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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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“ Cazzo , il frocetto s’è fatto la moto e viene proprio oggi a rompermi. Noo! Non ho tempo per le sue stronzate.”

Con il motore in folle, premette per due volte violentemente sull’acceleratore.

Lo sguardo del motociclista ,coperto dalla scura visiera, si voltò verso di lui.

“ Levati!” gli ordinò mentalmente.

Il motociclista infilò la mano destra in tasca.

Franco Faggioni vide soltanto un gigantesco bagliore, dapprima rossastro , immediatamente dopo bianchissimo.

All’improvviso tutto si spense e si ritrovò avvolto dal nero più nero. Sprofondato in una pozza d’inchiostro nero. Il più nero di tutta la sua breve esistenza.



Capitolo quarto.

FAG – GIO – NI BA – STAR – DI DI STA – TO BO – IAR – DI

FAG – GIO – NI CA – RO – GNE TOR – NA – TE NEL – LE FO – GNE .
Ogni sillaba, due passi di corsa

Ogni passo di corsa, un metro .

Ogni mantra di odio rabbioso, cinquanta metri.

Ogni minuto, cinque mantra.

Ogni cinque mantra , duecentocinquanta metri.

Ogni ora, trecento mantra , per un totale di quindici chilometri

Correva Marco Bacci, correva schiumando come un cavallo impazzito, correva lungo l’Alzaia del Naviglio Grande, superando le stanche biciclette dei pensionati pronti a spendere un’altra mattina negli orti di guerra, a coltivare cavoli infarciti di benzene e gentili lattughe avvolte nel pulviscolo di piombo.

L’ira gli metteva le ali ai piedi, diventava leggero e aveva un impulso continuo a spiccare grandi balzi.

Urlava quando imboccava un sottopasso, urlava a squarciagola per sentire il suo mantra echeggiare nell’aria fetida di urina mentre zompava oltre i sacchetti di plastica abbandonati dai clochard che alle prime luci del giorno avevano cominciato a viaggiare sui mezzi dell’A.T.M , verso capolinea privi di scopo nella geografia smarrita delle loro giornate senza meta .

Correva Marco Bacci, correva respirando squallore a pieni polmoni, correva per liberarsi dalla furia che ogni notte sgorgava dal suo inconscio e gli offuscava la mente, gli insanguinava gli occhi.


FAG – GIO – NI BA – STAR – DI DI STA – TO BO – IAR – DI

FAG – GIO – NI CA – RO – GNE TOR – NA – TE NEL – LE FO – GNE .

Occhiali scuri, barba di qualche giorno, testa rasata, auricolari nelle orecchie appuntite come un personaggio di Star-Trek, Gaetano Cascione, palpebre abbassate dietro le lenti scure, si dondolava allacciato ad un sostegno metallico, dentro un vagone semivuoto della Linea 3.

La sua mente scivolava sulle note del piano, verso l’Atlantico,in fondo al verde digradare di un pascolo punteggiato dal biancheggiare delle pecore.

Spagna del Nord.

Il ritmo dei tambores accompagna l’avanzare di un cavaliere.

La criniera dell’animale è bruna come la capigliatura del giovane che lo monta a pelo, lungo l’alta scogliera. Lo attende un flauto cui subito si aggiunge una specie d’ocarina .

Le note saltellano come i passi di danza dei giovani galiziani. Mani e braccia si intrecciano in un enorme cerchio attorno al bruno cavaliere.

Ora sta smontando, guadagna il centro, raggiunge gli altri musici e imbraccia la gaita, la cornamusa dei celti iberici. La gaita scioglie il suo canto e l’atmosfera assume un’aria sacra. Si celebra un rito magico per unire gli spiriti degli uomini e delle donne convenuti in un abbraccio cosmico con l’anima dell’oceano e il cuore roccioso della Cordigliera Cantabrica.

È la magia della musica di Carlos Nunez che ha portato Gaetano Cascione a rivivere quella festa del Corpus Domini, el Dias del Corpus, ad assaporare di nuovo le emozioni provate danzando quella Marcha de Entrelazado de Allariz nell’alba che poneva fine ad una notte di falò e cerveza, di riccioli neri e sottane da zingara, quando molti anni fa , giovane agente, si fingeva turista per caso allo scopo di mettere il sale sulla coda ad un ragazzetto romano,a cui piaceva trafficare in esplosivi con gli indipendentisti baschi nel nord della Spagna.

