatuzza, Romeo e Giuliano e ad altri membri del gruppo degli “spadini” o “chiavini”, e che una volta Giacalone se ne mostrò entusiasta comunicandogli che “ ... aprivano Fiat Uno, Fiorini, che aprivano che erano una meraviglia”.
Le analisi con metodo EGIS su oggetti e mobili rinvenuti nella villa e nel giardino, compiute sia all’interno della stessa che presso il laboratorio della Polizia Scientifica di Roma, hanno rivelato una contaminazione diffusa da EGDN, NG, DNT, TNT, PETN e T4 (o RDX).
Questo dato non contrasta, e parimenti è da dirsi quanto agli analoghi accertamenti sulla Jeep di Scarano, con il risultato dell’indagine tecnica sui residui dell’esplosione di Formello provocata dall’artificiere, laddove non furono rilevate tracce di T4, PETN e TNT, perché la villa di Capena fu abitata da persone che avevano partecipato anche alla strage dell’Olimpico e perché, come riferito da Scarano e Cantale, vi erano stati trasportati da via Dire Daua una poltrona e un divano-letto.

R)

Vi è, da ultimo, da segnalare un episodio, a margine dei vari aspetti già considerati in merito alle fasi di preparazione e esecuzione della strage di Formello, che ulteriormente persuade della assoluta corrispondenza delle dichiarazioni di Scarano, Grigoli e Carra alla realtà effettiva dell’esperienza da ciascuno vissuta.


Scarano ha aggiunto alla versione dei fatti sostenuta che, avendo ricettato agli inizi del 1994 alcune pistole senza caricatore provento del furto commesso da un polacco in un appartamento, riposte in sacchetto per la nettezza, le aveva nascoste in una cassetta di legno poi sotterrata in un canneto nei pressi della sua villa in costruzione a Fiano; tali armi furono consegnate ai palermitani quando stavano a Capena e, alla fine, da loro trasportate a Palermo.
Grigoli e Carra hanno sostanzialmente confermato la circostanza, specificandone alcuni particolari. Carra ha inoltre fatto ritrovare la cassetta nel canneto conducendovi, come testimoniato dal col. Pancrazi, personale della DIA di Roma, che rinvenne anche nei pressi un sacchetto nero per la spazzatura.
Il teste Gaudino ha deposto d’aver subito nel marzo 1994, presumibilmente ad opera di un operaio polacco dell’impresa cui aveva appaltato lavori in muratura dentro casa sua, il furto di varie armi, senza caricatore, detenute per collezione.

S)

A paragone della estensione, completezza, articolazione, precisione e interdipendenza delle componenti del quadro accusatorio, le dichiarazioni rese da Contorno nel processo 12/96 evidentemente volte, nell’esporre che all’epoca dei fatti raramente si trovava a Formello e che abitava in altra località che per ragioni di sicurezza non ha inteso rivelare, a ingenerare il dubbio che la strage non sia stata consumata al fine di uccidere lui ma altra persona, non assumono, a giudizio della Corte, alcun significato nell’ottica, la sola che in questa sede interessi, della puntuale e rigorosa ricostruzione dell’accaduto.


In ogni caso è pacifico che Contorno, nell’aprile 1994, risiedeva stabilmente a Formello.

In proposito altri dati inconfutabili si aggiungono ai numerosi emersi dalla verifica dell’imputazione: egli, quando acquistò una Fiat Punto presso l’Autocentro Sereni di Roma, lasciò al concessionario il recapito telefonico della moglie di Daguanno, il quale abitava sicuramente in via Monti di Malvagliata, tenendo quindi un comportamento non altrimenti spiegabile se non con il fatto che a quel numero sarebbe stato prontamente reperibile; i carabinieri, dopo il ritrovamento dell’ordigno, ricollegandolo immediatamente alla persona di Contorno, lo cercarono e lo trovarono proprio nella sua residenza protetta di via Monti di Malvagliata in Formello, e del resto tale indirizzo era stato comunicato agli organi di p. g. competenti come testimoniato dai col.lli CC. Piacentini e Pancrazi; il vicino di casa Daguanno ha deposto che molte volte e durante tutto il corso dell’anno accadeva che incontrasse il collaboratore e che in paese tutti sapevano chi era.


