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Trasformo’ l’acqua in vino


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Trasformo’ l’acqua in vino

Eremo S. Michele - Salvarano 25 marzo 2007

Don Daniele Simonazzi

La donna adultera” (Gv. 8,1-11)


Questo brano è quello dell’eucaristia di oggi, cioè del giorno del Signore, e ciò significa che è il punto di riferimento della nostra vita di fede quotidiana.

E ‘ motivo di gioia condividere la Parola, in questo luogo.



  1. l’eucaristia è l’eucaristia. per il rispetto e l’affetto che nutro verso molti separati che hanno alle spalle di profonda sofferenza e per i quali si dice che ci sono diversi tipi di comunione . . . io penso che l’eucaristia è l’eucaristia, senza mezzi termini. Cioè la comunione all’eucaristia è il culmine e quindi c’è da lavorare sulla strada che deve essere aperta per realizzare la comunione con il Signore…c’è da lavorarci su seriamente.

  2. è importante non confondere un pensiero con l’oggettività della scrittura. La Parola di Dio rimane norma alla nostra vita, qualsiasi sia il cammino e le vicende della nostra vita che ci hanno condotto a situazioni sofferte e dolorose. La Parola è la Parola. La domanda che dobbiamo sempre porci è: “cosa avrebbe fatto e detto Gesù”. L’altro brano che avrei utilizzato oggi è quello del divorzio dove Gesù dice “non avete letto?” e mette in relazione il brano della creazione (Mt. 19 e Gen. 2 - la costola e la creazione dell’uomo e della donna).

  3. è per rispetto a quelle persone che dopo o tramite una separazione sono ritornate ad amare e hanno fatto un faticoso cammino di carità. Sono quelle persone di cui però la chiesa non si occupa, ma con esse si vive una vicenda di chiesa. Molte volte si legge, rispetto a come la chiesa si prende cura di questo e di quello… non è vero. E’ necessario abbandonare questo pensiero perché a volte mi capita di presiedere l’eucaristia in luoghi dove la chiesa si dovrebbe far carico di se stessa e quindi si coglie il limite… la chiesa è formata da povera gente ed è la chiesa dei poveri, è di coloro che vivono la fatica sulla loro pelle, la fatica di camminare, di andare d’accordo, ecc.; penso all’eucaristia presieduta con le ragazze di strada, alle carceri, con i sinti ma anche a quelle della mia parrocchia. Siamo una chiesa di povera gente e quindi togliamo l’ambito della chiesa che ha detto o fatto…che guida, che educa, che fa e che briga… io personalmente mi sento molto guidato dalle persone che hanno un vissuto di profonda sofferenza. Io vi chiedo di vivere questo momento come una vicenda di chiesa.

La parola dice ad ognuno di noi cose con sfumature differenti, cioè si incarna nella vicenda di chi l’ascolta (per cui ognuno può sottolineare uno stesso versetto ma perché a ciascuno ha detto qualcosa di differente).



I solchi in cui lasciarci seminare oggi sono diversi.

