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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Domenico Faggioni uscì dalla sua nuvola di fumo, di fronte all'espressione sempre più smarrita del figlio, sollevò stizzosamente la cornetta del telefono e compose il numero di casa Bacci.

-Cazzo! Non è in casa. C'è la segreteria. Uguale.

Aspettò il bip e con tutta la rabbia che gli urgeva in gola sentenziò:

- Delinquente! Devi smetterla.

Alle sette e mezza dell'undici settembre 2003 Marco Bacci uscì di casa, incontrò la portinaia che strofinava con un panno la grossa maniglia del portone, alla vana ricerca di una lucentezza che i fumi di scarico avrebbero appannato in pochi minuti. La salutò con un cenno del capo e schizzò in strada come se avesse una gran fretta.

In realtà aveva un'ora e mezzo a sua disposizione per compiere un tragitto di soli cinque chilometri. Con la 95 ci avrebbe impiegato circa quaranta minuti.

Se avesse usato un'automobile anche un'ora.

Poiché non possedeva alcun genere di veicolo a motore non correva il rischio di sottoporsi a questo genere di autotortura.

Quando pioveva si regalava una mezz'ora abbondante di traballante lettura nella calca dell'autobus, quando c'era il sole inforcava la sua vecchia bici e in un quarto d'ora arrivava a scuola.

Quel giorno il tempo era incerto e, come sempre in quei casi, si risolse ad andare al lavoro a piedi.

A dire il vero in molti avevano cercato di convincerlo a rinunciare sia alle pedalate che alle camminate giudicate insalubri per via degli inquinanti.

Come misura cautelare Marco Bacci si limitava a scegliere percorsi con attraversamenti di giardini asfittici e vie con minor traffico e poche corsie.

In fin dei conti credeva ancora alle leggi di Darwin e riteneva che sarebbero sopravvissuti quegli individui capaci di adattarsi ai veleni dell'ambiente e a convivere con il cancro.

Ormai nessuno, nemmeno lui, sperava che i metropolitani si accorgessero che la maggior parte della cittadinanza avrebbe facilmente migliorato la propria qualità di vita rinunciando all'automobile.

.

Alle otto e dieci era quasi arrivato e decise di premiare il suo sforzo podistico con il miglior cappuccino e il miglior cornetto di tutto il sud-ovest milanese.



Il caffè pasticceria Orlandi non era molto accogliente, nonostante fosse curato pulito e super lucidato, comunicava una freddezza metallica e spigolosa che Marco avrebbe sicuramente evitato se non ci fossero stati l'eccellente qualità dei prodotti e lo sguardo soddisfatto della signora Orlandi nel vedere le espressioni di godimento che si dipingevano sui volti degli avventori non appena addentavano un cornetto alla crema o alla sfoglia di mandorle. Erano dolci veri, appena confezionati dal signor Orlandi nell'attiguo laboratorio, sapevano veramente di burro, crema, cacao ... Nella Milano del fast -food, precotto, congelato, omogeneizzato, bombardato dalle microonde per essere scaldato e ammosciato, quella pasticceria era un vero miracolo. Gli avventori ne erano consapevoli e sarebbero stati disposti a pagare anche il doppio pur di potersi garantire quel piacere più unico che raro.

Il maestro Bacci scelse un cornetto con la crema chantilly e la marmellata di lamponi.

Il cornetto era fragrante e il cappuccino semplicemente perfetto.

Aveva imparato a gustarsi la colazione senza fretta.

Si portò quindi in un angolo del locale e cercò di estraniarsi da tutto per immergersi nel suo piccolo piacere. Una volta, prima del naufragio, amava definirsi un gourmand.

La passione per la buona tavola gli si era appiccicata addosso fin da piccolo e se non era anch'egli obeso, lo si doveva alla scarsezza di mezzi economici e alla quantità di chilometri macinati, camminando, correndo e pedalando. La pinguedine del quarantenne non lo aveva risparmiato e quella sua pancetta troppo sporgente attirava le attenzioni di tutti i suoi amici e parenti che continuavano a consigliargli dietologi e terapie di ogni sorta.

Sembra che oggi non possa esistere nulla di più indecente di una pancia prominente.