In ordine alle ragioni della scelta processuale di Contorno, possono essere formulate varie ipotesi, dall’idea da parte sua di non pregiudicare il segreto sul domicilio protetto a quella - forse più probabile e tipica della mentalità mafiosa - di regolare certi conti fuori dalle aule di giustizia, ma soffermarsi ulteriormente sull’argomento sarebbe un vacuo esercizio di immaginazione.

12
I RISULTATI DELLE PRIME

INDAGINI E LE REAZIONI DEGLI INQUISITI

A)

Nei ricordi di Brusca, almeno due delle frequenti riunioni tra capi tenutesi dopo l’arresto di Riina furono organizzate in casa di Leonardo Vasile, una villa di Santa Flavia, località nei pressi di Palermo, vicino all’ hotel Zagarella.



Sinacori (cfr. sub 4 H) ha individuato la stessa casa come quella in cui si videro Graviano, Bagarella e Messina Denaro il 1.4.1993.

Brusca ha anche rammentato di aver riconosciuto in televisione uno dei figli di Vasile quando fu arrestato per favoreggiamento dei fratelli Graviano.


Dell’attività, delle occupazioni, degli interessi di Leonardo Vasile, e della sua risalente “combinazione” come uomo d’onore nella famiglia di Brancaccio hanno parlato Drago, Gioacchino Pennino e Salvatore Spataro.
Il teste Giuttari ha riferito che Giuseppe Vasile, titolare di una ditta di pulizie corrente in Palermo corso Tukory n.8, venne arrestato per favoreggiamento dei fratelli Graviano il 3.10.1993, all’aereoporto di Palermo dove era arrivato con un volo da Napoli.
Ebbene, i risultati delle investigazioni sui Vasile e sulla loro contiguità ai Graviano, considerati alla luce di alcune verifiche su Spatuzza, che Drago collaborando da dicembre 1992 aveva indicato come “a disposizione” dei fratelli di Brancaccio e persona la cui “specialità” nelle opere criminali della famiglia era quella di attirare nei tranelli coloro che si era deciso di uccidere, la lettura comparata di questi dati, che ci si accinge specificamente a illustrare, costituì quella che per solito si definisce la “svolta nelle indagini” sui fatti di strage del 1993.
Si era, dunque, accertato, e i testi Abbaterusso (agente immobiliare di Forte dei Marmi che si occupò della mediazione per la locazione di una villa per l’estate 1993), Barsaglini, Poli e Bianchini (proprietari della villa i primi due e giardiniere), Fedora Puma (moglie di Giuseppe Vasile), Vitale e Leggeri (uff.li di pg. che indagarono su quest’aspetto della vicenda) lo avrebbero confermato deponendo nel processo 12/96, che in quella casa in Versilia avevano saltuariamente soggiornato tra luglio e agosto 1993 Giuseppe, Benedetto e Filippo Graviano e le rispettive compagne, Messina Denaro con la fidanzata Andrea (di questa ragazza austriaca, sentimentalmente legata al capo di Castelvetrano, hanno parlato in relazione ad altri episodi anche Sinacori e Geraci), Giuseppe Vasile e la moglie nonchè altre due ragazze ospitatevi da Benedetto Graviano. Un ulteriore riscontro è rappresentato dall’acquisizione di un documento che attesta la spedizione alla ditta di corso Tukory da parte di Bianchini di due biciclette che aveva rinvenuto nella villa a locazione cessata.
Dal colonnello Vincenzo Pancrazi, all’epoca vice dirigente della DIA di Roma, si è appreso che l’analisi del traffico cellulare di Spatuzza rivelò il contatto con Carra delle ore 1,04 del 26.5.1993, e che l’informazione fu trasmessa alla DDA di Firenze nel marzo 1994.
Nicola Zito, dal 1.2.1994 dirigente DIA di Firenze, verificò anch’egli l’esistenza della chiamata e rapportò il dato a quelli che risultarono dall’esame dei tabulati di Carra, tra cui i contatti con casa Messana, nonché alle indagini sul favoreggiamento dei Graviano da parte dei Vasile, evidenziando l’elemento della presenza in Toscana sia di Spatuzza che dei Graviano, di questi un mese dopo, nel periodo della strage di via dei Georgofili.
Che, poi, sia emerso che nessun rapporto diretto vi fosse tra il soggiorno a Forte dei Marmi e le bombe della primavera-estate 1993, non toglie, sul piano della ricostruzione del fatto che occupa, che gli inquirenti ritennero di seguire quella “pista” che li avrebbe condotti al mandamento di Brancaccio, e, come si vedrà, a indagarne da vicino la struttura e gli assetti.
Il collegamento tra Spatuzza e i Graviano fu stabilito, ancora, per la circostanza che, all’atto del loro arresto, i fratelli di Brancaccio erano nella disponibilità di un cellulare intestato a Costantino Taormina, cugino di Rosalia Mazzola, moglie di Spatuzza.
Era dunque in corso lo sviluppo, nella direzione della sfera di influenza dei Graviano e delle loro relazioni con Spatuzza, delle informazioni acquisite; e così, si accertarono contatti telefonici tra Carra e Scarano, rapporti tra Spatuzza, Carra, Giacalone e Lo Nigro, precedenti frequentazioni tra Spatuzza, Giacalone e Lo Nigro (i quali il 29.9.1993 erano stati fermati per un controllo dalla polizia di Palermo mentre si trovavano sulla stessa macchina).
Ma due risultati, in particolare, convinsero della fondatezza dell’ipotesi investigativa formulata:

