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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Di Cristofalo scosse il capo contrariato. Avrebbe preferito che Cascione gli avesse ordinato di sparare a vista, ma intuiva che questo non sarebbe mai potuto accadere.

L’agente sapeva bene che il Vice Commissario allineava tra i fautori di un corpo di P. S. in cui le pattuglie si avventurassero per la città senza armi.

Cascione era un rammollito, un pacifista e avrebbe dovuto fare il monaco invece d’immischiarsi della tutela della Legge.

Prima di entrare Cascione osservò con attenzione l’enorme condominio.

Era un edificio di dieci piani, in cui alloggiavano circa ottanta famiglie. Un popolo minuto di impiegati e piccoli artigiani che con difficoltà lottavano per far fronte ai costi sempre più alti, che nella carissima Milano anche una così modesta residenza comportava.

Oltre il portone c’era a destra la guardiola della portineria e di fronte a questa una lunga schiera di caselle della posta.

Trovò rapidamente quella contrassegnata dal cartellino con la scritta a penna Bacci M. e notò che non conteneva nulla, segno che era stata svuotata il giorno prima.

Con molta probabilità il Bacci aveva lasciato l’appartamento la mattina stessa.

- Ha bisogno?- cantilenò una voce strascicata e stanca.

La domanda era stata formulata da una donna di età indefinibile.

Sembrava stremata dalla fatica dell’esistenza.

Il Vice Commissario Cascione la classificò subito nella categoria CID ( custodi impiccione e depresse) il che significava che in cambio di una generosa sequela di blandizie avrebbe ottenuto una quantità di preziose informazioni.

Le si rivolse con un tono di voce profondo e accattivante.

- Signora, sto cercando la portinaia, qui in guardiola non c’è. Non l’ha per caso visto da qualche parte?

La donna prima si voltò indietro pensando che l’uomo si stesse rivolgendo ad un'altra signora, quindi si convinse che la bella voce e le lusinganti parole erano rivolte proprio a lei. Le s’illuminò il volto e, rassettandosi i capelli e l’abituccio, si affrettò a rispondere con autentico stupore: - Ma sono io!

Cascione affondò il primo colpo.

- Davvero? Ma sa che è la prima volta che mi capita di vedere una signora così giovanile e distinta lavorare in portineria? Nel mio lavoro ne ho incontrate così tante… Tutte megere. Lei invece…

La custode si lasciò andare ad una lunga risata da cornacchia, poi fingendosi indispettita replicò:

- Mo guardi che mica ci casco. Lei è un venditore neh? Dove l’ha infrattata la mercansia ?

Era giunto il momento di farsi riconoscere.

- Purtroppo non ho niente da vendere.

Estrasse il tesserino dal taschino interno del giubbotto e glielo esibì.

-Vice Commissario Cascione. Polizia. Dovrei farle qualche domanda.

Il volto della portinaia aveva assunto l’aspetto di una patata pronta per il purè.

- Ussignur! – esclamò con la voce che le si strozzava nella gola- Se l’è sucèss?

Gaetano Cascione con un gesto della mano indicò la guardiola ,quindi aprì la porta ed invitò la donna a precederlo.

- Il signor Marco Bacci abita qui, vero?

- Il maestro?

- Sì.

La custode si appoggiò con entrambe le braccia al tavolo ricoperto da una tovaglietta di plastica bianco sporco, al centro della quale un mazzo di fiori di plastica sporgeva tristemente da un vaso di plastica.



- Signora, il maestro Bacci è oggetto di un’indagine giudiziaria. La prego di rispondere con la massima precisione alle mie domande. Sappia che grazie alle sue informazioni e al suo aiuto potremmo forse salvare la vita dello stesso Bacci e anche di qualcun altro. Forse è meglio che si sieda.

La custode si sedette.

- Era una così brava persona…- attaccò sfrignacchiando.

Anche Cascione prese una sedia ed estrasse dal giacchetto un taccuino e una biro.

- Signora non si disperi, forse il signor Bacci tornerà presto.

- Già, ma si può sapere perché l’è denter a quella roba di giudiziaria? Ha combinato qualcosa?

Il secondo colpo era ormai pronto.

