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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Poi gli si avvicinò e gli gridò di smetterla e quando Marco la guardò con occhi iniettati di sangue gli accarezzò il volto e si sentì una volta di più obbligata ad essere materna e ad accudire quel povero sfortunato. Così gli cinse le spalle e si fece raccontare l'accaduto, mentre lo accompagnava al bagno degli insegnanti.

Il piccolo vano con il minuscolo specchio tondo ed il lavabo bianco con lo smalto scrostato, senza sapone e senza asciugamano come sempre, si riempì subito di fumo.

Rita vide Marco estrarre dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di carta per asciugarsi e fermarsi come incantato a fissarne la confezione.

- Marco, va meglio?

- Cosa?- rispose quello senza sollevare lo sguardo dalla confezione dei fazzoletti.

- Come cosa? Quella povera mano sinistra che ti sei maciullato contro il muro. Sembri un po’ rincoglionito. Non avrai mica battuto anche la testa contro quella maledetta parete? Ma che fai? Cosa stai guardando?

- E' volata via.

- Chi ?

- L'allegria.- rispose lui e le porse la confezione ormai vuota.



Rita vide la stilizzazione di un volatile che spiegava le sue ali tra un mare blu e un cielo azzurro di cellophane stropicciato.

- C'è scritto Dove, ma non è una domanda.

- Significa colomba. E' inglese.

- Che palle 'sto inglese. A proposito, sei sicuro che te la senti di fare lezione?

- Certo, brucia solo un pochino. Non c'è problema.

- Cos'è che brucia di più?

Gli occhi furbi di Rita lo fissavano con benevola ironia.

Marco sorrise e invece di rispondere si chinò per darle un bacio sulla guancia.

- Grazie per il soccorso.

- Ma scherzi. Senti perché non vieni stasera a cena con me e Stefano. Andiamo al Capolinea c'è una piccola band di amici suoi e forse anche lui parteciperà ad una jam session.

- Molto gentile da parte vostra, ma preferisco restare in casa.

- Sei diventato noioso.

- E tu sei diventata ancora più bella. Quei capelli rossi e quella abbronzatura ti donano proprio. Mi hai sempre detto che non volevi tingerti.

- A parte che questo è un hennè e non è una tintura, ma un colorante naturale che si estrae dalle erbe, a parte questo ho proprio dovuto farlo.

- Perché ?

- Perché ero proprio stufa di essere scambiata per la madre di Stefano. Così ho deciso che finché non divento nonna mi faccio l'hennè. Purtroppo credo che ci manchi davvero poco. Uno di questi giorni qualcuno dei miei ragazzi mi arriva in casa accompagnato da una bella signorina col pancino tondo. Una nonna come si deve non può essere rossa, la nonna va bianca.

Il suono della campanella, seguito dal rimbombo della mandria interruppe i loro discorsi.

Marco coprì la sua mano sinistra con la destra, come per proteggerla e consolarla, sorrise e si voltò per andarsene.

La voce di Rita lo fermò.

- Marco!


Girandosi di tre quarti vide la collega con la sigaretta in bocca, la borsa sull'omero sinistro e la spalla destra appoggiata allo stipite del bagno. Strizzava gli occhi per difenderli dal suo fumo, mentre la gonna del vestitino di stoffa leggera ondeggiava leggermente..

Gli ricordava una prostituta parigina vista in qualche film della nouvelle vague.

- Perché mi guardi in quel modo ?- disse Rita con un tono perfetto per la parte che stava recitando nel film mentale del collega.

- Niente.

- Dai, mangiamo un panino insieme al solito bar, così ci raccontiamo delle vacanze. E se dici di no sei proprio stronzo.

- Ti dico di sì, ma ho proprio voglia di diventare il più grande stronzo del mondo.

Si ritrovarono seduti ad un minuscolo tavolino di metallo nero che occupava più di metà del facsimile di marciapiede perennemente sconnesso.

Sulla sede stradale, tra le commessure di un antico pavè, in procinto di essere sostituito con dell'anonimo bitume, sobbalzavano gli autocarri facendo rimbombare i loro cassoni che aggiungevano colpi di timpano all'orchestra dei motori di auto, scooter e vecchi tram sferraglianti.

