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Parole di guerra


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288 Un ulteriore segno di spossatezza. L’attenzione nei confronti di chi parli richiede concentrazione e serenità.

289 La “recensione” del volume di Paci, edito dalla Cedam, lascia intuire che Bardotti abbia in questo momento superato quella fase difficile che gli impediva di dedicarsi alla lettura e all’apprendimento.

290 Enzo Paci (Monterado, 1911 – Milano, 1976), professore e filosofo, dette nei suoi scritti una particolare visione dell’esistenzialismo, che tendeva a staccarsi dalle concezioni ispirate alla tendenza inaugurata nell’ottocento da Kierkegaard e proseguita in tutt’altre forme da Nietzsche, nella quale alla razionalistica visione del mondo dell’idealismo hegeliano si opponeva una nozione dell’esistenza densa di angoscia, che conduceva a soluzioni etiche particolari o ad approcci non razionali. Così come non segue il concetto novecentesco della deiezione dell’uomo nel mondo e della casualità che ne consegue nei rapporti con gli altri uomini e con la morte. Elabora invece una teoria relazionistica, in cui ogni evento, pur non sottostando a realtà assolute, dipende ed è in relazione con altri eventi nel tempo e nello spazio. Si giunge così ad una possibilità di sviluppo e di modifica degli eventi in senso positivo. E’ comprensibile che Bardotti riferisca con entusiasmo il contenuto del libro di Paci (che era uscito nel 1943): l’autore proponeva sempre il contenuto dei suoi saggi (così come quello delle sue lezioni) con una modalità problematica e talvolta dubbiosa, che stimolava la riflessione e la critica.

291 Sören Kierkegaard (Copenhagen, 1813 – 1855), nelle sue opere degli anni quaranta del secolo introdusse per primo nel dibattito filosofico, partendo dalla polemica contro l’idealismo di Schelling e di Hegel, le tematiche che saranno tipiche dell’esistenzialismo: la solitudine dell’esistenza individuale, il senso dell’angoscia dinanzi alle scelte da compiere tra possibilità contraddittorie. Per quanto raccolga le possibili scelte in tre grandi alternative (la vita estetica, la vita etica, la vita religiosa), il fascino della sua opera è legato alla drammaticità con cui si presenta il momento della scelta come determinante della vita. Il titolo di una delle sue opere più celebri, Aut-aut (l’espressione che indica in latino la scelta senza terza possibilità), fu anche quello della rivista diretta da Enzo Paci.

292 Martin Heidegger (Messkirch, 1889 – Friburgo, 1976), uno dei maggiori esponenti del filone esistenzialista, pose nella sua opera più importante, Essere e tempo (1927), i temi fondamentali di quel tipo di riflessione, particolarmente consona alla piega degli avvenimenti e alla trasformazione delle coscienze che si stavano delineando già dai primi decenni del novecento. Compaiono le riflessioni sulla morte, sull’autenticità dell’esistenza e in generale sulla posizione dell’uomo tra gli avvenimenti che costituiscono il presente.

293 Karl Jaspers (Oldenburg, 1883 – Basilea, 1969), che di lì a qualche anno costituirà una delle coscienze più severe rispetto alle responsabilità del dramma che si stava compiendo, nelle opere degli anni trenta e quaranta aveva dato un notevole contributo alla riflessione sull’esistenza, affrontando con particolare intensità il tema dell’inquietudine e dei rapporti tra esistenza e trascendenza.

294 Alla metà degli anni venti, un gruppo di artisti, con ostentata reazione alle correnti di avanguardia allora dominanti, si dedicano ad indagare l’inconscio, l’irrazionale e il sogno, concependo l’arte come forma primordiale di comunicazione, che si esplica attraverso simboli e libere associazioni di immagini. Ciò che si indaga e si tenta di comunicare è qualcosa di diverso dalla realtà osservata dalle scienze naturali o da quelle sociali e può essere indicata dal termine che riferisce Bardotti.

