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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Gaetano era sorpreso una volta di più dalla fertile creatività della sua consorte ed approvava entusiasta. Già si vedeva seduto sotto il portico della vecchia casa con un panciotto di cuoio e la barba lunga ad accogliere danzatrici dall’aria diafana, provenienti da lidi iperborei, mosse dal desiderio di sentire sotto i loro piedi sensibili l’aspra energia di quella terra assolata ed antica.

Gli avrebbe fatto bene, sarebbe guarito.

- L’unica cosa che non riesco a digerire facilmente è il dover lasciare questo caso in sospeso.

Era una mesta ma sincera ammissione.

Gli pesava lasciare Bacci ed Amaranta in balia di Cozzi e della Digos.

Lo viveva come una specie di tradimento.

- Ma non hai scelto tu di lasciare questo caso- ribattè prontamente Luciana- Sei stato costretto. Ti hanno voluto togliere dai piedi.

- Giusto, ciononostante non riesco a trovare quel sollievo che avevo sperato.

- Se pensi di lasciare quando avrai risolto ogni cosa, non credo che una vita ti sia sufficiente. E poi non serve aiutare chi non vuole farsi aiutare. Guarda Halyni . Lo hai tirato fuori dai guai tante volte, gli hai anche trovato un lavoro ed una casa e lui si è messo di nuovo a spacciare.

Gaetano sospirò. Luciana aveva ragione.

- Halyni. Brutto stronzo, me l’ha combinata grossa stavolta. A che ora devi essere a teatro?

- Tra mezzora devo essere al Litta per la pomeridiana.

- Allora ti accompagno così poi passo da S. Vittore a salutare quel pistola.

- Poi mi vieni a prendere?

- Certo.

- Ceniamo fuori?

- E Gianluca?

- Resta con il suo amico Maurizio, poi insieme ad altri andranno a vedere il basket ad Assago.

- Bisogna andarlo a prendere?

-No. Ci andrà il padre di Maurizio e lo porterà a casa verso le undici.

- Wow! Allora vada per la cenetta romantica. Conosci qualche posto dove servano del buon Philadelphia?

-Fidati.


Gaetano si fidò e suggellò il patto con un bacio che non finiva più.

Domenico Faggioni non aveva previsto l’immediato arresto di Eduardo Sansone e del Dott. Ferrigno.

Il Folgore avrebbe dovuto lasciare presso di loro il pesante segno di un’imprevista e alquanto sgradita visita domenicale. Cozzi stava facendo di testa sua. Bruciava le tappe Non erano questi i patti

Secondo le informazioni di cui disponevano l’unica persona rimasta a piede libero della cerchia di amici intimi del Bacci era Fulvio Santerno.

Folgore e Faggioni, in una concisa telefonata sulla loro linea personale e sicura, convennero di sbrigarsi a torchiarlo prima che Cozzi e Martini gli soffiassero anche quella pedina.

Cozzi, Martini e anche Di Capua agivano senza consultarsi con lui.

Lo ignoravano in maniera oltraggiosa.

- E la troietta come si comporta?

- Fa la dura, ma presto si spezzerà.

- Ok. Sitema questo stronzo e quando hai finito chiamami, ti devo dare istruzioni su come trattarla.

-Agli ordini.... Comandante?

- Si?


-Posso farle una richiesta?

- Avanti.

- Posso portarle qualcosa da mettersi addosso?

- Perchè?

- Perchè così... nuda... mi turba.

- Se vuoi dire che lo fa rizzare anche a te, non ti preoccupare. Stuprala pure.

- No capo, non è quello… è che se la guardo mi intenerisco e non riesco fare quello che devo.

- Allora portale una tuta. Qualcosa di lurido, ruvido ed umiliante. Sono stato chiaro?

- Chiarissimo Comandante. Eseguirò.

Domenico Faggioni era disgustato. Non c’erano più speranze per la sua Italia, se anche uno come il Folgore si era rammollito al punto da provare tenerezza per una bagascia mezzo sangue, solo perché era svestita. L’Italia era un paese senza palle. Donne e finocchi avevano occupato troppo spazio.

Meglio morire, meglio presto.

Lionello Carbone era un poliziotto al cento per cento.

