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In principio dio creò IL cielo e la terra leggere IL Libro della Genesi


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PER I RAGAZZI





  • Viene preparato un grande cartellone con il disegno dell’arca di Noè. Sono state ritagliate delle finestrelle (in numero di due o tre per ogni ragazzo). Sotto le finestrelle viene attaccato un foglio bianco. I ragazzi, dopo aver ascoltato il racconto della costruzione dell’arca, sono invitati a disegnare nelle finestrelle gli animali e le persone indicate nel racconto.

  • Si riflette con loro intorno a queste domande: perché viene costruita l’arca? A cosa serve? Chi era presente sull’arca? Quali sono gli animali impuri per la Bibbia?

  • Alla fine dell’incontro viene disegnata la terra e un arcobaleno (si spiega il significato) – Dio vuole la salvezza di tutti e con tutti fa alleanza

  • Su ogni colore dell’arcobaleno si scrive una condizione per la pace (Sette colori per un arcobaleno di pace)


PER I PREADOLESCENTI



Obiettivo: il gruppo è sollecitato a riflettere sulla logica di autodistruzione che è presentata da Gen 6-8 (il diluvio come rovina che l’uomo si procura) e sul volto di Dio che emerge da questi capitoli


Svolgimento dell’incontro


  • Riflettere sui segni di autodistruzione oggi presenti nella storia dell’uomo

  • Fare un cartellone usando immagini tratte da riviste e giornali che illustrino questi segni di autodistruzione

  • Discussione su come Dio opera davanti a questa situazione di rovina creata dall’uomo

  • Dividersi in due gruppi: uno che sostiene che Dio castiga l’uomo (devono trovare ragioni per giustificare questo e modi tipici di pensare e di dire), l’altro che ritiene che Dio non punisca l’uomo

  • A conclusione il catechista legge Gen 9 (berit di Dio con il creato)

Scheda 7
Gen 10-11: La convivialità delle differenze


Commento (per i catechisti)

Il racconto della torre di Babele (Gen 11,1-9) è uno dei testi più conosciuti dell’Antico Testamento, ma anche uno dei meno compresi. Per avere una corretta interpretazione del testo è necessario leggere il cap. 11 in stretta connessione con quanto lo precede, la cosiddetta “tavola dei popoli” del cap. 10. A prima vista essa appare soltanto come un’arida lista di nomi, la maggior parte dei quali a noi sconosciuti. In realtà, è un testo significativo e indispensabile: esso descrive il popolamento della terra dopo il diluvio, ovvero il compiersi della nuova benedizione concessa da Dio a Noè dopo l’uscita dall’arca (Gen 9,1.7). La vita, dunque, continua, e la terra ritorna ad essere abitata (v. il ritornello dei vv. 1 e 32). I settanta popoli ricordati (settanta è ovviamente un numero simbolico) sono descritti come se fossero singole persone, i figli dei figli di Noè. E’ un modo per dire che tutti i popoli del mondo sono fratelli e che quindi sono chiamati a vivere questa fraternità. Tale unità non esclude, anzi include la differenza; i settanta popoli, infatti, non sono uguali tra loro. Ogni popolo è una realtà caratterizzata da un “territorio”, cioè da uno spazio geografico nel quale poter vivere, da una “lingua”, cioè da una determinata cultura, dall’essere una “famiglia”, ossia una realtà etnicamente determinata e, infine, una “nazione”, ossia uno stato nel senso politico del termine, come ci esprimeremmo noi oggi. Il progetto di Dio sull’umanità non prevede una uniformità piatta, ma una diversità di culture e di razze che deve essere vissuta, però, nell’armonia e nella fraternità. Ogni popolo ha il suo spazio che deve essere rispettato, la sua cultura che deve essere valorizzata, la sua autonomia, anche politica. Tutto questo è di grande importanza in un’epoca come la nostra, dedita troppo spesso a pulizie etniche e ad atti di xenofobia.

L’episodio della torre di Babele è il rovescio di questo quadro; se il progetto di Dio prevede l’unità nella diversità, il progetto degli uomini prevede invece l’unità nell’uniformità. Certamente l’autore pensa a una costruzione ben precisa, un tipo di costruzione ben noto nel mondo babilonese a cavallo tra il secondo e il primo millennio a.C. (ziqqurat): una sorta di piramide a gradoni che era considerata dai babilonesi come la “scala” di Dio; essa aveva un valore religioso e politico insieme. Era la garanzia per la città di Babilonia che il proprio dio sarebbe sceso sulla terra nel luogo esatto dove c’era bisogno di lui, nella sua città e presso il suo re. Pensando a questo tipo di costruzioni presenti a Babilonia, la città nemica per eccellenza, il testo della Genesi intende rispondere a una serie di domande urgenti: perché i popoli, invece di essere uniti e fratelli, secondo il progetto di Dio esposto in Gen 10, sono invece nemici e divisi tra loro? Perché le grandi città, come Babilonia ( = Babele) sono fonte di peccato? Perché questo orgoglio umano che vuole sostituirsi a Dio e piegarlo ai propri voleri? Domande ancora valide per l’uomo di oggi.

