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Parole di guerra


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88 Tra il pensiero di Agostimo e quello di Tommaso corrono ottocento anni. Si tratta di quel lunghissimo periodo della storia d’Europa che ha subìto una strana deformazione temporale nella coscienza della maggior parte degli italiani usciti dalle scuole superiori. Anche a causa della stessa formulazione dei programmi scolastici, questi secoli son divenuti per generazioni di studenti sempre più dimenticati e bui, tanto che i numerosi studi che all’estero si dedicavano all’alto medioevo, tendevano in Italia a passare inosservati da parte delle persone di media cultura e degli Insegnanti di scuola. Si tratta infatti di un’epoca che non rientrava, se non come appendice, nella trattazione liceale della cultura latina e neppure in quella dedicata alla cultura in lingua italiana, che si faceva iniziare dalle prime produzioni poetiche in volgare. Il Sacro Romano Impero come fenomeno di unitarietà durò nei fatti solo qualche decennio all’inizio del IX secolo, ai tempi di Carlo Magno, mentre l’idea di Impero universale continuerà ad avere sostenitori e a improntare la riflessione sulla storia e il destino terreno dell’uomo fino al XIV secolo.


89 Il problema degli universali sorse nella filosofia scolastica del XII secolo come una disputa originata dal passo di un autore del III secolo, il neoplatonico Porfirio di Tiro. Commentando Aristotele e in particolare la sua definizione degli universali (le idee generali riferibili a più individui, come i generi e le specie), Porfirio introdusse il dubbio se essi sussistessero in sè o fossero posti dall’intelletto e se avessero una loro corporeità separata dalle cose individuali sensibili o esistessero solo nelle cose stesse ad esprimerne i loro caratteri generali. Questo dubbio, ripreso quasi un millennio dopo, cominciò a mettere in crisi la convinzione che tutto ciò che esiste derivasse da idee e forme presenti nella mente di Dio, dalle quali era derivata l’individualità delle cose create. Se invece le forme generali ed universali vengono considerate strumenti dell’intelletto per la conoscenza della realtà, si pongono diverse basi alla conoscenza razionale, come possibilità autonoma dell’uomo di indagare filosoficamente la realtà. Le soluzioni al problema furono di due tipi. Le interpretazioni scondo le quali gli universali dovevano avere un’esistenza propria, furono dette realiste. Quelle secondo le quali gli universali esistevano solo nel pensiero, nominaliste. Si andava da un realismo estremo (modelli compiuti e perfetti nella mente divina, separati e precedenti rispetto alle cose individuali) ad uno più moderato (si trovano nelle cose e ne rappresentano la forma comune ai vari individui); da un nominalismo estremo (gli unuiversali come pure espressioni verbali, neppure come dati del pensiero che procede sempre riferendosi ai particolari) ad uno più moderato (l’universale esiste nell’intelletto, a fondamento della ricerca razionale) che nell’ultima parte della Scolastica fu prevalente.


90 La coscienza umana, al momento che non ha più come unico scopo la ricerca e la percezione mistica delle idee generali presenti solo nella mente di Dio, si risveglia nel senso che può procedere in un vero e proprio cammino di conoscenza. La percezione delle cose individuali della realtà si integra con la conoscenza intellettuale delle forme generali che servono a dare un senso alla percezione di quelle cose individuali. Nel corso del XIV e poi nel XV secolo si riscopre una attività e una responsabilità dell’intelletto dell’uomo nell’indagare e nell’incidere sulla realtà. Sono le basi filosofiche del periodo indicato con il termine umanesimo a significare la centralità dell’uomo come interprete della realtà che lo circonda e attore del proprio destino.


91 Per musica polifonica si può intendere tutta quella che è formata da più suoni e che, sviluppandoli contemporaneamente, tende alla realizzazione dell’armonia tra quei suoni. Non fanno parte della polifonia le espressioni monodiche (una sola voce o un solo suono, anche se con accompagnamento di altri, subordinati al suo dispiegarsi). Il melodramma (melos, la musica e drama, l’azione, in particolare quella sulla scena) integra la musica con l’azione scenica, fondendo la tradizione musicale con quella teatrale. Se forme di compenetrazione e di contatto tra le due arti erano antiche quanto quelle stesse forme espressive (si pensi alla tragedia e alla commedia greca e alla poesia lirica sia monodica che corale destinata ad essere accompagnata dal suono di uno strumento), una organica integrazione tra le esigenze della scena e quelle della esecuzione musicale, in modo che l’effetto sullo spettatore non dipenda solo dall’una o dall’altra forma, inizia ad essere sperimentata solo alla fine del cinquecento. Fu a Firenze, con il gruppo di musicisti e poeti della Camerata de’Bardi (dal nome del nobile ospite delle riunioni di quegli intellettuali), che si dette inizio alla forma embrionale di un genere destinato a grandi sviluppi nei secoli successivi. La personalità di maggior spicco della Camerata fu Vincenzo Galilei, il padre di Galileo.


