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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Gli scarponcini numero quarantaquattro calzavano bene.

Si sedette per stringere i lacci a dovere.

Sarebbe uscito indossando quelle calzature e per non scordarsi di pagarle, facendo magari scattare un allarme antitaccheggio, decise di prendere con sé la scatola vuota.

Mentre afferrava il contenitore vide dall’altro lato dello scaffale un uomo che parlava al telefono.

L’uomo era un giovane biondo, quasi certamente un impiegato dell’ipermercato.

Parlava a voce bassissima e sembrava osservare Marco di sottecchi.

Quando si avvide di essere stato notato si voltò e sempre parlando finse di allontanarsi. Dopo qualche passo si girò nuovamente, mostrandosi interessato ai prezzi dei mocassini in esposizione.

Marco si allontanò rapidamente.

Si sarebbe anche messo a correre, se non avesse avuto paura di dare ancor più nell’occhio.

Chiese ad una commessa che sembrava avere qualcosa di molto urgente da fare, dove fossero gli zaini ed ottenuta l’indicazione si voltò per controllare se il biondo fosse ancora nei paraggi.

Non lo vide.

Cercò di calmarsi respirando profondamente e rallentando l’andatura.

Sembrava che l’ipermercato stesse rapidamente svuotandosi.

Naturale che fosse così essendo ormai ora di cena.

Ecco gli zaini.

Una lunga corsia con ogni genere di zaino e zainetto.

La maggior parte erano autentiche schifezze.

In un angolo sembrava esserci qualcosa di decente e di poco vistoso.

Marco si accorse che la corsia era deserta.

Anche nei corridoi che intersecavano perpendicolarmente nessuno transitava.

Marco Bacci sollevò lo sguardo e vide che sugli alti pilastri a sostegno del leggero tetto in poliuretano erano montate delle telecamere in grado di seguire i suoi movimenti.

Lo stavano chiudendo in quella gigantesca trappola.

D’istinto corse verso le casse. Erano tutte chiuse e deserte.

Erano riusciti a far uscire tutti i clienti ed il personale, era rimasto solo.

Gi altoparlanti continuavano a diffondere Radio DJ come se non fosse accaduto nulla.

Da un momento all’altro sarebbero spuntati gli agenti con le pistole in mano, pronti a far fuoco .

Se però non erano ancora apparsi e non lo avevano invitato alla resa doveva pur esserci un motivo.

Forse non erano ancora pronti.

Forse non avevano uomini a sufficienza per bloccare tutte le uscite.

“ In galera no! Che sparino pure.”

Gettò il suo cestello per terra e si mise a correre.

L’istinto lo guidò verso il retro dove c’erano gli immensi magazzini in cui venivano stipate le merci..

Attraverso delle enormi porte di plastica flessibile, su cui era scritto VIETATO L’INGRESSO, penetrò nel deposito senza che nessuno provasse a sbarrargli il passo.

Il vasto spazio era occupato da alte scaffalature, pile di pancali, muletti, imballi .

Marco Bacci correva cercando una via d’uscita. Si voltò per vedere se fosse seguito.

Nessuno.

Il maggiore ostacolo era costituito da tutto il cellophane ed il polistirolo sparpagliato sul pavimento.

Stava attento a non inciampare, pronto a cogliere qualsiasi segno di pericolo o di salvezza.

All’erta totale.

Vivo come non mai.

Pronto a tutto.

Adrenalina pompata nel sangue a tutta manetta.

Tra gli scatoloni vide due operaie che cercavano di nascondersi. Si gettarono a terra gridando.

Alle loro spalle una targhetta verde indicava un’uscita di sicurezza.

La trovò. Investì con tutto il suo peso i maniglioni antipanico che immediatamente cedettero alla pressione del suo corpo in corsa e si spalancarono su una stretta striscia d’asfalto tra il magazzino ed un muro di cemento liscio, alto circa tre metri.

Nessuno a destra, nessuno a sinistra, Solo una gran quantità di cassonetti addossati al muro.

Per un attimo pensò di nascondersi in uno di quelli.

Orrore.


Sull’onda dell’impeto riuscì a balzare sopra un cassonetto e si aggrappò al bordo del muro.

Con la forza della disperazione lo scavalcò, lasciandosi cadere in un campo di stoppie.

