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Le versioni alternative


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Capitolo 9 Le versioni alternative Le altre versioni sulla morte del Duce


LE VERSIONI ALTERNATIVE

Presentiamo ora le principali versioni alternative, elaborate in tutti questi anni da storici, ricercatori, giornalisti e ex partigiani, o almeno quelle che hanno riscosso un minimo di credito. Versioni che, prendendole tutte insieme, hanno portato ad ipotizzare almeno un decina di presunti fucilatori di Mussolini e, modalità e tempi di esecuzione tra le più disparate possibili, ma alla fin fine sono risultate tutte sostanzialmente indimostrabili.

Proprio la eterogeneità o contraddittorietà delle tante testimonianze divergenti e l’inflazione di ricordi, spuntati da tutte le parti e raccolti alla buona senza una effettiva verifica, proprio i tanti enigmi che si portano appresso svariati episodi di quelle vicende o alcuni personaggi attori o presunti attori e che non si riesce a sciogliere in modo definitivo (alcuni li abbiamo visti nei precedenti Intermezzi), proprio i carenti elementi forniti dal verbale autoptico del dott. Cattabeni e le molte perplessità sollevate dalle foto e dai filmati dei cadaveri, hanno lasciato spazio a tutte queste ipotesi alternative.

Purtroppo se da una parte queste ipotesi alternative hanno contribuito ad aggiungere elementi utili ad una confutazione della versione ufficiale, dall’altra hanno anche aumentato la confusione generale non avendo potuto fornire elementi oggettivamente probanti a sostegno delle stesse nuove ipotesi presentate, fatto questo che, in un certo senso, ha finito per fare il gioco della versione ufficiale



In effetti, come già abbiamo avuto modo di affermare, il quadro generale, con annessi e connessi, di questa vulgata è sostanzialmente quello che ci è stato fornito dalla storiografia resistenziale, con l’eccezione di alcuni particolari che costituiscono una netta variante, una alternativa ad alcuni episodi. Ma questi diversivi, che rendono poi falsa tutta la versione ufficiale, a conoscenza di pochissime persone, non sono facili da dimostrare, nè per la loro dinamica dei fatti, nè per l’individuazione degli attori interessati, e quindi si finisce per lasciare il campo ad ogni genere di illazioni..

Resta però il fatto che, a parte alcune vere e proprie bufale o ipotesi palesemente fantasiose, la maggior parte delle testimonianze e delle versioni alternative non sono assolutamente in linea con quanto riportato dai noti Audisio, Lampredi, Moretti, ecc., e questo fatto, anche se contraddittorio, costituisce pur sempre un eco, per quanto imprecisa e distorta, di una diversa realtà dei fatti, fornendoci anche, pur se in modo confuso e spesso impreciso, momenti e luoghi di quegli avvenimenti affollati di personaggi che secondo la versione ufficiale non dovrebbero esserci.

Cercando di seguire un minimo di ordine cronologico cerchiamo di sintetizzare al massimo le più importanti tra queste ipotesi per le quali forniremo anche un nostro giudizio di merito.

Iniziamo però, pur non trovandoci in questo caso in presenza di una nuova versione alternativa, con lo spendere qualche parola, su quel cosiddetto revisionismo apparente, non dichiarato, operato dai fautori della versione ufficiale i quali, di fronte alla valanga di contestazioni che questa pagina di storia della Resistenza presentava, hanno visto bene di portare avanti, in sordina ed a poco a poco, una sua revisione che potesse fornire una “versione” più plausibile dei fatti, ma senza smentire troppo apertamente Walter Audisio, anzi sorvolando su molte sue congetture ed affermazioni e sintetizzando al massimo le dinamiche della fucilazione altrimenti inspiegabili.