Il treno rallentò. Il Vice Commissario Cascione si richiamò all’ordine.

“ Scetate Gaità! Jamme !”

Le palpebre si alzarono, l’incanto svanì.

Fermata Cavour, lucide piastrelle , grosse bande gialle con scritte a caratteri bianchi, fredde cromature.

Si fosse sentito un poco più in forza sarebbe saltato sulla scala mobile a passo di Marcha.

“ Piano Gaetaniello “ si rimproverò” ancora non ti sei ripreso.”

Aspettò la fine del brano prima di spegnere il walkman, liberare le orecchie e accendere l’odiato cellulare.Erano le otto e venticinque e ci voleva una sacrosantissima tazzulella e cafè.

Ad emersione completata si diresse con sicurezza verso il bar Cavour. Il cellulare squillò.

Sul display il nome di Galante lampeggiava sullo sfondo azzurrognolo.

- Signor Commissario Capo sto arrivando mo mo , neanche cinque minuti e sarò nel vostro ufficio.

-Ma si può sapere perché cazzo non tieni acceso quel fottutissimo cellulare? È più di venti minuti che cerco di chiamarti.

- Capo, ero nella metro.

- Smettila di chiamarmi capo e dimmi dove cazzo sei.

- Sulla soglia del Bar Cavour e sto per ordinare un caffè.

- Tu non ordini un bel cazzo di nulla e ti metti ritto e fermo all’angolo di Fatebenefratelli, tra un minuto ti mando Maglio e un altro agente con una volante . Sirena e sbrigarsi.

Senza nemmeno il tempo di un signorsì, la comunicazione si interruppe.

Entrando nel bar Cascione catturò l’attenzione del giovanotto dietro al banco con un gesto ormai codificato che significava : superespresso immediato .

Il ragazzo gli servì o una tazzina di caffè ristretto nell’estremo angolo del bancone.

Il poliziotto ingurgitò la bevanda amara e bollente, lasciò due euro sul banco e con un cenno, che venne giustamente interpretato come: senza te sarei perduto, si affrettò ad uscire.

La volante era già ferma all’angolo della piazza.

L’agente Di Cristofalo si precipitò ad aprirgli la portiera con stampato in volto l’immenso disprezzo che nutriva per il Vice Commissario Cascione.

Gaetano benedisse gli occhiali alla Ray Charles,che impedivano a Di Cristofalo di capire quanto fosse sgradita la sua presenza in equipaggio.

La faccia calma e sicura dell‘autista Maglio, con quel sorriso da il capitano vi augura il benvenuto a bordo bello aperto sotto i baffoni alla tartara, lo fece subito sentire confortato e protetto.

L’auto schizzò in avanti e subito s’impuntò a causa d’un brusco colpo di freno dovuto allo scartamento di un ciclomotore che sobbalzava sul selciato.

Gaetano prima ancora di aver appoggiato il sedere, aveva già afferrato la maniglia sotto il tettuccio e non si fece sorprendere.Di Cristofalo seduto sul sedile anteriore, fu proiettato contro il parabrezza.

Riuscì a proteggersi solo parzialmente il capo, picchiando la fronte contro il dorso delle sue mani.

Mentre Maglio dava nuovamente gas e azionava la sirena, Di Cristofalo con un ringhio rabbioso si sporse dal finestrino e vomitò una sfilza d’insulti verso l’incolpevole motociclista.

Gaetano vide nello specchietto i grandi occhi scuri dell’autista che sembravano dirgli



Portate pazienza, questo è solo l’inizio.

Di Cristofalo era uno dei personaggi di spicco nella BIP (brigata incazzati perenni) diffusa come la gramigna tra le forze dell’ordine.

Tra Cascione e Di Cristofalo c’erano stati parecchi screzi che erano costati al secondo una serie di rimproveri scritti e uno stop negli avanzamenti di carriera, al primo una quantità non misurabile di travasi di bile.

Di Cristofalo aveva gioito quando Gaetano era finito per mesi all’ospedale, vittima di una malattia auto immune, attorno alla quale si erano arrovellati i cervelli di molti primari negli ospedali milanesi.