Non importa se tradisci tua moglie o se la spii o la ricatti. Non importa se sei farmacodipendente o non puoi addormentarti senza la televisione. L'importante è che tu appaia asciutto e in linea. Anche se per ottenere questo devi prendere anfetamine o sottoporti a liposuzione. Devi restituire alla società un'immagine di te che nel suo centro esibisca un ventre piatto e ben teso.

Anche il suo corpo esibiva un evidente non allineamento ai dettami del suo tempo, ma guardandosi intorno gli sembrava di essere in buona compagnia.

I golosi, gli ingordi e i famelici, i buongustai e i gozzovigliatori erano una tribù che ancora si aggirava numerosa, trasgredendo prescrizioni e buoni consigli.

Negli anni trascorsi con sua moglie era riuscito a farsi concedere una certa libertà d'azione ai fornelli e dopo qualche tempo anche lei aveva cominciato a mettere su qualche chilo. Non era certo grassa, ma almeno non le si contavano più le ossa.

Riusciva anche a farsi accompagnare in esplorazioni enogastronomiche nella ricca offerta di ristoranti milanesi.Quando gli andava bene e il cibo e i vini le risultavano graditi, sua moglie diventava anche allegra. E in quei momenti Marco Bacci riusciva a sentirsi contento, a sperare ancora che fosse possibile aprirsi un varco nel suo cuore e diventare veramente importante per lei.

Questi pensieri, sommati alla notte agitata, gli provocarono un affollamento di lacrime agli angoli degli occhi. La vista si appannò e in un attimo due solchi liquidi gli rigarono le guance per poi perdersi nel folto della barba.

Non sapeva più che fare, l'imbarazzo lo paralizzava. Doveva asciugarsi le lacrime pagare ed uscire al più presto. Prima che arrivassero i singhiozzi.

Cercò invano i fazzoletti di carta nella tasca del giubbotto. Si trovò costretto a tirare su rumorosamente con il naso ed a cominciare ad asciugarsi gli occhi con le mani.

- Prenda questi, prego.

Una mano di donna gli stava porgendo dei fazzoletti di carta.

-Grazie mille, molto gentile.

-Si figuri, anch'io sono come lei.

Marco rallentò il suo lavoro di tamponamento falla e sollevò il volto dal fazzoletto per guardare la sua soccorritrice.

Una donna sulla trentina con la capigliatura di lunghi boccoli castano scuro, un visino da bambolina impertinente che gli richiamò subito Maria Schneider in Ultimo tango, stava di fianco a lui e sembrava ridere e piangere al contempo.

Mentre si asciugava due grossi lacrimoni, perle di cristallo agli angoli di due grandi occhi di un verde intenso, occhi puliti e senza trucco, la donna ammiccò verso il televisore, in un angolo in alto,alla sinistra di Bacci.

L'apparecchio continuava a trasmettere le famose sequenze dell'attentato alle Torri Gemelle per commemorarne il secondo anniversario.

-Non posso farci niente - disse la donna con la voce spezzata da quegli strani singhiozzi che a tratti sembravano risatine -Non posso farci niente, ogni volta che vedo queste scene e penso alle persone prigioniere in quegli aerei e a quelli che hanno visto la loro morte esplodergli addosso mentre erano seduti alla scrivania, quando penso a tutto quell'orrore, anch'io come lei scoppio a piangere.

La donna finì di tergersi gli occhi e buttò il fazzoletto fradicio in un cestino, poi allungò una mano verso la spalla di Marco.

Era una mano affusolata, bianca, che, prima di ritrarsi, sfiorò dolcemente la ruvida pelle del giubbotto turco che Marco indossava quasi tutti i giorni dell'anno.

- Grazie per aver pianto con me- disse con un sussurro - Di solito penso di essere l'unica scema.

Il misto di vergogna e dolorosi rimpianti stavano improvvisamente lasciando il posto ad una crescente commozione e ad un grande afflato empatico nei confronti di questa femmina sconosciuta e dei suoi equivoci. Era così emozionato che avrebbe potuto dire un'idiozia alla Woody Allen in Provaci ancora Sam, qualcosa tipo:" Tu sei ragazzamente bella."

