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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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In una minuscola credenza vide qualche confezione di pasta, molte qualità di riso, salse e condimenti provenienti da ogni angolo del mondo.

In un barattolo c’era una sostanza dall’aria viscida e scura che assomigliava tanto ad una di quelle marmellate di hascisc tanto di moda tra gli hippy degli anni settanta.

Lo aprì e fu aggredito da un nauseabondo odore di pesce marcio, come quello che si sente la notte mentre lavano gli angoli dove si è tenuto un mercato ittico.

L’etichetta sul tappo recitava qualcosa di incomprensibile, eccetto l’ultima riga stampata in inglese: Dried fish preserve. Surabaya- Indonesia .

Appena riavutosi dallo shock olfattivo, si accinse con coraggio ad annusare altri vasetti che contenevano erbe, per verificare se l’indagato possedesse una personale scorta di cannabis in foglia.

I suoi addestrati recettori olfattivi, per quanto storditi dalla fetenzia in cui si erano imbattuti, registrarono soltanto la gamma di aromi da cucina usati dalla maggioranze delle massaie italiane.

Nel frigo, una fredda solitudine avvolgeva un paio d’uova, una lattuga vizza, qualche crosta di formaggio e una confezione mezza vuota di yogurt intero.

Una bottiglia di pinot grigio del Friuli, era stata appena cominciata, mentre nel suo involucro di cellofan completamente integro una coppia di cubetti di lievito di birra attendeva il proprio turno per rendere soffici pizze, focacce e pani.

Marco Bacci non aveva fatto scorte di cibo e non aveva ansie per il suo futuro alimentare.

Aveva deciso di non comprare nulla per il fine settimana perché sapeva che sarebbe fuggito o era così coraggioso da affrontare un supermercato al sabato pomeriggio?

.

Gettò uno sguardo al bagno e gli sembrò uno dei più vuoti e spogli in cui si fosse imbattuto.



Un paio di rotoli di carta igienica appoggiati sul davanzale vicino alla tazza.

Una saponetta sul lavabo, uno specchio e due asciugamani malamente arrotolati su una sbarra.

Un accappatoio logoro, appeso di fianco al box doccia in plastica trasparente, spazzolino e dentifricio in un bicchiere pieno d’incrostazioni, accanto al quale erano stati abbandonati alcuni detersivi.

Un tappetino ricopriva un quadrato di piastrelle giallognole tra la doccia e il bidet.

Marco Bacci non coltivava particolarmente la cura del corpo e l’estetica in generale.

Gaetano tornò nella sala e nel silenzio sentì il parquet scricchiolare . Verificò che le assicelle di legno fossero ben saldate al pavimento e quindi ripercorse più volte tutta la superficie per controllare che non ci fossero nascondigli segreti. Tutto ok.

Si avvicinò al mobile con il piccolo stereo compatto. Le copertine dei dischi dichiaravano le preferenze jazzistiche del maestro Bacci.

Miles Davis , John Coltrane, Jan Garbarek, Charlie Mingus, Dave Holland erano i nomi più ricorrenti.

Schiacciò il tasto play nel lettore cd e subito si diffusero le note della sublime chitarra di Pat Metheny accompagnate dal sapiente basso di Charlie Haden.

Era l’attacco di Under the Missouri Sky, il brano utilizzato da sua moglie Luciana per una coreografia con degli studenti di una scuola media. Il titolo dello spettacolo era “Cieli di pace” ed era stato voluto dagli insegnanti per dare voce e forma ai desideri pacifisti di molti ragazzi che si sentivano chiamati a contrastare i venti di guerra. Quasi certamente quel disco era l’ultimo che il presunto omicida aveva ascoltato prima di lasciare la casa. Forse la mattina stessa o la sera prima.

Se, fin dalle prime informazioni ricevute da Galante, Gaetano aveva nutrito perplessità sulla colpevolezza del Bacci, ora era quasi certo della sua innocenza.

Gli sembrava inconciliabile ascoltare quella musica mentre si progettava un omicidio.

Poi si sovvenne degli ufficiali nazisti che sterminavano gli ebrei ascoltando Chopin e cercò ancora una volta di andare oltre i suoi pregiudizi.