Cadde malamente e ruzzolò sulla schiena, sentendo le stoppie appuntite graffiargli la pelle.

Si rialzò.

I suoni di diverse sirene squarciarono il silenzio come ululati di iene e sciacalli.

Stavano arrivando adesso.

Ecco perché non avevano tentato di bloccarlo.

A cinquanta metri dal suo punto di caduta correva la massicciata della ferrovia.

Sui binari un merci carico di trattori, carrelli e macchine agricole, attendeva il via libera.

Arrivò il verde e il convoglio ansimando e cigolando si mise lentamente in moto.

In breve avrebbe preso velocità.

Nella vita di ognuno passano treni che non si possono perdere.

Marco Bacci doveva prendere quel treno ovunque fosse diretto.

Doveva prenderlo al volo.



Capitolo ottavo
Due fette di pane integrale spalmate con del Philadephia, una ciotola di lattuga piuttosto scondita, una tazza di brodo di verdura ed una mela.

La cena di Gaetano Cascione non era certo in grado di sollevare il suo umore.

Non ci riuscirono nemmeno la dolcezza di Luciana, né le considerazioni di Gianluca sui compagni e sugli insegnanti trovati all’inizio del nuovo anno scolastico.

Gaetano aveva sbocconcellato il pasto dispensando una finta attenzione ai discorsi dei suoi, qualche risata di circostanza e pochissime parole.

Sognava un bel caffè ristretto, accompagnato da una sigaretta. Ottenne soltanto un caffè d’orzo.

Luciana non autorizzava trasgressioni nocive.

Si sedette accanto a lui, sul divano del salotto. Si allacciò al suo braccio e si appoggiò al suo fianco.

Approfittando dell’assenza momentanea di Gianluca, prese a baciarlo sul collo e a mordicchiargli il lobo dell’orecchio destro, avvinghiandosi sempre di più, quasi volesse penetrarlo attraverso le ossa dei fianchi e del costato, quasi volesse tornare ad essere quella costola di lui che un dio fallocratico aveva usato per generare ciò che serviva a dare senso, gusto e completezza alla sua virilità altrimenti zoppa.

Gaetano lasciò andare un poco di tensione con una lunga serie di profonde espirazioni e se la strinse contro per aiutarla ad entrare in lui, per permettere quello scambio di sangue e anima che era alla base della loro strettissima unione.

Il passo strascicato del ragazzo lungo il corridoio funzionò come un segnale di stop e i corpi dei due coniugi si ricomposero immediatamente, seguendo automatismi oliati da anni di genitorialità pregressa.

Il ragazzo si lasciò andare su una poltrona accanto a loro e cominciò a zazzicare con il telecomando.

Luciana sapeva come sfruttare anche questo genere di situazioni.

- Qualcosa che non va?- bisbigliò vicino al suo orecchio.

- Meglio dire: niente che va.-

- Che è successo?

- Ci siamo ritrovati ad indagare su un caso di omicidio in cui nessuno vuole veramente indagare. Qualcuno molto in alto ha già deciso chi è il colpevole. Il fesso sospettato ha pure aggravato la sua posizione dandosi alla fuga. Così si è aperta la caccia e non sono riuscito a fermare i cani. Ci sono in giro persone pronte a sparare a qualsiasi persona gli assomigli.Di Cristofalo ha spappolato un ginocchio ad un cappuccino solo perché aveva la barba e faceva jogging come il presunto colpevole.

- Che pirla!

-Solo uno dei tanti e nemmeno il peggiore.

- Cosa pensi di fare?

-Vorrei semplicemente poter svolgere le indagini necessarie. Vorrei poter rassicurare quest’uomo e garantirgli un’inchiesta giusta e non un’immediata incriminazione.

-Pensi di potercela fare?

- Sarà molto difficile.Però spero molto nell’aiuto di quella donna.

-Quale donna?

- La vedova, la moglie della vittima di cui questo Bacci era molto intimo, forse anche amante.

- Ho capito: un delitto passionale.

Gaetano si irrigidì.

-Questo è quello che tutti pensano, ma bisogna anche verificare altre piste.

-Per esempio?

-Il padre della vittima è un uomo potente e pericoloso, con molti amici ma anche parecchi nemici.