- Dovrebbe essere un segreto - Gaetano Cascione si guardò intorno come per verificare che non ci fosse nessuno oltre a loro due e a Padre Pio che da un’icona plastificata li fissava intensamente - ma visto che a colpo d’occhio si capisce al volo che di una signora come lei ci si può fidare…

La donna si segnò.

- Giuraddio , potessi crepare adesso…

Più semplice del previsto.

- Il signor Bacci è implicato in un caso di omicidio.

- Vergine Santa aiutaci tu!

Altro segno di croce .

- Quando l’ha visto l’ultima volta?

- Stamane mica… ma iersera sì che l’ho visto. Era al balcone sul cortile. Perché lui di balconi ce ne ha due, uno sulla strada e uno sul cortile. Abita al piano primo, scala D. Ci ho qui le chiavi.

- Perfetto. Tra poco mi ci accompagnerà. Si ricorda l’ora?

- Mica troppo tardi… forse le undici e mezza. Ero andata con il mio marito alla gelateria, quella nella piassa . Gelato buono, fatto in casa. Un lavoratorio pulito, simpatici. Noi si sta lì volentieri a fare due ciacole. Quando si tornava, lui stendeva le sue cose della corsa.

- Va spesso a correre?

- Porca miseria! Non fa altro. Va a lavorare con la bicicletta e poi quando torna a casa si cambia e via. Estate e inverno.

La custode si avvicinò per confidargli qualcosa che a suo parere richiedeva un tono di voce più confidenziale.

- Gli piace parecchio il mangiare. Per quello poi deve correre.- sul viso le si dipinse una smorfia di disgusto- Vengon fuori di quegli odori strani… quando son lì che pulisco il pianerottolo, sento quella musica balenga che mi fa venire i vermi e poi quegli odori…non come nelle case dei cinesi… neanche come quelle degli africani. È ancora diversa quella puzza. Una volta , pace all’anima sua, c’era una vecchina al terzo piano, di un’altra scala però, la B, che ciaveva una badante del Bangladess , una vunciona piena di stracci colorati… quando si cucinava il suo damangiare faceva quella puzza lì.

- Ha detto che il signor Bacci va al lavoro in bicicletta. Questa mattina non l’ha visto uscire però?

- No che non l’ho visto. Il sabato comunque va a correre, mica lavora il sabato.

- Se non l’ha visto uscire come fa a dire che è andato a correre?

La domanda fu accolta con una certa delusione.

- Potrebbe essere uscito di notte o comunque prima che lei abbia cominciato il suo servizio.- insistette il Vice Commissario - A proposito a che ora cominciano le sue attività?

- Alle sette son già in ballo. La bicicletta è al suo posto, se vuole ce la mostro…

- Potrebbe aver preso la moto o la macchina o i mezzi pubblici.

- Non ce l’ha mica la macchina, men che meno la moto.

Gaetano Cascione sollevò lo sguardo dal taccuino.

- Come sarebbe a dire che non ha la moto?

- Non se ne son mai viste di moto del maestro Bacci qua, lo saprei se ce ne avesse una, non crede?

- Ci sono persone che lo hanno visto su una motocicletta rossa. Una moto giapponese…

- Né giapponese né cinese, nisba. Si sono sbagliati. I mezzi sì , qualche volta l’ho visto ad aspettare la 95. Pure in metro ci va . Ma solo quando piove o fa freddo. Altrimenti anche la spesa la fa con la bici. Appende le borse al manubrio o si porta uno zaino. Io me la farei addosso dalla paura di cascare e rompere una di quelle bottiglie …Perché lui…lo so che non dovrei dirlo… ma …

- Stia tranquilla signora, dica pure. È tutto coperto dal segreto istruttorio.

- Ah! Meno male che c’è ancora quel segreto lì, perché lui… insomma, il maestro beve parecchio.

Con la mano chiusa a pugno ed il pollice teso verso le labbra violacee si esibì nell’imitazione di un ubriacone che tracanna direttamente dal collo di una bottiglia.

- Ma dovesse vedere quante bottiglie porta a casa!

Gaetano Cascione si felicitò una volta di più con sua moglie Luciana che aveva insistito per affittare il loro appartamento in un piccolo condominio senza portineria.