Gaetano realizzò che in tutta la casa non aveva visto né televisori, né quotidiani o riviste d’attualità.

Quel Bacci amava isolarsi, rinchiudersi in un suo mondo intimo, tagliando fuori il più possibile gli stimoli esterni. A supporto di questa teoria contribuiva anche il fatto che non c’erano telefoni in vista. Il che significava poco però, dato che molti avevano tagliato le spese ripiegando sul solo cellulare. Forse ascoltava la radio.

Commutò il selettore di funzione e riconobbe immediatamente la voce di uno dei conduttori di Radio Popolare. Con un passato da rosso non poteva scegliere una diversa fonte per le sue informazioni.

Il vecchio computer non possedeva alcun modem e quindi non poteva essere allacciato alla rete.

Nella mente di Gaetano l’uomo cominciò a configurarsi come una specie di eremita metropolitano con evidenti desideri di fuga verso Oriente.

Ne erano una riprova i libri che riempivano le mensole. Molti erano guide di viaggio della Lonely Planet: India , Indonesia , Malaysia, Tailandia, Cina, Birmania, Singapore, Nepal , Sri Lanka. Altri libri in inglese erano opere del recente premio Nobel V.S. Naipaul e trattavano i problemi di quella particolare fetta del mondo.

Indubbiamente al Bacci piaceva leggere. I suoi libri avevano un aspetto vissuto e consunto, non erano stati messi lì per bellezza. C’era una discreta collezione di opere di letteratura moderna..

In un ripiano c’erano solo autori sudamericani o iberici. Sulla testiera del letto come lettura della buona notte c’era “ Memoriale del convento” di Josè Saramago.

Nessun libro che incitasse alla violenza, nulla di particolarmente rivoluzionario, niente di’incendiario. Tutto molto cool e piuttosto buonista.

Non mancavano i titoli di romanzi polizieschi: qualcosa di Mc Bain, Chandler, Hammet, Patricia Highsmith e tutta la serie del detective Pepe Carvalho.

L’uomo che abitava in quella casa e leggeva quei libri poteva essere, come molti d’altronde, soltanto un assassino per caso, non uno che si procura una quarantaquattro, ruba una Yamaha, studia le abitudini della vittima e progetta una fuga.

Non gli tornavano i conti.

Molti erano ancora gli elementi che non possedeva, doveva studiare il materiale del Faggioni e poi sbrigarsi ad interrogare la moglie della vittima, l’ex moglie del Bacci e gli altri famigliari. Avrebbe dovuto anche rintracciare amici e colleghi, scoprire se aveva fatto il militare e sapeva sparare.

La rivalità in amore non va mai sottovalutata e spesso risulta essere un valido movente per un omicidio.

Anche la solitudine e l’isolamento giocano brutti scherzi.

Marco Bacci si era rinchiuso in quel facsimile di sepolcro da imbiancare per spegnere qualcosa. Probabilmente il suo sogno d’amore infranto bruciava ancora parecchio. Sapeva di essere stato spiato, lo aveva vissuto come una grande ingiustizia, come una traumatica violazione della propria intimità segreta e poteva aver fatto crescere dentro di sé un odio così dirompente da spingerlo al delitto.

Poteva essere, tutto poteva essere.

“ Comunque finora non abbiamo trovato uno straccio d’indizio che ci possa aiutare… “ si disse Gaetano mentre apriva i cassetti nella stanza da letto.

Nel primo trovò della biancheria intima, nel secondo delle lenzuola non stirate e un vecchio telefono a disco.

“ Ma guarda che tipo strano … “

Il terzo cassetto sembrava più interessante: in mezzo a vario materiale scolastico, c’erano buste e fogli sparsi. In una busta trovò una fattura rilasciata dalla Dottoressa Stefania Castelli Psicanalista. Euro 400 per otto sedute nel mese di giugno. Copiò indirizzo e numero di telefono, quattro chiacchiere con la dottoressa potevano risultare illuminanti. Trovò anche delle medicine di uso comune, poche aspirine e qualche bustina di nimesulide, un repellente per zanzare, una pomata antitrauma e un foglietto ripiegato che si rivelò essere una prescrizione scaduta per una scatola di fiale di Voltaren.