Il “revisionismo” di parte resistenziale

Come accennato, con gli anni e di fronte alle tante inverosimiglianze che la versione ufficiale, presa in tutte le sue sfaccettature presentava, soprattutto nella dinamica balistica degli spari, rispetto al riscontro autoptico ed a vari rilievi fotografici, la storiografia resistenziale si è fatta più possibilista e ha dovuto ammettere che c’erano riscontri che escludevano la presenza di un solo ed unico esecutore armato di mitra MAS.

Gli irriducibili della “vulgata”, quindi, nonostante siano rimasti ovviamente attaccati agli elementi per quella versione determinanti, come l’orario della fucilazione (le 16,10), il luogo (il cancello di Villa Belmonte) ed il ruolo di Valerio (oltre ovviamente alla attestazione che questi sia proprio Walter Audisio), pur senza affermarlo espressamente, anzi lasciandolo indeterminato, si mostrarono propensi ad accettare che il fucilatore poteva essere stato, magari in condominio con Valerio, Michele Moretti, anche in virtù delle molte voci che in tal senso circolavano a Como e dintorni e/o Aldo Lampredi.

A tal proposito c’è il fondato sospetto e qualche elemento lo attesterebbe che, già in passato, il partito comunista, sia pure in tempi diversi e senza mai apparire direttamente, al fine di prevenire ed attutire le forti critiche elevate alla strampalata versione ufficiale di Valerio, abbia voluto “elasticizzarla” lasciando, o comunque non intervenendo categoricamente, che alcune voci (e soltanto voci però) non troppo difformi, potessero circolare.

Quindi, mentre ufficialmente e per la storia, veniva dal PCI difesa a spada tratta e con evidenti minacce la versione di Valerio, tanto da indurre il Cantoni nel 1956 a ritrattare quanto aveva raccontato al settimanale Oggi, al contempo nel comasco sui luoghi dei fatidici eventi, si lasciava che circolassero voci attestanti in Moretti Pietro, il vero e (per quelle parti) più convincente fucilatore. L’importante era che queste voci restassero solo come tali e ristrette in ambito locale e non venissero rilasciate interviste (vedi per esempio quella del Cantoni ad Oggi nel 1956) alla stampa nazionale.

Lo stesso Moretti, in tutti i suoi anni di vita, pur non avendolo mai confermato ha spesso fornito, in tal senso, risposte ambigue.

Viceversa, all’interno degli ambienti ristretti del partito, si è anche fatto intendere che il fucilatore potesse essere stato Lampredi Guido (vedi la testimonianza di Massimo Caprara) un killer forse un pò più convincente e già ex agente del Comintern.

In ristretti e qualificati ambienti politici invece (Francesco Cossiga, che ha una certa esperienza di intelligence, lo ha ricordato in televisione espressamente), è anche circolata la voce (alla quale noi diamo molto più credito) che l’uccisore di Mussolini fosse un dirigente comunista di Milano fatto poi espatriare dal partito in Sud America.

In tutti questi anni, in ogni caso, sulla scia della cosiddetta relazione Lampredi, c’è stato anche un sensibile ridimensionamento di alcuni particolari, frasi denigratorie e fanfaronate di Valerio, a cui nessuno aveva mai creduto.



A poco a poco, quindi, ha preso corpo una sottile e parziale, ma ipocrita revisione della versione ufficiale, che è andata a definirsi a metà degli anni novanta ovvero dopo circa cinquanta anni da quegli avvenimenti, la quale però, in linea di massima, conferma la sostanza di questa stessa traballante versione: anzi la ripropone con forza e proprio questo è il suo vero scopo !

In quest’ottica venne anche dato molto spazio ai nuovi e recenti racconti forniti da Michele Moretti e qualche altro ex partigiano, in genere comunista, raccolti da Giusto Perretta ed il suo Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione, o da giornalisti e scrittori di sicura tendenza resistenziale.

Un centro quello comasco di forte rilevanza dove, oltre a varie personalità della Resistenza, vi ha sempre avuto una certa influenza il PCI ed i suoi epigoni, nonché vi hanno girato attorno svariati giornalisti e ricercatori storici interessati a quelle vicende.

