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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Galante li sfruttò per bruciare il tabacco bruno e piccante di un altro mezzo toscano cercando di convincersi che nella vita tutto passa.

“Anche le grane più fastidiose prima o poi finiscono” si diceva per consolarsi “alla fine di tutto l’unica cosa destinata a restare è solo la cenere.”

Una cenere come quella che si staccava dal suo sigaro e volava, perdendosi nel mattino domenicale.

Una cenere democratica ed interclassista che uniforma ed assimila ricchi e poveri, colpevoli ed innocenti, procuratori generali, ministri plenipotenziari, questori e commissari.

Cennere nient’altro che cennere.

Scendendo dalla macchina schiacciò con la scarpa i resti fumanti del suo mozzicone.

Il rumore dei suoi tacchi rimbalzava tra le alte pareti e i lunghi corridoi di un Palazzo di Giustizia reso quasi bello dal vuoto dei suoi enormi spazi, dall’essere deserto.

O quasi.


Un capannello di uomini di scorta era assiepato davanti alla stanza del Sostituto Procuratore Martini.

All’interno oltre al magistrato c’erano già il Questore, un Colonnello dei Carabinieri a lui sconosciuto, un cinquantenne dalla barba rossa e riccia seduto accanto a Martini, dietro la monumentale scrivania, con un lap top aperto davanti a sé.

“Questa corte mi ha già condannato e Barbarossa deve essere il boia.”

Le intuizioni di Galante erano esatte.

Il giudice si fece incontro al Commissario Capo. Dopo un asciutto saluto, lo invitò ad accomodarsi.

Con la sua legnosa freddezza , il corpo secco , la carnagione giallastra, Martini ricordava a Galante un incrocio tra un superstite di Mathausen ed un dannato fuggito da una raffigurazione medievale in cui si mostra ai peccatori come ci si riduce all’Inferno.

Il Commissario Capo rifletté che tra il campo di Mathausen e l’Inferno correva poca differenza.

- Commissario mi sono visto costretto a convocarla con urgenza dati i nuovi sviluppi presi dalle indagini sul caso dell’assassinio di Via Villoresi.

Martini indicò con una mano il Barbarossa e il suo computer.

- Il Tenente Colonnello Cozzi, in forza alla DIGOS, è venuto da Roma su espresso incarico del Ministero degli Interni per prendere in mano la guida delle indagini. Pertanto questo caso non è più di competenza della Squadra Anticrimine, anche se siamo certi di poter contare sulla sua totale collaborazione e sulla piena disponibilità di tutti i suoi uomini laddove le circostanze lo richiederanno.

Nella breve pausa che seguì Galante sentì il peso degli sguardi dei quattro uomini.

Per qualche istante l’unico movimento percepibile nella stanza fu il saliscendi del pomo d’Adamo attraverso il lungo collo del magistrato.

Galante aveva paura che il suo giramento di palle potesse produrre un qualche genere di rumore, quindi si schiarì la gola per rompere il silenzio.

- Non posso nascondere il mio disappunto. - Galante rivolse uno sguardo di fuoco verso il Questore – Tutto quel che posso dire è solo un garibaldino obbedisco.

- Le assicuro Commissario che non si tratta di sfiducia nei suoi confronti – intervenne il Colonnello della Benemerita per buttare una manciata di sale sulle ferite di Galante - diciamo che le brutte figure che avete rimediato ieri mattina con il ferimento del frate, ieri sera con la fuga del Bacci da Stradella e oggi con la scomparsa della moglie di Franco Faggioni dalla clinica in cui la tenevate sotto sorveglianza, ci vedono costretti a ritenere che questo caso vada affrontato con ben altre forze. Dobbiamo far capire alla gente che le forze dell’ordine sono pronte a scendere in campo con mezzi adeguati alle minacce che provengono da questo genere di canaglia.

Galante non vedeva l’ora di andarsene, ma non seppe rinunciare ad una piccola replica.