  • Motivazione per la quale conducono questa donna a Gesù. “questo dicevano per metterlo alla prova ed avere ciò di cui accusarla” cioè si parte da una condizione che è quella della donna ma in realtà la questione seria è il nostro rapporto con il Signore (soprattutto a livello ecclesiale). Da come ci poniamo di fronte agli adulteri possiamo tranne l’insegnamento per cogliere quello che è il nostro rapporto con Gesù Cristo. Di sicuro una chiesa che vive la misericordia è una chiesa che si chiede chi è Gesù per lei. Una chiesa che non vive la misericordia è una chiesa che non ha chiaro chi è Gesù per lei. Per la gente la questione del tributo a Cesare e la questione della donna adultera vanno a coincidere, cioè questa donna non vale più del tributo (è lecito o no pagare il tributo…). Questa donna di per sé ha la stessa importanza dell’uomo che ha la mano inaridita. L’atteggiamento è quello di guardare cosa fa Gesù davanti al tributo, davanti all’adultera, ecc. Qui c’è in gioco molto di più: per come ci poniamo davanti alle persone che vivono una realtà di sofferenza, è in gioco la credibilità del nostro rapporto di fede con il Signore. E’ come dire “da come tratti i poveri che hai in casa di carità, si vede se credi o no in Gesù”. Il vangelo è molto esplicito, c’è in gioco qualcosa di molto più grande della questione delle coppie irregolari, c’è di mezzo la nostra fede. Infatti il vangelo di Giovanni dice:”questo dicevano per metterlo alla prova ed avere ciò di cui accusarlo”. In realtà, involontariamente, queste persone riconoscono a questa donna una dignità grande. Cioè ormai sembra quasi che per il loro rapporto con il Signore queste persone non possano più prescindere dal loro intendere o considerare questa donna colta in flagrante adulterio. Ci sono alcuni passaggi obbligati nelle vicende delle nostre chiese che non possiamo rimandare. Chi porta l’adultera al Signore vuole cogliere qual è il loro vero rapporto con il Signore stesso. Ci sono alcuni nodi cruciali, alcuni nervi scoperti che la chiesa deve riconoscere e attraverso i quali passare. Ad es. la chiesa in OPG non può prescindere dal perdono; la chiesa ha dovuto guardare la realtà degli ammalati di aids. Cioè il Signore ci pone davanti un’umanità che soffre e che il Vangelo legge come un’umanità da cui non si può prescindere nel rapporto con il Signore. Poi potremmo fermarci sulla realtà di questa donna, perché ha fatto così o cosà, ecc. però di fatto, la questione è più seria ed è una questione di fede. Ed è bene fermarci a riflettere su ciò che spesso si sente dire in parrocchia quando due si separano… “anche questa persona è scesa dal carro”. Non è una questione che non ci riguarda perché noi siamo sul carro e qualcun altro no, c’è un coinvolgimento serio. Nel Vangelo chi pone le domande a Gesù attraverso situazioni concrete non lo fa in modo benevolo ma ci offre una chiave di lettura, cioè da come ti poni si vede chi è per te il Signore . Anche la tua chiesa,la tua comunità, la tua parrocchia... da come si pone, si vede com’è la sua fede nel rapporto con il Signore. Quindi il criterio con cui vivere ogni cosa è proprio il criterio della fede in Cristo. Ma voi “chi dite che io sia?”