Ad un tratto, senza che nessuno ne avesse capito il perché, la malattia si arrestò e dopo una lunga convalescenza, il Vice Commissario Cascione tornò in servizio, scoprendosi molto più calmo e molto più comprensivo di quanto avesse mai potuto aspettarsi da se stesso.

Ora Di Cristofalo rappresentava per lui una valida occasione per praticare la nobile arte della tolleranza, appresa ed esercitata in lunghi mesi di degenza e d’immobilità nella difficile palestra delle corsie ospedaliere.

Maglio sfrecciava già in Largo Cairoli e, tenendo ben strette le sue manone sul volante, circumnavigò il monumento a Garibaldi e si diresse verso Piazzale Cadorna.

Gaetano, dopo lunghi respiri per riacquistare la tranquillità necessaria, domandò:

- Dove siamo diretti con tanta fretta?

- Via Villoresi .– rispose Maglio a denti stretti, mentre affrontava l’attraversamento del piazzale con l’aiuto delle vigorose spalettate di Di Cristofalo, sporto con tutto il busto dal finestrino di destra.

- Morto ammazzato.- scalando in seconda per poi mordere in gran corsa il centro di Via Carducci.

Terza, quarta, terza, seconda, oltrepassato Corso Magenta, terza ,quarta e quinta.

- Per fortuna che è sabato mattina dottore, altrimenti qui c’era da impazzire.

Vedendo il prossimo semaforo diventare verde, Di Cristofalo tornò a sedersi.

- Bisogna beccare l’assassino.- sentenziò senza voltarsi.

Via De Amicis venne divorata nello spazio di un profondo sospiro, poi l’auto s’infilò in Corso Genova.

Alcuni esercenti stavano sollevando le saracinesche e la larga strada sembrava sbadigliare e stiracchiarsi, indifferente all’urlo della sirena.

-Avanti, ditemi tutto.

A quel punto Di Cristofalo si voltò, piantando il braccio destro ben teso sul cruscotto per evitare una nuova capocciata.

- La vittima è il figlio di Faggioni, gli hanno sparato mentre usciva dal garage.

- Il figlio di Domenico Faggioni?

- Positivo. L’assassino è fuggito con una motocicletta rossa. L’omicidio è stato commesso intorno alle sette e quarantacinque. La scientifica è già sul luogo. I testimoni si sprecano. Il questore in persona ha preso la direzione delle indagini e stanno già piazzando i posti di blocco.

Gaetano Cascione si disse che con tutta certezza il motociclista era ben al di là dei posti di blocco.

Bisognava comunque far vedere che ci si stava impegnando al massimo.

Con sollievo preconizzò a se medesimo che a lui sarebbe spettato soltanto un ruolo marginale di collaborazione nelle indagini. Era un caso troppo importante,

Molto meglio così, non si sentiva ancora pronto per balzare in prima linea.

Un ritorno graduale all’operatività era la cosa più indicata per la sua delicata salute.

Superata la Stazione di Porta Genova, Maglio fu costretto a rallentare l’andatura per via della pavimentazione sconnessa e per il tappo di traffico creato dalle macchine dei curiosi, fermi in doppia fila in Via Ludovico il Moro.

Arrivò una coppia di carabinieri in motocicletta, si misero subito a fischiare e ad agitare le palette per sciogliere l’ingorgo.

- Brutti avvoltoi, becchini fetusi , levatevi di mezzo! Sgomberate!

Di Cristofalo con il suo livore contribuiva vigorosamente ad aumentare la confusione.

- Maglio, per favore fammi scendere e tieni buona la belva, poi avvicinati all’imbocco della Via Villoresi e aspettami lì.

Gaetano Cascione in quel momento si sarebbe volentieri acceso una Marlboro, ma dopo due polmoniti e un edema, causati dal suo incomprensibile morbo, non poteva proprio permetterselo. Pescò nelle tasche del giacchino di jeans un confetto alla liquirizia e cominciò ad allungare il suo collo da tartaruga alla ricerca di Galante .

Cameramen, fotografi e cronisti erano tenuti a bada da una mezza dozzina di agenti che avevano transennato la strada con il nastro bianco e rosso.

Dietro le auto parcheggiate a spina di pesce, così da ridurre la visuale agli obiettivi indiscreti, si assiepava un nutrito capannello di divise gallonate mescolate a vari pezzi grossi della Questura e della Procura. Le radiomobili gracchiavano brani di conversazioni che si accavallavano al concerto disordinato delle suonerie di un centinaio di cellulari.