Sopra le loro teste incombeva il ponte della ferrovia, costruito con grandi putrelle decorate dalla ruggine e dai resti di precedenti verniciature in cui dominavano l'arancio invecchiato del minio e un verde spento che ricordava il colore di vecchi mezzi militari.

A pochi metri da loro, nel suo letto artificiale, scorreva l'acqua del Naviglio, la cui superficie era punteggiata da bottiglie e sacchetti di plastica, da bicchieri di carta e lattine, decorazioni multicolori che in qualche angolo si fermavano impigliandosi negli arbusti o nelle alghe per creare vere e proprie pattumiere galleggianti.

-Chi ti ha fatto quella sottospecie di bendaggio? – Domandò Rita ammiccando verso la mano sinistra del collega che occupava quasi metà del minuscolo tavolino.

- Sanvito.

- Si vedeva subito che era roba di maschi. Ti vergognavi a venire da me?

- Non volevo fare le scale per salire fino alla tua classe.

-Piantala, orso. Dì piuttosto che avevi paura di incrociare Amaranta.

-Paura non è la parola adatta. Anche terrore mi suona come un eufemismo.

-Ma davvero non vuoi saperne più niente di lei?

- Voglio tenerla il più possibile distante dai miei pensieri, ma senza dimenticare ciò che lei e questa storia mi hanno insegnato.

- Cioè?

- Tre cose, di grande importanza, almeno per me .



- Me le vuoi dire o no ?- lo incalzò Rita.

- Certo- rispose Marco e subito dopo staccò un boccone del suo sfilatino in cui una sottile fetta di prosciutto crudo venava di rosso scuro una mollica bianca e gonfia d’aria.

Rita s’indispettì.

- Ma cosa fai adesso? Il prezioso?

Marco deglutì e poi con una voce che sembrava fredda e distante riprese a parlare.

-Ascolta Rita: prima di tutto ho imparato ad osservare con attenzione le mie fantasie, perché ho capito che anche i pensieri possono fare molto male. Bisogna saperle controllare certe fantasie, analizzarle, conoscerle, liberarle con molta cautela e certe volte scacciarle. Poi ho compreso che alcune fantasie possono diventare desideri importanti, aspirazioni degne di accompagnarci e queste vanno rispettate. Amaranta mi ha insegnato che da una donna desidero attenzione e stima, voglio avere per lei la stessa importanza che lei ha per me. In pratica voglio essere posto in cima a tutto. Per lei devo essere l’uomo migliore del mondo così come lei per me deve essere la donna migliore del mondo. E di questi desideri, di queste aspirazioni, non bisogna avere paura, anzi bisogna essere capaci di affermarli nella maniera più chiara possibile. Bisogna saper spiegare alla persona che incontriamo quali sono le condizioni indispensabili per essere disposti ad affrontare una relazione a cui vogliamo dare valore. Infine ho appreso che non sopporto di compiere azioni che mi ripugnano.

Voglio che ogni mio atto, ogni mio pensiero abbia una sua dignità.

Quando mi accorgo che sto cercando di nascondere qualcosa, di tenerla segreta perché me ne vergogno, allora devo riconoscere questo segnale, questo campanello d’allarme e spostarmi, cambiare direzione. Non è facile perché sono infarcito di ipocrisie. Si crea una specie di nebbia nella mia coscienza e non sempre riesco a vederci chiaro. Per non parlare della mia impulsività, delle mie rabbie, del peso delle colpe. Ecco perché faccio ancora un mare di cazzate- Marco sventolò la sua mano bendata come un’evidente prova di quanto fosse difficile restare dentro i binari che aveva scelto – Però ci voglio provare, per ora cerco di esercitarmi, di allenarmi a questa disciplina di vita.

Rita lo guardò incredula.

-Cazzarola ! Caro Maestro Bacci mi sembra che lei non scherzi, mica ha detto un prospero.

Marco sorrise, scosse la testa, si strinse nelle spalle e buttò giù una sorsata dalla bottiglia di Corona che lo aspettava fissandolo con il suo occhio di limone infilato nel lungo collo.

- Marco, guarda che tutti nascondiamo le briciole sotto il tappeto e ci scaccoliamo il naso mentre guidiamo.

- Lo so, ma per quel che mi riguarda sto parlando di macigni, non di briciole o caccole.