  • Ma cosa avrà scritto Gesù sulla terra? Qualcuno dice che fa solo segni…ci sono diverse interpretazioni. E’ significativo invece pensare al modo in cui scrive cioè il vangelo ripete due volte due cose. Una è quello di porre in mezzo la donna, la seconda è che Gesù per due volte si china e per due volte si alza. Attenzione perché Gesù è appena stato sul monte degli Ulivi e allora la presenza di questa donna in rapporto a coloro che gliela conducono è una presenza che fa sì che Gesù si chini e Gesù si rialzi. Questo duplice chinarsi e rialzarsi non è altro che il modo in cui Giovanni indica la croce. Per Giovanni la vicenda pasquale non è una vicenda per la quale prima c’è un’umiliazione e poi viene la resurrezione. La resurrezione non è la riscossa, non è “arrivano i nostri”, “mi avete voluto far fuori e adesso ve la faccio pagare” ma è nella stessa direzione della passione. Nel vangelo di Giovanni l’innalzamento sulla croce è ed assume anche la sua umiliazione. In realtà l’umiliazione di Gesù è essere innalzato nella gloria. La gloria di un diacono ad es., il modo di rivelarsi, è il suo servizio. Gesù si chinerà nell’ultima cena a lavare i piedi. La gloria di Dio, ciò che vuole manifestare di sé, ce lo mostra nell’umiliazione di suo Figlio. E allora questa donna, nella sua condizione di essere condannata, permette a Gesù di anticipare la sua condizione. Gesù non è estraneo alla sua vicenda e il suo chinarsi, che è strettamente legato al trovarsi in mezzo con la donna, e rialzarsi è anticipazione di ciò che Giovanni indica essere il mistero della Pasqua. E la dignità che Gesù riconosce a questa donna, è una dignità grande, chiama in gioco il suo stesso essere, il culmine della sua vita e Gesù ci mostra, chinandosi ed alzandosi per ben due volte davanti a questa donna, che cosa sarà la sua pasqua. Gesù darà il meglio di sé, mostrerà quale sarà la volontà del Padre, e dobbiamo cominciare a fare una questione non di ciò che è permesso e di ciò che non lo è, bensì dobbiamo metterci nella condizione del dare il meglio di noi. Diamo il meglio di noi quando ci mettiamo al servizio. L’immagine che vorremmo dare del nostro essere chiesa, è proprio questo: l’immagine di una chiesa che nel chinarsi esprime come Gesù in croce l’apice della sua gloria. Ciò di cui ci vantiamo, la prerogativa di essere chiesa è il servizio. E Gesù lo fa davanti a questa donna. Quindi ogni parola e atteggiamento di giudizio, ogni parola che sia al di fuori di questa logica, non è parola evangelica. Questo non significa far finta di niente, significa rendersi conto dell’importanza che ha nel nostro cammino di fede. “chinatosi di nuovo” non è un gesto spontaneo, è un gesto voluto; come anche” lo voglio, sii sanato”. La carità, l’amore, il servizio non sono cose che ci scappano fatte o che ci sentiamo di fare. A volte, soprattutto in merito all’accostamento all’eucaristia delle persone che vivono situazioni irregolari, il parere di qualcuno di noi preti è quello di pensare che “fanno così per sfidarti! Si credono in diritto di...”.Io non ho mai visto nessuno porsi in atteggiamento ti sfida se realmente stava riflettendo seriamente sulla sua vita; e questo lo si coglie se il nostro atteggiamento è di profondo rispetto, fiducia e ascolto. E’ necessario chinarsi di nuovo, bisogna sempre ricreare, dare nuove possibilità. Il servizio è ridare dignità, è far sentire e ritenere una persona, degna di essere amata e servita. E’ sbagliato vivere e vedere una carità a rimorchio, la nostra carità non sa prevenire, ci lascia sorprendere quasi che considerassimo la miseria più grande della misericordia e invece penso che in questi gesti di Gesù ci sia una grande necessità. Infatti l’atteggiamento di Gesù è lo stesso di quando gli pongono la questione del divorzio (Matteo 19) “ma non avete letto?” ( Dio li creò maschio e femmina, creò la donna dalla costola di Adamo) cioè Gesù dice di stare attenti: vivete questa condizione di sofferenza, di prova, che non è mai semplice e che sei tentato a credere di non essere più capace di essere amato e di poter amare, il disegno di Dio ti precede e ti ha preceduto e quel disegno di Dio che tu hai provato ad attuare, rimane. Onestamente di fronte ad un’obbiezione di chi pensa che così sia troppo facile, rispondo con un prefazio che si userà nell’eucaristia dei prossimi giorni che dice “ con il potere regale di Cristo crocifisso, giudichi il mondo” perché ad esempio le persone dell’OPG non hanno paura di incontrare il magistrato, o non sono a disagio davanti ad un giudice. Si trovano a disagio davanti alle persone dalle quali sono amate; è l’amore il vero giudice, ciò che ci squarcia il cuore e ci mette nelle condizioni di questa donna, in cui tutto il popolo si riconosce. Infatti non è menzionato il marito o l’altro uomo del tradimento, perché non è necessario. Giovanni è preoccupato di dirci che nella vicenda dell’adulterio c’è la vicenda di ciascuno di noi. Per cui il problema non è di giudicare la donna, bensì di riproporre, di riaffermare e di rivivere ogni volta l’amore del Signore. Dio non si è sbagliato nel chiamarti ad amare, e continua a chiamarti ad amare e non ci fa paura la condanna che viene da un giudice, ci spaventa la condanna di chi ci ama. Ciò che ci mette più a disagio è l’aver mancato ad un rapporto con una persona che ci è rimasta fedele: questa è l’operazione che fa il Signore. Allora non arrenderti, vai avanti perché il Signore ti ha anticipato nel suo volerti bene. Non è facile infatti; situazioni di sofferenza così come si vivono fanno prendere atto di questo, che fa piangere lacrime come Pietro quando ha incrociato lo sguardo di Gesù nella passione. Ti fa cogliere la verità del tuo essere ma nello stesso tempo ti mette nella condizione del credere di nuovo. Si esce devastati da una vicenda di separazione e non c’è bisogno che ti faccia pesare ulteriormente il fatto che tu…..C’è bisogno che ognuno di noi si riconosca nella vicenda e poi c’è bisogno di fare soprattutto ciò che fa Gesù : Dio non si è sbagliato, il suo disegno è quello che nella differenza si cammina nell’unità.