92 Il mottetto rinascimentale (ed in particolare quelli celeberrimi di Pierluigi da Palestrina) si sviluppa in effetti da quello di tradizione fiamminga, che, pur non segnando l’origine vera e propria del genere, costituisce il definitivo allontanamento dalla tradizione medievale a sua volta derivata da trasformazioni delle melodie gregoriane. Il mottetto è comunque un genere molto vario nel tempo, prima costituito da una polifonia solo vocale, poi, dalla fine del cinquecento, anche vocale e strumentale. I mottetti sono composizioni su testi sacri, diversi da quelli facenti parte delle messe.


93 L’oratorio come genere musicale è lo sviluppo seicentesco di un utilizzo del canto per la recitazione di laudi e di passi della scrittura, che si era diffuso nel secolo precedente soprattutto negli oratori fondati da San Filippo Neri. Un narratore introduce il racconto scritturale che poi due o più personaggi svolgono dialogando con canti monodici, finchè un coro conclude traendo la morale edificante per gli ascoltatori. In epoca barocca, a partire dall’ambiente romano e poi con un’eccezionale diffusione in Italia e in Europa, si sviluppò una forma di oratorio più dotta e musicalmente complessa. I testi sono dialogici e in latino e la musica sfrutta tutti i progressi sia in campo vocalistico che strumentale. Con J.S. Bach gli oratori si avvicinano ormai allo sviluppo del melodramma e dal settecento fino al novecento il genere seguirà le tendenze della musica sinfonica e gli usi del canto corale.


94 Fu J. S. Bach ad unire il genere della passio, intesa come recitazione cantata della passione di Gesù durante la liturgia della settimana santa, con quello dell’oratorio. L’arricchimento del testo evangelico (in tedesco nelle composizioni di Bach) con arie e recitativi, danno la possibilità di sostituire al puro aspetto edificante della rappresentazione, dei commenti poetici alle vicende della passione che invitano il pubblico dei fedeli ad un coinvolgimento corale nel mistero rappresentato in musica.


95 Il madrigale, la caccia e la ballata sono forme poetico-musicali generalmente di argomento profano, che si diffusero a partire dal XIV secolo. Più semplice la struttura del primo, mentre la caccia prende il nome dal fatto che una delle voci inizia per prima e viene inseguita in contrappunto dall’altra dopo un intervallo. Più complessa la ballata, composta da più strofe di identica struttura, intervallate dal ripetersi di un ritornello.


96 Ancora in riferimento al problema degli universali, per concettualismo nel medioevo possiamo intendere la considerazione dell’esistenza di concetti universali nella mente di Dio, che corrispondono ai caratteri generali ed essenziali comuni agli individui e che l’intelletto umano possiede come base della conoscenza razionale. A partire dal quattrocento, comincia invece a svilupparsi una fiducia nelle possibilità dell’intelletto di spiegare la natura senza ricorrere a dati trascendenti o comunque fuori della natura stessa, ma attraverso le leggi stesse della natura.


97 Per panteismo si intende la identificazione della divinità con il mondo e la conciliazione di principi antitetici in altre visioni del mondo, come l’uno e il molteplice, il finito e l’infinito. La base filosofica del panteismo di Bruno è certo assolutamente opposta ad ogni principio aristotelico. Da ciò il filosofo nolano trasse i motivi non solo per una polemica diretta in prospettiva storica contro l’aristotelismo medievale e la filosofia scolastica, ma anche per una accesa battaglia personale contro gli aristotelici delle università europee e per il conseguente attacco alla concezione dei rapporti tra filosofia e teologia, che lo portarono da giovane ad abbandonare l’abito domenicano, poi a lasciare gli ambienti calvinisti, infine a imputarsi in due processi per eresia, l’ultimo dei quali con il tragico e ben noto esito a Campo dei Fiori.


98 Più che iniziare la prospettiva, si può dire che Paolo Uccello abbia preposto lo studio prospettico ad ogni altro genere di ricerca pittorica e di innovazione. Già il Vasari notava come sacrificasse la cura delle singole immagini, pur di inseguire la perfezione dello studio degli effetti prospettici. Brunelleschi, scartato dal concorso per le porte in bronzo del Battistero a causa della eccessiva modernità del lavoro presentato, fu all’inizio trattato da pazzo e scacciato dalla commissione che si occupava di assegnare la progettazione della cupola di S. Maria del Fiore, che poi fu costruita appunto secondo il suo ardito progetto e con rivoluzionari metodi di realizzazione.


