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Lorenzo Negri L’uomo sbagliato


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Cascione spinse la sua sedia all’indietro come volesse prendere una distanza necessaria per scrutare meglio il suo interlocutore e sul suo volto si dipinse una smorfia più che eloquente per indicare quanto poco contasse la formale promessa del Dott. Ferrigno.

Il grosso orologio, appeso al muro proprio allo zenit del suo appuntito cranio calvo, diceva che le sei erano passate da poco più di cinque minuti.

Il Dott Ferrigno si alzò.

-Se non c’è altro...

Anche Cascione si alzò, ma invece di congedarlo gli rivolse un’altra domanda.

- Il suo amico si è rivolto ad una psicoanalista. Cosa mi può dire al proposito?

- Le posso dire che sono stato proprio io a convincerlo a mettersi in analisi. Mi sembrava che ne avesse veramente bisogno. Ho avuto garanzie sulla professionalità della Dottoressa Castelli e li ho messi in contatto. Marco ha dovuto vincere la sua riluttanza, ma poi mi ha ringraziato di questo mio interessamento e posso confessarle che mi sembra che il lavoro stia dando frutti eccellenti. Lo dico sia come amico che come medico. È tutto?

- Nient’affatto. Ho ancora altre domande. Che ne dice di tornare a sederci?

Desolatamente il Dott Ferrigno si lasciò cadere sulla sua sedia.

- Ho cercato invano questa Dottoressa perché mi preme sapere se anche lei può escludere che il Bacci possa celare una personalità schizoide. Per caso mi può fornire un altro recapito di questa psicoanalista, un numero di cellulare, un indirizzo e-mail?

- No. Ho passato i dati a Marco, ma personalmente non ho avuto alcun contatto con questa signora.

-Cosa le dicono questi nomi : Edo e Fulvio?

Una bestemmia muta prese forma nella testa del dottore.

“ Cazzarola ! Mo che m’invento? ”

Si ricordò che in certi casi la miglior risposta è un’altra domanda.

- Perché me lo chiede?

- Perché mi risulta che appartengano ad una stretta cerchia di amici fidati del ricercato. Capirà che dobbiamo verificare che non sia nascosto pressso le loro abitazioni e ricavare da loro il massimo d’informazioni possibili per poterlo intercettare prima che sia troppo tardi.

- Cosa intende con questo troppo tardi?

- Intendo che con il passare delle ore il suo amico potrebbe sentirsi schiacciato dal peso della colpa, se è stato lui ad uccidere Faggioni. Se invece è innocente ad opprimerlo potrebbe essere un senso di ingiusta persecuzione. Entrambe le situazioni potrebbero spingerlo a compiere un gesto irrimediabile.

- Come il suicidio?

- Non mi stupirebbe.

Il Dottore si arrese.

- Sinceramente non stupirebbe neanche me.

- Vedo che cominciamo a capirci meglio.

Il dottore sbuffò sonoramente, inforcò gli occhiali da vista ed estrasse un’agendina dalla tasca interna del suo giacchino.

- Dunque ..Edo o Eduardo... Se mi dà carta e penna le copio i suoi numeri di telefono.

Gaetano Cascione fu ben felice di soddisfare quella richiesta .

- Invece Fulvio di cognome fa Santerno ed è un insegnante all’Accademia di Brera...- il dottore ebbe paura di aver sbracato troppo e cercò di rimediare- però non ho il suo numero di telefono, né l’indirizzo. Glieli farò avere appena...

- Non si preoccupi li troveremo con facilità. A chi pensa che abbia chiesto aiuto?

Il dottore guardò il poliziotto con un sorriso in cui si leggevano al contempo l’orgoglio e il sollievo.

- Di solito si rivolge a me quando è nei guai. Però questa volta ha agito differentemente e comunque non credo che si sia nascosto presso uno di loro...

- Dove crede che sia andato a nascondersi ?

Il Dott.Ferrigno rimase pensoso. Non sapeva veramente che pesci pigliare. Non riusciva a fare una corretta diagnosi della situazione. Il suo amico era in un grosso pasticcio e l’unica medicina a disposizione per tentare un salvataggio sembrava quella di collaborare con le forze dell’ordine.

Decise di parlare sforzandosi di credere che non ci fosse scelta.