La prescrizione era stata rilasciata da un certo Dott. Pierluigi Ferrigno. Annotò anche i suoi dati nella speranza che fosse il medico curante.

Sfoglio i libri e i quaderni per vedere se scivolava fuori qualcosa. Nulla.

La sorpresa lo aspettava dentro all’armadio. Aprendolo la prima cosa che vide fu il giubbotto di pelle marrone che secondo i testimoni l’omicida indossava. Appallottolato sul ripiano sottostante scorse un paio di blue jeans.

Con il citofono chiamò la portinaia.

- Questa mattina lei ha sempre potuto controllare chi entrava e usciva o per qualche momento si è allontanata dalla guardiola.?- la voce tradiva un certo nervosismo.

- Tra le sette e le otto do sempre una spazzata alle scale, ma dalle finestre vedo se qualcuno attraversa il cortile.

- Se il Bacci fosse entrato ed uscito mentre lei era sulle scale potrebbe non averlo visto. Sì o no?

- Sì, ma … Click.

Il presunto omicida aveva potuto rientrare cambiarsi ed uscire.

Cercò di chiamare Galante col cellulare, ma la batteria era morta

Gaetano trovò una presa ed usò il telefono a disco per chiamare Galante, fece disporre in modo che gli indumenti fossero al più presto analizzati per rilevare l’eventuale presenza di particelle di sparo.

Il Commissario Capo si rallegrò per il ritrovamento degli indumenti e per il piacere di vedere Cascione rientrare nei ranghi.

Questi si risolse a riporre giubbotto e pantaloni in due sacchetti di plastica, quindi andò sul balcone verso strada e diede una voce a Carbone perché salisse a prenderli.

Erano le nove e quarantadue, erano passate all’incirca due ore dal momento dell’assassinio di Franco Faggioni.

Il cicalino del citofono gracchiò.

La portinaia annunciava l’ingresso di Carbone.

Pochi secondi dopo Carbone bussò all’uscio.

Cascione lo fece entrare e gli stava mostrando i sacchetti gialli, quando il telefono a disco cominciò a squillare. I due uomini si guardarono perplessi, poi Gaetano sollevò la cornetta.

- Pronto?

- Chi parla? – domandò una voce maschile con un retrogusto di sorpresa e dispetto.

-La mamma mi ha insegnato che si deve presentare per primo chi ha chiamato.- scherzò Gaetano cercando di sdrammatizzare.

- E la mia mi ha insegnato a diffidare di chi entra nelle case degli altri senza essere invitato. Che ci fate voi in casa mia ? – ora la rabbia era in primo piano- Che ci fate in casa mia? Bastardi!

A Carbone bastò uno sguardo per capire, sfilò la rivoltella dalla fondina e raggiunse il balcone della cucina, tenendosi basso e stando ben attento a non offrire un facile bersaglio alla canna della quarantaquattro che poteva essere puntata verso le finestre.

- Lei è il Signor Marco Bacci dunque ? – domandò Gaetano attento a decifrare non solo i toni di voce del suo interlocutore, ma anche tutti i rumori di sottofondo in modo da poter scoprire da dove stesse chiamando.

Ci fu un attimo di silenzio in cui lo sfondo sonoro si fece più presente , non c’erano rumori di traffico e a Gaetano sembrò di intuire una voce di donna che parlava spagnolo.

- Jo te espero a la onze… frente..

- Voi ce l’avete un nome o devo continuare a chiamarvi bastardi ?- ringhiò Marco Bacci nell’orecchio di Gaetano.

Carbone perlustrò con gli occhi il marciapiede opposto in cerca di un barbuto che stesse facendo una chiamata con un cellulare.

- Perché continua a darmi del voi?

- Perché siete almeno in due. Vi ho visto dalla strada.

Carbone invece non vedeva il barbuto. O si era allontanato o si era nascosto in qualche interno: un negozio, un androne. Poteva anche essere sull’autobus arancione che in quel momento spariva oltre la piazza.

- Ma allora è qua vicino. Senta io sono il vice commissario Cascione in forza alla Questura di Milano e vorrei proprio che lei venisse qui a costituirsi.

Carbone tornò in sala e fece capire che non aveva potuto vedere nulla.

- A costituirmi?- chiese Bacci con un’enfasi esagerata.

