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La curiositas nelle Metamorfosi di Apuleio


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La curiositas nelle Metamorfosi di Apuleio


Principale qualità che contraddistingue il protagonista del romanzo, Lucio, è la sua innata curiositas che, non soltanto gli procurerà avventure e disavventure di ogni genere, ma gli permetterà di essere testimone occulto di varie vicende narrate da lui o da altri personaggi all'interno dell'opera. Curiositas è parola-chiave dell'intero romanzo nonché motore dell'azione1 in quanto influenza spesso il comportamento dei personaggi determinando il successivo svolgimento del racconto. Il termine curiositas è attestato ben dodici volte2 nelle Metamorfosi di Apuleio. La prima occorrenza del termine, qui riferito ad Aristomene, è in I, 12, 23:

Faxo eum sero, immo statim, immo uero iam nunc, ut et praecedentis dicacitatis et instantis curiositatis paeniteat.3

Ma io farò sì che un giorno, anzi, subito, anzi, in questo stesso istante, abbia a pentirsi della sua spavalderia di prima e della curiosità di adesso.”4



A parlare è la maga Meroe che dichiara di esser pronta a punire Aristomene, protagonista della novella da lui narrata a Lucio durante il viaggio verso Ipata, per aver consigliato al compagno Socrate di fuggire dalla maga che lo aveva incantato con le sue arti e per aver spiato, nascosto sotto il suo lettino, ciò che Meroe sta macchinando contro di lui. Dunque Meroe, insieme all'amica Pantia, dopo aver sostituito il cuore di Socrate con una spugna, orina su Aristomene per punire la sua curiositas poiché egli aveva spiato ciò che le due donne avevano fatto allo sventurato Socrate.

Il termine ricorre poi, riferito a Lucio, in III, 14, 1:



Tunc ego familiaris curiositatis admonitus factique causam delitiscentem nudari gestiens suscipio: …

“Allora, spinto dalla mia solita curiosità e dal desiderio di scoprire la causa segreta di tutto questo, esclamai: …”

Lucio si trova ad Ipata, in Tessaglia, e, ospite in casa di Milone, intrattiene una relazione con la serva Fotide. È a quest'ultima che Lucio si rivolge e, consapevole di essere spinto dalla sua solita curiosità, apprenderà dalla serva che la sua padrona, moglie di Milone, pratica arti magiche segrete causa delle future sventure del nostro protagonista.

Tuttavia la curiositas procura gravi danni non soltanto a Lucio, ma anche ad altri personaggi del romanzo, tra questi la giovane e bella Psiche che, divenuta sposa di Amore, riceve da lui il divieto di osservarne il volto. In V, 6, 17 l'ammonimento del dio è chiaro ed esplicito:

Sic ille nouae nupae precibus ueniam tribuit et insuper quibuscumque uellet eas auri uel monilium donare concessit, sed identidem monuit ac saepe terruit ne quando sororum pernicioso consilio suasa de forma mariti quaerat neue se sacrilega curiositate de tanto fortunarum suggestu pessum deiciat nec suum postea contingat amplexum.

“Lo sposo volle accontentare le sue preghiere, e le permise anche di regalare alle sorelle oro e gioielli, quello che voleva. Ma allo stesso tempo la mise in guardia, incutendole paura, perché non si lasciasse convincere dalle sorelle a voler vedere il volto del marito. Perché allora la sua sacrilega curiosità l'avrebbe fatta precipitare giù da quella vetta di fortune, e non avrebbe mai più goduto dell'abbraccio dello sposo.”

Psiche, dunque, confida alle sorelle di non aver mai visto il volto del suo sposo a causa di tale divieto e in preda allo sconforto esclama:

Meque magnopere semper a suis terret aspectibus malumque grande de uultus curiositate praeminatur.