Non riusciva certo a godersi la domenica pomeriggio come può fare una persona che vive al di fuori dei problemi peculiari alle indagini di polizia.

Carbone non poteva chiudere un caso nella sua mente finché il caso non era veramente risolto.

Lo avevano estromesso dall’inchiesta, ma il suo cervello non la smetteva di tornare ai fatti di cui si era occupato nelle ultime ore. Non poteva dormire o andarsene al cinema. Non poteva bere fino a stordirsi o telefonare a qualcuna delle sue conoscenze femminili per cercare di distrarsi. .

Lionello Carbone non aveva altra soluzione..Doveva continuare ad indagare.

A metà pomeriggio tornò di nuovo in questura e salì nel suo ufficio, sentendosi quasi in colpa per quello che stava facendo. Lavoro straordinario non autorizzato e non remunerato. Comportamento antisindacale. Eccesso di zelo. Abuso d’ufficio. Appropriazione indebita d’inchiesta altrui. Questi furono solo i primi capi d’accusa che si sentì muovere contro dalle numerose voci in lotta nella sua coscienza.

Rito Gatto si era macchiato delle stesse colpe e stava fumando corrucciato con i piedi sulla scrivania.

- Non ci posso credere!- disse Gatto con quella sua aria distante e sorniona che lo faceva sempre sembrare inattaccabile dalle pene da cui sono afflitti i mortali.

- Tu quoque, Brute...- fu la replica di Carbone.

-Piano con gli insulti. Da quanti giorni non ti guardi allo specchio? Sarà pur vero che il poliziotto va un po’ trasandato, ma tu ragazzo mio sei ridotto come ecce homo, altro che Bruto.

Carbone sorrise a mezza bocca.

- Scommetto che non sei nemmeno passato da casa.

Carbone annuì.

-Sei tormentato dal caso Bacci?

Carbone grugnì un assenso.

-E tu?Cosa ci fai tu qui?

- Ti stavo aspettando.

- ?

- Ero certo che saresti venuto e volevo farti sapere che quelli della Digos hanno arrestato le due persone che tenevamo sotto sorveglianza, Sansone e Ferrigno.



-Non hanno perso tempo.

- No. E hanno anche mandato a casa tutti i ragazzi che si occupavano delle intercettazioni ambientali da noi predisposte.

- Questo non è da furbi. Se il Bacci si mette in contatto con qualcuno delle loro famiglie non lo potranno mai sapere.

- Esatto. Sembra che non siano così determinati a pizzicarlo. Non hanno nemmeno toccato gli appunti di Cascione. Quindi o vogliono seguire un loro personale schema d’indagine o sanno qualcosa che a noi non è stato rivelato.

- Chiaro, Domenico Faggioni si sente molto più a suo agio con i suoi ex colleghi e si fida molto di più di loro che di noialtri, volgari poliziotti di una squadra anticrimine.

-Probabile. Comunque tra gli appunti di Cascione c’è anche un nominativo che non è stato controllato: Fulvio Santerno, Via Vigevano. Si fa un salto da quelle parti? C’è una paninoteca che mi sfizia.

- Mi hai letto nel pensiero, Gatto. Ho un’incredibile voglia di addentare uno sfilatino al culatello.

Il Burgman che aveva prelevato dal Rifugio 2 gli ricordava più un grosso bidet che uno scooter. Quasi si vergognava di doversi spostare per la città con un mezzo così poco virile. Fosse stato nella sua Roma avrebbe inforcato ben altri destrieri per muoversi in maniera rapida senza dover perdere di dignità.

Per fortuna nel capoluogo dei panettoni non c’era nessuno che avrebbe potuto riconoscerlo, eccezion fatta per il Comandante. Era anche per questo che il Comandante si rivolgeva a lui per sbrigare qualche lavoretto nel Nord Italia. Ogni volta che bisognava giocare veramente pesante, il Comandante sapeva che poteva contare sull’anonimato oltre che sulla fedele sudditanza del Folgore.