nel maggio 1994 venne arrestato nell’ambito di altra indagine Emanuele Di Natale, il quale rivelò che nel suo cortile di via Ostiense erano state preparate le autobombe per le stragi delle chiese di Roma e che “Antonio il calabrese” era il basista del gruppo che le aveva commesse;

il 3.6.1994 furono arrestati a Palermo Giacalone e Scarano.
La definitiva conferma, dopo perquisizioni nell’ambiente di Scarano (con importanti dichiarazioni di Cantale) e accertamenti esplosivistici in via Dire Daua, in Largo Capitolino (con l’arresto di Bizzoni per concorso in detenzione di esplosivo), e nella villa di Capena, sarebbe venuta dalla collaborazione di Pasquale Di Filippo, arrestato il 21.5.1995.

B)

L’arresto di Di Natale provocò preoccupazione e sconcerto.



Già si è visto (sub 8 F ult. cpv.) quale fosse stata in merito la posizione di Mangano e le sue rassicuranti risposte ai timori espressegli da Giuliano.
Ne hanno parlato anche Romeo, P. Di Filippo e Giovanni Garofalo, riferendosi in generale alle reazioni dei componenti del gruppo che erano stati visti da Di Natale, ma soprattutto (Romeo era suo intimo amico) a quelle di Giuliano.

Questi era davvero in stato di agitazione: comprava i giornali che riportavano notizie sui progressi dei magistrati di Firenze e li mostrava agli altri dicendo: “siamo tutti rovinati”, nutriva e manifestava propositi di vendetta verso Di Natale di cui avrebbe voluto sterminare la famiglia.