295 E’ forse uno dei problemi fondamentali per la valutazione delle esperienze artistiche del novecento in rapporto con le catastrofi umane e sociali ed i vari tentativi di evoluzione sociale o di rivolgimenti rivoluzionari, se cioè dinanzi alla sofferenza e al male, il messaggio artistico debba dare il senso profondo di quella sofferenza e far sentire la contraddizione esistenziale e il dramma storico, oppure additare la soluzione e celebrare il riscatto. Si potrebbe dire che sia fra le due guerre che nel dopoguerra nei gruppi intellettuali progressivi che dibattono sull’arte si fronteggiano una tendenza democratica ed una totalitaria, con mille sfumature e con drammatici travagli individuali.

296 “Il surrealismo si basa sulla fede nella realtà superiore di alcune forme di associazione prima d’ora dimenticate, fede nell’onnipotenza del sogno, nel gioco disinteressato del pensiero ... automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero ... con assenza di ogni controllo della ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale” (Andrè Breton, Primo manifesto del surrealismo, 1924). Le regole di questa nuova sensibilità artistica sembrerebbero cozzare con l’impostazione etica di Bardotti e con la ricerca stessa che sta conducendo, anche con le sue letture, di basi intellettuali e morali all’esistenza privata e pubblica che si aspetta nel dopoguerra. Il rapporto con questa ricerca personale si trova in realtà nell’intuizione che forme d’arte e di pensiero che pur si allontanavano da una dichiarata fiducia nelle sorti progressive della storia umana, in quei momenti potevano aiutare a comprendere la tremenda realtà che si aveva dinanzi e si sperimentava con la propria vita, meglio e più a fondo di una indagine razionale che poteva arrestarsi di fronte all’assurdo che si stava compiendo. In tal senso, anche i caratteri dell’ermetismo, in particolare l’essenzialità e la rinuncia ai legami logici nel contenuto e a quelli sintattici nella forma, avvicinano l’espressione poetica di quei decenni alla necessità non solo di descrivere, ma di imitare profondamente l’angoscia e l’assurdità delle sofferenze umane.

297 Dice bene “volumetto”: per quanto il saggio di Mario Apollonio sia stato il primo lavoro critico sull’insieme dell’opera di Bacchelli, si componeva, quando uscì a Padova per CEDAM nel 1942, di solo 42 pagine. Apollonio, romanziere e critico letterario e teatrale, valuta l’opera di Bacchelli per la dignità della riscoperta del mestiere letterario, che esclude pose individualiste e dannunziane e si basa tutto sulla tecnica narrativa.

298 Appare ormai evidente come Bardotti abbia notevoli capacità di lettura e di comprensione di testi anche complessi. Questa espressione può da un lato leggersi come polemica nei confronti del linguaggio della critica letteraria, dall’altro come ulteriore nota sull’alternarsi di momenti di concentrazione ad altri di spossatezza fisica e spirituale, determinati dalle circostanze materiali della vita degli internati.

299 Il romanzo del 1892 narra in prima persona la storia di Tullio Hermil, marito fedifrago che compie un cammino di riavvicinamento alla moglie Giuliana, che lo porta ad abbandonare l’amante Teresa Raffo e a riscoprire i luoghi e i sentimenti dei primi anni di matrimonio. Quando anche l’ambiente familiare (la madre, le figlie Maria e Natalia, il fratello Federico) e lo stesso ambiente naturale sembrano intonarsi alla ritrovata armonia e pienezza di sentimenti, Tullio scopre che Giuliana, in un attimo di debolezza, aveva concepito un bambino. I due coniugi vivono in una profonda angoscia quella gravidanza, che pare cancellare ogni futuro al loro sentimento. Quando il bimbo è nato, Tullio, approfittando della assenza di tutta la famiglia per la Novena di Natale, espone l’innocente alla gelida aria invernale, procurandone, di lì a pochi giorni, la morte.