Mi vergogno di essere stato sleale nei confronti di mia moglie, cui ho nascosto tutta la vicenda fino all’ultimo. La stessa slealtà l’ho avuta anche nei confronti di Franco Faggioni di cui ho sedotto la legittima moglie. Per non parlare di quello che ho fatto ad Amaranta, cui ho generato fantasie ed illusioni che l’hanno posta in una situazione difficile e anche pericolosa, non solo per lei ma anche per sua figlia.

Nella pausa che seguì, un due tempi smarmittato intonò una lunga pernacchia degna di un sax tenore suonato alla maniera di Ornette Coleman.

Rita lo contemplò con compassione come se stesse vedendo attraverso la sua pelle e la sua carne grumi di dolore e sentimenti annodati e contrapposti che gli avvolgevano i visceri come serpenti. Vedeva in lui gli stessi tormenti che per anni l’avevano afflitta e fatta sentire sporca e sbagliata. Fino a quando si risolse ad accettare che lei aveva il diritto di essere diversa e che gli altri dovevano sforzarsi di riuscire a comprenderla. Lei aveva deciso di giocare senza regole e senza rete e chi l’amava doveva rischiare.

- Non potresti perdonarti?- Nella voce con cui formulò la domanda c’era un tono di affetto e di benevola esortazione.

- Sto cercando di farlo, ma non ci sono ancora riuscito. Ogni volta che sbatto contro qualcosa che mi ricorda quanto male ho fatto, quanto dolore ho creato a me e agli altri, perdo il controllo delle mie emozioni e delle mie reazioni e posso mettermi a piangere, urlare di rabbia, sfasciare qualcosa o disfarmi una mano senza quasi rendermene conto. Ho paura di arrivare ad uccidere qualcuno o a suicidarmi. E’ come se ci fosse un'altra persona dentro di me che non accetta di aver sbagliato e si ribella furiosamente.

- Credo di capire- disse Rita – Sai cosa ho pensato questa mattina quando ho sentito quei versi e quei tonfi che uscivano dal tuo laboratorio?

- Che stessi uccidendo qualcuno, magari Franco.

- Yes .

-Non lo farò, sta tranquilla. Il mio tribunale interiore dopo un lungo processo gli ha dato ragione. Lui è innocente. Il colpevole sono io. La mia vendetta non avrebbe alcun senso. Se ci fosse una pena capitale per questo genere di colpe, sarei io a dover salire sul patibolo ad essere giustiziato.

- Non ti sembra un po’ esagerato?

- Certo! Purtroppo sono esagerato in tutto. Forse mia madre aveva del latte esagerato nelle sue tette e così sono cresciuto in questo modo. Lo sai che a otto anni credevo di essere un altro Gesù Cristo? Invece a dieci volevo morire per la patria come un eroe risorgimentale. A quattordici ero convinto di essere Jacopo Ortis ed a sedici il mio ideale era Robespierre. Dopo i diciassette è stato il turno di Che Guevara e subito dopo di Lenin e così via . esagerazione dopo esagerazione.

- Io sono nata una bella decina d’anni prima di te e anch’io ho le mie grandiose esagerazioni. Però le adoro, sono il sale della mia vita. In compenso non mi sono mai posta modelli o ideali da rincorrere. Non ho mai pensato di voler essere uguale a qualcun altro.Guarda in che razza di discorsi mi hai portato. Io che speravo di parlare di vacanze…

- Dai racconta così ci arricreiamo nu pocherillo.

-Ma cosa fai? Adesso ti metti anche a parlare il napoletano? Ma disi …

- E perché no. Lo sai che mi piacciono le lingue straniere. Dai raccontami le tue vacanze.

- Mi hai fatto proprio passare la voglia. Comunque è stato tutto così meraviglioso- lo sguardo le si illuminò come quello di una bimba che per la prima volta viene portata alle giostre- A luglio ho fatto un trekking sui Pirenei con i miei figli. Due settimane stupende. Dormivamo nei rifugi e passavamo la giornata tra i picchi. Pane formaggio e cerveza. Poi sono stata quasi un mese in crociera tra le Cicladi con la barca a vela di una coppia di musicisti gay, amici del mio fidanzato. Un vero spasso! Se tu sapessi quanti culatoni vanno in giro per il mondo e come si sanno divertire. Guarda una vera lezione di vita. Infine sono andata una settimana a Parigi con mio marito a curiosare tra musei, librerie e bouquinisti della rive gauche. Serate fumose nelle caves de Montmartre e piccoli alberghi con le scale in stile liberty. Letti minuscoli, sottotetti bollenti e tappezzerie a fiori. Come dire … molto romantico, ma un po’ deja vu e anche noiosetto, però felici come due vecchi amici che ritornano nei luoghi in cui tanti anni prima hanno vissuto importanti esperienze.