Fissò ancora un attimo il televisore, si stupì di quanto fossero antiquati i film che gli affioravano alla memoria, si vietò di accennare al vero motivo delle lacrime sparse e nel contempo decise di astenersi da qualsiasi approccio di tipo personale. Quindi disse la prima frase che gli sembrava appropriata tra tutte quelle che attraversavano il vuoto panico del suo cervello:

-Chissà quante persone in quel momento hanno potuto rendersi conto di quello che stava accadendo? Tutti sono morti credendo di essere vittime di un incidente, ignari di essere il bersaglio di una mostruosa barbarie. E quanti tra noi che siamo sopravvissuti stanno muovendosi nella direzione giusta per impedire una nuova tragedia?

A lui sembrava che in quel momento la direzione giusta fosse quella che li avrebbe portati ad un abbraccio strettissimo, bagnato da lacrime e baci, ma non ebbe il coraggio di muoversi, anzi provò quasi vergogna per quel pensiero e abbassò lo sguardo, con il risultato di scoprire che, sotto un leggero spolverino rosa, la sconosciuta esibiva una minigonna di finta pelle nera e un paio di gambe snelle e nervose, da ballerina di flamenco pensò, inguainate da calze a rete.

Era ora di chiudere il discorso e scappare.

- Grazie per i fazzoletti, siete stata davvero gentile.

- Ma che dite? - si schernì lei - Non volevo che lei si rovinasse i suoi begli occhi azzurri, stropicciandoseli selvaggiamente.

- Come sarebbe a dire?

- Che l'ho già vista qua altre volte. Alcuni mesi fa, durante la primavera scorsa. Allora sembrava molto più afflitto e sciupato di oggi. E anche se non piangeva, sembrava avere il piombo nello sguardo.

Quanta parte che avrebbe voluto tenere segreta era già stata esposta allo sguardo di quella donna di cui non si era mai accorto!

Marco avrebbe voluto comporre lì per lì un peana per glorificare le bellezze muliebri di quella squisita creatura o per lo meno dirle che quegli occhi verdi che lo stavano guardando con tanta dolcezza erano autentici gioielli, ma l'impaccio era troppo grande e si sentiva la lingua impastata, come se la chantilly e la confettura di lamponi gliel'avessero ancorata al fondo del palato.

Non riusciva ad essere schietto e diretto come lei.

Non poteva ricambiare gli inattesi complimenti.

Balbettò.

-Mi devo scusare, ma non riesco a ricordarmi di lei. Non credo che sia facile scordarsi di una ...insomma ... una donna come lei.

-Ma lei non poteva vedermi, aveva lo sguardo piombato. Comunque mi chiamo Laura.

Lo disse tendendogli la mano con gesto quasi virile

-Io sono Marco - le strinse la bella mano con garbata energia - Lavoro qua vicino.

- Anch'io. Purtroppo ho paura di essere in ritardo. Spero di rivederla.

-Sicuramente.

Con un rapido gesto Laura prese la sua borsa appoggiata ad uno sgabello e ondeggiando dolcemente sui tacchi alti infilò la porta e scomparve.


Mentre a passi rapidi copriva l'ultimo tratto di strada, Marco Bacci stentava a riconoscersi. Aveva voglia di fischiettare, saltellare, correre.

Ridendo di se stesso e di quel piacere che gli scorreva dentro per via di quel fortuito incontro, si ritrovò a fantasticare su quando sarebbe avvenuto il prossimo.

L'indomani le lezioni sarebbero iniziate alle otto e mezza. Pedalando rapidamente gli sarebbero bastati un paio di minuti per raggiungere la scuola dalla pasticceria; se Laura era un'habituèe delle otto e dieci, come si poteva dedurre dai suoi accenni al periodo della primavera scorsa, avrebbero avuto un buon quarto d'ora a loro disposizione per una nuova chiacchierata. E in quel caso avrebbe dovuto cercare di non farsi fregare dall'emozione.

Però doveva stare anche attento a non far la parte del bavoso morto di fame.

Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva fatto l'amore?

Sei mesi? A lui sembrava che fosse accaduto in un'altra era geologica o in una precedente vita.

"Ma che vai fantasticando, maschiaccio libidinoso e coglione!" si rimproverò " Non sai niente di quella donna, potrebbe essere madre e moglie felice. Tieniti lontano dai guai che ne hai già avuti abbastanza."