300 Ci si potrebbe attendere una fortuna maggiore di D’Annunzio presso una generazione che ha studiato durante il ventennio. In realtà se D’Annunzio vate e autore di imprese come quella di Fiume non solo fu caro, ma quasi antesignano del fascismo di Mussolini, la scabrosità di alcuni suoi soggetti narrativi (com’è il caso dell’Innocente) e alcune sue soluzioni formali di tipo sperimentale in poesia, lo escludono da una significativa presenza nei programmi scolastici del ventennio. Il trionfalismo celebrativo e il piglio tribunizio presenti nel D’Annunzio pubblico si affiancano nella sua produzione ad accenti poco consoni alla mistica del regime, anche se apprezzati nelle stagioni successive o dai contemporanei all’estero (si pensi ad esempio ad un San Sebastiènne, con l’esaltazione del martire nella sua bellezza efebica, che era stato musicato da Debussy).

301 Si noti anche qui il succedersi di due argomenti tanto distanti nelle annotazioni dell’Autore Gabriele D’Annunzio e pane e formaggio.

302 Cioè all’apertura del cosiddetto “secondo fronte”, lo sbarco degli Alleati in Europa.

303 Champi è anche voce dialettale per trovatello. E’ la storia, al limite dell’incestuoso, di un fanciullo senza genitori raccolto da una mugnaia, che col tempo sviluppa una passione per il figlio adottivo. Quando il marito, che ne era stato geloso, muore, il trovatello sposerà la mugnaia.

304 La cartolina (senza data) sarebbe stata fatta pervenire in seguito alla famiglia dell’Autore dall’Agenzia centrale dei prigionieri di guerra delle Croce Rossa Internazionale. Eccone il testo: “Il Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra, si onora avvisarvi che ha ricevuto notizie della cattura del Sottotenente Bardotti Martino nato il 8.12.1921 a Poggibonsi (Siena). Egli si trova prigioniero in Germania e si trova internato al seguente indirizzo: Oflag 83 con il n. 55519. La notizia è datata 18.5.1944 ed a tale epoca godeva buona salute. Potrete corrispondere con lui, solo quando avrete ricevuto direttamente posta, utilizzando l’apposito stampato che troverete annesso al suo scritto.”

305 La notizia riportata dal bollettino germanico era veritiera. Dopo lo sfondamento della “Linea Gustav” e lo sfondamento della barriera di Cassino (18-19 maggio 1944), le forze alleate stavano ormai investendo la cosiddetta “Linea Senger” a nord di Gaeta. Cfr. B.H. LIDDEL HART, Storia militare della seconda guerra mondiale, cit., pp. 750-751.

306 La cittadina di Bardotti, in realtà, aveva visto un considerevole esodo da parte della popolazione sin dopo il primo bombardamento aereo degli Alleati del 29 dicembre 1943. Sede di un importante nodo ferroviario, nel corso del 1944, Poggibonsi venne ripetutamente colpita dalle formazioni di bombardieri delle forze aeree alleate. Si veda: F. DEL ZANNA, Achtung! Bombengefahr! Cronaca poggibonsese 1943-1944, Poggibonsi 1982, pp. 25 e segg., 39 e segg.; nonché C. BISCARINI – F. DEL ZANNA, Poggibonsi 1943-1944, Poggibonsi 1994.

307 Massimo Bontempelli (Como, 1878 – Roma, 1960) pubblicò Vita e morte di Adria e dei suoi figli nel 1930. Il romanzo consta di una strana storia familiare, ambientata tra Roma, Parigi, la zona del Piave durante la grande guerra e Marsiglia. Adria che idolatra e fa idolatrare la propria bellezza, compie una particolare scelta esistenziale, decidendo di seppellire quella bellezza prima che cominci a svanire e sceglie di ritirarsi in una volontaria e assoluta clausura in un appartamento vicino al Sacre Coeur, lasciando a Roma il marito, che ne morrà presto, la filgia Tullia e il figlio Remo avuti in giovane età ed ora fanciulli. Nessuno più vedrà Adria, neppure i figli, amati di un particolare viscerale amore. Tullia sfogherà la sua disperazione come volontaria crocerossina e divenendo poi spia degli italiani tra le retrovie austriache sarà scoperta e fucilata. Remo pugnalerà un suo amico che stava profanando il ritratto della madre e ne assumerà l’identità fuggendo nelle americhe e perdendo la proria individualità. Adria stessa, quando il quartiere parigino ove si era reclusa stava per essere sventrato per una operazione di risanamento urbano, si lascia morire nell’incendio della casa da lei stessa provocato.