Un suo singolare commento, ma rivelatore dell’appartenenza a certo ambiente nel cui contesto di sottocultura la libertà personale è prima di tutto considerata come pre-condizione di benessere materiale e di appagamento di piaceri voluttuari, è stato concordemente rammentato da Di Filippo e Romeo: “ ... è meglio che mangiamo tanto, perché sicuramente adesso ci arrestano, ci portano a Pianosa. E poi a Pianosa non possiamo mangiare più ... “; “ ... mangiamo, così quando ci arrestano ci portano a Pianosa e siamo belli grossi ... “. Il che, per inciso, corrisponde alle abitudini alimentari di Giuliano il quale, secondo le confidenze di Giacalone a Calvaruso, durante la permanenza a Capena “si mangiava 12 panini la sera”.
Di Filippo si è detto a conoscenza delle apprensioni di Vittorio Tutino, e delle critiche severe che Mangano espresse sul comportamento di Giacalone.
Tutino, specialmente, era preoccupato per un foglio sequestrato a casa di Giacalone in cui era contenuta la lista delle persone da invitare a una festa, probabilmente quella di fidanzamento tra Lo Nigro e la figlia di Giacalone, tra le quali (l’elenco è acquisito agli atti) sono annotate Mangano, Grigoli, “Olivetti” (è il soprannome di Giuliano come si dirà tornando diffusamente sull’argomento dei soprannomi dei “ragazzi” di Brancaccio in parte III 1 F ), Gaspare, Vittorio, Giorgio (questi ultimi tre i nomi di battesimo, rispettivamente, di Spatuzza, Tutino e Pizzo).
Mangano, dal canto suo e in forza del ruolo di capomandamento che aveva assunto dopo la cattura dei fratelli Graviano, mosse pesanti censure a Giacalone in quanto si era fatto arrestare in possesso di droga e armi senza informarlo, quale suo superiore gerarchico e diretto referente nell’organizzazione dell’associazione, dei traffici con Scarano.
Dai verbali di perquisizione e sequestro che riguardano quest’arresto, nonchè dalla deposizione Pancrazi risulta che furono rinvenuti tra l’altro: nel portafogli di Scarano, mezzo grammo di cocaina; tra la scocca e la ruota di scorta della macchina su cui viaggiavano i due, 262 grammi di cocaina e una Smith & Wesson 357 Magnum; in casa di Giacalone, una Walter PPK 7,65.

Le indagini sulle armi hanno accertato che la 357 era stata comprata da Bizzoni su incarico di Scarano con un porto d’armi intestato a Monti Donato, e che la PPK è una delle pistole provento del furto in danno di Gaudini ricettate da Scarano (cfr. sub 11 R ult. cpv.).


Giacalone non aveva rispettato, suscitando la risentita disapprovazione di Mangano che così si espresse con Di Filippo: “ ... ma tu come ti permetti a fare queste cose senza dirmi niente a me? ... “, una delle regole fondamentali che i componenti del “gruppo di fuoco” dovevano osservare.

Di Filippo ha spiegato in proposito: “ ... per noi era vietato tenere armi a casa. ... Noi non potevamo tenere un’arma a casa perchè c’erano le armi della famiglia. Quindi, il momento in cui uno di noi aveva bisogno di fare qualcosa, si doveva rivolgere a Nino Mangano. Se c’era da fare un omicidio lo dovevamo fare tutti noi con il consenso di Nino Mangano”.

Trombetta ha aggiunto, per averlo saputo da Spatuzza, che Giacalone rischiava di essere “buttato” dalla famiglia e anche ucciso.
L’ansia e la percezione della gravità del problema da parte di Mangano erano tali, ha precisato Di Filippo, che egli, anche per i messaggi che Giacalone faceva pervenire dal carcere profittando dei colloqui con i familiari, si rese irreperibile, benché all’epoca ancora non individuato dagli inquirenti nell’organigramma mafioso, allontanandosi dalla residenza anagrafica di via Filippo Pecoraino e abitando di fatto, con Messina Denaro, in via Ingegneros e in quell’appartamento di via Pietro Scaglione a Palermo dove sarebbe stato arrestato proprio su indicazione di Di Filippo.

C)

La vicenda che nel “lessico processuale” comunemente accettato dalle parti è stata definita “il foglio della Correra” costituisce uno degli innumerevoli argomenti, alla stregua di un segmento di sintesi delle principali tematiche complessivamente esaminate in giudizio, che sostengono l’ipotesi accusatoria e persuadono del suo fondamento.