-Un capomafia?

- No, un ex caporione della DIGOS.

-Ancora peggio, indagare su di lui sarà del tutto impossibile.

- E’ così, ma se si riuscisse ad aprire uno spiraglio di sospetto sotto la crosta di onorata rispettabilità…

- E conti su questa donna per aprire il tuo spiraglio di sospetto?

- Spero che mi aiuti a illuminare qualche angolo buio in cui si può nascondere un motivo per uccidere.

-Quanti anni ha?

-Una trentina.

- Come si chiama?

- Amaranta, Amaranta Blanquez.

- Sudamericana ?

- Al cinquanta per cento, la madre era di Luino. Ma perché ti interessa?

- Scommetto che è una di quelle brune vellutate e sinuose che ti fanno girar la testa.

- Non dire fesserie.

- Qualcosa mi dice che faresti meglio a lasciar perdere questo caso.

- Sono dello stesso parere. Ma non riesco a farlo.

- Perché ti attizza l’idea di consolare la vedovella?

- No, perché sono ancora illuso che si possa lavorare per una giustizia meno ingiusta.

- Sei senza speranza. Dì alla vedova fatale di andare a piangere sulla spalla di qualcun’altro.

- Ora glielo dico, stavo proprio pensando di telefonarle.

- Stai scherzando?

- No,devo proprio farlo, adesso vado di là e la chiamo.

- Ma è sabato sera, hai lavorato tutto il santo giorno e pensi ancora di dover fare delle telefonate.

- Non delle telefonate: una telefonata.

- Uffa! Allora devi chiamare anche la donna di Halini. Ha chiamato tre volte e ha urgenza di parlarti.

-So già quello che vuole, Saddam si è fatto pizzicare e pretende che io lo tiri fuori un’altra volta. Con tutta la fiducia che gli ho dato, quei due mi hanno davvero sputtanato. La chiamerò domani.

- Allora perché non chiami domani anche quell’altra?

- Sono sicuro che se le parlo subito poi dormo meglio.

Gaetano ormai si era alzato e stava dirigendosi verso il corridoio quando sentì Gianluca gridare

- Attento papi!

Si girò di scatto, giusto in tempo per prendere in faccia la ciabatta scagliata da Luciana.

Amaranta Blanquez stava sdraiata nella penombra della camera 519 alla Clinica S. Giuseppe.

Indossava solo una camicia da notte di garza bianca. Fissava il soffitto su cui venivano proiettate le ombre guizzanti dei pipistrelli, traiettorie di un movimentato banchetto attorno ai lampioni.

Le vicende della giornata, i farmaci, la visita di Gaetano, l’avevano spossata e confusa.

Non riusciva ad immaginarsi quel che le aspettava.

Al solo pensare di uscire da quella stanza sentiva un’angoscia crescente come la stretta di una garrota.

Se il futuro era carico d’ansie, il passato brulicava di spettri e di ricordi dolorosi.

Nomi e volti di uomini si affollavano alla fragile soglia della sua coscienza per insultarla, per lapidarla con ripetute accuse che esplodevano nel suo ventre, che incendiavano il suo petto.

Sentiva una grande attrazione per la finestra e sempre più spesso si vedeva, scomposta al suolo in una pozza di sangue, lasciare il suo corpo per andarsene verso un freddo e riposante nulla.

Si sentiva in colpa verso tutti, verso suo padre, verso Franco, verso Marco e perfino verso suo suocero.

Era come se tutti i mali del mondo fossero stati causati dalle sue scelte.

Ma il suicidio non sarebbe servito a rimediare nulla.

Era condannata a vivere per salvare almeno sua figlia.

Per portarla lontano da quel turbine di male e permetterle di crescere sana e pulita .

Valentina meritava di essere amata come lei si era illusa che Marco la potesse amare, doveva trovare il modo di farla sentire sicura e degna, libera e soddisfatta.

Poteva riuscirci contando solo sui suoi mezzi?

Le sembrava impossibile, ma doveva provarci comunque.

Altrimenti anche nell’aldilà il rimorso l’avrebbe tormentata.

Doveva riprendersi in fretta, doveva raggiungere al più presto la sua bambina.

Dormire.

Forse l’infermiera le avrebbe dato un sonnifero più potente. Le gocce non sortivano alcun effetto.