308 E’ uno degli esempi più evidenti del realismo magico di Bontempelli, con la storia di un fanciullo che all’improvviso disconosce la propria madre e l’esistenza fino ad allora condotta e mostra memoria di avvenimenti a lui non successi, prendendo a vivere la vita di un altro fanciullo a lui coetaneo, figlio di un’altra donna e che risulta essere morto all’età precisa in cui l’altro ha mostrato l’improvviso cambiamento. Bardotti ben sintetizza nelle righe seguenti lo stile dell’autore.

309 Come pochi giorni prima, nel caso del volumetto di Apollonio su Bacchelli, Bardotti evidenzia le difficoltà di concentrazione quando si tratti di scritti di critica letteraria. Le frasi che seguono confermano uno stato di frustrazione e di alterna vigenza delle forze del fisico e di quelle dello spirito. In aggiunta alle considerazioni esposte nella nota sul simile caso precedente, pare necessario aggiungere una riflessione. Sia che si tratti di consolazione, sia che si debba pensare ad una forte gratificazione proveniente dal mostrarsi disponibile alla formazione culturale, pare che il contatto diretto con i testi letterari o con quelli filosofici svolgano appieno la loro funzione, mentre sembra che il linguaggio mediato e tecnico della critica letteraria non favorisca la difficile concentrazione in mezzo agli stenti del campo. Come dire che la potenza intrinseca del messaggio artistico o il diretto contatto con la speculazione filosofica contiene quel dato di magia di cui si discorreva nella introduzione, citando l’esperienza riferita da Gadamer.

310 Ancora una volta Bardotti dimostra che, pur fra le difficoltà, la prigionia possa essere un momento di riflessione per il futuro, un punto di partenza per una nuova vita, una sorta di rinascita morale da cui possano sorgere nuovi valori che tengano conto degli errori del passato.

311 Veramente difficile condividere questa volta il giudizio di Bardotti. Il romanzo del giornalista sportivo Emilio de Martino, edito a Bologna da Cappelli nel 1933, è un misto di retorica fascista, ingenua ammirazione per l’America e faciloneria narrativa. Racconta della nascita dell’amore tra la bella Nadra (andata a Los Angeles in occasione della decima Olimpiade (1932) e il Conte italo-americano Giorgio di Borgomaro, sullo sfondo dei mirabolanti successi degli atleti dell’Italia mussoliniana e di una banale ed improbabile presenza di un eroico fuorilegge, di cui si infatua Nadra (e che fin dalle prime battute dell’ingenua trama narrativa ci si aspetta che sia lo stesso Giorgio). Con immotivata rapidità ed inverosimili passaggi, Giorgio diverrà (sulla scia dei successi italiani) il protagonista (colmo di altrettanto successo) del film da cui prende titolo il romanzo.

312 Bardotti si riferisce qui al luogo dove era situata l’abitazione di famiglia a Poggibonsi, appunto in via Romana 13. Si noti che solo nel mese di maggio del 1944 la cittadina toscana era stata bombardata almeno 8 volte dagli Alleati. Cfr. F. DEL ZANNA, Achtung! Bombengefahr!, cit., pp. 228-229.