Appiattito contro la parete Carbone si avvicinò al balcone che dava sul cortile.

- Ha capito bene.

- Perché dovrei costituirmi? Di quale reato sarei accusato?

- Dell’omicidio di Franco Faggioni.

- ….

Nella pausa si udì l’inequivocabile cupo rombare di un treno nelle gallerie della metropolitana.



Gaetano schioccò le dita e coprì il ricevitore con la mano.

Carbone si voltò e lesse sulle labbra del Vice Commissario.

- È nella metro – dicevano le labbra.

Carbone stava già correndo giù dalle scale per dare l’allarme.

- Mi dia retta, si consegni subito al primo agente di polizia che riesce a vedere. La zona è presidiata.

- Sta scherzando, vero?- era un’implorazione più che una domanda.

- Per nulla è una faccenda maledettamente seria.

- …


La comunicazione fu interrotta.

Marco Bacci stava per darsi alla fuga quando sentì le gambe diventare improvvisamente di piombo.

Un’ondata di spasmodiche contrazioni intestinali e di sudori freddi l’obbligò ad entrare nella toilette del mezzanino della stazione di Gambara. Sul tavolino all’ingresso c’era un cartoncino ripiegato con la scritta CABINA 50 cent, ma l’addetto era assente.

Entrò tremante nel primo box aperto e fece appena in tempo ad abbassarsi i pantaloncini. Il panico aveva travolto la resistenza del suo sfintere.

Mentre Marco Bacci si scaricava, Carbone e Maglio avevano già diffuso l’allarme.

I due agenti in borghese che sostavano sotto il marciapiede si erano gettati in gran corsa nella stazione di Bande Nere, mentre quello sul ducato rosso sgommava verso Piazza Gambara.

Gaetano Cascione si sedette sul divano e si sforzò di raccogliere le sue idee, ma il suo cervello era occupato da un solo interrogativo.

- Perché ha telefonato?

Marco Bacci accasciato in quel cesso sotterraneo piangeva e cacava, provando vergogna per quel che si era ridotto ad essere.

Un sospetto omicida così pieno di merda da non riuscire più a correre.

Chi stava correndo come un razzo era l’agente Di Cristofalo.

Il suo istinto lo aveva spinto ad attraversare in pochi balzi il grande piazzale, costringendo a brusche frenate gli automezzi in transito. Il ricercato giocava in casa e quindi avrebbe sicuramente cercato la fuga nelle piccole viuzze che sbucavano in Piazza Bande Nere dal lato di Legioni Romane e via San Gimignano. Spaventando i passanti che si scansavano urlanti attraversò i giardini, inseguito dall’abbaiare di alcuni cani trattenuti a fatica dai loro padroni. Vide una sagoma in corsa tra le auto posteggiate lungo Viale San Gimignano prendere bruscamente a destra. Riconobbe la testa quasi completamente calva , la maglietta bianca e i pantaloncini scuri del ricercato.

Non gli aveva visto il volto, doveva verificare che avesse una folta barba grigia.

Di Cristofalo scattò lungo via Bartolomeo D’Alviano con l’intenzione di tagliare la strada a quel delinquente.

Carbone aveva avviato la sua Punto, messo il lampeggiante sul tetto e spiegato la sirena.

Gaetano Cascione sbucò sul portone.

Maglio fece retromarcia mentre la custode in uno slancio di coraggio si era piazzata nel contro viale, bloccando con le braccia aperte il flusso del traffico.

Sbanfando come un mantice Di Cristofalo aveva già raggiunto il primo angolo a destra. L’uomo che correva verso di lui aveva una barba grigia e lunga come quella dei mullah.

- Fermo o sparo!

Il corridore vide con terrore la canna della Beretta rivolta nella sua direzione.

Balzò alla sua destra per cercare riparo tra le auto in sosta.

Di Cristofalo sparò.

Centrò il bersaglio all’altezza del ginocchio sinistro.

Il barbuto fece appena in tempo a sentire il crescendo delle sirene prima di perdere i sensi.

Alla fine della terza scarica, Marco Bacci si era convinto che quel torcibudella avesse fatto defluire nella tazza anche la sua capacità di raziocinio.