- Capisco perfettamente, d’altra parte anche il Signor Giudice ieri mi disse di fidarmi delle indagini private già svolte da Domenico Faggioni e di conseguenza ci siamo mossi nella convinzione di trovarci di fronte al gesto disperato di un amante frustrato. Ci abbiamo messo anche fin troppo impegno. Nessuno poteva immaginare di dover fronteggiare una banda in grado di agire su più fronti e soprattutto non potevamo supporre che dietro questa storia ci fosse un problema di traffico d’armi. Galante realizzò che le sue ultime parole avevano generato un fremito di sorpresa.

Solo Cozzi si limitò a sbatter le ciglia ed a fingere interesse per il display del suo portatile.

- Scusi Commissario- domandò il Questore con curiosità- se ho ben capito siete in possesso di qualche elemento a noi ancora ignoto se pensate che il delitto sia opera di una banda di trafficanti d’armi.

- Dati i vostri mezzi, immaginavo sapeste anche questo.

- Avanti, ci dica ! - ordinò tagliente Martini.

- Bé, stamattina un’ambulanza ha portato al pronto soccorso del S Paolo una donna in stato confusionale, con un vasto ematoma sul capo e varie ecchimosi sul corpo. La donna, una collega del ricercato e della sua bella, ha riferito che a ridurla così è stato un energumeno a cui il Bacci ha promesso e mai consegnato una partita d’armi. Pare che lo sconosciuto minacci di colpire nuovamente.

Senza alzarsi il Barbarossa prese la parola.

- Queste notizie devono restare assolutamente top secret. Temiamo che ci sia sotto una specie d’Internazionale del Terrore. Evitiamo che l’opinione pubblica sia gettata nel panico. È chiaro?

Gli altri annuirono obbedienti senza riuscire a nascondere un certo smarrimento.

Con un sorriso maligno il vecchio Commissario Capo si concesse un’ultima battuta.

- Spiacente. Le televisioni sono arrivate prima di noi. Hanno già intervistato quella povera donna.

Cascione,Gatto,Carbone,Maglio e Ruvolo inghiottivano la delusione ad un tavolo del Giamaica.

Galante per non affrontare di persona gli uomini della sua squadra , aveva preferito diramare un ordine di servizio in cui si autorizzava il personale coinvolto nell’operazione a godere di giorni due di riposo.

La notizia del passaggio del caso Bacci alla DIGOS aveva fatto piacere solo a Peruzzi , subito pronto ad involarsi, a bordo della sua Tigra gialla, a sistemare le sue vicende erotico sentimentali.

Anche Ruvolo in cuor suo non era così dispiaciuto, ma vedendo i colleghi così abbacchiati si era adeguato alla situazione e aveva messo su una faccia da finale di coppa persa ai rigori.

Cascione aveva buttato giù un caffè amaro e tiepido mentre gli altri si erano fatti preparare dal giovane barman degli stravaganti aperitivi colorati.

Nessuno parlava. Cascione sembrava fissare un punto lontano sul tetto della Basilica di S. Marco.

Gatto, contemplava invece il ragazzo dietro al bancone, impegnato in una sua personale danza con lo shaker. Gli altri tre si godevano il passaggio delle belle signore milanesi, tutte agghindate e pronte a genuflettersi durante la messa di mezzogiorno.

Fu Carbone a rompere il silenzio.

- No, non sta assieme.

- Che ?- domandò Ruvolo sperando si aprisse un dibattito sull’incongruenza di quegli abiti femminili così provocanti e la sacralità della funzione a cui erano dedicati.

- Quella femmina, non mi quadra.

- Quale femmina?-domandarono all’unisono Ruvolo e Maglio tirando il collo per ottenere una visione d’insieme del transito muliebre.

- Amaranta.

- Ah!

I due si sprofondarono nuovamente nella sedia. Gatto, invece fece capire a Carbone di continuare.



- Se intendeva fuggire, perché ha detto a Cascione di andare da lei il più presto possibile?

- Forse non sperava che riuscissero così presto a ricongiungerla con il suo ganzo- buttò là Gatto.

Carbone scosse la testa.

- Partiamo dall’ipotesi che questi GW siano un gruppo organizzato, pronto a compiere attentati e cose del genere. Mettiamo pure che per prima cosa decidano di far fuori il marito della loro pasionaria, per liberarsi di lui, per vendicarsi del suocero o perchè hanno paura di essere stati scoperti. Chissà! Ammettiamo che sia così, mi dite che senso ha questa pantomima della fuga del killer in bicicletta.