313 Ernst Jün­ger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998) aveva pubblicato Auf der Marmorklippen nel 1939. La traduzione italiana di Alessandro Pellegrini era uscita a Milano per Mondadori nel 1942. Si tratta di un romanzo di un particolare genere, costruito su una geografia reinventata e in un’epoca imprecisata. Le Scogliere di Marmo delimitano il mondo della Marina in cui il protagonista e narrante vive tra la sapienza antica di saggi quasi eremiti e la nostalgia per un’epoca retta dai valori di una nobiltà guerriera. E’ un mondo minacciato da esseri volgari che si aggirano come lemuri tra le foreste, nelle quali il protagonista, insieme ad altri eroi e ad una muta di cani che sembrano condividere istintivamente quegli ideali umani, cercano di colpire il capo degli esseri malefici, il Forestaro. Ma Chiffon Rouge, belva canina che guida la muta del Forestaro, distruggerà i branchi di cani che difendevano quell’eremo di civiltà e sarà solo all’ultimo fermato da strani serpenti che seguono gli ordini di un ragazzo, figlio del protagonista e promessa di eventi di salvezza futura. Il tono tra profetico e simbolico, così lontano dai filoni della narrativa europea del tempo, contribuì a situare il discusso autore in una posizione difficile ed isolata, dovuta anche ad un rapporto col nazismo che alternò contatti a repulse. Jün­ger professava una personale esaltazione dell'ideale del guerriero, quasi unica dimensione in grado di dar vita ad ogni potenzialità della mente e dello spirito. Sulla base di tale visione del mondo, egli fin dagli anni venti, redasse diari e scritti autobiografici sull’esperienza della grande guerra e di altre imprese belliche a cui aveva partecipato (legione straniera, occupazione della Francia). E’ un vero peccato che Bardotti non riferisca se abbia completato la lettura e quali siano state le sue impressioni. Anche intervistato da chi scrive, non ricordava ormai quel libro.

314 Era una ragazza conosciuta dall’Autore durante la sua permanenza a Torino.

315 Luciano Perosi (Tortona, 1872 – Roma, 1956), sacerdote, organista, compositore, direttore della Cappella Sistina dal 1898. Autore di musica sacra, in particolare di oratori e numerose Messe. Il successo delle sue composizioni si doveva, fin dagli inizi del secolo, a riferimenti alle innovazioni portate nella musica italiana dal verismo di Puccini, Mascagni e Leoncavallo, inseriti in una trama che comprendeva la tradizione classica fino al gregoriano.

316 Chi è B.?

317 La traduzione che trascrive Bardotti manca di qualche verso nella prima parte. Il testo comprende 18 esametri latini e fa parte delle Epistole metriche (III, XXIV).

318 Si noti qui come dalla preoccupazione dell’Autore per la mancanza di notizie fresche su quello che stava accadendo in Italia, e in particolare nella provincia di Siena, traspaia il timore per la sorte dei suoi cari a Poggibonsi..

319 Il romanzo, uscito nel 1937, narra la storia della famiglia Medici, in cui le morti si ripetono con cadenza di cinque anni. Il paese (Colonna, in Liguria) vede prima scomparire nell’anno 1900 la Grande Vecchia, che pronuncia prima di spirare una strana profezia. Nel 1905 muore il filgio Silvano, erudito senza idee e imbelle, e nel 1910 lo segue in questo destino la moglie Vittoria. Uno stravagante scienziato paesano, l’abate Chimenti, comincia a pensare ad una strana legge che regola il destino dei Medici. Così le figlie di Silvano, la sognatrice e sentimentale Nora e la fredda calcolatrice Dirce, cominciano a vivere nell’ossessione della loro prossima morte. Nonostante gi sforzi dell’amico Maurizio di dar loro una vita normale, le due giovani credono di potersi rasserenare solo quando il 1915 passa senza decessi. Fin quando non si scopre che in quell’anno era morto in guerra uno zio dimenticato. Il 1920 sarà segnato dalla morte di Fausto, figlio neonato di Nora. Cinque anni dopo Nora si ucciderà per dar modo alla sorella di vivere il prossimo lustro.