Si può dire che con la morte di Renzo De Felice, che purtroppo non ha lasciato eredi del suo valore, sono le Istituzioni come questa che si sono arrogate la presunzione di essere le uniche depositarie di certe verità storiche.

In tempi più recenti si sono aggiunte poi le considerazioni sui riscontri autoptici fatte dal prof. Pierluigi Baima Bollone, professore ordinario di Medicina legale all’Università di Torino il quale, sorvolando allegramente su recenti scoperte, particolari e rilievi che come abbiamo visto hanno una seria attendibilità, andò anche oltre, riportando nel suo libro “Le ultime ore di Mussolini”, Mondadori 2005 ) una sua versione di come avvenne la fucilazione del Duce, dando così, sia pur indirettamente, a questa pseudo revisione della versione ufficiale una certa investitura medico legale che fino ad allora, eccezion fatta per il famoso documento Cova, del dottor Pierluigi Cova Villoresi, era sempre mancata.

Ma forse il puntello più funzionale a questa sottile e mai apertamente dichiarata revisione della versione ufficiale potrebbe ritenersi la testimonianza indiretta di Luigi Carissimi-Priori, di Gonzaga, 1 già commissario capo dell’Ufficio politico alla questura di Como subito dopo la liberazione.

Questo Carissimi-Priori, che una sua foto ce lo mostra nell’uniforme di Balì Gran Croce del sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta, affermò che ebbe modo, all’epoca, di fare una sua pseudo inchiesta su quegli avvenimenti. Egli, con le sue dichiarazioni, sia pure quale testimonio indiretto, ha indicato soprattutto in Moretti uno dei fucilatori del Duce.

Su questo ex partigiano azionista, le cui testimonianze più importanti ruotano attorno al carteggio Mussolini/Churchill (e in questo caso quale diretto protagonista), è necessario spendere qualche altra parola per inquadrarne la figura e valutare le sue dichiarazioni.

Carissimi-Priori, tornato in Italia, dopo aver a suo tempo smentito un suo ruolo e l’esistenza stessa del carteggio Mussolin/Churchill, dopo aver rilasciato dichiarazioni in merito contraddittorie e fuorvianti, si decideva ad uscire allo scoperto, ma ancora nella seconda metà degli anni novanta, non riteneva opportuno “per tranquillità, dato il clima politico italiano” (sic.!) fornire ulteriori nomi o indicazioni sul “carteggio” anche perchè, a detta sua, non voleva chiamare in causa altre persone.

Sciolse questa riserva solo nel 1997 dopo la morte dell’amico Pier Maria Annoni che con lui condivideva il segreto sul carteggio Mussolini/Churchill, carteggio che i nostri eroi avevano nel dopoguerra consegnato ad Alcide De Gasperi sotto impegno che in un lontano domani sarebbe stato reso di pubblico dominio.

Seguiranno quindi, da parte del Carissimi, una serie di racconti, pubblicati tra la fine e l’inizio degli anni del nuovo millannio,2 che in definitiva portarono alla fumosa indicazione che il “carteggio” era ancora ben custodito da qualche parte, poi che era finito forse in una banca svizzera, poi in una cassetta di sicurezza, ma in ogni caso dovrebbe un giorno essere reso pubblico e magari consegnato ai diretti interessati (nel caso, secondo lui, gli inglesi, sic!).

Ma tutte queste sono altre storie, qui poco pertinenti, emblematico è però il fatto che il nostro rilasciò, pochi anni prima di morire, una intervista uscita sul Corriere di Como del 14 marzo 1999. Qui, a proposito del carteggio, ebbe a sottolineare quanto segue:

«Nell'ottobre scorso, con l'aiuto di Lazzero Ricciotti, ho realizzato un memoriale. Quel testo è pubblicabile in qualsiasi momento, ma preferisco che ciò non avvenga. La soluzione del presunto mistero è troppo semplice per essere creduta dai giornalisti, che sono talmente affamati di notizie sensazionali che non accetterebbero la realtà dei fatti.