Stava per essere arrestato, lo avrebbero chiuso in una cella con autentici criminali, e la cosa che, nell’incombente orrore, gli appariva tragicamente insostenibile era l’idea che presto si sarebbe ritrovato a dover cacare in pubblico.

Un nuovo spasmo lo costrinse a ripiegarsi su stesso..

Marco Bacci odiava le toilette pubbliche, eppure quel sabato mattina, non desiderava altro che restare lì, in quel cubicolo ben chiuso da una porta metallica maldestramente verniciata di marrone scuro.

“ … la zona è presidiata…”

Sarebbero venuti a prenderlo anche lì.

Non c’era scelta, avrebbe fatto chiamare gli agenti e si sarebbe consegnato.

Uscito dal suo box si lavò le mani, poi si sciacquò più volte la faccia.

Anche l’acqua fresca e corrente era un lusso che avrebbe rimpianto o nelle celle c’erano i lavandini?

Lo avrebbe scoperto presto.

Al tavolino all’ingresso adesso era seduta una donnetta di almeno sessanta anni, magra sotto i riccioli canuti, persa dentro un grembiulone di almeno due taglie più grande.

Mentre Bacci frugava nel suo marsupio alla ricerca degli spiccioli , la donna l’osservò con sguardo indagatore.

Si sentì addosso quegli occhi che dietro un velo d’incipiente cataratta sembravano scrutarlo in profondità.

“ Mi ha riconosciuto, avranno già diffuso le mie foto o un identikit”

- Tu non sente bene, no? Tu male, vero?- domandò inquieta.

La donna parlava con un forte accento balcanico .

- Siedi qua- proseguì alzandosi ed indicando il suo scranno – io chiama dotori. Tu tropo bianco.

Era genuina cortesia o un trucco per incassare la taglia che Faggioni aveva messo sulla sua testa?

La donnina prima non era al suo posto.

Facilmente era andata al bar e aveva saputo tutto dalla tivù.

Marco Bacci lasciò cadere un euro nel piattino, scosse la testa e si voltò per uscire.

Slla soglia della toilette vide un uomo con una pistola in mano salire dalle scale che conducevano ai treni per Bisceglie. Lo seguiva un P.S in uniforme, anch’esso con l’arma in mano.

- Carminee !- gridò all’improvviso una voce proveniente da una scala d’uscita sulla piazza.

- L’hanno beccato! È in Bartolomeo d’Alviano.- proseguì la voce che sembrava volesse aggiungere un’esortazione a risalire celermente.

Il poliziotto in borghese e quello in uniforme corsero fuori rinfoderando le pistole.

Nessuno si degnò di guardare verso la porta dei cessi.

Frettolosi utenti della metrò passarono accanto ad un incredulo Bacci ignorandolo totalmente.

Si voltò a guardare la donnina delle toilette.

Aveva estratto da un sacchetto un lavoro ai ferri ed era intenta a contare i punti.

Cosa stava accadendo?

Chi avevano trovato in Bartolomeo D’Alviano?

L’assassino di Faggioni?

O un poveraccio che assomigliava a lui?

Lentamente si avvicinò all’edicola.

Sui quotidiani esposti, almeno in prima pagina, non si parlava di omicidi e non apparivano suoi identikit.

Forse l’assassinio era stato compiuto nella tarda notte o nella mattinata e solo la televisione e la radio avevano potuto diffondere la notizia. .

Marco Bacci era incapace di convivere con il dubbio in senso generale e questo particolare dubbio esigeva di essere chiarito all’istante.

Entrò nel bar.

Un grosso televisore era acceso nell’angolo opposto all’ingresso: il faccione da burattino di un noto lacchè del Presidente del Consiglio riferiva in toni tutt’altro che giornalistici di nuove minacce di Al Qaeda a tutto il mondo occidentale e lanciava un servizio in cui massaie, scolaretti e bottegai venivano insigniti dell’incarico di portavoce dell’opinione pubblica per esprimere un controllato timore e la viva speranza che tutte le moschee sul suolo italiano potessero essere al più presto sigillate, con conseguente espulsione di chiunque avesse una copia del Corano in casa.

Marco Bacci di copie del Corano ne aveva anche più d’una,ma era certo che nessuno lo avrebbe lasciato uscire dall’Italia.