Fu Galante a riconoscerlo e a marciargli incontro mentre cercava di chiudere una telefonata. Indossava un completo grigio, leggero e sgualcito, sopra una camicia bianca dal colletto stirato male. Il nodo della cravatta scura era talmente storto da conferirgli un aspetto più consono ad un ubriaco che ad un Commissario Capo.

- Va bene… chiarissimo… di sicuro … non si preoccupi… le riferirò non appena… certo ….buona giornata, a più tardi .

Sollevando gli occhi al cielo in una muta bestemmia, Galante s’infilò in tasca il cellulare.

- Lo sai chi era?

- La sua amante no di sicuro, altrimenti non sarebbe così accigliato.

- Un Sottosegretario degli Interni, Alleanza Nazionale.

- Se la chiamasse la Mussolini che effetto le farebbe?

- Quanto si scemo! Non so neanche perché mi ci metto a ragionare con te. Non perdiamo tempo. Devi andare a casa di questo Bacci e raccogliere tutte le informazioni che puoi. Sappiamo già molto, era controllato da un pezzo. Però sono sicuro che se ti ci metti d’impegno, tu sei capace di trovare qualcosa di speciale. Dobbiamo fare in fretta, prenderlo immediatamente. Il Questore ha detto che siamo tutti sotto i riflettori e dobbiamo fare una bella figura. Per uno come me ad un passo dal pensionamento questo caso potrebbe essere l’ultimo tram per una promozione.

- Terrorista nero o rosso?

- Piuttosto rosso, ma non proprio terrorista.

- Fiancheggiatore?

- Forse lo è stato, ma non è una faccenda di politica.

- Criminalità organizzata?

- No. Corna. Questo Bacci puntava la moglie della vittima, maestro alle elementari come lei, stessa scuola, qua vicino, è stato scoperto, ha dato di matto è si è vendicato.

- Vendicato di che?

- Che t’importa. Ci sono almeno cinque persone che l’hanno visto, abbiamo anche uno che ha riconosciuto il modello della moto: Yamaha 650 rossa. Casco integrale giallo, giubbotto marrone di cuoio, jeans come i tuoi. Robusto. Tra pochissimo dovrebbero arrivarci le prime foto e te le mando.

- Non capisco.

- Cosa?

- Il movente.



- Ti sembra questo il momento di mettersi a discutere del movente. Faggioni ha detto che non ce ne può essere altro. Non ha avuto esitazioni. Ha telefonato subito a casa del Bacci e non ce l’ha trovato. Sotto la sua abitazione ci sono già quattro agenti in borghese, non è rientrato, ovviamente. Però Faggioni ci assicura che è un tipo veramente particolare, imprevedibile. Dobbiamo essere pronti a tutto.

- È qua ?

- Chi ?

- Faggioni pater.



- Se n’è appena andato via. È arrivato con il Questore ed è ripartito con il Procuratore Martini. Questo è l’indirizzo del Bacci : Viale Pisa 12 . Di nome fa Marco. Separato. Solo. Vacci, cercagli l’anima, metti insieme tutti gli elementi per capire dove possa essersi andato a nascondere, dove avrà cacciato la moto, dove può avere nascosto l’arma. Quelli della scientifica dicono che con molta probabilità ha sparato con una 44 e che sia ben allenato ad usarla: un colpo in mezzo alla fronte e due nella zona del cuore. Non ci sono segni di altri proiettili. L’ha colpito attraverso il parabrezza, da circa cinque metri. È pericoloso. Vuoi vedere il cadavere?

Gaetano Cascione restò un istante in pensiero con il capo abbassato e le mani affondate nelle tasche dei jeans.

- No, grazie.- rispose, e dopo una lunga e sonora espirazione aggiunse - Per quel che devo fare non ha nessuna rilevanza. Preferisco evitare.

- Giusto. Stai attento a non farti seguire da quelli della stampa. Vogliamo tenere segreto il nome dell’assassino il più a lungo possibile. Se crede di non essere indagato può darsi che abbassi la guardia.