Ecco perché non dico nulla. Solo quando sarò morto, verrà reso pubblico. Così mi sarà risparmiato di vedere lo scempio che verrà fatto delle mie carte».

Come tanti altri fantomatici Memoriali annunciati e poi spariti anche questo però, lo stiamo aspettando, ma non ha ancora fatto capolino! 3

In ogni caso, la famigerata copia di questo carteggio, che doveva consistere in 62 lettere (o forse meglio fogli) corrisposte tra Mussolini e Churchill, dopo oltre sessanta anni non è ancora venuta fuori e se, come dice Carissimi, venne data in consegna a De Gasperi, allora stiamo freschi !

Si pensi un pò, in quei turbinosi e violenti giorni di fine aprile - primi di maggio ‘45, che genere di inchiesta possa aver condotto il Carissimi-Priori, uomo estremamente prudente dislocato alla questura di Como.

Intanto l’indagine sulla morte di Mussolini non interessava per niente, come lo stesso Carissimi ebbe a ricordare.

Non interessava al vicequestore comunista Fernando Cappuccio “Fiore”, non interessava al questore Grassi,4 nè al prefetto di Como Virginio Bertinelli 5 e neppure al maggiore Cosimo Maria De Angelis, comandante della piazza di Como e provincia, tutti membri CLN:

... quest’indagine non interessava per niente” afferma testualmente il Carissimi. “Anzi il questore (L. Davide Grassi, n.d.r.) mi diceva sempre: ‘Lasciamo stare. Questa faccenda non ci riguarda. A noi cosa interessa se Mussolini l’ha ucciso l’uno piuttosto che l’altro’. Ma naturalmente tanto il prefetto (di Como, Virginio Bertinelli, n.d.r.) come il questore sapevano benissimo che non erano stati nè gli inglesi nè gli americani”.

Oltretutto, tanto per dare un ulteriore idea del clima dell’epoca, anche rispetto alla importante faccenda del carteggio Mussolini/Churchill, che pur avrebbe dovuto interessare le autorità italiane, il Carissimi dice più di una volta e chiaramente che:

Nessuno ha voluto saperne di quei documenti quando avrebbero avuto la possibilità di mettervi le mani sopra perchè si sapeva chi li aveva, accidenti se lo si sapeva! Specie il questore di Como.”.



Ebbene con questo genere di clima, in un periodo (quello dell’immediato dopoguerra) dove era d’obbligo attenersi alla versione ufficiale pubblicata dall’Unità,6 il Carissimi, più che altro con l’evidente intento di scagionare eventuali responsabilità Alleate si mise a fare qualche domanda qua e là, ebbe le opportune confidenze dai soliti informatori e un quadro complessivo non proprio in linea con quanto ufficialmente veniva fatto circolare e con la variante (che in quei posti era un pò in bocca a molti) di un Michele Moretti possibile fucilatore.

Ecco cosa raccontò il Carissimi nel 1995 (in parte lo abbiamo già riportato):

Secondo i risultati di quelle indagini, la fucilazione di Mussolini era avvenuta davanti al cancello di Villa Belmonte, in località Giulino di Mezzegra, il pomerigigo del 28 aprile, verso le ore 16,10, senza l’intervento nè diretto, nè indiretto, degli Alleati, tanto meno degli inglesi.

Tre persone, Walter Audisio Valerio, Aldo Lampredi Guido e Michele Moretti Pietro, erano in quel momento sul posto per l’esecuzione di Mussolini, ma non la Petacci. L’indagine ha permesso di stabilire che materialmente Mussolini è stato ucciso con scambio d’arma tra Valerio, impacciato nell’uso di un fucile mitragliatore, che non conosceva, e Pietro.