- Come le ripeto non ne ho la più pallida idea. Potrebbe essere dovunque. Però non credo che sia rimasto in città. Se mi dovessi far guidare dall’istinto non lo cercherei né da amici né da parenti. Marco è sempre stato un grande amante della montagna e ci sono diverse zone che conosce alla perfezione.

- Per esempio?

- Per esempio l’alta Valle Seriana o la Valsassina.

- Sono posti in cui è difficile passare inosservati.

- Certo, però se uno conosce la zona può trovare malghe abbandonate e altri rifugi in cui passare diversi giorni senza incontrare nessuno.

- Lei crede di poterci indicare qualcuno di questi luoghi?

- No. Ricordo però la prima notte della mia vita in cui ho dormito sotto una tenda. Sono andato con Marco in una zona dalle parti di Bratto, in Val Seriana. Avevamo solo quattordici anni, ma lui conosceva già un sacco di luoghi che sembravano proprio rifugi segreti. Gallerie per gli acquedotti, miniere abbandonate, stalle in disuso. Era tutto molto avventuroso e ci piacque moltissimo.

-Potrebbe essere tornato proprio lì?

- Come posso saperlo? Quello che voglio farvi capire è che se non vuole farsi trovare, non sarà facile stanarlo. Inoltre conosce un sacco di persone in ogni regione d’Italia e anche in molti paesi europei ed asiatici. Può andare ovunque e trovare appoggi con facilità.

-Capisco. In ogni caso manderò un all’erta particolare ai Carabinieri di Bratto. Non si sa mai che i ricordi di gioventù lo abbiano indirizzato proprio da quelle parti. La prego di scusarmi un attimo.

Gaetano Cascione uscì dalla stanza.

Rimasto solo il Dott Ferrigno si sentì quasi sollevato dall’aver rivelato al poliziotto queste considerazioni, affiorate non si sa come dal suo subconscio. Aveva voglia di uscire, accendersi una sigaretta e correre da suo figlio. A quell’ora il traffico doveva essere impossibile. Forse era meglio chiamare Pietro e dirgli che per il biliardo non c’era più tempo.

Un forte odore di sigaro lo costrinse a voltarsi verso la porta alle sue spalle.

Il Commissario capo Galante se ne stava sulla soglia con le mani sui fianchi, mezzo toscano fumante tra le labbra e l’espressione di chi non è del tutto sicuro di trovarsi al posto giusto. Il nuovo arrivato tirò qualche boccata prima di chiedere all’individuo barbuto, che lo fissava muto, la conferma fosse davvero quello l’ufficio del Vice Commissario Cascione .

- Sì – rispose il dottore – l’ufficio è questo, però il Signor Cascione è uscito un attimo.

Galante si sedette sulla poltroncina di Cascione.

- E auguriamoci che sia davvero un attimo che ho voglia di uscirmene pure io.

- Non lo dica a me. Avrei dovuto essere a casa da un pezzo... Posso fumare anch’io?- domandò timidamente il dottore ammiccando verso il cartello VIETATO FUMARE ..

- No, lei no.- rispose bruscamente Galante senza guardarlo..

- Perchè io no?

- Ma come non sa leggere? C’è un cartello tanto davanti alla punta del suo naso.

- Ma lei sta fumando un sigaro!- insistette il dottore.

- Ma che dice? Qui nessuno fuma. In questura tutti rispettano a puntino ogni genere di regola.

- Posso sapere con chi ho il piacere?

C’era una buona dose di dispetto nella domanda del dottore.

La risposta gli arrivò dal rientrante Cascione.

- Dottor Ferrigno le presento il Commissario Capo Galante, responsabile di questa squadra.

Non ci fu il tempo per una stretta di mano. Galante ignorò il dottore e si rivolse al suo subordinato.

- Dove ti eri imboscato Cascione ?

- Ero andato di là a dare disposizioni per..

- Lascia perdere che non mi fotte nulla. Sono passato per dirti che hanno pizzicato il tuo Halini ,dalle parti di Lambrate, con due chili di cioccolato nella ruota di scorta.

Cascione smoccolò in silenzio.

Galante gli allungò una pacca sulle spalle.

- Non è la tua giornata Casciò. A proposito: alle sette e trenta cominceranno ad apparire in televisione le foto di quel minchione che ha sparato al figlio di Faggioni. Ho già fatto diramare un comunicato stampa. Non si sa mai che qualche santo ci aiuti a pizzicarlo in fretta, così la smettono di romperci le palle.

