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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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S’ìnfilò silenziosamente nel kimono di nera seta cinese e con un leggero fruscio sgusciò fuori dalla stanza.

Gettò un occhio nella camera di Valentina. La vide addormentata nel suo lettino abbracciata al suo coniglio di peluche bianco.

Le lenzuola e la leggera coperta giacevano in un mucchio confuso sul tappetino stampato con l’immagine di un prato fiorito; una piccola lampada proiettava sulle pareti e sul soffitto un cielo stellato e una grande luna sorridente.

Franco Faggioni sentì l’impulso di entrare ed inginocchiarsi di fianco a lei , di ricoprirla e di baciarle la fronte, ma l’idea che la bambina si svegliasse e cominciasse a chiedergli frignando di chiamare la mamma lo fece subito desistere.

Mentre entrava in bagno pensò a come gli era difficile, quasi impossibile, la relazione con sua figlia. La bambina accettava il padre solo quando la madre era presente, altrimenti si abbandonava ad irrefrenabili crisi di pianto. Quelle rare volte che era andato a prenderla all’asilo, aveva provato dei momenti di grandissimo imbarazzo. Se non vedeva la mamma Valentina cominciava a gridare e a scappare, si nascondeva sotto qualche sedia o qualche tavolo e piangeva istericamente, con convulsi singhiozzi.

Solo la grande pazienza del personale ed in particolare della maestra Elena, una donna sulla cinquantina con perfette movenze da chioccia, riusciva nell’impresa di calmarla e consegnarla allo stizzito genitore. Subito l’allacciava al seggiolino. Inseriva nello stereo il cd con le sue canzoncine preferite e liberava dall’involucro colorato un grosso chupa-chups pregando gli dei che la suzione dello zucchero e quei disgustosi suoni melliflui la tenessero buona fino a destinazione .

Amaranta aveva cercato di ridurre al minimo questi incontri ravvicinati tra padre e figlia .

Fin dai primi mesi della vita di Valentina aveva capito che Franco non sarebbe mai stato quel padre amorevole che aveva avuto lei.

Franco apparteneva a quel folto gruppo di maschi che rifiutano di occuparsi della prole, quindi si era sempre rifiutato di scaldare un biberon o di provare a cullarla nelle lunghe ore di pianto notturno.

Non voleva nemmeno spingere la carrozzina e provava un senso di grande ribrezzo ogni volta che aveva visto Amaranta cambiarle il pannolino.

Quando, dopo un lungo congedo, Amaranta ritornò a scuola, tutto fu organizzato in modo che solo a lei o ad una baby- sitter spettasse l’incombenza di accompagnare la bambina al nido d’infanzia, di andarla a prendere e di accudirla in tutto e per tutto.

Lui non voleva saperne, ma siccome gli imprevisti capitano a chiunque, in qualche occasione dovette pagare il prezzo di questa mancanza di consuetudine al rapporto con la figlia.

A modo suo Franco amava Valentina, la trovava bellissima, era come se la genetica fosse stata ispirata da una mano divina e avesse saputo infondere in quel corpicino le migliori caratteristiche fisiche dei genitori. Aveva i capelli scuri, pesanti, lucidi e lisci della madre, gli occhi azzurri di tutti i Faggioni, l’ovale delicato e le lunghe ciglia di Amaranta. Il suo naso perfetto era la coppia miniaturizzata di quello paterno, così come le orecchie ben disegnate e la forma della bocca, più minuta e preziosa di quella della mamma che aveva labbra sottili, piuttosto allungate. La pelle aveva un colore che sembrava l’esatta via di mezzo tra l’eburneo pallore del padre e la cioccolatosità della madre.

Eppure gli era così difficile stare con lei. Non sapeva proprio come fare, non c’erano cursori o manopole per regolarne il volume, non c’erano libretti d’istruzioni per l’uso, non c’erano sintonizzatori di lunghezza d’onda, telecomandi, selettori di funzioni.

Uno splendido design, un oggetto prezioso, ma ingovernabile.

Confidava nel fatto che, con il passare degli anni e il pieno sviluppo del linguaggio, la bambina avrebbe potuto più facilmente entrare in rapporto con lui e imparare a rispettarne il ruolo e l’autorità, ma questa speranza era già rosa dal tarlo del dubbio.