Che senso ha che Amaranta abbia chiesto di essere ricoverata in una clinica invece di fuggire subito con il suo uomo? E l’altra maestra massacrata di botte? Vi ricordate? Dalla sua deposizione sembrerebbe che il picchiatore sia convinto che anche lei faccia parte del complotto e sia al corrente delle mosse del Bacci e della storia di queste benedette armi. Sulle quali per ora non si sa nulla. Vedete non sta insieme che gente come questa , tre insegnanti di scuola elementare , abbia rapporti con la peggiore malavita in circolazione.

- Non sono ragionamenti che mi convincono – replicò Gatto sorseggiando il suo cocktail – Vogliamo proprio dimenticarci chi erano i brigatisti? Per caso ti sei scordato quanti insegnanti hanno fatto parte delle varie organizzazioni terroristiche? E questi delle nuove BR? Non sembrano anche loro delle persone a modo con il loro lavoretto, la macchinetta e la pistola sotto il cuscino? Mi meraviglio di te Carbone, con tutta la tua meticolosità dovresti sapere che ogni gruppo ha una sua folle, ma ferrea logica, sulla quale poi sviluppa le sue strategie d’azione. Bisogna capire cosa vogliono e cosa pensano questi nuovi GW per arrivare a comprendere il loro disegno. Non sarà facile e ci vorrà parecchio tempo. Per fortuna non è più compito nostr.Ci penseranno i DIGOS . Salute a loro!

Gatto svuotò il suo bicchiere, subito imitato da Maglio e Ruvolo.

Carbone invece guardava preoccupato Cascione ,chiuso nel suo mutismo. Proprio lui, che era l’unico con una certa esperienza nella lotta al terrorismo, si ostinava a tacere senza prendere posizione.

- Senta un po’ Gatto- intervenne Maglio- fino a poco fa era convinto che quel Sansone con il suo compare medico fossero complici del Bacci. Significa che anche loro sono GW?

- Bella domanda Maglio. - apprezzò Carbone.

-Resto convinto che lo coprano. Però non riesco a figurarmeli coinvolti in un piano criminale. Anzi credo che prima o poi sbrachino e comincino a collaborare. Però è solo una questione d’intuito, di sensibilità, che mi fa dire così. Che ne pensi Cascione?

Cascione rientrò dal suo viaggio extracorporeo.

Regalò a tutti il più sereno dei sorrisi, si alzò e buttò sul tavolo il suo tesserino di riconoscimento.

- Finalmente ho capito perché mi sono ammalato.

- Che ti sembra di aver capito ?- chiese Gatto incredulo.

- Che il poliziotto non è il mio mestiere, che non mi corrisponde. Il mio modo di capire e sentire ciò che accade attorno a me non è più adeguato a questo compito. Per questo mi sono ammalato così gravemente. Mi dimetto e per festeggiare l’evento pago io questo giro.

Cascione si diresse alla cassa. Gatto lo rincorse e lo trattenne per il giubbotto.

- Non fare il coglione. Non ti sembra un pochino tardi per decidere cosa fare da grande?

- Nient’affatto, mi sembra di essere diventato grande solo oggi.
L’arte della manutenzione della motocicletta non doveva essere il punto forte del celtico biondo cui Marco Bacci aveva rubato la Guzzi.

Pochi chilometri prima di Fiesole, l’anziana aquila di Mandello Lario aveva interrotto il suo volo.

Il freno a disco sulla ruota anteriore si era grippato, probabilmente a causa dell’eccessivo lavoro cui era stato sottoposto nei contorti tratti in discesa.

La ruota anteriore, completamente bloccata, rifiutava di compiere anche una piccola frazione di giro.

Con una certa fatica Marco Bacci trascinò il mezzo al bordo della strada e lo appoggiò ad un olmo.

Con uno sforzo ancora maggiore, finse di essere un escursionista e s’incamminò verso Fiesole.

Dapprima non riusciva a resistere alla tentazione di voltarsi ogni volta che sentiva un motore arrivare alle sue spalle, come se questo controllare che non si trattasse di gendarmi lo potesse proteggere.