Per quanto si rimproverasse, per quanto spazio scenico lasciasse al Grillo Parlante , nel suo teatrino interiore Pinocchio sgambettava contento ed era pronto ad infilarsi dritto dritto nel ventre della balena, attratto da quella inaspettata visione di sirena.

Tutto gli appariva diverso e più facile. L'ottimismo e la voglia di vivere pienamente la vita, erano nuovamente spuntati al suo orizzonte.

Senza nemmeno accorgersene incominciò a correre velocissimo e quando fu giunto a qualche metro da un cartello di divieto di sosta, saltò più alto che riuscì e con la mano tesa picchiò un violento colpo sulla lamiera, gridando di gioia come aveva fatto a quattordici anni quando per la prima volta era riuscito in quell'impresa , quando per la prima volta aveva creduto di essere diventato grande abbastanza.

Seduto davanti alla Gazzetta dello Sport, il custode della scuola sembrava aspettarlo.

-Buon giorno e buon anno, maestro Bacci.

- Anche a lei signor Sanvito.

Il custode, marcando la zoppia che lo aveva costretto a lasciare l'Arma dei Carabinieri in seguito ad un incidente automobilistico per cause di servizio, si sollevò dalla sua postazione e gli sbarrò il passo.

-Maestro - disse con voce grave - ho bisogno di un suo parere.

-Spero di poterle essere utile, ma le consiglio di non fidarsi troppo dei miei pareri.

Il Sanvito si guardò intorno con aria circospetta.

Dopo aver verificato che l'atrio era deserto e che in lontananza si vedeva una sola commessa intenta a spazzare un corridoio, susssurrò:- Ho scommesso cento euro sull'Inter prima in campionato. Ho fatto bene? La danno a cinque.

-Bé, non posso augurarmi altro che lei incassi la vincita. Sono molti anni che aspetto una vittoria della Beneamata.

-Certo se avessimo acora Ronaldo e Roberto Carlos, potremmo andare sul sicuro.

Bacci sorrise e battendo amichevolmente una mano sulla spalla del custode, con fare complice proferì il suo verdetto:

- Se la nostra Inter fosse una squadra affidabile, nessuno la darebbe a cinque. No? In ogni caso non ho più la voglia di pensarci troppo e di soffrire per il calcio. Anche se so già che ogni domenica tenderò almeno un orecchio per sentire come sta andando.

-Io ho fatto l'abbonamento a Sky - affermò con soddisfazione il Sanvito.

- Io ho buttato il televisore nel cassonetto - ribattè Bacci con altrettanto gusto.

-Perché?


-Similia cum similibus.

-Cioè?


- Mi faceva schifo.

- Maestro, senza offesa: lei è pazzo.

L'insegnante rise di gusto e il custode lo imitò.

Il freddo atrio marmoreo fece echeggiare le loro risate su per le scale che con una certa maestosità salivano al piano superiore.

Una luce grigia filtrava dagli ampi finestroni di vetro smerigliato.

Tra pochi minuti un migliaio di bambini avrebbero invaso l'edificio scrollandolo dal torpore estivo, facendo vibrare ogni mattone della scuola sotto una folle galoppata .

Ogni mattina bisognava verificare chi fosse il più lesto e il primo giorno di scuola questa gara era ancora più importante, lungamente attesa , desiderata.

La porta si aprì e in gruppetto di colleghe fecero il loro ingresso.

Ci fu un rapido scambio di saluti, poi le maestre si allontanarono quasi avessero paura di essere coinvolte nei discorsi di quei due uomini dall'aria così divertita e così fuori luogo per un momento da affrontarsi con ben altra solennità.

-Le chiavi del laboratorio sono sempre al solito posto ?- si informò Bacci dirigendosi verso la bacheca in cui erano appesi i numerosi mazzi di chiavi che servivano per chiudere armadi, scaffali, laboratori e magazzini.

- Certo, faccia pure , ma mi raccomando chiuda bene. Ho paura che ci sia qualche mascalzone pronto a fregarci.- disse il Sanvito divenendo immediatamente serio, preoccupato.

-Come mai dice questo?