Ferrigno guardava Cascione come a chiedergli il permesso di abbandonare l’incresciosa situazione e questi acconsentì con uno sguardo colmo di dispiacere.

Il Dott. Ferrigno raccolse la sua agendina e allungò una mano a Cascione.

-Se ha novità mi faccia sapere.

- Ci conti.

Il dottore si voltò per uscire, chinando il capo per nascondere la falsità della sua rassicurazione, ma si trovò il passo sbarrato da un agente che stava entrando in tutta fretta nell’ufficio.

- Ci hanno telefonato i Carabinieri di Assago. Sostengono di aver visto il ricercato Bacci verso le 17 mentre procedeva in direzione di Pavia transitando presso il loro posto di blocco lungo la statale dei Giovi.

- Hanno fornito numero di targa o tipo di veicolo? Domandarono ad una voce Cascione e Galante.

L’agente esitò un istante come se cercasse le parole adatte.

- Allora ?- incalzò Galante

-L’unico veicolo di cui si fa menzione è una bicicletta blu.

“Che immenso pirla. Ma come gli è venuto in mente di darsela in bici?”

Per non mostrare i suoi pensieri, il Dottor Ferrigno chiuse gli occhi e appoggiò il suo crapone contro il muro più vicino.



Capitolo settimo
Domenico Faggioni fumava nervoso.

Le sigarette tirate con rabbia avevano appestato l’aria del salottino accanto allo studio, nel suo appartamento di Via Canova.

In quella orribile giornata non aveva mangiato, non aveva bevuto, si era nutrito di rabbia e nicotina.

Sua moglie piangeva e piangeva e lui che non la poteva e non la voleva consolare, aveva lasciato ad alcune donne di famiglia il compito di starle accanto.

La servitù si muoveva muta e silenziosa, quasi strisciando tra le pareti dell’immenso appartamento. Le suonerie dei telefoni erano state silenziate e il suo segretario personale rispondeva alle chiamate con il preciso ordine di passare la linea solo nel caso di comunicazioni da parte delle forze dell’ordine.

Valentina, la nipotina, era stata spedita con una baby-sitter sul Lago Maggiore a casa di alcuni zii e cuginetti a lei cari. Per il momento doveva sapere solamente che la mamma era in ospedale insieme a papà e che presto li avrebbe visti arrivare.

Domenico Faggioni si sentiva responsabile della morte di suo figlio. Avrebbe dovuto liquidare quel maestro bastardo e far cacciare Amaranta da casa.Avrebbe dovuto farlo da un pezzo, altro che minacce e controlli. Una volta scoperta la tresca, con una chiamata al Folgore avrebbe potuto risolvere tutto. Nel giro di poche ore al Bacci sarebbe capitato un incidente mortale mentre se ne andava a scuola e stop.

Spense la sigaretta in un portacenere ormai traboccante di mozziconi. Lo allontanò con un braccio spingendolo fino al bordo del tavolino da tè in ebano, nero come tutti gli arredi del suo salotto, nero come il lutto che era piombato sulla sua famiglia, nero come i liquidi che circolavano nelle sue viscere.

In certi momenti bisogna avere il coraggio di non mentire a se stessi e Domenico Faggioni dovette riconoscere che non aver eliminato quel donnaiolo era stato solo l’ultimo di una catena di errori.

Non avrebbe mai dovuto consentire alla figlia di Blanquez di sposare Franco.

Anche lei doveva pagarla cara.

L’avrebbe torturata volentieri con le sue stesse mani.

L’avrebbe fatta portare in una delle stanze per interrogatori particolari che poteva usare a suo piacere.

Avrebbe distillato la sua vendetta, spiando quella donnaccia tracotante nel momento dell’umiliazione più profonda, della sofferenza più bruciante.

Violentata, sodomizzata, insozzata e offesa fino al punto in cui sarebbe stata lei stessa ad implorare il colpo di grazia.

Quante ne aveva già viste uscire baldanzose di casa, con un preservativo ed un rossetto nella borsa, fiere della propria emancipazione, contente di essere ribelli, femministe, donne liberate pronte a gridare ai quattro venti la loro voglia di aborto, di divorzio, di trasgressione senza limiti, quante ne aveva viste in ginocchio ad implorare la mamma e la Vergine Maria per ottenere una briciola della sua pietà!