Amaranta, se continuava ad essere così ostinatamente ostile a lui e alla sua famiglia, avrebbe potuto agire in modo da screditarlo e da farlo apparire come un oppressore ed un nemico e si sarebbe creata nella sua casa una fazione di femmine sempre pronte ad opporsi al suo volere.

La stanza da bagno, che aveva fatto realizzare su progetto degli architetti del prestigioso studio Dini-Roeri, era insolitamente ampia, con un’enorme finestra bombata, composta da tanti riquadri di vetro opacizzato simili a grandi cristalli di ghiaccio.

La finestra guardava ad est e la luce del primo mattino rischiarava delicatamente tutto l’ambiente. Far costruire quella finestra era stata un’impresa piuttosto ardua perché la sua forma e la sua dimensione infrangevano un certo numero di norme che regolamentavano l’edilizia del comune di Milano. Babbo Domenico era riuscito a trovare il modo di aggirare ogni ostacolo e far condonare l’abuso con un piccolo esborso e qualche favore particolare al comandante dei Vigili Urbani e ad altri funzionari dell’Assessorato all’Edilizia.

Sul lato opposto alla vetrata troneggiava un doppio lavabo in marmo rosa, avvolto da una struttura di travertino e sormontato da una gigantesca specchiera che poteva assumere angolazioni diverse grazie ad un dispositivo elettronico, controllabile sia con un joystick, sia con un telecomando .

Il telecomando controllava anche la temperatura e la forza dei getti d’aria e acqua nella Jacuzzi a quattro piazze che occupava il centro della stanza, nonché le varie funzioni dell’impianto Bang-Olufsen sulla parete nord. Il pavimento e le pareti erano ricoperti da legno di abete norvegese e, sul lato sud, una cabina per la sauna dava un tocco decisamente scandinavo a tutto l’insieme.

Essendosi alzato così presto, Franco aveva tutto l’agio di godersi un lungo e confortante idromassaggio. Impostò la temperatura sui trentadue gradi, regolò la potenza dei getti a mezza forza, prese le cuffie a radiofrequenza e fece partire la compilation di musica new-age che raccoglieva composizioni di Harding eseguite da vari artisti.

Allungandosi nell’acqua tiepida e spumeggiante si ritrovò una volta di più a pensare a come sarebbe stato bello se tutto il mondo fosse stato concepito come la sua stanza da bagno.

Perfettamente pulito ed elettronicamente obbediente.

Senza contrasti, senza rivendicazioni, senza capricci, l’esistenza era un vero piacere.

Le note di Chariots of fire danzarono nel suo petto con l’orgoglio di essere riuscito a creare tanta perfezione attorno a sé, con la consapevolezza che anche nel suo lavoro aveva predisposto un’efficiente rete di fornitori e tecnici pronti a risolvere ogni problema e a soddisfare pienamente le esigenze della sua clientela.

Di certo la Jaguar che lo attendeva si sarebbe mostrata all’altezza delle sue aspettative: docile, silenziosa, scattante.

L’unico problema erano quelle femmine di casa, così poco inclini a essere telecomandate.

Forse questa volta suo padre aveva sbagliato.

Forse sarebbe stato meglio lasciare che quel ridicolo maestro se le fosse portate via una volta per tutte.

Perché non lasciarla andare ? A patto che portasse con sé anche Valentina.

Lui sarebbe rimasto solo a lungo.

Solo e in pace, si sarebbe occupato ancor più e meglio del suo lavoro, avrebbe avuto più tempo per i suoi hobby e per la sua palestra. Magari si sarebbe anche concesso il gusto di qualche bella scopata. I giornali erano pieni di annunci di ragazze squillo che in qualsiasi momento erano disposte a vendergli un’ora o una notte di piacere.

AAA a tuo domicilio bellissima rumena quinta misura per portarti in paradiso.

AAA attivati subito ce l’ho tondo come un mappamondo. Solo per distinti, anche a domicilio.

Avrebbe potuto portarsele in quella vasca , anche due alla volta. Il Bang – Olufsen avrebbe diffuso calde note dalla sua compilation Erotika , lui avrebbe regolato la specchiera in modo da potersi ammirare nella sua prestanza mentre si toglieva ogni voglia, usando i corpi di quelle due schiave per il suo godimento, come un divo a luci rosse , come un imperatore romano.