- Senta, visto che lei svolge il suo servizio con tanta professionalità, può dirmi se l’ha visto qualche volta ubriaco o l’ha sentito gridare o litigare con qualcuno?

- Mai. Fossero tutti come lui! Mai un fastidio, niente. Neanche visite di donne o feste.Sempre solo. È venuto ad abitare qui da poco, dopo la separazione. I primi mesi sembrava più morto che vivo. Certi occhi . Secondo me piangeva spesso.

- È stato lui a raccontarle della separazione?

- Ma si figuri! Quello lì al massimo : buongiorno e buonasera e poi bocca cucita. No è stata la sua mamma a raccontarmi come stavan le cose, una bella signora elegante che non dimostra neanche i suoi anni , la mamma. Lei sì che la ciacola che è una bellessa.

- Un uomo solo e separato, chiuso. Ora rifletta pure prima di rispondere, ma cerchi di ricordarsi bene tutte le cose che sa e che ha visto: secondo la sua esperienza poteva essere uno squilibrato, uno psicopatico, insomma uno un po’ matto?

- Ciumbia! Che domanda difficile! Ma come si fa a sapere? No, non mi sembrava a me, però qui un matto c’era davvero nella scala C. Proprio l’appartamento accanto al suo. E ne ha combinate delle belle. Pompieri, polizia, un sacco di volte! Pensi che quando gli girava prendeva una canna e bagnava la gente che passava di sotto. D’inverno, con il freddo, formava di quelle lastrine di ghiaccio… ce n’è caduti un bel po’…

- Ma questo non centra…

- Altroché se centra- ribattè la portinaia – Siccome in molti erano stanchi di tutto l’ambaradan , si decise di raccogliere delle firme per farlo ricoverare in un manicomio.

La Romualdi è andata a chiederci al Bacci di firmare anche lui, ma lui picche! Le ha detto che i manicomi sono stati chiusi e che i matti potevano benissimo vivere tra noi, anzi le disse proprio: “anch’io mi considero matto”. Ecco, però con questo non vuol mica dire che era malato nella testa, anzi in tante situazioni era anche uno tranquillissimo. Una volta il matto vero gli ha picchiato nel muro e lo ha sfondato. Ci ha fatto un buco grosso come una mela. Son muri fatti di niente, si sente anche tutto. Il matto si divertiva a tirarci delle palline di carta da quel buco, le tirava proprio nella sala del Bacci. Non so a lei, ma a me se uno mi fa una cosa così mi si intorcinano le ovaie. Lui mica ha fatto delle scene però. Calmo calmo ha chiamato l’amministratore e si è fatto chiudere il buco. Diceva che forse quell’altro uomo si sentiva solo e voleva comunicare in quel modo lì.

Gaetano Cascione si alzò prese penna e taccuino e sentì un moto di gratitudine nei confronti di quella donna. Come in tutte le CID il suo stato di depressione era direttamente proporzionale alla sua capacità di ficcanasare nelle vite degli altri, era per quello che erano tutte così stremate, perché finivano con l’immedesimarsi nelle vite di moltissime persone e si portavano sulle spalle un immenso bagaglio di frammenti di vita dell’umanità dolente a cui prestavano il loro onorato servizio.

- Se lei dovesse spiegare a qualcuno, che non ha mai incontrato il Signor Bacci, come fare a riconoscerlo, quali parole userebbe?

- Alto , panzettina, barba fitta sale e pepe , capelli pochi, corti e con una bella piazza sulla crapa, come quella dei frati. Occhi azzurri.

- Benissimo e quando corre come si veste di solito?

- Sempre uguale. Braghette scure e maglietta a mezze maniche bianca.

- Sempre così?

- A meno che piova o faccia freddo. Allora si mette su una kitvei , una di quelle leggere di plastichina, bianca e verde, tutta piena di padelle.

- Quando corre al sabato mattina esce sempre così presto?

- Sicuro e non torna mai prima delle dieci, a volte anche le undici. Arriva tutto masarento e rosso come un peperone. Dicono che lo sport fa bene, ma a me sembra che quello che fa lui è un po’ esagerato.

- Le ha mai detto dove va a correre?