Dopo aver premuto il campanello un’infermiera si materializzò accanto a lei e si fece facilmente convincere a raddoppiare la dose di sedativo.

Appena l’infermiera si allontanò per andare a recuperare il farmaco, squillò il telefono.

La centralinista le domandò se voleva essere messa in contatto con il Vice Commisario Cascione..

Amaranta Blanquez acconsentì.

La voce di Gaetano era calma,calda e carezzevole.

Si informò sulle sue condizioni.

- Mi sento distrutta e non so come fare per addormentarmi. Confido in un’altra dose di sedativo.

- Le confesso che anch’io non sarei riuscito a prendere sonno se prima non avessi parlato con lei.

- Come mai?- domandò lei stupita.

- Credo che stiano per prendere Marco Bacci. Ha tentato di fuggire in bicicletta in direzione di Pavia.

Gaetano attese qualche secondo per captare quale effetto avessero fatto le sue parole. Ebbe la sensazione di percepire solo uno sbadiglio trattenuto.

- Sarà incriminato e se non si trovano elementi che possano discolparlo finirà i suoi giorni in carcere.

- Non credo di poter fare più nulla per lui.

- Forse potrebbe.

-Come?

- Parlando con me. Raccontandomi nei dettagli la vita di suo marito e anche quella di suo suocero.



- Prego?

-Nei meandri di quelle vite potrebbe nascondersi il bandolo della matassa, il filo che ci può condurre all’assassino di suo marito. Le cose più banali possono nascondere elementi importanti. Tutti i momenti di frizione,.tutti gli attriti vanno indagati. Dobbiamo riconsiderare anche la lite nei box. Quegli stranieri chi erano? Cosa facevano? È necessario frugare nei ricordi. Mettere in moto la memoria. Mi capisce? Amaranta Blanquez era stanca e quella voce oltre il filo le aveva mosso dentro un così grande numero di turbe che di certo avrebbero reso vani gli effetti del sedativo appena posato sul suo comodino dalla solerte infermiera. Eppure intuiva che nel tentativo di salvare Marco Bacci era inclusa anche la possibilità di rendere inoffensivo suo suocero, di liberarsi dalla sua stretta.

- D’accordo- disse con un filo di voce- venga domani mattina.

- Grazie mille, adesso riuscirò a dormire.

-Purtroppo, io sono sicura del contrario. Venga appena può.

Il Dottor Ferrigno intorno alle ventidue si congedò da moglie e figlio che, attorno al tavolo della Pizzeria Fiorentina in viale Bligny, aveva reso partecipi dei guai di Marco e del suo incontro con il Vicecommissario Gaetano Cascione.

- Nemmeno un ragazzino della medie tenterebbe una fuga in bici !-sentenziò secco suo figlio Pietro- Mi spiegate come mai uno che si è procurato una pistola e ha rubato una moto non ha pensato ad organizzarsi anche una fuga meno disumana?

Sara cercò di fargli capire che Marco aveva un carattere imprevedibile e una logica diversa.

Il Dottore si alzò. Spiegò che doveva incontrare qualcuno per aiutare Marco e se ne andò.

Col cellulare chiamò subito casa Sansone.

La voce di Adele, la moglie di Eduardo, uno dei punti fissi su cui questi aveva ancorato la sua libertà, con la consueta gentilezza spiegò che il marito era rimasto al negozio per sistemare alcuni affari.

Chiamò quindi il negozio in Via Savona.

- Ero sicuro che mi avresti cercato. Hai ricevuto anche tu una visita della polizia?

- No, mi hanno convocato in questura.

- Grosso guaio, eh?

- Enorme. Mi domandavo se per caso non ti fosse venuto in mente qualcosa per aiutarlo.

- Nulla, a parte darci da fare per trovargli un buon avvocato.

- Il fratello di Fulvio?

- Pensavo più ad un ex di Soccorso Rosso. Gente esperta con grane di questo genere.

- Ti va una birra?

- Volentieri. Passa di qua e poi andiamo in qualche pub della zona.

- Ci metterò più a trovare parcheggio che ad arrivare.

- E che sarà mai. È sabato, la notte è lunga e non ho sonno.