320 Il saggio La prima canzone di G. Leopardi del 1860 (raccolto nella prima edizione dei Saggi critici del 1866) prende in considerazione la formazione di Leopardi, i suoi studi da autodidatta e il primo impatto con la produzione poetica, tutta volta ad illustrare “la grandezza antica e la piccolezza moderna”. Se il sentimento del giovane poeta è sincero, è presentato con finzione retorica. Proprio dalla volontà di immedesimarsi con i classici, di rifare la loro retorica e la loro poesia nasce però una contraddizione con il contenuto che straborda dalla forma e che lascia intravedere l’originalità concettuale di Leopardi, destinata ad altri esiti nella maturità.

321 Il saggio La Nerina di Giacomo Leopardi è del 1877: fece dunque parte dei Nuovi saggi critici, ripubblicati dopo la prima edizione del 1872, nel 1879 con aggiunte. De Sanctis vi studia il distacco di Leopardi dalla tradizione della donna nella beatitudine contemplativa. Se Silvia è vista come la donna della sparizione dalla vita, Nerina è la donna che ritorna a vivere: “ella è ben morta, e la sua vita ti apparisce in lontananza ... ti apparisce ma portandosi nel fianco come uno strale il suo apparire ... è un simultaneo apparire e sparire, una rimembranza oscurata dalla realtà, una realtà illuminata dalla rimembranza”.

322 L’Autore allude qui al fatto che le forze alleate, superata la resistenza tedesca a Cassino il 18 maggio, avevano ormai sfondato la parte occidentale della “Linea Gustav” e stavano avanzando vittoriosamente nel centro della penisola. Si noti che egli menzioni solo gli inglesi e non gli americani: con ogni probabilità un “inconscio retaggio” di anni di propaganda del regime verso la “perfida Albione”.

323 La notizia era esatta: la capitale italiana era stata liberata il 4 giugno 1944.

324 Si noti come la notizia dello sbarco degli Alleati sulle coste della Normandia (“operazione Overlord”) sia nota poche ore dopo l’inizio dell’azione. Anche qui Bardotti accenna solo agli inglesi, quasi che gli americani non avessero un ruolo importante nella lotta contro il Terzo Reich.

325 Cesare Zavattini (Luzzara, 1902 – Roma, 1989) pubblicò le due opere rispettivamente nel 1931 e nel 1937. Parliamo tanto di me è la sua prima opera e si costituisce di una serie di brevissimi aneddoti e di creazioni fulminee ed effimere di personaggi, che l’autore finge di incontrare durante una viaggio visionario tra inferno, purgatorio e paradiso nello spazio del sogno di una notte. La maggior parte delle storielle e degli aforismi riguarda il tema della morte, delle false speranze e del tempo. Solo alla fine della breve narrazione si introduce, con strani accenti tra l’ironico e il patetico, una nota autobiografica che dà il titolo all’opera e una chiave di lettura al frammentarismo delle pagine precedenti. I poveri sono matti, brevi quadri di vita quotidiana presentati nella fantasia di visioni a tratti allucinanti, in cui un personaggio, Bat, insegue il progetto irrealizzabile di schiaffeggiare il principale per riscattare lo squallore della vita reale e dare un senso agli interrogativi sul tempo e sulla morte.

326 Giovanni Battista Angioletti (Milano, 1896 – Napoli, 1961) fu pubblicista e giornalista, operò in istituti italiani di cultura all’estero (Praga, Parigi, Lugano). Alla fine degli anni venti fu tra i propugnatori della prosa poetica, che indicava col felice termine di “aura poetica”. Nel suo romanzo Eclissi di luna uscito da Vallecchi nel 1943, il personaggio narrante Fortunio racconta la propria infanzia e giovinezza molto indulgendo, accanto al ricordo, a fantasie e sensazioni di natura lirica. Nei tre lunghi capitoli, il protagonista, un trovatello, narra una fuga dal collegio (avvenuta durante un’eclissi di luna) che gli fa conoscere Marina (la donna che dopo la guerra sposerà e al termine del romanzo gli darà un figlio), la sua esperienza di giovane ufficiale in trincea, quando tenta faticosamente di riscattare la sua posizione di figlio di nessuno con particolari forme di eroismo ed infine l’inizio della sua vita matrimoniale con Marina nella difficile società del dopoguerra.
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