Galante battè una manata sulla spalla di Cascione come per congedarlo, ma poi lo trattenne per un braccio e, come una madre quando vuole assicurarsi che il figlio abbia indossato la canottiera, gli domandò: - Gaetano, la pistola ? Ce l’hai vero?

Cascione sorrise, intenerito dall’interessamento del suo capo.

- E a che mi servirebbe? Nel caso ce ne fosse bisogno Sparalesto Di Cristofalo avrebbe già svuotato il caricatore prima che io abbia tolto la sicura.

Galante scosse il capo e lo avrebbe volentieri ricoperto d’insulti se il suo cellulare non si fosse messo a trillare con crescente aggressività.

Si congedarono con un reciproco ammiccamento.
Dopo un’ora di corsa e quindici chilometri macinati a passo di gran passo, Marco Bacci cominciava a sentirsi meglio, come depurato, disintossicato dai veleni notturni.

Ma non poteva ancora smettere di correre.

Parco di Trenno; gruppi di maschi di varia età, lingua e colore che al sabato mattina si mescolano grazie all’esperanto del calcio per organizzare partitelle nei rettangoli di verde spelacchiato.

I casermoni a torre del Gallaratese lo aspettavano in fondo al parco, poi avrebbe raggiunto la Montagnetta di S.Siro , dove sapeva già che ad attenderlo c’erano i ricordi delle sue passeggiate clandestine con Amaranta .

A volte lottava, cercava di scacciarli.

Forse quel giorno avrebbe potuto anche lasciarli affiorare, si sentiva quasi in grado di sorridere ai suoi ricordi, sentiva che cominciava a fare qualche passo per prendere distanza dal passato e prepararsi a girare quella pesantissima pagina.

Gli piaceva pensare che nella nuova pagina ci fosse un ritratto di Laura e una foto di loro due in bicicletta, la sua vecchia bici nera.

Lei seduta sulla canna, gli occhi lucidi di piacere, i capelli e il vestito che svolazzano all’indietro.

Lui che pedala veloce e contento come l’Orso Yoghy quando ruba un cestello della merenda.

“ Stupido che non sei altro, sempre perso tra i ricordi del passato che non c’è più e i sogni di un futuro che forse non ci sarà mai .”


Gaetano Cascione aveva affidato a Maglio il compito di raggiungere Viale Pisa attraverso un itinerario creativo per accertarsi di non essere seguiti.

Sprofondato sul sedile posteriore dell’Alfa azzurra e bianca si era lasciato andare ai suoi pensieri.

Se questo Bacci era così pazzo da uccidere il marito della sua amante sparandogli tre pistolettate sotto gli occhi di numerosi testimoni per poi fuggire a bordo della sua moto, lo avrebbero preso in fretta o si sarebbe costituito da solo. Certi atti sono compiuti senza raziocinio, in preda ad un delirio che quando si esaurisce lascia l’omicida scarico e svuotato, pronto per la resa incondizionata o per il suicidio.

Muoversi con rapidità avrebbe permesso di arrivare prima di un gesto disperato.

L’amante di solito uccide il marito in maniera occulta, ricorrendo ad un sicario, spesso con la complicità della moglie, soprattutto se la tresca non è stata scoperta e gli adulteri sperano di potersi godere i beni del cornuto defunto, lasciati alla vedova fintamente sconsolata. Da quel poco che il suo capo gli aveva riferito sapeva già che il quadro era ben diverso. Bah!

Venti e passa anni di lavoro gli avevano insegnato che la follia umana assume un’infinità di forme e quindi bisognava aspettarsi di tutto come aveva segnalato Faggioni.

Di quell’uomo potente sapeva poco, ma quello che aveva sentito sulla propria pelle, le poche volte in cui si erano incrociati nei lontani anni ottanta, gli aveva dato i brividi.

Per Domenico Faggioni, un tempo vicino a De Lorenzo e alla Rosa dei Venti, poi incluso negli elenchi di Gladio e della P2, Legge e Giustizia erano due ancelle dell’Ordine, di quell’Ordine che l’unico e vero Dio aveva affidato in custodia a lui e a pochi altri eletti.

La difesa del suo Ordine era un fine così alto che da solo giustificava l’impiego di qualsiasi mezzo.