Aveva già cominciato a masturbarsi e il suo uccello era sull’attenti come un bravo legionario, sentiva fortissima la voglia di eiaculare, ma si arrestò.

Si alzò in piedi e si avvicinò al grande specchio. Contemplò con fierezza la sua immagine di maschio in erezione; era asciutto e muscoloso. Gli addominali perfettamente tesi, i pettorali ben sviluppati, le spalle larghe, i muscoli delle braccia e delle gambe ben definiti e tonici. I glutei sodi e piccoli . Era alto, era biondo, aveva gli occhi azzurri e un bel cazzo lungo e duro, con la cappella rossa e tonda come un frutto delizioso.

Sapeva di piacere a molte donne. Lo sentiva quando le sue clienti entravano nel negozio e gli sorridevano, lo sentiva ancor più quando lo ricevevano nei loro appartamenti per un sopralluogo, per un progetto d’installazione. Sentiva il loro desiderio, la richiesta muta di un atto di violenza, la voglia pazza che evaporava da camicette che non erano mai troppo abbottonate, da pantaloni spesso troppo attillati, da gonne sempre troppo corte.

La sua risposta era sempre univoca: niet!

Galante , premuroso, sorridente , ma very cool , glaciale.

Prima regola : mai compromettersi con la clientela , mantenere il proprio ruolo ad ogni costo.

Ogni intimità, ogni confidenza sarebbe costata cara, troppo cara.

Ci voleva costanza, disciplina e senso del dovere, tutte cose che suo padre gli aveva trasmesso in abbondanza. Per cui si compiaceva di quelle attenzioni, di quei seni ansanti, di quelle gambe pronte ad aprirsi, ma non ne approfittava mai.

Anche Amaranta, prima che nascesse Valentina, gli faceva sentire quanto fosse desiderabile come stallone, come amante .

Anche con lei faceva resistenza, quando sentiva che lei aveva voglia di fare all’amore provava gusto a negarsi : il lavoro, la palestra, una lontana fiera specializzata, una mostra di nuovi modelli d’automobili…spiacente.

Quando invece lei era stanca, preoccupata, poco disponibile, allora lui provava il desiderio irresistibile di possederla, di sottometterla, di entrarle dentro a forza e sfregarsi tra le pareti asciutte della sua vagina, mordendole i capezzoli e graffiandole la schiena. Il punto più alto del piacere arrivava nel momento in cui, dopo aver gridato no decine di volte, improvvisamente lei gli si arrendeva e sottomessa giaceva al suo assalto, sconfitta un’altra volta.

Dopo l’arrivo di Valentina, tutto si era complicato, era come se lei non lo desiderasse più, quasi che la relazione con la piccola la appagasse completamente e lui non fosse divenuto che un accessorio ingombrante e spesso inutile.

Lui era pronto a resistere per qualche settimana e quando vide che l’andazzo si prolungava ben oltre i primi due mesi la prese di forza e la inchiodò al materasso.

Ma fu l’ultima vera soddisfazione.

Improvvisamente qualcosa scattò.

Amaranta non gli oppose più alcuna resistenza.

Quando Franco ne aveva voglia, poteva accomodarsi e far quel che voleva, lei era altrove, pronta a disarcionarlo in qualsiasi momento per correre dalla bambina al primo vagito.

Quindi aveva cominciato ad essere sciatta e trascurata, sempre in vestaglia, avvolta in quell’odore di latte rancido che per più di un anno aveva continuato ad offrire alla piccola dai suoi seni gonfi culminanti in due capezzoli rossi come peperoncini piccanti.

Valentina poteva succhiarli e morderli, ma appena lui si azzardava a sfiorarli veniva coperto di insulti.

Quando finalmente si decise a separarsi dalla bambina e a tornare a scuola, Amaranta si allontanò ancor di più.

Il capo chino sulle pile di quaderni da correggere, libri di pedagogia e riviste specializzate, ovunque trattati di ogni tipo sui bambini da zero a undici anni.

Madre solerte, insegnante modello, moglie in fuga.