Quasi quindici anni prima , quando il Folgore andava fiero del suo berretto amaranto da paracadutista nella caserma di Pisa, una recluta che si rifiutava di sottostare alle vessazioni e alle umiliazioni dei nonni, venne massacrata a pugni e calci da un gruppo d’anziani. Qualcuno diede l’allarme e i picchiatori se la diedero a gambe. Solo il Folgore continuò ad accanirsi contro quel misero fagotto di carne sanguinolenta, ormai privo di vita. Lo scalciava con i suoi enormi anfibi, chiamandolo comunista, frocio e sovversivo. Spaccò la mandibola ad un sergente maggiore che gli intimò di fermarsi e ci vollero otto uomini per riuscire nell’impresa di bloccarlo.

Agli inquirenti il Folgore, per l’anagrafe Sebastiani Andrea nato a Latina il 21- 9-1968, non rivelò mai il nome degli altri picchiatori e contro ogni evidenza, in barba a tutte le promesse di sconti di pena, sostenne di aver agito da solo. Nel corpo dei parà non dovevano esserci né froci, né sovversivi, né spie.

Fu condannato a 20 anni di carcere.

Scampò l’ergastolo grazie ad alcune perizie psichiatriche tese a dimostrare che l’omicida non era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Il padre del Folgore era un vecchio repubblichino, passato poi in forza al Sifar di De Lorenzo. Prima del processo d’appello si rivolse a Domenico Faggioni per avere un aiuto da un camerata tanto influente, con cui negli anni 60 aveva a lungo collaborato per preparare decine di migliaia di fascicoli in cui schedarono tutti i politici, i sindacalisti, gli attivisti della sinistra.

A Domenico Faggioni bastò qualche minuto nel carcere di Gaeta per rendersi conto di quanto prezioso potesse essere l’ asservire ai propri fini quel bestione, con tutta la sua incorruttibile lealtà.

- Mi aiuti a uscire da questo buco e la servirò fedelmente per tutta la vita.

Vennero trovati numerosi difetti procedurali e vizi di forma che portarono all’annullamento del processo. Il nuovo processo tardò ad essere istruito e nel frattempo il Folgore venne trasferito in un ospedale militare da cui misteriosamente svanì. Di Andrea Sebastiani non si seppe più nulla.

Al Folgore, un assassino colto in flagranza di reato, venne fornita una nuova identità. Fu quindi addestrato segretamente a torturare prigionieri, a manipolare esplosivi e a compiere omicidi che avrebbero dovuto sembrare suicidi o incidenti .

Gli fu trovato un appartamento ai Parioli e intestato un conto corrente in Svizzera sul quale una società off-shore versava cifre a quattro zeri con insolite, ma frequenti cadenze.

Quel pomeriggio il suo compito era quello di sbatacchiare il malcapitato amico di Bacci rimasto a piede libero e lanciare un ultimatum. Se entro ventiquattrore il Bacci non si fosse fatto vivo, i sui “clienti” avrebbero cominciato la decimazione di tutte le persone legate a lui.

Un modus agendi piuttosto efficace. Lo stile dei clan malavitosi.

Lasciò lo scooter di fronte alla Stazione di Porta Genova.

Aprire il portone a livello strada gli rubò solo qualche secondo. Mentre armeggiava col suo grimaldello s’immaginò di essere di nuovo al Rifugio 2 e di trovare la donna nuda, seduta ad aspettarlo con tutte le sue domande e quello sguardo che lo rammolliva.

Il Comandante non gli aveva mai ordinato di sequestrare una femmina.

Non gli piaceva dover aver a che fare con le femmine.

Già con quella Rita si era accorto di non provare nessun gusto a schiaffeggiarla.

E sì che aveva l’aspetto da donna consumata e un poco avvizzita, come tante entraineuse incontrate nei night club di provincia in cui ogni tanto andava a divertirsi.

Amaranta era diversa, era fine, era liscia, lo inteneriva. Le era dispiaciuto sputarle addosso, ma non aveva trovato il coraggio di avvicinarsi e batterla.

Suo padre non aveva mai battuto la mamma, anche la sorellina, quella che era morta ragazzina, veniva trattata come una principessa e a lui era stato insegnato che non bisognava toccarla perché era come una cosa delicata e fragile, come una bambola di porcellana.

- Guai a te se solo la sfiori con le tue manacce! - gli ripeteva Sebastiani pater.

Certe donne erano così delicate che gli ricordavano sua sorella.

Una volta era stato nell’appartamento di una puttana, una di quelle che mettono gli annunci sui giornali. Era giovane, minuta, con i seni piccoli e i capezzoli lunghi, fingeva di essere francese.