Poi si convinse che solo una finzione d’indifferenza avrebbe fatto il suo gioco.

Ci riuscì malamente, con il fiato che rimaneva sospeso ad ogni passaggio d’auto ed il cuore che faticava ad adeguarsi a questa nuova condizione.

Si sentiva più che mai in mano al caso ed ai suoi capricci, ciononostante continuava a tenersi stretto il suo progetto di fuga. Appena arrivato a Fiesole salì a bordo di un autobus diretto a S. Maria Novella.

Lì avrebbe potuto trovare un servizio di corriere per raggiungere la Val d’Elsa.

Mentre l’autobus scendeva verso la città, accese il cellulare e trovò il messaggio di Gigi.

STIAMO STUDIANDO UN RITORNO DI ULISSE A ITACA SENZA ODISSEA- NON CHIAMARE MAI. PRESTO TI DAREMO UN APPUNTAMENTO SICURO. COPRITI.

I suoi amici gli stavano organizzando un trasbordo sull’altra riva dell’Adriatico.

L’idea gli piaceva.

Si sentì sollevato e protetto.

Guardò fuori dal finestrino con occhi diversi.

Firenze era bella e caotica come sempre.

Anche sommersa dalla congestione del traffico e dal tormento del turismo più becero la città sembrava voler sfidare il mondo a competere con la sua bellezza.

“Potrebbe essere l’ultima volta che la vedo”

Come rinunciare ad un ultimo giro?

Sia che fosse riuscito ad espatriare, sia che fosse finito a marcire in galera, le probabilità di un’altra gita a Firenze erano piuttosto esigue.

E allora giù.

Senza quasi sapere come, si ritrovò in Piazza S Croce. Si sedette su una panchina accanto ad un vecchio, probabilmente un turista inglese, elegantemente vestito di blu.

Sia l’abito che la camicia,di ottima stoffa e classico taglio, dovevano essere stati confezionati da un abile sarto in un periodo in cui l’anziano signore era stato decisamente più in carne.

La magrezza e la postura unite alla dignità che emanava dall’uomo solitario, in muta contemplazione della piazza e della basilica, ricordavano a Bacci certe foto del Mahatma Gandhi .

Aveva però dei bellissimi occhi europei, di un azzurro intenso, pareva quasi che due ritagli di cielo sereno avessero deciso di abitare nelle sue iridi.

Marco cercava di resistere alla tentazione di spiarlo per paura di attirarne l’attenzione, ma allo stesso tempo si accorgeva che ad ogni minuto aumentava la sua voglia di parlare con l’anziano signore.

Un cagnetto ramingo si sdraiò in una pozza di sole a qualche metro da loro.

- È tornato il randagino.- constatò il vecchio soddisfatto.

Istintivamente Marco si batté i palmi delle mani sulle cosce.

Subito il cagnetto si avvicinò scodinzolando, ben disposto a ricevere coccole e/o bocconi.

- Secondo mia figlia si tratta di un incrocio tra cani da caccia.

Parlava un italiano perfetto e privo di accenti, di certo non era fiorentino, ma neanche inglese.

- Credo che sua figlia abbia ragione, chissà dov’é il suo padrone?

- Da come si comporta sembra che ne stia cercando uno.

- Come fa a dirlo?

L’uomo si strinse nelle spalle atteggiando le labbra ad un tenero sorriso.

- Sono tante le bestiole abbandonate. Purtroppo noi uomini, per eccesso di egoismo, ci disfiamo con troppa facilità di questi amici a quattro zampe. Ci disfiamo anche dei nostri simili, appena diventano un ostacolo alle nostre ambizioni. Se sei vecchio o malato, se crei un qualche genere di problema, via !

Il cagnetto appoggiò sulle ginocchia di Marco il suo musino da cui spuntavano molti peli bianchi, in contrasto con il biondo fulvo del mantello, segno che anche l’animale era già avanti con gli anni.

Marco si accorse che la vicinanza di quei due vecchi, il randagio e l’elegante signore, gli faceva bene..

Stemperava la sua angoscia.

Creava un minuscolo limbo di pace.

Guardò con più sicurezza il suo anziano vicino che osservava beato quell’ effusione di coccole.

I capelli candidi e ben curati disegnavano un’elegante chierica attorno alla sua bella testa .