Il racconto del cap. 11 si può facilmente dividere in tre parti: Gen 11,1-4 (l’impresa tentata dagli uomini: costruire una città e una torre); Gen 11,5-7 (l’intervento di Dio che scende a “vedere” il progetto degli uomini e ne decreta il fallimento); Gen 11,8-9 (il fallimento dell’impresa umana).

Il vs 1 è forse il più problematico; l’interpretazione corrente di questo testo è molto semplicistica: gli uomini parlavano tutti una stessa lingua ma dopo che decisero di ribellarsi a Dio costruendo la torre di Babele, furono puntiti e da quel momento sono nate nel mondo le lingue più diverse. In realtà già in Gen 10 la terra appare divisa in 70 popoli, ciascuno dei quali parla indubbiamente la propria lingua, diversa dalle altre. Il versetto 1 dice invece, tradotto alla lettera, che “tutta la terra aveva un solo labbro e le stesse parole”, espressione che significa avere un solo progetto, essere concordi nel compiere la stessa azione. Il v. 2 ci dice quale fu l’inizio di questa impresa tentata dagli uomini; emigrare, cambiare territorio, non accettare dunque la divisione della terra fatta fraternamente secondo il progetto divino. Nei vv. 3-4 l’impresa degli uomini viene descritta nei dettagli. Con una apparente decisione democratica (“venite, costruiamoci…”) che maschera in realtà un intento autoritario, gli uomini vogliono costruire per loro stessi una città e una torre “la cui cima tocchi il cielo”.Vogliono costruire qualcosa che duri, che lasci un segno nel tempo e che parli di loro; qualcosa che riguarda sia l’unità del potere politico (“una città”) sia di quello religioso (la torre la cui cima tocchi il cielo). Lo scopo di questa impresa è duplice: prima di tutto “farsi un nome”, realizzare se stessi, diventare grandi, potenti e famosi, durare nel tempo. Ma l’uomo che vuole farsi grande a dispetto di Dio distrugge se stesso. Inoltre, il secondo scopo dell’impresa umana è “non disperderci su tutta la terra”; creare cioè un’unica cultura, annullare le differenze tra i popoli, propugnare una struttura imperialista e monoculturale.

Davanti a questo Dio interviene. E’ necessario mettere fine a questo progetto, evitare che gli uomini realizzino una falsa unità che annulla le differenze tra i popoli. Il testo inizia con una sottile nota ironica: per osservare il lavoro degli uomini Dio deve “scendere”! La torre non è poi così alta…! “Scendiamo, dunque, e confondiamo la loro lingua” (v. 7); il plurale usato da Dio è un “plurale deliberativo”. Facendo in modo che gli uomini non si comprendano più, Dio in realtà pone un limite all’orgoglio e alla violenza del potere. L’impresa fallisce: l’uomo ha cercato di eliminare le differenze di lingua e cultura tra i vari popoli: il risultato è solo la confusione. Il testo contiene qui un finissimo gioco di parole; nella lingua accadica, parlata a Babilonia, il nome della città, Bab-ilu, significava “porta divina” o “porta del cielo”; il testo biblico pone invece il nome di Babel in relazione al verbo ebraico balal, “confondere”. Babilonia, pertanto, non è la via per arrivare a Dio, ma solo il segno di un mondo confuso e in lotta.


Leggere l’episodio della torre di Babele come la spiegazione del fatto che gli uomini, sulla terra, parlano lingue diverse, è dunque fuorviante, anche se è questa la lettura che dell’episodio ci è stata più volte proposta. Abbiamo visto come in realtà il testo sia infinitamente molto più ricco: il racconto ha un forte valore di critica politica (denuncia le grandi superpotenze dell’epoca) e insieme di critica religiosa (denuncia un’umanità che vuole usare Dio per i propri fini, distruggendone alla radice i disegni). La torre è simbolo di un potere che rende schiavo l’uomo, impone una sola autorità e un solo progetto culturale, annulla le differenze tra gli uomini, usa la tecnica come strumento di autorità, piega la religione ai propri fini. Queste sono, alla luce del nostro testo, le radici dei totalitarismi di tutti i tempi, compreso l’imperialismo culturale ed economico oggi dominante, realtà alle quali Dio dice “basta!”.

La storia di Babele termina con una nota di “non-finito”: gli uomini avranno la perenne tentazione di ricostruire la torre. Eppure la storia della salvezza non si arresta e riparte con la chiamata di Abramo (Gen 12,1-4a). Quand’è che l’umanità ritroverà l’unità perduta? Per i cristiani l’anti-Babele è la Pentecoste (At 2,1-11) quando il dono dello Spirito fa sì che popoli diversi possano riunirsi in un’unica fede.



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