- No, però qui tutti vanno o al Parco di Trenno o dalle parti dello stadio e della Montagnetta.

- Perfetto, ora signora le devo chiedere di salire ad aprirmi la porta mentre, io resterò qua , devo fare una telefonata urgente e riservata col mio cellulare. Poi arrivo, Scala D, primo piano, vero?

- Brau, la porta a sinistra, non c’è nome.

Cascione s’inchinò leggermente e la fece uscire…

La donna s’incamminò verso la scala D dimenando le sue chiappone come un’elefantessa in amore. Camminava a qualche centimetro da terra e canticchiava un’aria da liscio romagnolo.


Il Commissario Capo Galante accolse senza sorpresa alcuna la notizia che il Bacci non possedeva una motocicletta. Infatti la Yamaha era stata ritrovata in viale Famagosta e lui stesso aveva rivolto alcune domande ad un certo Michelangelo Covini, legittimo proprietario del mezzo usato per compiere il delitto.

L’ometto, per nulla corrispondente alle descrizioni dei testimoni, era un cinquantenne impiegato presso un’impresa di pompe funebri. Il Covini era uno specialista della preparazione, composizione e vestizione delle salme.

Aveva un colorito giallognolo ed una corporatura minuta, quasi da passero, che gli conferivano un perfetto fisique du role. Si era presentato in uno stato di grandissima agitazione, dopo essere stato svegliato dai Carabinieri di Binasco, dove dormiva il sonno dei giusti con la convinzione che anche il suo gioiellino rosso riposasse tranquillamente.

Nonostante la fretta che gli agenti della Benemerita gli avevano messo, il Covini aveva fatto in tempo ad imbrillantinarsi e ad indossare un completo color tabacco, dall’aria umile ma onesta, e ad annodarsi perfettamente una sottile cravatta amaranto.

La perfezione di quel nodo aveva messo di malumore Il Commissario Capo Galante, il quale senza l’aiuto di sua moglie perdeva intere mezzore per compicciare nodi indegni che l’ansia da prestazione rendeva ogni volta più improponibili. Nessuno, a parte la sua legittima consorte, era a conoscenza del suo increscioso ricorrere a cravatte con la fettuccia elastica per le trasferte importanti.

Così, pur sapendo già che il povero Covini era solo la vittima di un furto, si intestardì a torchiarlo per alcuni minuti per poi congedarlo con una domanda posta per pura cattiveria.

- Signor Covini , per quale motivo si è comprato quel bolide ?

- Signor Commissario – gli rispose questi tergendosi la fronte con un fazzoletto bianco profumato alla lavanda – con il lavoro che faccio ci sono giorni in cui ho bisogno di sentire che sono ancora in vita. Allora prendo la mia moto e in meno di un’ora arrivo al mare. . Vado sempre sulla Riviera di Levante, respiro l’aria salsa e appena posso faccio un bagno. A volte mi tuffo dagli scogli a capofitto nel blu.

Quando riemergo e respiro e vedo il cielo e le cime verdi dei pini marittimi, mi sento felice, felice di essere ancora vivo in mezzo a tanti morti. Lo so che violo il codice della strada andando a 180 km\h e prima o poi i suoi colleghi della stradale mi beccheranno, ma fino a quel giorno … Quando pensa che potrò riavere la motocicletta?

Il Commissario Capo Galante si rassegnò a lasciarlo andare, con la falsa promessa che si sarebbe dato da fare per sveltire la restituzione del motociclo.

Quello che non riusciva a digerire era l’atteggiamento di Cascione.

Perché stava remando in direzione contraria?

Tutti erano concordi nel ritenere sia le testimonianze dei passanti sia le dichiarazioni di Domenico Faggioni più che sufficienti per classificare Marco Bacci come l’unico possibile colpevole. C’era il movente, l’identikit e anche se l’imputato avesse voluto scagionarsi dicendo che in quel momento stava facendo jogging , come Cascione sosteneva sulla base della deposizione della portinaia, al novanta per cento non si sarebbe potuto trovare alcun riscontro per convalidare un alibi così evanescente.

Bisognava pizzicare il Bacci al più presto e tener buoni tutti quei papaveri che continuavano a rendere incandescente il suo cellulare.