Per finire poi a lasciarsi sedurre dalle bambinate di quel Bacci, dalla letteratura latino- americana e dalle farneticazioni post-femministe di quell’onnipresente, onnisciente, avvizzita sirena a nome Rita.

In ultimo, da quando era stata scoperta, Amaranta era diventata inavvicinabile. Chiusa come un riccio. Quelle rare volte che aveva tentato di prenderla, aveva reagito con graffi morsi e raffiche di patetici pugnetti disperati.

E lo aveva minacciato.

-La prossima volta grido così tanto che i vicini saranno costretti a chiamare i carabinieri e sono sicura che a tuo padre non farà piacere.

Aveva anche chiesto di andare a dormire nella camera degli ospiti, ma il permesso non le era stato accordato, né la bambina né la domestica dovevano sospettare alcunché, altrimenti…

Franco Faggioni vide nello specchio che questi pensieri facevano un brutto effetto alla sua erezione. Per interromperne il flusso comandò alla Jacuzzi di smettere di ribollire e di scaricarsi, alla musica new age di tacersi e al suo sperma di attendere un’occasione migliore per spandersi nel vasto mondo.

Si rasò con cura meticolosa,concentrandosi nel taglio del pelo per allontanare minacce di malumore.

Dopo essersi accertato di aver eseguito un lavoro a regola d’arte, s’infilò nell’accappatoio di morbida spugna bianca, fresco e leggero come un fiocco di cotone e si diresse nella stanza guardaroba con l’intenzione di vestirsi in maniera adeguata per la grande occasione.

Entrò subito nella cabina armadio e indirizzò immediatamente lo sguardo verso il settore completi, scelse senza esitazione un tre pezzi di Caraceni, grigio canna di fucile.

Mentre lo sfilava dalla barra appendiabiti si accorse che il Caraceni era appeso proprio accanto al tight che aveva indossato il giorno del matrimonio.

Quel matrimonio gli appariva ora come la più grande idiozia della sua vita.

Lo aveva voluto ostinatamente, aveva dovuto discutere per interminabili ore con suo padre che cercava di dissuaderlo sventolandogli sotto il naso l’elenco di ragazze di buona famiglia e solida dote con cui aveva progettato di accasarlo. Amaranta invece era una specie di mezzo sangue,senza arte ne parte , senza denaro e proprietaria solo di un miniappartamento. Il suo stipendio da maestra non sarebbe nemmeno bastato a pagare la colf e la bambinaia.

Mentre estraeva da un cassetto una camicia Oxford siglata con la doppia effe delle sue iniziali, Franco rievocò quanta soddisfazione gli aveva dato il riuscire a controbattere tutte le obiezioni che il padre aveva sollevato.

Il gusto d’infrangere i divieti e sfidare le minacce paterne era stato un piacere impagabile.

Osservò con attenzione la magnificenza delle cento e più cravatte perfettamente allineate in file di dieci sugli appositi ganci d’ottone appesi al fondo della cabina armadio. Piccole alogene, occultate nel soffitto di legno, diffondevano una luce che esaltava la ricchezza dei tessuti e dei loro colori.

Le cravatte sembravano bandiere e stendardi che garrivano al vento per celebrare la sua gloria di cavaliere invincibile.

Aveva conquistato Amaranta, aveva domato la volontà del padre, aveva stracciato la concorrenza, scoperto ed annichilito il rivale che aveva osato insidiare la fedeltà di sua moglie e ora stava per catturare il giaguaro argentato.

Afferrò una cravatta con dorati leoni rampanti su uno sfondo purpureo e nell’annodarla si sorprese a domandarsi se fosse mai stato veramente innamorato di sua moglie.

Stronzate!

Questa baggianata dell’innamoramento era una bufala cosmica che andava bene per i venditori di romanzi e i produttori di telenovelas.

Tra uomo e donna non c’era e non poteva esserci alcuna forma d’amore, solo desiderio di conquista e possesso. Uno dei due conquistava l’altro e s’impadroniva dell’esistenza del partner asservendolo ai propri fini. Stop.

Il matrimonio era il contratto che legalizzava e consolidava questa conquista.