- Tutto qua ? –domandò Marco con fare provocatorio.

- Come tutto qua? Ti sembra poco? Dove sei stato tu? Cosa hai fatto? Chi hai visto?

- Non ho fatto niente . Non ho visto nessuno. Non sono andato da nessuna parte, sono stato a casa.

- Ma sei diventato scemo ?- Rita non riusciva a credere che Marco, da sempre molto incline ai viaggi e con una spiccata propensione per le avventure in luoghi esotici, avesse deciso di passare l’estate chiuso in casa.

- Non sono diventato scemo. Ho fatto quello che volevo, ciò di cui sentivo il bisogno.

- Ma vai ancora in analisi?

- Certo. Ci devo andare anche oggi pomeriggio.

- Mi sa che a te la psicanalisi ti rincoglionisce. A me ha fatto così bene. Mi sono sentita da subito così libera, con tanta voglia di vivere e godermi la vita . Tu invece diventi sempre più cupo, serioso, triste. Lasciatelo dire: mi sembri un po’ depresso.

- Dillo pure. Penso che il mio risanamento, se vogliamo chiamarlo così, debba proprio passare attraverso un periodo di depressione.

-Forse dovresti cambiare analista.

- Non ci penso nemmeno.

- E allora goditi la tua depressione! Ma prima ascolta anche quello che non vuoi sentire. Anche Amaranta ha passato un’estate insulsa come la tua. E’ apatica, abulica, appassita. Perché non provate a parlarvi? Perché non affronti Franco e con tutta sincerità gli dici che sei innamorato di sua moglie e che lui non ha il diritto di impedire il vostro rapporto. Amaranta non potrà mai essere felice con un uomo così. Esistono leggi … c’è un diritto di famiglia…

Marco la guardò pensoso.

- Lo ripeto questa storia ha già seminato troppa sofferenza. Voglio solo togliere il disturbo, sparire in silenzio, farmi dimenticare. Appena possibile chiederò un trasferimento.

Rita abbassò lo sguardo sospirando e cominciò a frugare nella borsa in cerca del pacchetto di sigarette. Quando ebbe acceso e soffiato lontano il fumo della prima boccata, quasi sottovoce, ma senza nascondere un pizzico di soddisfazione,disse:

- Comunque sia, lui l’ha già persa. Non riuscirà più a riconquistarla. Amaranta non può più rimanere con Franco.

Marco sussultò.

- Dici sul serio?

- Sì sta facendo progetti per andarsene..

- E Valentina ?

-Questo è il punto, il nodo che lega Amaranta. Lui non le permetterà mai di partire con la bambina. La tiene prigioniera con questo ricatto. Se lei va, non la rivedrà più.

A queste parole il suo mare interno riprese ad agitarsi.

Doveva allontanarsi da questi discorsi e dalle fantasie che suscitavano, Marco di scatto si alzò e chiamò il cameriere e si fece portare il conto.

-Rita, scusami. Devo andare. Grazie di tutto. Scusa ancora. Devo proprio andare. Lasciami pagare, per favore. Grazie. Scusa. Ci vediamo lunedì.

Le lanciò un bacio, si voltò e infilò due banconote nel taschino del cameriere che in quel momento aveva entrambe le mani impegnate.

Fece ancora ciao con la mano alla sua basita collega e schizzò via.

Pedalando piano cercava di ritrovare la calma.

Come un bravo castoro tentava di costruirsi una diga interna per affrontare questa nuova ondata di piena e mettersi al sicuro nella sua tana.

L’idea di potersi presto sdraiare sul lettino dell’analista e lasciarsi andare gli appariva come una boa in mezzo ai flutti, un approdo momentaneo, ma sicuro, a cui aggrapparsi per riprendere fiato e ritemprarsi un po’. Dopo lo aspettava un week-end di silenzio, jogging e clausura .Un tempo che avrebbe dedicato a mettere ordine tra i pensieri, a prendere delle decisioni.