Troie , tutte troie , pronte a leccare la punta dei suoi stivali pur di sottrarsi ai suoi supplizi..

Prima o poi sarebbe toccato anche ad Amaranta pagare il fio delle sue colpe.

Quella puttana era ora sotto piantone all’ospedale, ma presto...

Si alzò per cercare un’altra sigaretta e un altro posacenere.

Tutti i pacchetti abbandonati sui vari mobili della stanza erano tristemente vuoti.

Si ricordò di avere ancora una stecca nell’ultimo cassetto di un armadietto cinese laccato di nero.

Accanto alle sigarette c’era una Beretta 7e 65 con un caricatore di riserva e una scatola di pallottole.

Quella pistola sembrava messa lì per ricordargli come si risolvono i problemi.

Pensiero e azione.

Pensiero: eliminare Bacci.

Azione: mirare e schiacciare il grilletto.

Pam ! La Beretta ubbidisce immediatamente.

El Caudillo, Salazar, Pinochet, loro avevano chiaramente capito che se vuoi dominare devi essere diretto, dritto all’obiettivo senza indugi , inarrestabile come un proiettile corazzato.

In Italia soltanto Lui, il Duce, era riuscito a imporre un modus operandi capace di condurre la nazione oltre le paludi dei macchiavellici intrighi, buoni solo a creare uno stagnante immobilismo.

Ed ora non c’era più nessuno che sembrasse in grado di guidare la riscossa, nemmeno Rauti e men che meno la Nipote.

Il suo Franco era stato vigliaccamente assassinato da un insulso reietto e in tutta la questura non c’era persona capace di stanarlo.

Non erano ancora state ordinate perquisizioni a tappeto, non erano ancora stati emessi mandati d’arresto, non si era ancora messo qualcuno sotto torchio affinché saltasse fuori rapidamente il luogo in cui quel verme si era rintanato.

Smidollati, incapaci.

Quando lui era ancora negli effettivi della DIGOS, le operazioni si svolgevano in tutt’altra maniera. Se fossero stati così titubanti e lenti nel decidere, il paese sarebbe divenuto presto uno colonia bolscevica.

Un cordless si mise a ronzare.

La voce sommessa del segretario gli chiese con tutta la deferenza di cui era capace se gradiva parlare con il Commissario Capo della Squadra Anticrimine.

Il grugnito ottenuto in risposta fu sagacemente interpretato come un assenso.

- Buonasera . Sono Galante.

- Non è una buonasera.

- Certo, lo immagino ... mi sono permesso di disturbarla per farle sapere che l’abbiamo in pugno.

- Lo avete arrestato?

- No, purtroppo non ancora, ma sappiamo dov’è.

- ....


- Sta fuggendo lungo la statale dei Giovi, verso sud.

- Lei è un vero coglione! Come può affermare di averlo in pugno? A sud di Milano si stende tutta l’Italia peninsulare ed insulare, si va verso il Mar Mediterraneo con i suoi infiniti approdi e lei afferma serenamente di averlo in pugno. Ma si rende conto?

- Abbia pazienza, non può sfuggirci. Sta scappando in bicicletta, sono già partite diverse pattuglie sia da Milano che da Pavia , gli stiamo buttando addosso una rete da cui non potrà sfuggire.

- Potrebbe cambiare mezzo, incontrarsi con qualcuno disposto a caricarlo in auto.

- I nostri posti di blocco lo intercetterebbero in ogni caso, se solo tenta di forzare sarà peggio per lui. Tra meno di un’ora il suo viso comincerà ad apparire su ogni notiziario televisivo. Non può sfuggirci.

Un altro grugnito segnalò che la conversazione era terminata.

Domenico Faggioni si ritrovò nuovamente nel silenzio cupo del suo salotto, illuminato solo da una piccola abat-jour posta alle sue spalle.

In piedi, davanti ad una finestra chiusa con le tapparelle abbassate, vide la sua immagine riflessa nei vetri: un vecchio secco ed emaciato, piegato da un immenso dolore. Le sue braccia si allungavano penzule ai lati del suo magro corpo. Nella mano destra la pistola, nella sinistra il cordless. I capelli, bianchissimi e folti, aggrovigliati come le sue budella. Le mille rughe del volto più profonde che mai.

