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In principio dio creò IL cielo e la terra leggere IL Libro della Genesi


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Commento (per i catechisti)


Il racconto del diluvio è un testo molto conosciuto; spesso è ritenuto narrazione di una grande catastrofe, di una punizione terribile inviata sull’umanità da un Dio molto adirato. Se leggiamo attentamente il testo ci accorgiamo che il narratore lo ha disposto in modo tale che tutto ruota intorno a un centro, Gen 8,1, dove si legge che Dio si ricordò di Noè; nel momento in cui Dio si prende cura dell’uomo, il diluvio cessa. Questo ci fa capire che non possiamo pensare questo testo come il racconto di una punizione divina. Inoltre il testo è costruito intorno alla ripetizione di alcuni numeri: il numero 7 rinvia al tempo della creazione, il numero 40 indica un tempo di trasformazione, il numero 150 (3 volte 50) indica un periodo di tempo ben compiuto. Il diluvio appare così come un momento di trasformazione del creato. Questa è la corretta chiave di lettura. Inoltre per comprendere questo brano dobbiamo ricordare che esso nasce dalla combinazione di due racconti diversi: uno di tradizione “sacerdotale”, l’altro di tradizione jahvista. Questo spiega le contraddizioni interne e le ripetizioni. Inoltre dobbiamo aver ben chiaro che il racconto del diluvio nella Bibbia è simile ad altre narrazioni presenti in una vasta serie di testi del Vicino Oriente Antico; dietro tali racconti c’è il ricordo di qualche cataclisma locale che, in epoche remote, ha colpito la regione mesopotamica e che ha lasciato negli uomini la sensazione che il mondo può finire da un momento all’altro. Qualcosa di simile lo percepisce forse anche l’uomo contemporaneo, che si sente padrone del mondo, ma lo distrugge.

Il racconto del diluvio prende le mosse da due punti importanti; la presentazione del protagonista, Noè, e la presentazione della situazione dell’umanità, segnata da uno stato di violenza e di autoditruzione. Noè è descritto come un uomo integro (cioè in un rapporto positivo con Dio), giusto (ossia in rapporto positivo con il prossimo), e come un uomo di fede che cammina con Dio.

Dio comanda a Noè la costruzione di un’arca (vss 13-22), le cui misure sono volutamente esorbitanti; esse sono le misure riportate in 1Re 7,2 a proposito del Tempio di Gerusalemme; l’arca ne diviene un po’ il simbolo ed è vista come strumento di salvezza. Inoltre il termine qui tradotto con “arca” è lo stesso usato per indicare il “canestro” in cui viene posto Mosè per salvarlo dalla morte. L’arca è lo strumento di salvezza per l’umanità e per gli animali creati da Dio. Davanti al male imperante Dio sceglie un resto per far ripartire la sua storia di salvezza.

Il diluvio (che viene descritto al cap. 7) è descritto così come un cataclisma cosmico, un ritorno del mondo al caos delle origini, all’abisso primordiale (Gen 1,2), una sorta di anti-creazione. Ogni vita viene cancellata (7,23) e le acque trionfano (7,18.24). Il diluvio esprime così il modo in cui l’uomo della Bibbia esprime la sua idea sul male; di fronte alla violenza, il mondo rischia di ripiombare nel caos dal quale è uscito. Il diluvio, come vedremo tra poco, deve essere visto non come una punizione divina, ma come una autocondanna dell’uomo, una realtà causata dalla malvagità stessa degli uomini.

Il testo di Gen 8,1 rappresenta la chiave di volta di tutto il brano: “Dio si ricordò di Noè”. “Ricordarsi”, nel linguaggio biblico non significa semplicemente “richiamare alla memoria qualcosa che si è dimenticato”, ma piuttosto “prendersi cura” di persone o situazioni che ci stanno a cuore, come fa Dio durantel’esodo. Di fronte al peccato degli uomini emerge così la grazia di Dio che si ricorda di loro e il diluvio cessa. Dio accetta l’uomo così com’è, cioè un peccatore, e non pensa più di risolvere questa situazione negativa distruggendo l’umanità. Proprio perché l’uomo è peccatore, egli è oggetto della misericordia di Dio e il diluvio sarà così soltanto un ricordo: il v. 22 ci conferma come la volontà di Dio sia quella di preservare l’uomo e il creato dalla distruzione; così il Vangelo ci parlerà di un Dio che “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45).

Il racconto del diluvio trova la sua vera conclusione nel testo di Gen 9,1-17, che contiene le parole che Dio pronuncia dopo che Noè è uscito dall’arca, parole che esprimono la fiducia del narratore che il diluvio costituisce ormai un evento irripetibile e presentano l’impegno preso da Dio con l’intero creato. Dio rinnova la benedizione già concessa all’umanità in Gen 1,28 e pone l’umanità sotto il segno della vita e della fecondità. In secondo luogo, Dio riconosce che la creazione è ormai turbata dalla violenza (v. 2) e concede all’uomo il diritto di cibarsi degli animali (vv. 2-4). Potremmo dire, dunque, che l’uccisione degli animali è una violenza tollerata, ma a una condizione: che l’uomo non mangi il sangue degli animali uccisi. Il sangue è equiparato alla vita; non mangiare il sangue significa riconoscere che, nonostante il mio atto di violenza (l’uccisione dell’animale), la vita resta sacra e dono di Dio. Inoltre si richiama il fatto che ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26).



Viene poi stipulata un’alleanza tra Dio e Noè. Il termine ebraico “berit” che ricorre sette volte, vuol dire impegno di carattere unilaterale: solo una delle due parti si impegna a favore dell’altra. In questo caso, Dio si impegna con l’umanità e con il creato indipendentemente da quel che l’uomo può dire o fare. Questa alleanza è definita “eterna”, indica la fedeltà di Dio verso la sua creazione. L’alleanza, infatti, non riguarda soltanto Noè o gli altri uomini, ma l’intero creato. Così, il testo di Gen 9,8-17 serve a mostrare come la volontà di Dio che ha creato il mondo (Gen 1) non è quella di distruggerlo, ma, al contrario, di salvarlo e conservarlo all’esistenza. I vv. 12-15 introducono la bella immagine dell’arcobaleno, che, con una felice intuizione poetica, è descritto come qualcosa che serve a Dio stesso per ricordarsi dell’impegno preso. Perché proprio l’arcobaleno? L’immagine è presa ancora una volta a prestito dai miti dei popoli vicini, dove l’arcobaleno era immaginato come l’arco che gli dèi depongono quando hanno cessato di scagliare le loro frecce, cioè i fulmini, sulla terra. L’arcobaleno, che comunque richiama un senso di pace e di bellezza (cf. Sir 43,11-12) è così il segno della volontà divina di non distruggere più il mondo.

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