Essa dimostra all’analisi retrospettiva, in una sorta di paradigma riassuntivo, l’attendibilità, interna, esterna e comparata, delle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 210 c.p.p. , la limpidezza e non prevenzione nella conduzione delle indagini, la corretta e non aprioristica impostazione delle stesse nella direzione che si sarebbe rivelata esatta. Interessa, poi, perché consente di rendersi conto degli effetti derivati da quelle investigazioni nell’ambiente che ne era fatto oggetto e nelle reazioni degli inquisiti.
Sul punto è intervenuta sentenza, irrevocabile per Correra Angela, emessa il 5.7.1996 dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Firenze in sede di giudizio abbreviato, acquisita agli atti (filza 8 punto 10 delle produzioni del P.M.) così che trova senz’altro applicazione, considerata l’indubbia rilevanza del fatto quale oggetto di prova e l’infinita serie di altri elementi che ne confermano l’attendibilità, il disposto dell’art. 238 bis c.p.p. .
Il dirigente del C.O. DIA di Firenze, Zito, ha dichiarato nel processo 12/96 che il 28.2.1995 trasmise al corrispondente centro di Palermo un decreto di perquisizione della Procura di Firenze da eseguire nei confronti di Saverio Correra e della figlia Angela nell’ambito degli accertamenti in corso su Carra. Vi era allegata una nota che sollecitava indagini da svolgere sui rapporti di Carra con, tra gli altri, Giacalone, Lo Nigro, i fratelli Graviano, Scarano, Frabetti, Garamella, Messina Denaro, Massimino, Geraci, Spatuzza, Vaccaro, ditta Coprora, ditta Sabato Gioacchina.
Il funzionario della DIA di Palermo, Casula, ha confermato che il 1 marzo successivo venne eseguita la perquisizione nei locali della ditta Autotrasporti di Saverio Correra alla costante presenza di Angela Correra. La nota che si è detto era stata consegnata in varie copie al personale operante.
Carra ha riferito che verso aprile del 1995, mentre si trovava nei locali della ditta di suo fratello Antonino, vide Angela Correra, da lui conosciuta come figlia di Saverio il quale intratteneva come autotrasportatore rapporti d’affari con il fratello. Correra si presentò per pagare una fattura, e aveva con sé un foglio intestato DIA, con molti nomi tra cui proprio quelli dei fratelli Carra, che mostrò loro. La donna spiegò che aveva ritrovato il foglio confuso tra la documentazione esaminata e non sequestrata dalla polizia dopo le perquisizioni nei confronti del padre. Carra, simulando un comportamento di indifferenza e distacco rispetto all’informazione, fece tuttavia, all’insaputa di Correra, una copia del foglio e si preoccupò di rintracciare subito qualcuno del gruppo di Brancaccio. Si recò prima da Romeo, ma non riuscì a parlare con lui, e poi al distributore di P. Di Filippo dove, invece, incontrò sia quest’ultimo che Grigoli. Li informò di quanto appreso e lasciò loro il foglio.
Romeo, Di Filippo e Grigoli hanno confermato la versione di Carra.

Il primo ha deposto che, in effetti, Carra lo aveva cercato a casa e che non si era fatto trovare; in seguto seppe del foglio e che Carra lo aveva mostrato a Grigoli.

Il racconto degli altri due è perfettamente sovrapponibile sia sull’antefatto che sugli sviluppi: il foglio venne portato da Grigoli a Mangano e da questi a Messina Denaro. Vi furono commenti preoccupati sul coinvolgimento di Messina Denaro, che si riteneva impossibile fosse stato individuato, e sul fatto che il cellulare usato da Carra in occasione dei trasporti di esplosivo era quello intestato alla ditta Sabato. Grigoli, nel ricordo di Di Filippo, disse: “... veramente qua siamo alla fine ...”.
Il foglio venne ritrovato in casa di Angela Correra, nel corso di una perquisizione eseguita il 15.9.1995 su cui è stato sentito Casula a conferma, e la donna sarebbe stata condannata per favoreggiamento aggravato a mesi quattro di reclusione con la detta sentenza 5.7.1996.
III
1
IL MANDAMENTO DI BRANCACCIO

E LA RESPONSABILITA’ DI GIUSEPPE GRAVIANO

A)

Il “mandamento” è, nell’organizzazione interna di cosa nostra, l’articolazione intermedia tra la famiglia e la provincia, comprende più famiglie che operano in zone territoriali omogenee, e assume il nome della famiglia il cui capo o reggente è designato anche quale capomandamento.