“Mi mette sempre paura, e mi annuncia enormi sventure, se mi venisse la curiosità di vederlo”



Così Psiche, nonostante il divieto dello sposo, si lascia convincere dalle sorelle e spia il bel volto d'Amore spezzando l'incantesimo e provocando la fuga del dio. Psiche, dunque, andata alla ricerca dell'amato, deve affrontare quattro difficili prove imposte da Venere ma neppure in tali circostanze riesce a controllare la sua curiositas. Infatti, in VI, 20, 17 il narratore afferma:

Et repetita atque adorata candida ista luce, quanquam festinans obsequium terminare, mentem capitur temeraria curiositate et: …

“(Psiche) ritrovò e adorò la nostra candida luce, e poi, per quanto avesse fretta di portare a termine la sua missione, non seppe resistere a una temeraria curiosità. E disse: …”

Ancora una volta Psiche rischia di andare in rovina a causa della sua innata curiosità ma viene salvata da Amore che, incapace di sopportare la lontananza dell'amata, la risveglia dal sonno infernale nel quale era piombata e in VI, 21, 17 dice:

Ecce” inquit “rursum perieras, misella, simili curiositate. Sed interim quidem tu prouinciam quae tibi matris meae praecepto mandata est exsequere nauiter, cetera egomet uidero.”

“E poi le dice:

La curiositas di Lucio, ormai trasformato in asino a causa dell'errato incantesimo di Fotide, si rivela soprattutto nel IX libro quando il protagonista, venduto ad un mugnaio, è costretto a lavorare alla macina. Egli, infatti, mosso da curiosità, osserva attentamente tutto ciò che accade nel mulino e in IX, 12, 7 racconta:

At ego, quanquam eximie fatigatus et refectione uirium uehementer indiguus et prorsus fame perditus, tamen familiari curiositate attonitus et satis anxius, postposito cibo, qui copiosus aderat, inoptabilis officinae disciplinam cum delectatione quadam arbitrabar.

“Ma io, per quanto fossi stanco morto, affamato e con le forze da ritemprare, curioso come al solito e anche un po' preoccupato, non toccai nemmeno l'abbondante cibo che avevo davanti, e misi invece a guardare con un certo interesse il lavoro che si svolgeva in quella poco piacevole officina.”

Lucio-asino è costretto al mulino a sopportare le pene più dure e trova come unica consolazione proprio le distrazioni offerte dalla sua curiosità. Infatti in IX, 13, 15 dice:

Nec ullum uspiam cruciabilis uitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar, dum praesentiam meam parui facientes libere, quae uolunt, omnes et agunt et loquuntur.

“Non avevo altro sollievo in quella vita di tormenti, se non quello di ricrearmi un po' con la mia solita curiosità: dato che nessuno, infatti, faceva conto della mia presenza, e parlavano e agivano davanti a me come meglio volevano.”



Il protagonista, inoltre, procuratosi l'odio della moglie del mugnaio e curioso di scoprire il motivo di tanta avversione, decide di indagare sull'indole della donna e spiarla, sfruttando la sua stessa natura d'asino che gli permette di assistere ai fatti senza destare alcun sospetto. Come sostiene Mattiacci, l'innata curiosità di Lucio viene fomentata dalla cattiveria e dall'ambiguo comportamento della mugnaia5; così Lucio-asino ci racconta in IX, 15, 8:

Quae saeuitia multo mihi magis genuinam curiositatem in suos mores ampliauerat.

“Questa sua cattiveria aveva reso ancora più grande nei confronti delle abitudini della donna la mia innata curiosità.”



Infine, è proprio nell'ultimo libro che appare chiaro in che misura la curiositas svolga un ruolo fondamentale per lo svolgimento dell'intera vicenda narrata. Lucio, riacquistata la forma umana grazie all'intervento di Iside, viene iniziato ai misteri della dea da un sacerdote che, conoscendo già tutte le sue sventure, si rivolge a lui, in XI, 15, 7, dicendo:

Nec tibi natales ac ne dignitas quidem, uel ipsa, qua flores, usquam doctrina profuit, sed lubrico uirentis aetatulae ad seruiles delapsus uoluptates curiositatis inprosperae sinistrum praemium reportasti.