99 L’adesione emotiva e la partecipazione con cui si riferisce il contenuto della conferenza testimonia un’aspettativa di novità e di fuga dalle circostanze che avevano irretito la gioventù di questi giovani cattolici tra istituzioni repressive. Il fascino maggiore pare essere trasmesso dall’affrancamento dello spirito da un imbrigliante razionalismo, in cui è comprensibile e perdonabile che il giovane ufficiale possa intravedere gli schemi di un soffocante razionalismo istituzionale ed ambientale come era quello dove il fascismo degli ultimi anni del regime aveva fatto crescere le giovani generazioni.


100 Si intende la presunta capacità di captare radiazioni da esseri viventi tramite l’oscillazione di un pendolino. Non è chiara la pertinenza con gli argomenti delle altre conferenze.


101 Quando mi trovavo al campo di Deblin in Polonia – eravamo in una fortezza – vennero i rappresentanti della R.S.I. per persuaderci ad aderire alla loro repubblica di Salò e rientrare così in Italia. Il mio cammino per arrivare alla decisione di rispondere no fu dovuto in parte al fatto che noi nelle nostre camerate discutevamo delle ragioni per cui s’era fatta la guerra e noi cercavamo di spiegarci perché eravamo arrivati in quella situazione facendo anche ragionamenti anche direi di scavo del passato culturale del ventennio fascista. Ricordo che un giorno (eravamo però a Wietzendorf) abbiamo fatto un dibattito sulla cultura umanistica e la cultura scientifica e c’era chi sosteneva che proprio questa cultura umanistica, la quale aveva improntato la nostra educazione, era una delle ragioni per cui ci eravamo trovati arretrati nei confronti degli altri paesi… una delle ragioni per cui avevamo anche accettato queste scelte sciagurate senza ribellarci. Il giudizio era, a mio parere, sul fatto che questo regime ci aveva mandato allo sbaraglio. Eravamo stati gettati in un’avventura sulla quale esprimavamo un giudizio negativo che diventava anche una scelta sul sistema politico che ci aveva portato alla guerra. Le discussioni erano animate, perché c’era chi invece credeva ancora. Io, avendo avuto un certo tipo di formazione attorno all’Azione Cattolica e grazie agli insegnamenti del mio sacerdote istitutore, fui facilitato nella scelta di non aderire. Ma non era facile perché ti dicevano… tu vai a casa, tu mangi meglio, e quando si passa la giornata con la fame non è mica facile fare le scelte. Nelle condizioni in cui eravamo noi quando si trovava una buccia di mela ci si accapigliava per catturarla! Il mio no aveva comunque una storia che veniva da lontano; le discussioni dentro le camerate in me trovavano direi un terreno già preparato di fatto”. Cfr. Testimonianza orale di Martino Bardotti, cit.

102 Francesco Bacone (Francis Bacon) filosofo inglese (Londra, 1561-1626), forse il primo a tentare una demolizione della logica aristotelica come strumento di ricerca per la filosofia della natura. In particolare, il pensatore londinese cerca di sostituire un nuovo metodo induttivo alla nozione di induzione del filosofo greco, che era stata riconosciuta valida per tutto il medioevo. Per Aristotele l’induzione è il ragionamento che va dal particolare all’universale, costituendo un procedimento della conoscenza umana volto in direzione opposta alla natura reale delle cose, che ha la sua origine nell’universale e i particolari percepiti dai nostri sensi come derivati. Per Bacone invece questo tipo di induzione non tiene conto delle eccezioni e della gradualità dei fenomeni particolari. Il suo ragionamento induttivo si basa allora sulla registrazione dei casi in cui un fenomeno particolare si verifica o non si verifica e dei casi in cui il fenomeno si presenta aumentato o diminuito. Ad un passo dalla intuizione di alcuni dei fondamenti del metodo scientifico, Bacone trascurerà però l’importanza della matematica nell’indagine dei fenomeni della natura. L’enorme passo avanti di Galileo sarà proprio la consapevolezza del carattere matematico delle leggi della fisica.