Lo stavano ancora spiando, ora sapeva anche perché. I Faggioni temevano che Marco fosse il responsabile dei contatti epistolari tra Amaranta e i suoi genitori. Di certo temevano che stesse organizzando insieme a lei un piano di fuga.

Per questo avevano inviato qualcuno a scuola, per controllare il suo computer, per verificare che non ci fossero scambi di posta elettronica magari attraverso qualche strana triangolazione. Questa volta non erano i Digos a muoversi, loro sarebbero riusciti a non lasciare traccia, non avrebbero svegliato Sanvito, non sarebbero fuggiti come ladri lasciandosi dietro una luce accesa e una porta aperta. Doveva trattarsi di un investigatore privato o di qualche altro “amico” di Domenico Faggioni. Le sue conoscenze includevano anche delinquenti di vario lignaggio, facilmente ricattabili o in debito di riconoscenza. Che si accomodassero, che frugassero, che vedessero che non c’erano più contatti: che capissero! Dio Santo ! Che potessero comprendere una volta per tutte che lui nemmeno ci parlava più con Amaranta. Avrebbero anche potuto ucciderlo, cancellarlo dalla faccia della Terra con uno di quei meravigliosi delitti perfetti che molti mafiosi erano pronti a compiere in cambio dei favori particolari con cui avrebbero chiesto di essere ricompensati.

Ma Amaranta sarebbe stata sempre pronta a cercare uno spiraglio, una via di fuga, una lima per segare le sbarre. Era solo questione di tempo e di occasioni. Anche Valentina, prima o poi sarebbe cresciuta e avrebbe avuto la sua libertà di scegliere, di schierarsi.. E in tutto questo lui, il collega , l’amico, il platonico amante , il sognatore, era stato solamente l’innesco che aveva permesso ad Amaranta di far esplodere la sua personalità repressa, la leva per scardinare la trappola e liberarsi dal loro opprimente grigiore..

Marco Bacci poteva anche essere eliminato, ma ormai il gioco era avviato.


Ricordava benissimo il momento in cui aveva fatto la prima mossa.

Il diciannove marzo, San Giuseppe. Festa del Papà. Anno scolastico 2001-2002.

Nell’aria c’era un’anteprima di primavera e a scuola, insieme alle colleghe, aveva organizzato uno spettacolino con poesie scenette e canzoncine in italiano ed inglese.

Lo avevano intitolato: ”Le disavventure di Superbabbo”. Tutti i padri erano stati espressamente invitati. Alcune madri di origini napoletane avevano preparato zeppole ed altri dolci, si poteva proprio esser soddisfatti : ogni cosa era andata per il verso giusto.

Alla fine, dopo i ringraziamenti ed i saluti di rito, Marco si era ritrovato da solo a dover smontare la piccola scenografia che era stata allestita.

Era in cima ad una scala e stava bestemmiando silenziosamente alle prese con un pannello che da alcuni minuti stava tentando di rimuovere.

- Posso fermarmi qui un attimo?

Marco si voltò sorpreso e vide Amaranta che si lasciava cadere su una sedia in fondo alla sala.

- Certo che puoi? Se non fossi tutta in ghingheri ti chiederei di aiutarmi a tirar giù questo maledetto pannello.

Lei era vestita con un corto abito rosa pallido e si stringeva le spalle in un leggero scialle che pareva un tessuto filato con una matassa di nuvole primaverili, su cui erano stampati dei motivi floreali in tenui colori.

Teneva la testa bassa e sembrava sull’orlo di un mancamento.

- Che c’è ? Non ti senti bene?

Amaranta non rispose.

Marco scese dalla scala e si avvicinò per capire cosa le stesse accadendo.

- Amaranta, ti prego, rispondimi! Devo chiamare qualcuno, ti serve qualcosa?

La giovane collega chinò ancor più il capo e lo scosse facendo danzare la sua chioma corvina per qualche secondo di pesante silenzio.

Marco le si accucciò accanto. Le prese una mano.

- Amaranta?

Usò la sua voce più calda e calma.

- Posso aiutarti?