Pensiero: finiamola con questo strazio.

Azione: appoggiare la canna della pistola alla tempia e premere il grilletto.

Si vide mentre sollevava l’arma, sentì il freddo metallo contro la sua tempia , chiuse gli occhi.

No, non ancora !

Prima doveva compiersi la vendetta. Doveva dissetare il suo demone con il sangue delle canaglie che avevano osato tradire suo figlio.

Gettò arma e telefono sul divano di pelle nera.

Improvvisamente trovò insopportabile l’aria viziata dal fumo di tutte le sue sigarette.

Spalancò la finestra, sollevò gli avvolgibili e uscì.

Dal terrazzo del suo attico Domenico Faggioni dominava un’ampia fetta della città. La sua vista spaziò oltre le alte cime degli alberi del Parco Sempione e si diresse verso Sud.

Il suo nemico era là e lui lo voleva acciuffare.

Si riempì i polmoni d’aria, cercò di farsi più dritto e imponente, rientrò nel salotto e lo attraversò a grandi passi dirigendosi verso il suo studio.

Rimosse da uno scaffale alcuni grossi tomi sulla storia di Roma antica, liberando così lo sportello di una piccola cassaforte. La aprì con la chiave che teneva alla cintola.

Con gesto sicuro estrasse un cellulare e lo accese.

Dopo qualche secondo pigiò il tasto numero uno. Attese pochi secondi.

- Comandante, ai suoi ordini.

- Folgore, ho bisogno di te. Immediatamente.

- Signorsì, sto già arrivando.

Intorno alle diciotto e trenta Marco Bacci si era già divorato una bella fetta di Bassa.

Subito dopo Rozzano aveva abbandonato la statale dei Giovi e per stradine e stradelle che si perdevano tra granturco, stalle e un infinito numero di capannoni..

Certo non era più la Bassa da cui Gianni Brera evocava le epopee contadine di fuitbol e ragasse, e nemmeno quella che Paolo Conte sapeva tingere di esotismo con le sue milonghe ed i suoi tangacci . Corriere e paracarri erano scomparsi, topolino amaranto non se ne vedevano, le armoniche di Stradella cantavano altrove, però si incontrava ancora qualche vecchia casa solitaria in mezzo alle stoppie con solo un geranio al balcone, un’antenna parabolica sul tetto e un SUV parcheggiato accanto al trattore.

Marco Bacci si trovò a transitare attraverso una piccola frazione cui avevano affibbiato un nome insolito : Vivente.

Un sorriso amaro disegnò la sua bocca.

Pedalata dopo pedalata, il fuggitivo si era imbattuto in una lunga teoria di animali morti ai bordi della via. Cani, gatti, nutrie, pantegane, rettili, anfibi, volatili di ogni specie : il vivente ridotto a poltiglia, sacrificato a Kaliug, il dio della velocità che secondo la mitologia indù avrebbe finito col distruggere il mondo per poi ridare inizio ad un nuovo ciclo di ere.

Marco Bacci aveva il cuore gonfio di mille dolori ed altrettante angosce e quindi cercò di scacciare queste tristi considerazioni per dare una forma più concreta al suo piano di fuga.

Aveva intenzione di continuare a pedalare per un paio d’ore tenendosi il più possibile lontano dalle grandi vie di comunicazione. Ancora pochi chilometri e sarebbe giunto al Castello di Belgioioso e poi avrebbe attraversato il Po dalle parti di Stradella ed infine avrebbe cominciato a salire puntando al laghetto di Trebecca. Sapeva che lì avrebbe trovato un capanno utilizzato come rimessa dagli istruttori di wind-surf.. Aveva intenzione di dormire lì, senza forzare il lucchetto del capanno, badando di non lasciare tracce, per poi rimettersi in sella alle prime luci dell’alba, molto prima dell’arrivo degli istruttori. Con il fresco della mattina avrebbe scalato il Passo del Penice e poi si sarebbe tuffato verso la Liguria. Confuso tra la massa dei turisti domenicali avrebbe raggiunto la Toscana dove poteva contare sull’appoggio di alcuni amici. Bisognava solo scegliere i più fidati e i più isolati.