103 E’ il termine che comprende ogni posizione filosofica che ponga la conoscenza sulla base della osservazione dei fenomeni, dell’esperimento e dell’induzione. Si oppone dunque ad ogni concezione che consideri i principi generali colti dalla ragione come antecedenti al mondo dell’esperienza. Anche l’allusione alla tendenza sensistica della teoria baconiana della conoscenza sottolinea il distacco ormai profondo dalla scolastica. Comincia a delinearsi, nel corso delle conferenze dedicate alla filosofia, lo sviluppo coerente di una linea che esclude l’improvvisazione e l’estemporaneità nella scelta degli argomenti. Evidentemente lo scopo non è soltanto quello di passare il tempo in un’occupazione degna, ma va sempre più precisandosi una volontà pedagogica come antitetica ai disvalori indotti nelle giovani personalità prima dalla guerra ed ora dalla prigionia.

104 Renée des Cartes (latinizzato in Cartesio), La Haye (Francia) 1596 – Stoccolma 1650.

105 La rinuncia alla logica aristotelica e ad ogni impostazione del pensiero fondata sull’esclusivo studio delle opere degli autori del passato; la ricerca di regole per l’impostazione della ricerca sulla natura sviluppata razionalmente.

106 Il dubbio di Cartesio è connesso alla nozione di evidenza: il suo metodo procede dalla regola secondo la quale nel cammino della conoscenza nulla può essere accettato che non sia evidente. Il dubbio è lo strumento per eliminare dalla nostra osservazione tutto ciò che non è evidente. In tal senso si tratta di un dubbio metodico.

107 Non si deve pensare ad una polemica contro lo scetticismo della filosofia antica, quanto contro quella corrente del tempo di Cartesio, viva come tendenza in ambienti francesi e italiani presso coloro che si definivano i libertini. Mentre questi rifiutavano ogni possibilità di giungere a verità superiori (“Dio per l’uomo esiste quanto esistono i colori per un cieco nato” dirà nel secolo successivo il marchese De Sade), il dubbio cartesiano è il primo passo verso la dimostrazione dell’esistenza di Dio. L’uso del dubbio metodico porta infatti a togliere ogni incertezza dalla conoscenza della realtà. Come approdo di questo processo di conoscenza, la stessa idea di Dio appare come una certezza immediata all’intelletto umano. Il padre Marino Mersenne, amico e corrispondente di Cartesio, svilupperà nei suoi scritti una accanita polemica antilibertina. E’ evidente come l’argomento si presti ad una tensione etica che sorregge l’interesse dei prigionieri per le conferenze filosofiche.

108 Quando si è applicato il dubbio metodico ad ogni tipo di ricerca della verità, la certezza immediata che ne risulterà sarà la certezza del dubbio in sè: il dubbio si identifica qui con il pensiero che lo esercita e la certezza del dubbio diviene anche certezza del pensiero ed immediata certezza di esistere. L’intuizione della immediatezza del pensiero è intuizione della propria esistenza, come inizio di un processo che parte dall’essenza del pensiero per fondare la scienza che studierà gli oggetti ideali e quelli reali. In questo senso dalla coscienza del pensare si intuisce con immediata evidenza la propria esistenza.

109 Secondo Cartesio, l’intelletto umano non può da solo concepire l’idea della perfezione, poichè dall’imperfetto non può venire il perfetto. Se questa idea di perfezione si trova nell’intelletto umano, lo si deve all’azione di un essere perfetto, quindi divino.

110 La certezza dell’esistenza di Dio e la sua perfezione determinano la sua veridicità. Non è dunque ammissibile che le nostre idee, quando chiare e certe, non corrispondano alla realtà. Da ciò la sicurezza dell’esistenza della realtà.

111 Per Cartesio, può considerarsi sostanza tutto ciò che esiste senza aver bisogno di altro se non di Dio, per esistere. Ma la sostanza spirituale è profondamente separata da quella materiale. Che la materia esista è evidente ai nostri sensi per la sua essenza della estensione, così come l’esistenza della coscienza è evidente dal pensiero. Questa separazione delle due essenze porta Cartesio ad attribuire ad ambedue realtà, ma anche a stabilire tra loro una profonda separazione. Il pensiero riguarda la mente e determina la sua realtà di sostanza pensante (res cogitans), come l’estensione determina la realtà della sostanza corporea (res exstensa). Ne consegue un dualismo che rende l’anima molto più distante dalla realtà del corpo, rispetto alle teorie aristoteliche, che facevano dell’anima qualcosa di legato alla vita del corpo. Diversamente dalla concezione del mondo classico e da ogni derivazione in tal senso da esso, l’anima per Cartesio è pensiero e non più soffio vitale.



112 Detta anche epifisi. In effetti la soluzione appare ingenua, ma occorre pensare alla necessità da parte di Cartesio di richiamare l’attenzione su come le due essenze così distanti ed indipendenti della mente e del corpo non possano che incontrarsi in un solo punto. Si tratta di un semplice contatto, che spiega come l’anima possa determinare alcuni movimenti del corpo, possibili nell’essenza dell’estensione. Non si tratta più di una unione di anima e corpo (dissolventesi solo nella morte) che spieghi la vita del corpo, la quale per il filosofo francese procede indipendentemente da quella dell’anima nella estensione dello spazio.