Nel momento stesso in cui formulò la domanda Marco seppe che quel contatto sarebbe stato pericoloso. Gli era già successo. Tra i venti e i trenta si era più volte trovato invischiato in complicate vicende sentimentali con donne di ogni età e stato civile solo per essersi avvicinato troppo a loro.

Il perché di queste complicazioni gli si sarebbe chiarito molto dopo.

Gli era toccato passare attraverso questa storia assurda e scottarsi, prima di trovare il modo di mettersi seriamente in discussione e di riconoscersi il diritto a farsi aiutare.

Era stato Gigi , il suo amico da sempre e da molti anni anche il suo medico, a raccoglierlo in fondo ad un pozzo di disperazione e a convincerlo ad affrontare una psicanalisi.

Aveva cominciato a capire molte cose nelle ore passate sul lettino dell’analista, dove metteva a nudo i suoi pensieri, esprimeva le sue libere associazioni, osservava le emozioni e gli impulsi che sul fondo della sua anima strisciavano come murene tra alghe e scogli.

Era come se lui non avesse una vera e propria pelle. Gli mancava una barriera, una protezione. Il contatto troppo ravvicinato con l’altro creava uno squilibrio, una confusione d’identità. Si lasciava inglobare nella sfera dell’altro e non riusciva più a ritrovarsi. Come il principe Miskin, come un idiota. E questo stato emozionale era intenso ed inebriante.

Ogni volta Marco credeva di essersi innamorato e come un innamorato viveva ore d’ebbrezza perso nelle sue fantasie.

Capitolo terzo
Per Franco Faggioni la mattina del sabato era da molti anni la più importante della settimana.

Inspiegabilmente, gli affari migliori si concludevano la mattina del sabato dalle nove alle dodici.

La maggior parte dei clienti, fossero privati o ditte , arredatori o architetti specializzati nelle creazioni d’interni, passavano più volte nel corso della settimana a curiosare tra le sue sofisticate attrezzature, chiedevano preventivi, si facevano spedire cataloghi, ma non compravano. Per concludere l’affare e definire l’ordinazione aspettavano il sabato mattina.

Sabato 13 settembre si profilava come una giornata speciale , una di quelle che avrebbe ricordato per tutta la vita.

Il grande colpo, spettava a lui.

Stava per raggiungere un traguardo importante. Stava per compiere un considerevole salto di qualità.

Alle otto in punto, proprio nel suo negozio, si sarebbe incontrato con il suo vecchio amico Ignazio Anzelloni, che da anni lavorava presso il più prestigioso concessionario d’auto milanese.

Franco doveva consegnare la sua BMW nera e un assegno circolare non trasferibile da ventiseimila euro.

Poi avrebbero scarabocchiato alcune firme sugli atti necessari per la compravendita e finalmente Franco sarebbe diventato il legittimo proprietario della scintillante Jaguar argentata esposta da alcune settimane nell’autosalone a pochi passi da Palazzo di Giustizia.

Chissà quanti avvocati erano ingrigiti nelle stanze di quell’esempio d’architettura littoria, sognando di raggiungere la celebrità necessaria per garantirsi parcelle in grado di soddisfare un così costoso desiderio?

Invece lui, essendo stato capace di resistere alle pressioni del papà d’oro, che a tutti i costi lo avrebbe voluto avviato alla carriera di magistrato, lui brillante commerciante di nicchia, lui, non ancora trentacinquenne, si sarebbe presto seduto al volante di quel gioiello meccanico, meritato coronamento dei suoi successi.

Franco Faggioni era eccitato. Continuava a svegliarsi , a controllare l’ora.

Quando finalmente arrivarono le sei, si decise ad alzarsi.

Amaranta dormiva raggomitolata sull’orlo opposto del letto. La sua postura di dormiente segnalva quanto fosse chiusa e lontana da lui.

Non accese alcuna luce. Non voleva vedere il suo corpo. Non voleva sentire la fitta allo stomaco e quel dolore ai testicoli che i continui rifiuti generavano in lui. L’immaginava con la sua camicia da notte di cotone bianco sulla carnagione scura. Anche nel buio vedeva i suoi fianchi morbidi e la rotondità dei seni minuti trasparire sotto la mussola leggera, riviveva il piacere, tante volte provato, nel sentire sotto le dita il velluto delle sue cosce, ora sempre più serrate e irraggiungibili, e non poteva evitare che tossine d’astio si liberassero nelle sue vene.

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