- Desideraa?- cantilenò la donna dietro al bancone, intenta a tagliare focaccine da farcire per il mezzogiorno.

Aveva la stessa voce della sua portinaia.

- Una spremuta per favore .- rispose Marco Bacci avvicinandosi per incrociare lo sguardo della gerente.

- Arancio, pompelmo o mistoo ?- gli occhi seguivano la lama che affondava nella mollica.

- Pompelmo, grazie.

La donna tagliò per inerzia un altro paio di focaccine e poi di spalle aggeggiò con lo spremiagrumi.

Finalmente la barista lo guardò per un istante nell’atto di porgergli la bevanda.

- Se vuole lo zucchero se lo metta da solo.- gli avvicinò una zuccheriera – Tre euro e cinquanta.

Bacci le diede una banconota da cinque, troppo preoccupato per accorgersi di quanto fosse diventata cara una semplice spremuta.

- Mica cià moneta per caso?

Nuovo sguardo più prolungato e un po’ corrucciato.

- Spiacente.

La stava guardando dritto negli occhi.

La donna si sentì indagata e sorrise d’imbarazzo.

Poi l’incalzò: - Ma cià guardato bene in quel coso, nel borsino lì sulla pancia, eh?

- Non ne ho di moneta, se vuole ho il bancomat.

- Ma mi faccia il piacere! Il bancomat per tre euro e cinquanta. Ma voialtri scherzate con ‘sto bancomat . A noi la banca poi ci prende una commissione, neh! Tutte le volte ce la prende. Ecco qua. tenga il suo resto. Anche gli spiccetti mi ha portato via.

Sbuffando gli rovesciò una piccola cascata di monetine e tornò alle sue focaccine.

Se in carcere si fosse messo a scrivere fiabe, si sarebbe ricordato di lei e le avrebbe affibbiato un bel ruolo da strega del sottosuolo.

Mescolò molto zucchero nella spremuta sperando di bloccare il tremore che gli agitava le membra.

Il test non aveva funzionato. Non poteva fugare i suoi dubbi .

Il bar apparteneva al mondo sotterraneo della metropolitana, all’intrico di gallerie , canaline elettriche, tubi, cavi e binari, che ci conduce in una dimensione diversa, quasi separata dal mondo di superficie.

In quella realtà artificiale, per ora, poteva muoversi liberamente.

Era dentro una bolla che presto sarebbe scoppiata, ma che gli concedeva qualche attimo per cercare di riordinare i pensieri, di rivedere la sua situazione.

Nel riporre le monetine controllò il contenuto del suo marsupio: portafoglio con trenta euro, bancomat, patente e carta d’identità; chiavi di casa,due biglietti dell’Atm, fazzoletti di carta.

Si ricordò di aver messo anche una scheda telefonica, quella che aveva usato poco fa .

Sicuramente l’aveva lasciata nella bocchetta dell’apparecchio con cui aveva parlato con quel poliziotto.

“ Come diavolo ha detto di chiamarsi? “

Si ricordava qualcosa come vice commissario e poi un nome meridionale. Anche l’accento era marcatamente del sud.

Scontato.

Lo stereotipo del poliziotto che perquisisce la casa del presunto assassino e trasforma anche una scatola di cous- cous precotto nella prova di un’ evidente affiliazione all’integralismo islamico.

Ecco! Si chiamava Cascione, come la bambina napoletana di II B, quella fatta di carta velina.

E lui avrebbe dovuto mettersi nelle mani di gente così?

Cosa ci poteva guadagnare?

Un ergastolo.

Da quando aveva lasciato lo studio della dottoressa Stefania non aveva visto nessuno, non aveva scontrini di bar o ristoranti da esibire, non un anima che potesse confermare di averlo visto a casa nel momento in cui qualcun altro aveva deciso di porre fine alla vita di Franco Faggioni.

Aveva sognato di sparargli, di fargli del male, di bruciargli il negozio, così tante volte che in fondo all’anima qualcosa gli rimordeva, come se i suoi sogni avessero avuto il potere di generare quel delitto.

Immaginò Amaranta piangente, travolta dalla più nera disperazione.

Come farle sapere che lui era innocente? Come convincerla?

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