113 Nicola Malebranche (Parigi, 1628-1715), religioso della congregazione degli Oratoriani, fu uno dei pensatori che si posero il problema della inconciliabilità delle due sostanze individuate da Cartesio. Giunse a negare la possibilità che la nostra coscienza possa conoscere le cose. La conoscenza è possibile solo delle idee delle cose, colte rivolgendoci a Dio.

114 E’ la corrente, in cui si inserisce anche il pensiero di Malebranche, secondo la quale ogni evento della realtà fisica procede da Dio, mentre i singoli eventi sono soltanto occasioni e non cause determinanti per l’accadere di altri. Approfondendo quindi la separazione cartesiana tra res cogitans e res extensa, gli occasionalisti negano la possibilità di ogni contatto tra spirito e corpo e finanche la conoscenza diretta dei fatti fisici.

115 Come antitetico dell’empirismo, il razionalismo è la tendenza a ritenere le idee e i principi della ragione come antecedenti all’esperienza. Abbraccia dunque tutti i filosofi che proseguirono la riflessione cartesiana.

116 E’ la via che scende dal viale Galileo (poco dopo che questo si è staccato dall’omonimo piazzale per correre tra antichi tigli sotto i colli di Arcetri e di San Miniato al Monte fino al piazzale Michelangelo) giù verso la Porta San Giorgio, dopo la quale il percorso verso Ponte Vecchio continua con la ripida discesa della Costa di San Giorgio, schivando il Forte Belvedere. Si tratta di un percorso in lieve declivo, stretto tra mura di antiche case e ville, con superfici intonacate di colorazione suggestiva e vegetazione che si affaccia tra i manufatti.

117 Incertezza grafica (qui e altrove) per Berkeley.

118 Thomas Hobbes (Malmesbury, 1588 – Londra, 1679), John Locke (Wrington, 1632 – Londra, 1704), George Berkeley (Dublino, 1685 – Cloyne, 1753), David Hume (Edimburgo, 1711 – 1776) conducono la riflessine della tendenza empirista dalla reazione a Cartesio attraverso l’epoca dell’assolutismo fino al secolo dell’Illuminismo, svolgendo una critica sempre più rigorosa all’opposta tendenza razionalista di dimostrare l’oggettiva realtà delle idee generali, dei principi dell’intelletto e della sostanza spirituale. Per gli empiristi tali elementi derivano invece dai dati della sensibilità.

119 Hume estende la critica delle idee generali (che concepisce come immagini o copie attenuate delle impressioni) alle stesse relazioni tra le idee, giungendo ad abbattere anche il principio di causalità, secondo il quale da un fenomeno può conseguirne un altro. Anche questo principio è per Hume un’illusione della mente, per cui scambiamo una semplice successione di dati con una produzione dell’un dato dall’altro. Cade così l’ultimo ponte tra la rappresentazione soggettiva della realtà e gli oggetti in sè della realtà stessa. Anche se una legge scientifica ha dimostrato il rapporto tra un fenomeno e l’altro, nulla ci garantisce che quella legge sia valida per altri fenomeni. D’alra parte si toglie così ogni rapporto di causalità tra gli spiriti finiti (le anime) e Dio (spirito infinito) che li avrebbe creati e si fanno venir meno i presupposti di ogni metafisica.

120 Berkeley ritiene che le cose esistano solo se vengono percepite. Non è importante per lui pensare all’esistenza della materia. Una cosa è la somma di percezioni che abbiamo di essa: essere è essere percepiti. Se dunque si nega l’esistenza della materia, l’unica realtà è quella formata dagli spiriti che percepiscono. L’esteriorità viene ridotta a idea dell’esteriorità sulla base delle percezioni del soggetto.

121 Il relatore della conferenza si riferisce in generale al contrasto tra empirismo e razionalismo, più in particolare alla questione dei possibili contatti e delle influenze tra la sfera intellettuale o spirituale e quella della materia. Interrogarsi intorno all’effetto della volontà guidata dall’intelletto sui cambiamenti della realtà nello spazio e nel tempo, e intorno all’esistenza oggettiva di idee generali e principi che guidino l’azione dell’intelletto sulla vita, se si tien conto della situazione della conversazione, assume per i prigionieri un alto valore etico ed esistenziale, in riferimento al loro recente passato e alle scelte per la determinazione della situazione futura.
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