Se il Dottor Ferrigno si fosse recato all’appuntamento a piedi o in bicicletta come era consuetudine dello sfortunato amico di cui dovevano preoccuparsi , sarebbe arrivato in dieci ,venti minuti al massimo. Non volendo però rinunciare alle comodità della sua Toyota, ci impiegò una buona mezzora per coprire la breve distanza che separa Viale Bligny da via Savona. Quindici minuti furono spesi per la vana ricerca di un parcheggio sulle uniche strisce pedonali rimaste sgombre. Lo aspettavano altri dieci minuti di cammino prima di raggiungere lo showroom di Eduardo.

Alle ventitre spalancò la porta d’ingresso, era sudato e aveva gli occhi fuori dalle orbite.

- ‘Fanculo a te e alla tua pigrizia, non potevi venirmi incontro?

- Mi spiace Gigi, ma dovevo mettere a posto alcune cose. Ti ho già detto che sto allestendo anche una mostra di riviste di arredamento e illustrazioni d’interni appartenenti al periodo della Pop-art ?

- No, però sarà meglio parlarne dopo aver analizzato il caso di Marco e soprattutto davanti ad una birra.

- Adesso andiamo. Prima guarda questa cartelletta con le foto degli oggetti che esporrò.

- Ma veramente io...

- Devi assolutamente guardarla.

Nel gesto con cui Eduardo premette la cartelletta contro il petto di Gigi c’era qualcosa di perentorio. d

- Mettiti comodo.

Gigi si ritrovò seduto sulla stessa poltroncina in cui aveva preso posto l’Ispettore Gatto tre ore prima.

Aprì svogliatamente la cartelletta e ci trovò una serie di fogli A4 di cartoncino colorato.

A grandi caratteri in stampatello maiuscolo stava scritta a pennarello una frase per ciascun foglio.

I° foglio: FINGI GRANDE INTERESSE.

- Cazzarola guarda qua che roba- recitò il Dottor Ferrigno cercando di essere credibile.

- Questo è niente vedrai il resto.

II° foglio:ATTENTO A COME PARLI FORSE CI STANNO ASCOLTANDO.

- Non mi vorrai mica dire che...

Eduardo per sicurezza lo interruppe.

-Sono pronto a scommetterci. È come sta scritto lì. C’è lo zampino di Andy Wharol.

III° foglio: MASSIMA CAUTELA MI SORVEGLIANO STRETTO.

- Sicuro di quello che dici? – Il dottore non doveva più recitare

IV° foglio: MARCO È INNOCENTE E LO DOBBIAMO AIUTARE.

- Abbastanza.- rispose Sansone

V° foglio:CONSERVA IL PROSSIMO FOGLIO IN UN POSTO SICURO

- Devi stare attento prima di mettere in piedi una storia del genere.- suggerì il dottore titubante

Sul foglio successivo c’erano gli estremi di un conto corrente intestato al nipote di Sansone e un numero di cellulare che iniziava per 338 .

- Certo che bisogna stare in campana, mica mi voglio sputtanare , però ho dei contatti in Grecia , a Corfù ,dove sembra che l’artista abbia lavorato per quelle ceramiche sotto falso nome e prima di tutto verificherò se c’è qualcuno disposto a darmi una mano.

Mentre Sansone spiegava sottolineò con degli ammiccamenti le parole Grecia, Corfù e falso nome.

Sull’ultimo foglio stava scritto:

MANDAGLI UN SMS DA UNA CABINA ENTRO DOMATTINA. DIGLI DI NASCONDERSI E ATTENDERE ISTRUZIONI PER ESPATRIO VERSO GRECIA.

- Ho bisogno solo di alcune conferme e se le avrò la mostra sarà un successo internazionale.

- Auguri.- concluse Ferrigno piuttosto perplesso e sconcertato.

Eduardo prese la cartella e gli mise sotto il naso un altro foglio che teneva in tasca .

ORA USCIAMO E COMINCIAMO A PARLARE DI MARCO FACENDO FINTA DI NON SAPERE NULLA . LA VERITÀ LA SCRIVIAMO E POI LA BRUCIAMO.

Sansone prese il contenuto della cartella si accertò che Ferrigno avesse conservato i contatti e poi bruciò ogni cosa in un enorme portacenere a forma di mezzo cocomero.