Un brivido attraversò la schiena del Bacci.

-Ieri notte ho sentito dei rumori. Ho svegliato mia moglie e ci ho detto "Tonia c'è i ladri, tu esci e fai luce con la pila che io ti vengo dietro nel buio con la Beretta."

-Sanvito! Non mi dica che avrebbe veramente sparato?

-Sicuro - asserì il custode con una punta di risentimento - quei fetenti imparano solo quando sono imbottiti di piombo.

Svanita di colpo l'allegria che sperava potesse accompagnarlo.

- Non ha trovato nessuno, vero Sanvito?

- No. Non c'era più nessuno. Abbiamo fatto il giro della scuola, abbiamo acceso tutte le luci, controllato gli uffici e i laboratori..Tutto a posto tranne ...

-Tranne ?- chiese ansioso il maestro, presentendo già che la risposta lo avrebbe riguardato.

-Tranne il laboratorio linguistico. Aperto e con le luci accese, ma non mancava niente..

Lo stavano ancora tenendo d'occhio.

I Faggioni non erano ancora tranquilli e volevano verificare che alla ripresa dell'anno scolastico non ci fossero nuovi contatti con Amaranta.

-Forse si è sbagliato- buttò lì con scarsa convinzione- forse mi sono dimenticato di spegnere le luci e di chiudere il laboratorio quando sono venuto qualche giorno fa a preparare il materiale.

-Impossibile me ne sarei accorto prima.

Era inutile insistere e anche sperare che fossero veramente ladri.

-Mi raccomando Sanvito. Non corra più rischi. Chiami il 113 la prossima volta.

- Ma sta scherzando. Dopo tutti gli anni di servizio nell'Arma, questi ladruncoli mi fanno un baffo.

- Ma le sue pallottole possono far davvero male, possono anche uccidere.

-E allora? Quelli sono dei fetenti, degli infamoni che non meritano di vivere!

-Accidenti! Sanvito, non tocca a noi decidere chi vive e chi muore.

Con un gesto di stizza afferrò le chiavi e a rapidi passi si allontanò.

Il ragazzino di quattordici anni non aveva più la forza di saltare.

Marco Bacci si sentì nuovamente piccolo e debole e desiderò il buio della sua stanza e il calore delle sue lacrime.

Sanvito fece squillare la campanella e il frastuono della carica dei mille rimbombò improvviso e fragoroso come sempre.
La prima ora Marco Bacci avrebbe dovuto affrontare la IV A.

Diciannove ragazzi piuttosto turbolenti, di cui tre erano cinesi, due albanesi, uno rumeno.

Il più difficile era un milanese purosangue, Alex, che fin dalla prima elementare aveva dato parecchio filo da torcere ad insegnanti e compagni.

La sua scheda personale parlava di depressione cronica con disturbo della condotta. Che tradotto significava calci e pugni per tutti, compresa la Direttrice, qualche tentativo di furto maldestramente fallito, qualche aggressione all’arma bianca ( coltelli da cucina, forbici da sarta, taglierini per balsa...) e altre bazzeccole del genere cui la scuola aveva risposto affidandolo per alcune ore ad una maestra di sostegno piuttosto coraggiosa ed armata di santa pazienza.

Fortunatamente questa riuscì a trasformare in breve tempo l’iniziale violenza fisica e la smodata aggressività in atteggiamenti più consoni alla vita scolastica.

Nel giro di un paio d’anni le rabbie di Alex trovarono sfogo in un turpiloquio da portuale e in esibizioni di grande abilità nel centrare con gli sputi i più svariati bersagli.

Una delle sue insegnanti non aveva retto a tanto e dopo alcuni travasi di bile chiese ed ottenne di essere assegnata ad altra classe.

Sostituti e superstiti proseguirono nel difficile cammino fino ad ammansire completamente la belva.

Ora i compagni si vendicavano delle angherie subite spingendo Alex a fare le cose più assurde ed umilianti, senza mancare di sottolineare con crudeltà ogni suo difetto, ogni sua difficoltà.