“ Chissà se è capace di piangere? Chissà se in questo momento si sta prendendo a schiaffi per non aver tolto di mezzo in tempo l’assassino di suo figlio? Che si dice un uomo accussì in questi frangenti? Uno che ha passato la vita costruendo e sventando complotti, attentati e ammazzamenti di ogni genere, una bella mattina si alza e bam bam bam , gli hanno fatto secco il figlio.”

Come avrebbe reagito lui, se qualcuno avesse sparato a suo figlio Gianluca?

A tredici anni le rivalità in amore si regolano a scazzottate, per fortuna.

Anche se, a pensarci bene, dietro alla ragazza ci potrebbe stare chiunque.

Un padre violento, un quarantenne a caccia di Lolite, un altro adolescente con lo spolverino nero e il mito di Coloumbine.

Inutile perdersi nell’angoscia, se si vuole continuare a vivere bisogna cercare di non farsi prendere dal panico.

Gaetano Cascione aveva deciso che voleva vivere.

Il desiderio era vero ed incondizionato.

Lo aveva capito quando gli sguardi di medici ed infermieri gli dicevano tra mille discorsi di circostanza che ormai era finita che doveva prepararsi a morire.

Lui aveva capito, si era preparato, aveva accettato il suo destino e più si preparava e si rassegnava più trovava che la vita fosse splendida e piena di miracoli inspiegabili che potevano essere visti e goduti anche dal suo letto di ospedale.

Voleva vivere in qualsiasi modo e a qualsiasi costo, come quella vespa che un pomeriggio d’estate cadde nel fondo del suo bicchiere di acqua e zucchero.

Il bicchiere stava sul comodino a fianco del suo letto, a circa venti centimetri dai suoi occhi, ben illuminato da un raggio di sole che si era infilato tra le spesse tende calate davanti alla grande finestra in fondo alla corsia del padiglione Sacco.

La vespa attirata dall’odore dolciastro era rimasta invischiata sul fondo e lui non aveva la forza per sollevare il braccio e aiutarla ad uscire.

La vespa, esattamente come lui, non voleva morire, perciò provò e riprovò decine di volte a risalire quei ripidissimi centimetri di parete vitrea ; alcune volte era arrivata vicinissima all’orlo e poi era nuovamente caduta.

Gaetano seguiva muto e immobile lo sforzo dell’insetto, incitandolo a non desistere e cercando di spingerlo verso la libertà e la vita con la forza dei suoi pensieri e dei suoi sguardi.

Quando la vespa finalmente raggiunse l’orlo del bicchiere e vi si mantenne in equilibrio alcuni secondi, frullando le ali per asciugarle all’aria e al sole che già riceveva benevoli sul suo corpicino, Gaetano si sentì pervaso da un grande senso di benessere e fece scrosciare un grande applauso mentale per onorare tanta tenacia.

Il volo leggero con cui la vespa s’infilò tra i pesanti tendaggi per tornare completamente libera nel mondo dei vivi gli sembrò un buon auspicio e si convinse che anche lui avrebbe potuto farcela, che ogni china poteva essere risalita.

La voce di Maglio interruppe il flusso dei suoi pensieri.

- Eccoci in Viale Pisa.

- Scorri davanti al portone e poi fermati di fronte a quella banca sull’angolo di Piazzale Bande Nere.

Viale Pisa è un grosso viale alberato, lungo circa trecento metri, quattro larghe corsie ad alta densità di traffico e due contro viali.

A metà un gruppo semaforico regola l’incrocio con Via delle Forze Armate, sempre ai primi posti nella classifica urbana per numero d’incidenti. Un agente fingeva di armeggiare nel cofano di una Punto grigia, sul marciapiede altri due poliziotti, con i giornali sottobraccio e le sigarette accese, passeggiavano e conversavano senza perdere di vista l’ingresso del condominio.

Un quarto uomo sedeva su un Ducato rosso proprio sotto il semaforo di Forze Armate.

Tutti e quattro ammiccarono impercettibilmente all’equipaggio della volante.

- Voi due restate qui con gli occhi ben aperti. Non venite verso casa per nessun motivo. Se arrivano le foto del ricercato chiamatemi al cellulare.

- E se vediamo il motociclista ?- chiese Di Cristofalo, bramoso di azione.

- Non credo che torni a casa. A meno che non desideri farsi prendere.Comunque avviserò Carbone di tenersi pronto per seguirlo con la Punto nel caso che vi veda e sgami.

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