Si era data un sacco da fare, ma nonostante tutta la sua arte, dopo mezzora che armeggiava con il suo uccello, senza riuscire a resuscitarlo, gli domandò:

- Sei sicuro che ti piacciono le donne? Non é che sei un po’ frocio?

Il Folgore avrebbe potuto ammazzarla, era sicuro che avrebbe ammazzato chiunque avesse solo pensato di dargli del frocio. Invece aveva sentito solo un enorme languore dentro al petto.

Un senso di doloroso sperdimento gli avvolgeva il cuore e glielo faceva sanguinare come nel quadro con l’immagine del Cristo, sospeso a guardare impotente il corpo della sorellina sfinito dalla leucemia.

C’erano femmine che solo a guardarle erano capaci di farlo sentire molle.

Meglio evitarle, meglio non avere a che fare.

Era vero, ne aveva già uccisa qualcuna. Con l’esplosivo però.

In quei casi non aveva dovuto nemmeno guardarle, né sentire le loro voci.

Era stato sufficiente premere un pulsante.

Il comandante doveva capirlo, niente più femmine per il Folgore.

Il Folgore non picchia le femmine.

Scacciò i pensieri e uscì dall’ascensore.

Nessuno lo aveva visto attraversare il cortile e salire fino all’ultimo piano della scala B.

Una delle specialità del Folgore era quella di non farsi mai notare.

C’era qualcosa di umbratile nel suo corpo colossale che lo faceva risultare invisibile.

Quelli che lo avevano visto in azione erano già morti.

Giunto davanti alla porta dell’abbaino ebbe qualche istante di perplessità nel vedere le due grosse serrature al di sopra della maniglia.

Non sarebbe riuscito a forzarle senza farsi sentire dall’interno. Tanto valeva suonare e cercare di farsi aprire. Se non avessero aperto, sapeva come fare.

Suonò.

Nessuna risposta.



Risuonò più a lungo.

Idem.


Non c’era evidentemente nessuno in casa.

Estrasse il suo passepartout e, non appena appoggiò la mano alla maniglia, la porta si aprì.

Quel Fulvio era davvero una gran testa di cazzo, era uscito senza chiudere a chiave.

Appena entrato, fu aggredito dalla forza delle immagini dipinte ovunque, dall’odore di fumo rappreso e dalla grande quantità di piatti, bicchieri, bottiglie, vestiti, libri e pennelli sparsi in ogni dove.

Appesa ad un gancio sul fianco di una libreria c’era una sciabola da ufficiale dell’esercito.

- Una merda di artista frocio. Avrà comprato la sciabola, non avrà di certo fatto la scuola ufficiali .

E adesso dov’era?

Quanto avrebbe dovuto aspettare?

Forse era andato da qualche vicino o in cantina, uno che se ne va senza chiudere la porta a chiave, dopo che ci ha montato due serrature di sicurezza, o pensa di tornare subito o è un pazzo.

Probabilmente il tipo in questione era un pazzo.

Pistola silenziata in pugno, Il Folgore girò in pochi secondi l’appartamento.

Trovò solo confusione, mozziconi e dipinti.

Percepì dei passi pesanti sulle scale e si acquattò dietro la porta del bagno.

Fulvio aveva appena riaccostato l’uscio quando lo vide.

-Porta le mani lentamente dietro la testa e siediti - sibilò il Folgore tenendo la pistola a qualche centimetro dalla testa di Fulvio.

Era un invito che non si poteva rifiutare.

Fulvio si sedette con le mani dietro la testa e una Gauloise tra le labbra.

Il Folgore si avvicinò con cautela, allungò una mano, gli strappò la sigaretta e la gettò sul terrazzo.

Lentamente si spostò alle sue spalle, tra la sedia e la porta.

-Sei qui per Marco, vero?

La domanda di Fulvio lo colse di sorpresa.

Lo sconcertava il tono calmo e basso con cui parlava quel frocio di un pittore.

-Dov’è?

- Non lontano. In un posto sicuro.



Questo cambiava le carte in tavola.

- Parla.


- Non mi conviene.

- Preferisci morire?

- Tanto mi uccideresti lo stesso.

- Ci sono tanti modi per morire.

- Se tu fossi al mio posto quale sceglieresti?