Una volta che il sospetto fosse stato piazzato dietro le robuste sbarre di una cella a S. Vittore, Cascione avrebbe avuto modo di chiarire con tutta calma i punti che gli parevano oscuri.

Fino ad allora Galante non voleva tarli che intaccassero il solido teorema offerto loro da Domenico Faggioni per dimostrare la colpevolezza del Bacci e i motivi che avevano portato all’omicidio del giovane Franco.

Bisognava anche che qualcuno andasse alla Clinica S Giuseppe per parlare con la Signora Amaranta Faggioni, colta da malore non appena raggiunta dalla notizia dell’assassinio del suo consorte. Meglio mandarci Cascione. Ce l’avrebbe spedito prima di pranzo, appena terminato il sopralluogo in Viale Pisa. Forse i colombi avevano un pied à terre da qualche parte, un nido d’amore segreto, mai scoperto dagli investigatori dei Faggioni, in cui il Bacci era andato a nascondersi o a suicidarsi.

Il suicidio avrebbe chiuso il caso, ma non avrebbe fruttato promozioni. Bisognava catturarlo vivo.

Chiudere la carriera come Questore Aggiunto!

A questo punto non era più solo un sogno.

Cascione doveva far cantare quella femmina straziata.

Galante provò ad immaginarsi sua moglie Annarosa nei panni della giovane vedova adultera.

Le sue fantasie non riuscirono a prendere forma. Non riusciva nemmeno a credere che sua moglie provasse desideri erotici o passioni carnali. Era più facile visualizzare la Signora Maigret in un numero di lap dance o Nonna Papera sculettante sul palco delle folies bergères.

Annarosa aveva rischiato cento volte di diventar vedova, nella vita di un poliziotto le occasioni di ritrovarsi sdraiato in una pozza di sangue o ridotto a brandelli da una carica di tritolo non mancano di certo. Adultera mai . Ne era certo. Se lui fosse morto, Annarosa avrebbe pianto e portato il lutto. Per tutto il resto della vita si sarebbe coricata sola, dopo aver baciato la sua fotografia sul comodino e cambiato l’acqua ai garofani di un piccolo altare, allestito sul comò, con al centro il loro ritratto nel giorno delle nozze.

Si accese un mezzo toscano e soffiò via assieme al fumo quei lugubri pensieri, alla pensione mancava davvero poco e se quel cetriolone di suo figlio non faceva stupidaggini , lui e Annarosa sarebbero presto diventati i nonni più felici del mondo. Con la liquidazione avrebbero anche potuto comprare quell’appartamentino ad Ischia che un vecchio zio stava pensando di vendere…

Chiudere questo caso bene ed in fretta, dare soddisfazione a Faggioni e farsi promuovere.

Cascione aveva suggerito di diramare a tutte le pattuglie la segnalazione di fermare qualsiasi jogger che corrispondesse alla descrizione fatta dalla portinaia.

Tutto sommato non era una cattiva idea, se il Bacci contava su quel genere di alibi, con molta probabilità sotto il giubbotto ed i jeans aveva indossato la sua tenuta sportiva. Una volta liberatosi della moto si era sicuramente spogliato, magari aveva buttato i panni in uno di quei contenitori di abiti usati della Caritas.

Meglio mandare qualche agente a verificare il contenuto di quei cassoni gialli in zona Famagosta.

Bisognava anche chiamare il Commissariato San Siro, far richiamare in servizio tutti gli effettivi rintracciabili e spedirli a rastrellare palmo a palmo l’area tra Trenno, San Siro, la Fiera, Il Portello. Bisognava trovare almeno dieci pattuglie. Forse quelli dell’Arma, con il loro Generale così intimo del Faggioni morivano dalla voglia di essere più coinvolti di quanto lo fossero al momento. Anche i Vigili Urbani sicuramente potevano dare una mano, il loro Comandante ne sarebbe stato lusingato.

Infine se si supponeva che il ricercato stesse costruendosi un alibi con il jogging allora bisognava concludere che in breve avrebbe dovuto tornare al suo appartamento, fingendosi all’oscuro di tutto.