La “famiglia” è la cellula di base. Drago, in particolare, ha spiegato che gli “uomini d’onore” vi sono inquadrati secondo una precisa gerarchia: “capo”, “sottocapo”, “consigliere”, “capodecina”, “soldati”. Vi sono, poi, persone “vicine” o “a disposizione”. Sono costituiti “gruppi di fuoco” in funzione di struttura militare e operativa.

I “capimandamento” formano la “commissione”.


Brancaccio, in origine Ciaculli, è formato dalle famiglie di Roccella, Corso dei Mille, Ciaculli e Brancaccio.
Molte persone sono state esaminate ai sensi dell’art. 210 c.p.p. sulla “storia”, gli assetti di vertice, gli “uomini d’onore”, le persone “a disposizione”, in generale sulle vicende di questo mandamento.

Conviene, dunque, passare in rassegna i risultati acquisiti sulla base di tali contributi di conoscenza, in modo da delineare l’ “organigramma” di Brancaccio, la figura di Giuseppe Graviano e la natura della sua autorità nei rapporti con coloro che, nella ricostruzione dei fatti illustrati in parte II, hanno partecipato a vario titolo all’esecuzione delle stragi per cui è processo.

Resta fermo, peraltro, che, conformemente alla positiva verifica di precisi profili della contestazione (“gestione della fase operativa”, “selezione degli esecutori”), i contenuti della responsabilità concorsuale di Graviano si apprezzano ben al di là del ruolo di capomandamento o anche della sola fase deliberativa, coinvolgendo persino, con riguardo a quanto si è motivato sub II 1 e alle considerazioni anche in diritto che saranno esposte sullo stesso punto in ordine alla posizione di Riina, attività esecutive personalmente poste in essere in immediata relazione causale con la strage di via Fauro.
L’ordine di trattazione della materia introdotta sarà modulato in ragione dell’ampiezza delle informazioni ottenute, a cominciare dai soggetti che, per l’importanza delle “funzioni” esercitate ovvero per altri motivi di sapere o esperienza, sono stati in grado di descrivere un panorama più completo e fornire i maggiori dettagli.

Nell’esporre i contenuti delle rivelazioni sarà, poi, seguito il criterio sistematico di distinguerle per categorie a seconda del “tipo d’autore” da cui provengono: coloro che in qualche modo, come si è detto, illustrano un quadro generale; i palermitani; i non palermitani; i personaggi non “combinati” nella famiglia ma “a disposizione” e in alcuni casi componenti del “gruppo di fuoco”. Saranno tralasciati Grigoli, Carra, Romeo e V. Ferro i cui rapporti con i Graviano e i “ragazzi” di Brancaccio risultano dalla ricostruzione svolta in parte II.


Merita, ancora, premettere che la fattispecie in esame si caratterizza, sul piano delle fonti di prova, benché non sia formalmente in discussione l’esistenza di un’associazione ex art. 416 bis c.p. che viene piuttosto in rilievo come antecedente e condizione necessaria dei delitti rubricati nell’imputazione, per una peculiare “anomalia”. Nel senso, cioè, che in tema di reati associativi il fulcro centrale della prova è costituito nella prevalenza dei casi dalla prova logica in rapporto al procedimento di verifica di chiamate di correo, mentre, in questo, si configura un’ipotesi più unica che rara di prova diretta e oggettiva: le lettere e l’altro materiale cartaceo sequestrato in occasione dell’arresto di Mangano cui sarà dedicato, nella parte in discorso, uno specifico capitolo.

B)

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