Prendeva corpo l’idea di rintanarsi nei dintorni di un piccolo paese in Val d’Elsa, in una casa isolata dove non arrivava nemmeno il postino. Sul terreno di proprietà dei suoi amici, si trovavano alcuni annessi, tra cui una piccola stalla in legno dove anni addietro si ricoveravano le capre. L’ubicazione del caprile era tale che Marco avrebbe potuto tranquillamente muoversi senza essere visto dagli abitanti della casa e dagli occasionali visitatori.

Inoltre Frank e Jenny, italianissimi nonostante l’anglicizzazione dei loro nomi di battesimo, avevano spesso stravaganti ospiti della costellazione alternativo new-age che dimoravano più o meno a lungo sotto i loro tetti usufruendo della loro straordinaria ospitalità, per cui nessuno dei contadini e cacciatori che transitavano in zona avrebbe avuto modo di notare la presenza di un ulteriore estraneo. Marco era stato da loro tutte le volte che aveva avuto bisogno di un luogo in cui riprendersi da dolori o fatiche.

Stava entrando nell’abitato di Belgioioso e si guardò attorno in cerca di una fontanella a cui dissetarsi.

Eccone una in un angolo di similverde, tra due panchine di legno ben coperte da graffiti a coltello .

Un anziano in canottiera e braghette da calcio si godeva il fresco della sera, guardando i volteggi impazziti delle rondini tra i tetti e le cime dei platani che facevano da sentinella a quella piccola aiuola.

Dopo un’abbondante bevuta, Marco sentì il bisogno di lavarsi e di cambiarsi la camicia. Si mise a torso nudo e ficcò la testa sotto l’acqua corrente. Quando si drizzò, ampi rivoli d’acqua corsero lungo la sua schiena, sul petto e sulla pancia. Ristorato dalla bella sensazione di fresco, cominciò a sfregarsi per bene tutto il viso e il tronco fino a che si sentì nuovamente pulito e pronto per ripartire. Non doveva perdere tempo. Alle sette doveva già essere sull’altra riva del Po, lanciato verso Stradella dove avrebbe comprato l’indispensabile, prima di affrontare la sua notte in Val Tidone. Ripose la camicia Cancun nella borsa, indossò una T-shirt azzurro intenso e ripartì di gran carriera, dopo aver fatto ciao con la mano al vecchio che aveva trovato i suoi lavacri più interessanti delle acrobazie delle rondini.

Il telefono del Commissario Capo Galante era bollente, scottava.

Ormai era una questione di puntiglio, di orgoglio personale ferito che esigeva vendetta immediata. Doveva schiaffare in gattabuia quel ciclista pellegrino e lo voleva fare il più in fretta possibile. Voleva costringere Faggioni ad ammettere di essersi sbagliato sulle sue capacità. Però doveva fare i conti con il fatto che il sabato sera la maggior parte degli agenti in servizio era assegnata ad altri compiti, servizi d’ordine per manifestazioni di vario genere, pattugliamenti, scorte, e in più sia la Polstrada, che la Narcotici, pur fingendosi disponibili alla massima collaborazione non si sognavano nemmeno di posporre i loro interessi a quelli della squadra Anticrimine. La Benemerita e la Finanza, sostenevano di aver già fatto il possibile nel corso della giornata e di non poter assolutamente sviare i propri effettivi in servizio notturno da altri ed improrogabili compiti.

Galante si risolse a chiamare sia il Questore che il Prefetto e da entrambi fu prima cazziato per l’indelicatezza di una simile chiamata a quell’ora del Santo Sabato e poi sbeffeggiato per la magra figura rimediata con il ferimento del Cappuccino, infine entrambi si impegnarono a chiedere la collaborazione dei loro pari grado nelle province limitrofe di Pavia, Lodi e Piacenza, Cremona. A spingerli a cotanto passo fu sicuramente l’elenco dei ministri e dei segretari di partito interessati ad una rapida conclusione della vicenda. Galante calò uno dopo l’altro quei carichi pesanti, più o meno nello stesso ordine in cui aveva ricevuto le telefonate nel corso della mattinata. Ovviamente utilizzò il suo pathos partenopeo per colorire di tinte drammatiche il contenuto di quelle conversazioni avvenute sulla scena del delitto e quindi fece capire agli alti funzionari che la loro partecipazione alla cattura del Bacci avrebbe potuto un giorno essere debitamente ricompensata, senza contare che fin da ora li avrebbe messi in buona luce agli occhi di uomini così potenti.

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