“Né la tua nobiltà, né la tua agiatezza, né la tua eccellente cultura ti sono servite a niente. Perché l'esuberanza della tua giovane età ti ha fatto scivolare nel volgare asservimento delle passioni, e hai pagato cara davvero la tua maledetta curiosità.”

Il sacerdote rende Lucio consapevole del fatto che la curiosità propria della sua indole gli ha provocato numerosissime sventure ma lo ha portato a compiere un vero e proprio “percorso formativo” che ha il suo culmine proprio nell'iniziazione al culto di Iside.

La curiosità, dunque, è caratteristica assai negativa poiché spinge l'uomo ad andare oltre i limiti della sua conoscenza: all'uomo, infatti, non è concesso accedere alla magia, ai culti e a tutto ciò che concerne la sfera divina senza subire danni e sventure. Che l'accesso ai misteri di Iside sia riservato solo a pochi iniziati risulta chiaro da quanto Lucio racconta in XI, 22, 33 a proposito della sua iniziazione:



Et iniecta dextera senex comissimus ducit me protinus ad ipsas fores aedis amplissimae rituque sollemni apertionis celebrato ministerio ac matutino peracto sacrificio de opertis adyti profert quosdam libros litteris ignorabilibus praenotatos, partim figuris cuiusce modi animalium concepti sermonis compendiosa uerba suggerentes, partim nodosis et in modum rotae tortuosis capreolatimque condensis apicibus a curiositate profanorum lectione munita.

“Il vecchio allora mi mise la mano sulla spalla, e con tono affettuoso e felice mi condusse subito alla porta del grande tempio; poi con solenne rito celebrò l'apertura, compì il sacrificio del mattino, quindi trasse da una cellette del penetrale certi libri scritti a caratteri sconosciuti: erano figure di vari animali, che rappresentavano ciascuna un pensiero più articolato, e anche segni a forma di nodo, di ruota, di viticci, che impedivano la comprensione da parte dei profani.”

Per concludere, inoltre, uno stretto legame tra impossibilità di aver accesso ai culti e curiosità dei profani che non sono stati iniziati si può individuare in XI, 23, 25, quando Lucio si rivolge al lettore sostenendo che non è lecito raccontare ciò che è stato detto e fatto dal sacerdote durante il rito iniziatico:

Quaeras forsitan satis anxie, studiose lector, quid deinde dictum, quid factum; dicerem, si dicere liceret, cognosceres, si liceret audire. Sed parem noxam contraherent et aures et lingua, tatis,> illae temerariae curiositatis.

“A questo punto, curioso lettore, sarai ansioso di sapere quali parole poi furono dette, quali azioni furono compiute: te lo direi volentieri, se fosse lecito dirlo, e tu le conosceresti, se fosse lecito sentirlo. Ma sia le orecchie sia la lingua peccherebbero ugualmente, questa di empia loquacità, quelle di sacrilega curiosità.”



Bibliografia


  • Cavalli, M. (2010), Apuleio, Metamorfosi (o l'asino d'oro), Torino, Mondadori.

  • Keulen, W. H. (2006) in AA. VV., Il romanzo antico: forme, testi e problemi, Roma, Carocci.

  • Mattiacci, S. (1996), Apuleio, Le novelle dell'adulterio (Metamorfosi IX), Firenze, Le Lettere.

1Vd. Keulen 2006, 147-168.

2La ricerca è stata effettuata sul database PHI 5.3 attraverso il programma di lettura Diogenes 3.1.6. Il termine curiositas compare in Apul. Met. I, 12, 23; III, 14, 1; V, 6, 17; V, 19, 10; VI, 20, 17; VI, 21, 17; IX, 12, 7; IX, 13, 15; IX, 15, 8; XI, 15, 7; XI, 22, 33; XI, 23, 25.

3Tutti i passi in latino consultati e qui riportati sono tratti dal database PHI 5.3 attraverso il programma di lettura Diogenes 3.1.6.

4Tutte le traduzioni delle Metamorfosi sono a cura di Cavalli 2010.

5Vd. Mattiacci 1996, 143.



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