Nella scarpiera, l’occhio cadde subito sulle Church nere e senza esitazione decise che avrebbe lasciato a quelle calzature il compito di metterlo in contatto con la pedaliera del suo nuovo, pregiatissimo veicolo.

Nonostante le scarpe fossero perfettamente lustre, Franco non riuscì ad impedirsi di strofinare quel cuoio nero per qualche minuto.

Il nero lo attirava, se poi era così lucido da potercisi specchiare, lo faceva impazzire.

I capelli color corvo e gli occhi di carbone di Amaranta avevano acceso in lui il desiderio di conquista e di possesso. Quel nero e la sua selvatichezza, quell’aria di diffidenza felina e la facilità nel mostrare le unghie e fare le fusa lo avevano attratto al punto di sentirsi pronto a lasciare la sua dorata esistenza da giovane scapolo e giocare ogni sua carta per catturare la ragazza che -illegalmente- si era issata sulla barca dei Faggioni.

Lui era sdraiato sul flying bridge ad abbronzarsi al sole di un caldissimo giugno. Come in una scena girata per un film di James Bond, schiuse leggermente gli occhi, scostò pigramente il bicchiere del Martini che aveva posato accanto al viso e gli impediva di vedere per quale motivo la catena dell’ancora di prua cigolasse così rumorosamente.

Sul Lago Maggiore quel pomeriggio non c’era brezza e la superficie era piatta e liscia come un olio, ciononostante la catena oscillava e raspava il ponte.

Dal lato inferiore del suo campo visivo cominciò ad apparire una mano abbronzata che si allacciò con le lunghe dita all’estremità superiore della bitta cromata.

Come sollevato da un meccanismo idraulico ed invisibile, con fluida continuità l’intero corpo di una giovane donna in bikini si issò sul bianco ponte.

Tutto sembrava congiurare per rendere quella visione il più accattivante possibile: lo sfondo perfettamente blu del cielo, il contrasto tra il bianco del ponte ed il nero del bikini che copriva appena le parti più intime di quella creatura deliziosa, apparsa agli occhi dell’assopito Faggioni come in un sogno erotico.

Una volta sul ponte, con due rapidissimi movimenti la ragazza raggiunse la gabbia di prua e la scavalcò rimanendo per qualche secondo come una polena vivente a stagliarsi nell’azzurro.

Poi, con un guizzo si lanciò ad angelo e scomparve.

Ci furono alcuni secondi in cui Franco Faggioni rimase a domandarsi se quello che aveva visto appartenesse al mondo reale o se si trattasse di un‘allucinazione ipnagogica o di un delirio provocato dal Martini e dal calore eccessivo, a cui aveva imprudentemente esposto la sua nuca di cittadino.

Poi vide di nuovo la catena oscillare e senza più esitare si fiondò giù dalla scaletta arrestandosi davanti alla bitta con le mani sui fianchi.

Quando Amaranta si fu issata a sufficienza per permettere al suo sguardo di poggiarsi per la seconda volta sulla superficie del ponte, rimase a senza fiato nel vedere quei due piedi pallidi e lunghi a qualche centimetro dalla sua faccia.

Fu tentata di mollare la presa e sparire immediatamente sott’acqua, ma non seppe resistere alla curiosità e così, con una panoramica verticale da spaghetti western, i suoi occhi risalirono lungo le gambe indiscutibilmente virili, sorpassarono il pacco dei genitali avvolti dallo slip, accarezzarono l’addome ed il petto del giovane e si arrestarono negli occhi di lui, di in azzurro talmente chiaro da sembrare incapaci di resistere alla forte luce estiva. Un generale di vent’anni, occhi turchini e giacca uguale, un generale di vent’anni figlio di un temporale.

Franco le tese una mano e appena lei l’ebbe afferrata la sollevò in piedi sul ponte.

- Come proprietario di questa imbarcazione sono costretto a chiederle le sue generalità e ad invitarla a fornirmi un’accettabile giustificazione per questa sua non autorizzata intrusione a bordo del mio natante.

Gli occhi turchini si fingevano severi e il significato di quelle parole le era chiarissimo, voleva da lei quello che volevano tutti i maschi che incontrava.

Sfoderò un sorriso di un candore disarmante e con una voce in cui non c’era alcuna traccia di paura o soggezione rispose.