- Ti voglio portare in un pub in cui sono andato spesso con Marco . Lui ci andava matto perché servono una birra inglese non pastorizzata . Diceva che la servono a cascata e questo per lui era il non plus ultra

- Ma perché parli al passato? Mica è morto. Almeno, non per quel che ci risulta.

Il volto del Commissario capo Galante faceva paura. Non era riuscito a chiudere i conti con il Bacci entro quel tragico sabato e pertanto provò una fitta al fegato quando vide il calendario digitale sul monitor del computer annunciare : 00.01 Domenica 14/09/2003 .Doveva ingollarsi quella boccata di fiele e cercare di venir fuori al più presto dalle angustie. Fin lì il suo asso nella manica era stato Carbone ed era su di lui che voleva continuare a puntare. Per più di tre ore lo aveva lasciato a dirigere invano le operazioni di ricerca dentro e attorno a Stradella. Avevano trovato la bicicletta, le borse, gli oggetti che Marco Bacci intendeva acquistare. Ma lui era svanito.Erano stati inutilmente perquisiti i cassonetti e le scatole da imballo trovati sul retro dell’ipermercato. Almeno venti uomini tra PS carabinieri e guardie giurate avevano setacciato i campi sul retro dell’edificio senza alcun risultato.

La piccola cittadina d’oltre Po era stata subito blindata e non una macchina o una moto si era potuta allontanare senza essere controllata.

Ora Carbone era stato richiamato in sede. Anche Gatto e Cascione erano attesi. Bisognava fare il punto, buttar giù una nuova strategia. Come al solito avrebbe deciso tutto lui, ma si attendeva qualche importante input dai suoi collaboratori e per questo non aveva esitato a convocarli nonostante l’ora.

Gatto aveva a malincuore salutato il giovane efebo con il quale era finalmente riuscito a combinare una cenetta intima, mentre Cascione stava sognando, quando arrivò la chiamata. La voce di Galante gli risultò quanto mai sgradita non solo per via della convocazione notturna, ma anche perché gli interrompeva una dei più bei sogni degli ultimi anni. A bordo di un biposto a elica aveva volato insieme ad Amaranta verso l’India, con le sciarpette di seta bianca che sventolavano, i caschetti di cuoio e gli occhialoni come i veri assi della I guerra mondiale. Erano atterrati in una baia dall’acqua smeraldina, circondata da megaliti di granito e alte palme tra le quali era nascosto un hangar.Prima spinsero il biposto all’interno dell’hangar, muovendolo con facilità come se fosse fatto di cartone, poi, mentre stavano chiudendo insieme una grande porta di lamiera ondulata, i loro corpi si ritrovarono in una prossimità così perniciosa che si videro costretti ad avvinghiarsi in un appassionato bacio. Gaetano spinse Amaranta contro la parete metallica e premendosi contro di lei cominciò a frugarla con le mani sotto la gonna. Stava risalendo il velluto di quelle cosce color cannella alla ricerca del frutto succoso che voleva assaporare al più presto, quando lo squillo del telefono mise fine ai suoi voli L’ufficio di Galante puzzava di sigaro e di rabbia. Il caffè del distributore automatico sapeva di cicoria. Appena ci furono tutti, Carbone spiegò che gli uomini della sicurezza all’ipermercato Stella avevano ricevuto dal personale del reparto elettrodomestici la segnalazione della presenza del ricercato. Quindi lo avevano tenuto d’occhio, avevano chiamato il 112 e concordato con la direzione del centro commerciale di bloccare gli ingressi per far evacuare i clienti ed il personale, senza diffondere allarmi per non creare panico.Il piano aveva ben funzionato. Dopo il settembre 2001 il personale aveva effettuato delle simulazioni per essere pronto ad affrontare attacchi di terroristi.Però gli uomini della sicurezza erano solo in quattro, a malapena sufficienti per controllare le porte principali. Il Bacci se l’era squagliata attraverso i magazzini e presumibilmente aveva preso la via dei campi. Dalle informazioni raccolte da Carbone, dagli articoli trovati nel cestello, dagli oggetti abbandonati nelle borse era abbastanza chiaro che il ricercato intendeva puntare verso l’Appennino. Per questo motivo oltre agli scarponi cercava uno zaino.

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