Il naso era piccolo e dritto, le guance ben rasate.

Aveva addosso un profumo di pulito e di fresco.

Marco si ricordò di aver fatto l’ultima doccia due giorni prima e arrossì.

Per la vergogna sprofondò la sua faccia nel pelo del cane e si strinse forte a quella creatura che certo non aveva remore o pregiudizi nei confronti dei suoi afrori.

Anzi, fu così contenta di quello stropicciamento che balzò sulla panca e si acciambellò nel suo grembo.

- Pare che lei abbia trovato un amico.

- Un’amica. È una femmina.

- Ci avrei giurato, anche se non riesco a vederla, da come zampetta, capisco che è una femmina.

- Non riesce a vederla?

- No, Il senso della vista mi ha abbandonato. Mi dispiace soprattutto per la lettura. Confesso di avere una passione folle per i libri.

Marco era stupito: quegli occhi che sembravano osservare tutto con vivace intelligenza erano ciechi.

- È diventato cieco recentemente?

- Non posso dire di essere diventato cieco, solo non riesco più a metter insieme delle forme che mi significhino qualcosa. Vedo un insieme di linee incongruenti . Potrei rivolgere la parola ad un appendiabiti o scambiare mia moglie per un cappello.

Risero.

- Per fortuna vedo ancora la luce. Mia moglie e mia figlia sono tornate a visitare la basilica, a camminare tra le urne de forti, ma io ho chiesto che mi lasciassero qui. In questa bellissima piazza che vedo con gli occhi dei miei ricordi, ma di cui sento la forza della sua luce e del suo passato. Ho perso la vista ma ho acquistato altri sensi.



- Non mi ero accorto che lei non vedesse. Anzi mi sembrava che osservasse sia me che il cane con occhio critico, quasi volesse valutarci, giudicarci.

- Bé non posso nascondere che non riesco ad evitare di esprimere giudizi e di cercare di valutare e capire anche quello che non posso vedere. Per esempio dal mio punto di vista- il vecchio non riuscì a trattenere una risatina- dicevo, dal mio punto di vista la cosa che più mi ha colpito di lei è la sua inquieta disperazione. Lei deve essere molto agitato.

- Non posso negarlo. Purtroppo non riesco a mascherare le mie emozioni e questo per me è un guaio.

- No, guardi si sbaglia Sono costretto a contraddirla. Dovremmo tornare un po’ tutti ad essere più aperti, smettere di indossare maschere e credere di essere diversi da quello che siamo.

- Non è sempre così facile. Ci sono casi in cui bisogna continuamente stare in guardia.Fingere. Nascondersi. Prenda il caso di una persona accusata ingiustamente e costretta a fuggire...

Il vecchio lo interruppe.

- Non so se quello che penso possa essere valido per tutti. Ma mi schiero con coloro che credono che il delitto sia il castigo. Che il mondo intero diventi un immenso carcere se nel cuore si porta il peso della colpa e che una cella, per quanto angusta, non possa impedire ad un uomo innocente di sentirsi libero.

Si concessero un silenzio di riflessione.

La cagnetta si era addormentata. Si sentiva il suo respiro pesante, come se russasse.

Marco era frastornato.

Il giudizio del vecchio metteva in dubbio la bontà delle sue scelte.

- Senta una cosa – disse ad un tratto il saggio signore- Io non so in quali ambasce lei si trovi, ma di sicuro lei è una brava persona, altrimenti la cagnetta non si sarebbe addormentata sulle sue gambe. Gli animali sentono e capiscono molto di più di quello che immaginiamo. Anche se qualcuno la sta accusando di qualcosa di tremendo, questo giudice pulcioso l’ha già assolta.

Risero insieme.

-Se la porti con sé, farà bene a tutti e due.

- Come la battezziamo?

- Ho degli amici che hanno preso dal canile una cuccioletta e l’hanno chiamata Lila. Le piace?

La randagina si svegliò e si mise a battere la coda sulle gambe di Marco.

- Sembra che a lei piaccia molto.

PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ?

Amaranta ripeteva a squarciagola la sua disperata domanda.

I muri bianchi e nudi non le rispondevano.