- Se fossi nei tuoi panni, parlerei.

- Per morire come un traditore? Non mi sembri il tipo.

- Tu non sai un cazzo.

- So dov’è Marco e se troviamo un accordo ti ci porto.

- Non sei nella condizione di dettare regole.

- Fai tu. Immagino che tu sapessi dov’ero quando sei entrato in casa mia...

Il Folgore ritenne che ammettere di non averlo visto suonasse come una debolezza, d’altronde come avrebbe potuto riconoscerlo se il Comandante non gli aveva nemmeno detto che assomigliava a Charles Bronson, uno dei pochi attore che il Folgore aveva idolatrato.

- Certo che lo sapevo.

- E allora hai visto anche Antonella, la ragazza che era con me nel bar tabacchi.

Doveva bluffare ancora, senza esitare.

- L’ho vista. È la tua troia?

- Me la sbatto volentieri.

- E allora?

- E allora vediamo se riesci ad indovinare dov’è adesso la mia donna?

- Dimmelo tu.

- Vedi quell’accidenti di citofono alla tua destra?

- Lo vedo.

-Sono mesi che non funziona. E non me lo riparano.

-Non mi frega un cazzo del tuo citofono di merda.

- Invece dovrebbe fregartene molto.

- Perché?

- Perché aspettiamo visite da un momento all’altro e la ragazza è rimasta giù per aprire il portone.

- Chi deve arrivare?

- Amici di Marco. Lo portano all’estero questa sera.

- Io vi ammazzo tutti! Brutti stronzi!

- E allora comincia con me. Così nessuno saprà dov’è Marco.

Il Folgore aveva voglia di ucciderlo, però sognava lo scalpo di Bacci da portare al Comandante.

Doveva neutralizzare quegli stronzi che stavano arrivando.

-Mica male morire così - continuò Furio- un colpo in testa e via. Senza vecchiaia, senza malattie.

- Zitto tu.

Dalla tromba delle scale arrivò il rumore dell’ascensore.

Qualcuno stava salendo.

In quella posizione, stretto tra la sedia e la porta il Folgore non avrebbe potuto controllare contemporaneamente Fulvio e i nuovi entrati.

Non poteva nemmeno permettersi di chiuderli fuori. Si sarebbero allarmati, incasinando tutto.

Aveva pochi secondi.

Prese Fulvio per i capelli e lo sollevò di peso.

-Ahiaa!


- Taci, ti ho detto. Tieni le mani sulla testa, bene dietro alla nuca, vai nel cesso e non fare cazzate.

La porta dell’ascensore veniva chiusa rumorosamente al pianerottolo sottostante.

Folgore si spostò lateralmente tenendo sempre l’arma puntata contro Fulvio.

Senza perderlo di vista e stando bene attento a dove metteva i piedi, per non inciampare tra gli oggetti sparsi sul tappeto, raggiunse il cucinotto da cui poteva tenere sotto tiro l’ingresso e il bagno.

Nel silenzio non fu difficile percepire il rumore dei passi che salivano verso l’abbaino.

Il Folgore era teso, continuava a spostare lo sguardo da Fulvio alla porta e viceversa.

“ Sposta troppo la testa.- ragionò Fulvio- Deve avere dei problemi con la visione laterale.”

Nell’istante in cui la maniglia della porta d’ingresso veniva abbassata Fulvio scagliò una grossa boccetta di profumo che con un tonfo s’infranse contro l’uscio.

-Scappa Antonella!

Il Folgore fece fuoco immediatamente centrando lo specchio sopra il lavandino del bagno.

Fragore di vetri in esplosione e frantumi in caduta libera.

Fulvio si tuffò verso il centro del salottino, dietro una grossa poltrona imbottita.

Dalle scale provenivano urla e grida d’aiuto.

Folgore s’avventò verso la porta nel tentativo di chiuderla.

L’altro ebbe l’istinto di sollevare il bordo del tappeto facendolo incespicare e cadere in avanti.

Il gigante rovinò sul tavolo rovesciando bottiglie e bicchieri.

Fulvio gli fu addosso e lo disarmò con un colpo al polso.

La pistola rotolò a terra e Fulvio la scalciò lontano.

Il Folgore fremente di rabbia era pronto per stritolarlo.