- Amaranta Blanquez, adoro tuffarmi.

- Ero certo che non fosse italiana.

- Mi spiace infrangere le sue certezze, ma sono italianissima . sono nata a Luino.

- Guardi che non le conviene burlarsi di me, posso chiamare i carabinieri e farla arrestare per violazione di proprietà privata oppure….

- Oppure accettare il suo invito per la cena di questa sera.

- Perspicace !

- Forse. Diciamo che voi uomini siete piuttosto prevedibili. Comunque la ringrazio, ma ho da fare.

- Non vorrà mica costringermi a chiamare i carabinieri?

- Chiami pure chi le pare, tanto non sono mai salita su questa barca.

Con un semplice passo all’indietro si lasciò cadere e con un tuffo a candela s’inabissò.

Appena riemersa, si allontanò dalla barca con rapide bracciate.

Franco Faggioni rimase impietrito per qualche istante, quindi corse alla cabina di comando per procurarsi un binocolo e seguirla fino a riva. A metà percorso credette di vederla voltarsi sul dorso e ridere beffarda. Ma il movimento, gli spruzzi, la sfocatura dell’immagine, non gli permisero di vedere bene il viso della nuotatrice.

La osservò sdraiarsi al sole, si accertò che nessuno le si avvicinasse per farle compagnia.

Allora comprese che era arrivato il momento di mettersi sul sentiero di caccia.

Mentre calava il gommone si convinse che non avrebbe più potuto godersi la sua splendida gioventù se non fosse riuscito nell’impresa di conquistare e domare quella donna.

Calzò le Church aiutandosi con un lungo calzascarpe di corno.

Mentre allacciava i bottoni del gilet si rimirò allo specchio, prima frontalmente, poi verificò entrambi i profili. Perfetto.Si guardava e si piaceva.

Anche la sua vita avrebbe potuto essere perfetta.

Ma non era così facile cambiare moglie e figlia, non era come cambiare auto.

Di certo nessuno gliele avrebbe valutate così bene come aveva fatto Ignazio con la BMW, anzi i divorzi comportavano sempre una quantità di spese che si trascinavano per anni e anni.

Uffa! Anche suo padre avrebbe cambiato …

Non ne poteva più di sentirsi alitare sul collo.

Decise di non allacciare la giacca e con un senso di fastidio se ne uscì.

Mentre scendeva con l’ascensore al piano sotterraneo per raggiungere il box si ritrovò a fantasticare una fuga in grande stile. Con un buon piano, avrebbe potuto procurarsi un bel gruzzoletto, documenti falsi e un esilio dorato.

Che ci voleva?

Solamente un po’ d’astuzia, sangue freddo e pelo sullo stomaco, caratteristiche che non gli mancavano.

Premette il tasto del piccolo telecomando agganciato alle chiavi dell’auto e la porta basculante del box si sollevò con un impercettibile ronzio.

Separarsi da tutte le sue belle cose era l’ostacolo più grande.

Quella BMW, con la sua splendida carrozzeria verniciata di nero metallizzato, con i suoi comodissimi sedili, era un oggetto che non era facile da abbandonare, anche se questa separazione gli permetteva di accedere ad un’auto più prestigiosa da ogni punto di vista, non poteva nascondersi di essere dispiaciuto.

Mentre la conduceva lentamente, per l’ultima volta, sulla rampa d’uscita accarezzò il volante di radica e la morbida pelle del sedile del passeggero.

Era ormai giunto quasi all’uscita ma dovette fermarsi un attimo, sui suoi occhi era sceso un velo di commozione che gli impediva di vedere bene.

“ Via non essere sciocco- si disse- quel che ti ci vuole ora è un bel caffè, una scorsa ai titoli della Gazza e guardare avanti.”

Guardò avanti e vide oltre il cancello elettrico che si stava aprendo un uomo in sella ad una motocicletta rossa fermarsi proprio sul carraio.

“ Brutto pirla , non hai visto i lampeggianti gialli.- mormorò tra sé nel chiuso del suo abitacolo- Stronzo, perché non ti sposti qualche metro più in là? ”

L’uomo indossava un casco giallo con una visiera brunita e un giubbotto marrone che ricordava quello del Bacci.

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