Intorno a Viale Pisa c’erano già sette uomini. Un paio di coppie in borghese dalle parti di Primaticcio e Piazzale Perrucchetti avrebbero aumentato le probabilità di una rapida intercettazione.

Questa era il primo ordine da impartire, poi a tamburo battente bisognava trasmettere le altre consegne.

Quante cose da fare! Doveva ancora sudarsela la pensione.

Un anno prima, Cascione avrebbe salito le due piccole rampe di scale a due a due, fischiettando una giga irlandese tra i denti gialli da fumatore accanito.

Ora valutò più prudente infilarsi per qualche secondo in quella claustrofobica cabina d’ascensore, ben felice di doversi far sollevare solo fino al primo piano.

Doveva essere l’ascensore più piccolo e insicuro di tutta la provincia, sicuramente il più economico.

La porta dell’appartamento di Marco Bacci era spalancata su un soggiorno polveroso e arredato in maniera veramente minimalista.

Il sorriso da stregatta che illuminava il volto della custode gli sembrò completamente fuori luogo.

- Signora, devo chiederle di tornare subito all’ingresso e di segnalarmi con il citofono l’eventuale arrivo del Bacci .- disse Gaetano Cascione certo di essere immediatamente ubbidito.

-Subit! - rispose lei, felice di avere un incarico così importante – Chiudo la porta Commissario?

- Grazie, lasci le chiavi nella serratura interna, non si sa mai.

La donna non riuscì ad evitare un altro segno di croce e mentre ciabattava giù dalle scale fantasticò un mezzogiorno di fuoco con sparatorie, sirene, giornalisti e telecamere.

Intanto Gaetano Cascione a passi lenti percorreva in tutte le direzioni i sessanta metri quadri dell’appartamento cercando di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del sospetto assassino.

Decise quindi di stilare un elenco degli oggetti che costituivano l’arredamento.

Si trattava di un lista piuttosto breve,pochi mobili, molti libri, fogli vari con appunti scolastici, un computer portatile di molte generazioni addietro e un piccolo radio-registratore con lettore di cd. Alcuni dischi e qualche audio cassetta. Vicino alla porta che dava sulla cucina c’erano un tavolo e quattro sedie in legno chiaro, quasi sicuramente abete svedese targato IKEA.

Ai vetri non c’erano tende

Le pareti erano spoglie, senza nemmeno un quadro o una fotografia. Solo un bucciato che una volta era stato bianco.

L’insieme aveva un’aria nordica e fredda; un incrocio tra una camera d’ospedale e la stanza di una pensioncina da due soldi in un paese baltico.

A questo punto si rese conto che per controllare ogni cosa gli sarebbe bastata un’ora. Forse avrebbe potuto tranquillamente pranzare in casa con Luciana e Gianluca.

Più che pranzare , lui avrebbe spilluzzicato un pochino di riso bianco accompagnato da una tartina spalmata con il suo amato Philadelphia e poi si sarebbe concesso il lusso di una seconda tazza di caffè, sorseggiata con calma mentre accarezzava con gli occhi il corpo di Luciana intenta a rigovernare i piatti.

Sua moglie praticava e insegnava danza, inconsapevolmente metteva armonia e bellezza in ogni gesto, anche nel più piccolo e banale dei suoi movimenti che si espandevano nell’ambiente come influssi benefici.

“ Gaità , mo stive accà ette devi spiccià… ”

Entrando nella piccola cucina realizzò immediatamente che in quell’angoletto era stata investita più passione e personalità che nel resto della casa.

In mezzo ad un gran mucchio di stoviglie accatastate sul minuscolo piano in formica del tavolo, spiccava un grosso wok , la pentola per friggere dei cinesi era vicino ad alcuni cestelli di bambù sovrapponibili per la cottura a vapore e ad un set di bacchette marchiate con i nomi di diversi ristoranti dai nomi esotici.

Sul fornello invece c’era una tawa, una di quelle pesanti padelle di ghisa su cui gli indiani cucinano i loro chapati, i morbidi pani fatti di solo acqua e farina.

Negli armadietti pensili, anche questi acquistati da mamma Ikea, trovò molti barattoli ricolmi di spezie colorate e altri vasetti contenenti grani e radici che non aveva mai visto in vita sua.

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