I genitori di Alex avevano già abbastanza problemi per cercare di andare oltre il loro passato da tossicodipendenti e tutto quello che riuscivano a fare per il loro figliolo era l’acquistare confezioni all’ingrosso di merendine ultranocive da ogni punto di vista, consumate con accanimento dal bambino nelle serate davanti alla tele, fino all’immancabile attacco di vomito.

Marco Bacci e Alex avevano fortunatamente un buon rapporto.

Anche se il piccolo non sapeva nemmeno contare fino a dieci in English, Marco sapeva trovare ogni occasione per gratificarlo e farlo divertire. Tra i due correva una specie di affetto e spesso Alex si confidava con il suo Teacher per avere aiuto e solidarietà nella sua travagliata esistenza di scolaro.

Per Marco era difficile sottrarsi a questi appelli, forse perché gli era facile immedesimarsi in quel poveretto così repellente per tutti gli altri.

Appena Marco entrò in classe, Alex gli corse incontro e lo abbracciò appoggiandogli il capoccione biondo sulla pancia.

Poi gli fece cenno di chinarsi e gli sussurrò in un orecchio:- Ti voglio bene, Ticcia.

- Anch’io Alex. Mi sei mancato.

Un altro invito a chinarsi fu seguito da un bacio umido sulla guancia del maestro.

Marco era commosso e avrebbe voluto ricambiare il gesto d’affetto, invece si rialzò e dopo aver fatto l’occhiolino ad Alex si rivolse agli altri alunni con la formula di rito:

- Good morning children.

- Good morning Teacher.

- Welcome back to school.

-Thank youuu!

- How are you?

- Fine, thank youuu.

- Are you ready to start again?

- Yeeees!

- All right. Follow me, please.

L’insegnante uscì quindi in corridoio ed attese che tutti i ragazzi si disponessero in fila per due prima di condurli al laboratorio linguistico.

Alex godeva del privilegio di dargli la mano e si dispose subito al suo fianco.

Il primo della fila, a qualche centimetro dalla sua pancia era Tony, un massiccio albanese che si contendeva il ruolo di leader con Nico, il più bravo in tutto, Mircea, il rumeno che a calcio era quasi più bravo di Nico, e ovviamente Luca, il più ricco di soldi, di fidanzatine e fidanzatini, di astuzie e sotterfugi.

- Teacher, posso dirti una cosa? - sparò Tony a bruciapelo con il suo insopportabile falsetto.

- Of corse you can.

- Ma posso dirtela in Italiano?

-Yes, you can speak Italian.

-Ma posso dirtene anche due?

-Ok.,Tony.

- Anche se sono cose successe fuori dalla scuola?

Marco lasciò perdere l’English.

-Tony, se si tratta di cose che hai bisogno di farmi sapere sono pronto ad ascoltarti.

- Sono cose successe quest’estate, quando andavamo in piscina.

-Dunque?

- La prima cosa è che Luca ci faceva sempre vedere il pisello.

- All right Tony. Succede spesso che un ragazzo abbia voglia di far vedere il suo pisello ai compagni di spogliatoio. Quando si fa dello sport tutti insieme ci si abitua a spogliarsi e a lavarsi, si fa la doccia tutti nudi e senza problemi. Alla vostra età invece è normale scherzarci su un poco, perché qualcuno ha vergogna a farsi vedere senza mutande.

Bambini e bambine scoppiarono a ridere.

Marco era fiero di aver superato brillantemente questo primo scoglio e si avventurò sereno incontro al seguente.

- Next , please.

- La seconda è che un giorno Luca si è fatto ciucciare il pisello da Alex.

Ci fu un attimo di silenzio totale, il che costituiva una situazione piuttosto inconsueta per quella classe.

Marco Bacci guardò Alex che divenne rosso come un gambero e atteggiò il volto a quella smorfia triste che di solito precedeva le sue esplosioni di aggressività.

Poi guardò Luca.

Questi lo stava a sua volta fissando con un sorriso strafottente, quasi volesse dire all’insegnante ed ai compagni:” Bè che c’è di male. A uno come me tutti vorrebbero ciucciarlo. No? “

Tony invece era molto fiero di quello che aveva fatto e si guardava attorno per ricevere la meritata gratificazione per una così coraggiosa rivelazione.

- Tutti a sedere. In classe e senza fiatare. Alex e Luca, voi restate qua.

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