I colpi mortali che avevano ucciso Mussolini, secondo quanto mi risultava, provenivano da Michele Moretti.

Non escludo che nel tentativo di strapparsi l’arma fra l’uno e l’altro degli esecutori, siano partiti magari colpi anche dall’arma di Audisio. .....

Ho parlato subito di persona con Moretti di questa vicenda e lui non ha escluso di essere stato lui stesso a uccidere Mussolini, anzi, me lo ha affermato, a meno che non si sia trattato di una questione di interpretazione quando mi ha detto: ‘Mi l’ho mazaa!’, alla presenza di uno dei suoi, il vicequestore Fernando Cappuccio. Può anche darsi che abbia detto: ‘A l’emm mazaa!’, sfumature dialettali”.

In base a quanto sopra, il Carissimi ha quindi ipotizzato una fase concitata, quasi un contendersi in lotta, tra il terzetto di giustizieri, l’onore di uccidere il Duce.

Più ufficialmente lo stesso ex partigiano azionista ha lasciato una relazione per l’Istituto Storico della Liberazione di Como:

"A cinquant'anni dalla fucilazione del Duce ho sottoscritto con altri, a nome dell'Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione, una dichiarazione che riporta la versione autentica dei fatti 7 ponendo definitivamente fine a ipotesi fantasiose circa la morte di Mussolini, alcune delle quali addirittura sciocche, come quella della doppia esecuzione.

Su questo episodio hanno scritto in molti. Ma nessuno è venuto a vedere come fossero andate le cose. Io ho ascoltato i protagonisti e molti testimoni e tutte le versioni da me raccolte concordavano.

L'unico dubbio che mi è rimasto è da chi sia partito il primo colpo. Le cose sono andate in questi termini.

A Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di villa Belmonte era presente soltanto un terzetto di partigiani composto da Walter Audisio, Michele Moretti ed Aldo Lampredi.

Tutti e tre hanno usato le armi.

Ma, fra questi, probabilmente chi ha sparato di meno è stato Audisio, che era il tirapiedi di Longo, e non aveva mai preso in mano un' arma in vita sua.

Debbo dire che, quando interpellai i tre protagonisti, ricavai l'impressione che nemmeno loro sapessero bene chi avesse ucciso il Duce. 8

Era evidente che avevano agito in concorso tra di loro. Forse ci fu un diverbio, nell'attimo in cui avvenne il passaggio delle armi da Moretti ad Audisio, qualcosa di simile ad una colluttazione. Quel momento concitato venne "rimosso" nella versione ufficiale che, pur essendo in linea di massima attendibile, risulta come dire "ripulita".

E' stato anche detto che nello scenario della fucilazione di Mussolini ci fossero stati gli inglesi.

Ma figuriamoci se potevano esserci gli inglesi intorno. Io lavoravo a stretto contatto con loro e certamente lo avrei saputo".

Carissimi Priori aggiunge anche:



"L'ipotesi più probabile è che il primo colpo sia partito accidentalmente dal mitra di Moretti, esploso da quest'ultimo mentre l'arma gli veniva strappata di mano con violenza da Audisio".

A parte il fatto che non si comprende il come e il perchè questi tre giustizieri si sarebbero messi a litigare tra loro per uccidere il Duce, tra l’altro in un piccolo fazzoletto di strada, resta da chiedersi che faceva e cosa osservava, sia pure da lontano l’autista Geninazza che non ha mai riferito questi particolari.

A noi sembra, più che altro, che al Carissimi Priori venne confidato un rimescolamento di particolari attinenti ad una finta fucilazione avvenuta alle 16,10 davanti il cancello di Villa Belmonte e tra l’altro confusamente riferiti, insinuando un ruolo di sparatore per Moretti (come al tempo in quei luoghi si sussurrava) per attestare un evento, la fucilazione effettiva di due persone vive, mai avvenuta.