Quel coglioncello stava indietreggiando verso il terrazzo in posizione di difesa, era più basso di almeno venti centimetri e pesava molti chili di meno. Se lo sarebbe sbranato.

Sferrò un sinistro con l’intenzione di spaccargli la faccia.

Fulvio lo schivò e gli afferrò il braccio. Con una sequenza di mosse di aikido l’atterrò e l‘immobilizzò.

- Te l’avevo detto che dovevi uccidermi subito.

Il Folgore non rispose.

La porta si spalancò.

C’era gente che stava entrando.

Fulvio, con un ginocchio sul collo del Folgore ed entrambe le mani impegnate a trattenere un braccio del colosso dietro la schiena, non poteva voltarsi per vedere chi era entrato.

- Qualcuno può chiamare la polizia, per favore ? – chiese con modi fin troppo garbati.

- Siamo noi la polizia- rispose Rito Gatto- ça va sans dire...

Antonella aveva tanti difetti, era troppo gelosa e molto appiccicosa, ma aveva carni sode e molta pazienza e soprattutto era puntualissima. In più teneva sempre in borsetta il mazzo di chiavi che Fulvio le aveva regalato.

Per molti giorni, quasi due settimane, non si era fatta sentire.

Non le mancavano i motivi per cercare di stare lontano da quel maschio che adorava, anche se si rifiutava di fidanzarsi con lei.

Quella domenica di metà settembre aveva ceduto e gli aveva telefonato.

Promise che sarebbe arrivata alle quattro e mezza. Fulvio aveva impostato il gioco su quella certezza.

Di certo non immaginava che anche Carbone e Gatto avessero deciso di fargli visita.

La sua vita era così.

Giorni e giorni da solo in compagnia dei suoi quadri e poi all’improvviso un sacco di gente per casa.

Gatto e Carbone avevano chiamato anche Ruvolo e Maglio, subito accorsi, mentre Peruzzi sarebbe arrivato di lì a poco.

Cascione come al solito aveva il cellulare spento e non si poteva far conto su di lui.

Per fortuna si poteva stare in terrazza, perché il salotto, ancor più sconvolto del solito, bastava a malapena per tenere il Folgore lungo e disteso.

Dopo avergli ammanettato mani e piedi lo avevano perquisito.

Oltre alla pistola, una Beretta modello 70 calibro 7,65, aveva addosso anche altri due caricatori, una S&W.40, un coltello a scatto con una lama lunga una spanna, un tirapugni, un enorme mazzo di chiavi completo di grimaldelli e passepartout, cellulare e portafoglio.

Nel portafoglio oltre a più di duemila e rotti euro c’erano anche documenti e carte di credito intestati ad Andrea Mari residente a Roma.

Il Folgore si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda.

Ligio al suo dovere si limitò a dire che se il Bacci non si fosse fatto vivo entro il giorno seguente, avrebbero cominciato a morire tutte le persone a lui care.

A quel punto Fulvio prese da parte l’Ispettore Gatto, che sembrava essere il responsabile di quell’operazione, e gli confessò quel che sapeva di Marco Bacci..

Gatto provò subito a chiamare il numero di cellulare che il Dott. Ferrigno aveva scarabocchiato.

Anche quel telefono era spento.

Però non appena fosse stato attivato il cellulare di Gatto avrebbe squillato, fornendo così la possibilità di stabilire un contatto.

La situazione era più che mai ingarbugliata.

Gatto e Carbone avrebbero dovuto chiamare Cozzi e la Digos, consegnare loro quel bestione, denunciare la complicità di Fulvio Santerno con il Dott Ferrigno e Sansone, rivelare il recapito telefonico del Bacci, spiegare i motivi per cui si erano intromessi in un’indagine che non era più di loro competenza. C’era da avvertire il loro capo e darsi da fare per proteggere i famigliari del Bacci.

Sapendo che nel mondo della malavita c’erano individui senza scrupoli pronti a mettere una bomba nella scuola in cui lavoravano Amaranta e Marco, non potevano esimersi dal far mettere l’edificio sotto sorveglianza. Forse avrebbero dovuto anche sentire il Prefetto e decidere con lui se decretarne una chiusura temporanea.

Pensare di continuare a fare i segugi al di fuori di una regolare procedura era un vero azzardo.

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