Dalla porta bianca e metallica non giungeva alcun suono.

Lo spioncino non si apriva.

La luce al neon, bianchissima e fredda, illuminava impietosamente la sua nudità.

Si era risvegliata sola e spogliata di ogni cosa, senza la possibilità di coprirsi con un qualsiasi cencio.

Non sapeva dire da quanto tempo stava gridando invano.

Non poteva valutare se fosse giorno o notte.

Gridava e singhiozzava.

Si accucciava ora qua ora là, in uno dei quattro angoli di quella cella di due metri per tre, al cui soffitto irraggiungibile era ingabbiato il tubo al neon, unico arredo nel vuoto bianco.

Cos’altro poteva fare se non gridare la sua disperazione?

Mille domande si accavallavano nella sua mente.

Cosa stava succedendo?

Chi l’aveva rapita?

Si trattava delle stesse persone che avevano assassinato Franco?

Che cosa volevano da lei?

Perché Franco era stato ucciso?

Non trovava alcuna risposta.

I racconti delle carceri e delle torture, quegli orribili racconti ascoltati da bambina, fingendo di dormire sul divano o sul sedile posteriore della macchina, quando suo padre riceveva informazioni sulla sorte dei suoi sfortunati compagni di lotta, quei racconti tornavano e si proiettavano, come in un teatro delle ombre, sui muri bianchi della sua prigione.

Molte di quelle terrificanti storie finivano con la morte dei prigionieri.

Alcune raccontavano di sopravvissuti che avevano speso il resto dei loro giorni muti ed immobili a fissare l’orrore che avevano dentro, a riascoltare le urla che non riuscivano più ad uscire dalle loro gole.

Ma qualcuno ce l’aveva fatta.

Mangiando cimici e scarafaggi, camminando e facendo ginnastica, sforzandosi di mantenersi vivi.

Quelli che ce l’avevano fatta erano quelli che non lasciavano spegnere il cervello e che cercavano di adattarsi il più possibile alle disumane condizioni di detenzione, pronti a perdere tutto , anche parti del loro corpo, ma ostinati a rimanere in vita senza farsi rubare la dignità che custodivano, come il più prezioso tesoro, nel segreto della loro anima.

Lei ne sarebbe stata capace. Doveva esserne capace. Per Valentina..

Da dove cominciare?

“ Smetti di piangere e di gridare, trovati una posizione comoda. Recupera energia. Il tuo corpo sa come fare, ascoltalo e fatti guidare”.le spiegò con calma la voce lontana di suo padre.

Si asciugò le lacrime, smise di gridare e di picchiare con i pugni e la testa contro i muri.

Cercò una posizione seduta.

“Anche due freddi muri ruvidi possono diventare accoglienti”

Era vero.


.

Gin-gi aveva svolto il suo compito con zelo filiale e la nonna stava già mostrando i primi sintomi di reazione. A volte i vecchi possiedono delle insospettabili capacità di recupero



Il Dottor Ferrigno tirò un sospiro di sollievo, anche questa volta la terapia tra le mura famigliari sembrava avviata ad avere successo.

- Brava ragazza, continua così per una settimana e poi chiamami ancora. Se la nonna peggiora, chiamami subito. Se non mi trovi chiama un’ambulanza e andate all’ospedale.

- No, nonna non vuole spedale, nonna vuole te. Te dottole tloppo blavo.

- No, io dottole tloppo pilla

- Pilla? Io non capisce pilla.

- Meglio così . Mi raccomando fa quel che ti ho detto.

- Io fa.

Una volta sul ballatoio il Dottor Ferrigno si guardò attorno con gran circospezione. ma non riuscì a scorgere alcuna presenza sospetta.Giusto qualche donna che stendeva i panni su lunghi fili da bucato.

Quando era ancora studente, il medico aveva abitato per alcuni anni in una casa di quel tipo ed aveva trovato sotto il lungo tetto un solaio che,come un passaggio segreto, metteva in contatto la prima scala con l’ultima e a volte permetteva di uscire sul lato opposto dell’isolato.

Invece di scendere, salì fino in cima alle scale e benedisse quella povera gente per non avere ancora adottato l’abitudine dei benestanti di mettere chiavistelli su ogni porta.

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