Era un espediente, questo della confusione, fatto anche per aggiustare, con la descrizione di una sparatoria incontrollata e caotica, la dinamica di una esecuzione che, infatti, anni di osservazioni sulle traiettorie, i colpi e il tipo delle ferite, non la faranno certo collimare con la versione di Valerio. 9

In ogni caso, per i “revisionisti silenziosi”, proprio la testimonianza di Carissimi-Priori, che comunque non era partecipe diretto dei fatti di Giulino di Mezzegra, in parte la relazione di Lampredi del 1972 (ambiguo documento di partito), ma soprattutto le ulteriori precisazioni di Michele Moretti e qualche altro esponente comunista, raccolte dal Perretta in epoca avanzata, sono le probanti pezze d’appoggio di una versione ufficiale, riveduta e corretta, ma sostanzialmente immutata e più credibile, anche perchè lascia alcuni punti indeterminati, in modo da non poter essere esplicitamente confutati.

E la versione ufficiale nel suo nuovo look, troverà una configurazione definitiva nel libro di Giusta Perretta: La verità. Dongo, 28 aprile 1945 (Edizioni Actac 1990 e riveduta 1997).

Questo dire e non dire, questo non escludere un ruolo di sparatore di Michele Moretti, questo ipotizzare delle fasi di una fucilazione coatica, ha l’evidente e sottile scopo di giustificare implicitamente una dinamica di spari che attesta almeno due tiratori, una balistica che ipotizza inclinazioni e traiettorie di tiro eterogenee e la stessa incredibile morte di Claretta Petacci colpita proditoriamente alle spalle.

Tutte queste incongruenze, pur non potendole provare con prove oggettive e incontrovertibili, erano sempre apparse evidenti a tutti. E ad esse, i fautori della vulgata avevano sempre e in qualche modo fatto fronte con la storiella del trafelato scambio di un mitra inceppato e con una Claretta che si sarebbe avvinghiata istericamente al collo del Duce.

Adesso era invece arrivato il tempo di ipotizzare qualche elemento più concreto, ovvero una fucilazione assurta a fasi di lotta libera che però non trova alcuna giustificazione in quel piccolo spazio di strada davanti al cancello di Villa Belmonte.

Le cose, infatti, non possono essere così semplificate, esse non stanno così come si vorrebbe far credere ed, in ogni caso, visto che il quadro d’insieme della versione ufficiale, per quello che riguarda il luogo dell’esecuzione, gli orari della stessa ed il terzetto dei possibili fucilatori, sostanzialmente non cambiano, possiamo dire che, buona parte delle nostre critiche che hanno riguardato la versione ufficiale “classica”, possono senz’altro essere estese a comprendere anche questa sua versione riveduta e corretta che ovviamente non rientra ad alcun titolo tra le varie versioni alternative che più avanti andremo a leggere.

Ecco ora, qui appresso, come anche in base a queste nuove relazioni e testimonianze, l’Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione, il 25 settembre del 1995 volle precisare quegli eventi, con una sua sintesi di tutta la Versione ufficiale.

E’ questa una pomposa dichiarazione, espressa con un capolavoro di ipocrisia, laddove a differenza della versione di Valerio, si lascia imprecisato il particolare di chi effettivamente ebbe a sparare, le modalità dell’esecuzione e del perché venne ammazzata anche la Petacci.

Tutti episodi evidentemente problematici volendo spiegarli esaurientemente.

Si tenne anche a sottolineare, perbacco!, la volontà unanime di tutto l’ ”arco costituzionale” nella decisione di quell’atto di giustizia sommaria, al tempo rappresentato dal CLNAI e questo ovviamente, si precisa a scanso di equivoci, fin dal 26 aprile 1945.



Negli intenti della storiografia resistenziale, dunque, dovrebbe essere questa succinta dichiarazione la versione definitiva da tramandare alla Storia.
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