  • “Rimasero là in mezzo Gesù e la donna”. S. Agostino dice che rimasero là in mezzo la misera e la misericordia. La scelta che fa Gesù di mettersi in mezzo come colui che serve (vangelo di Luca nell’eucaristia servizio-eucaristia). Pensiamo quindi alla miseria come condizione per la misericordia. Dobbiamo stare attenti perché qui c’è la condizione della vicenda nuziale. Io direi solo qui ad una persona di astenersi dall’eucaristia; può essere. Però ricordiamoci che la vita è condizione perché il Signore ci usi misericordia. E’ una vicenda nuziale perché nel fatto che Gesù dica “non avete letto” e quindi rimanda alla scrittura, ciò che Gesù ci invita a leggere è proprio questo cioè il fatto che ”Dio li creò maschio e femmina” dove il fatto che due persone si amino è profondamente segnato dalla ricchezza reciproca, ma ciò implica che sia riconosciuto la povertà reciproca di uno rispetto all’altro. Cioè la nostra vicenda, con tutto ciò che siamo, il nostro corpo, la nostra intelligenza, in realtà è una vicenda che rimanda continuamente all’altro. Ciò che siamo non è qualcosa che possiamo dichiarare come qualcosa di sufficiente. Es.: il marito è ciò che non è la moglie e si ritroveranno continuamente e reciprocamente. E il riconoscere questo all’altra persona, significa dichiararsi povera, perché è l’altro ciò che ti manca. Gesù da ricco che era si è fatto povero perché in lui potessimo riconoscere la nostra povertà. Però la povertà di Gesù non è un merito ma è dire “io mi sono fatto povero perché siete voi la mia ricchezza, siete quello che mi manca”. C’è una domanda devastante alla quale il Padre si sentirà rispondere solo da Gesù “dove sei?” ma non per il bisogno che l’uomo ha di Dio, ma se c’è un bisogno legato al nostro incontro è per Lui, non per noi. E che cosa ci può mettere questa donna di fronte a Dio e di fronte alla misericordia che il Signore le usa? Solo la sua miseria! Gesù non può più prescindere dal suo essere, da ciò che è, dalla condizione della donna che è importantissima, come la sua miseria. Perché c’è qualcuno appunto che ha saputo guardare alla miseria della sua serva, non all’umiltà perché Maria (per la quale è sempre troppo poco essere innamorati, e di cui in OPG sono devotissimi e in alcuni piangono mentre recitano il rosario che è molto lungo così si può anche stare un po’ di più fuori dalle celle. Quindi se non recitare il rosario, cominciate ora e recitatelo in comunione con quelli dell’OPG e tenetelo lungo pensando alla loro condizione). Perchè ha guardato la miseria e non l’umiltà della sua serva, perché nessuno direbbe che Dio guarda la propria umiltà ….quindi non c’è solo la condizione di miseria vissuta condizione, ma come scelta, sapendo che è il luogo nel quale Gesù è pienamente se stesso. La miseria è necessaria alla misericordia, ci si dichiara miseri vicendevolmente sapendo che le persone a cui si dichiara la propria miseria sono per noi misericordia. Non c’è per noi una misericordia migliore per un marito di quella che gli viene chiesta dalla moglie e viceversa. E in questo essere misera e misericordia c’è tutto l’essere Chiesa nella pastorale delle famiglie. Non siamo misericordiosi a prescindere dalla miseria degli altri come peraltro Dio non è misericordioso come Allah che può usare o no misericordia, il nostro Dio non può prescindere dalla misericordia usata verso la miseria, l’assume, la fa propria, la nutre, la ama, esattamente come uno sposo\a hanno cura l’uno dell’altro. E quindi la miseria non è qualcosa che ci chiude, ma che ci apre. E condizione dei nostri fratelli e sorelle rimanda continuamente alla misericordia; la constatazione di una miseria fa continuamente riferimento alla misericordia, perché la misericordia ci cerca, ricerca la nostra condizione sempre. Per questo è importante riconoscere nella riflessione di S. Agostino la rivelazione del Signore cioè ritenere la donna condizione per la misericordia del Signore. La misericordia a cui purtroppo chi voleva tirare i sassi non è ammesso per scelta. Io onestamente avrei tirato i sassi, perché tutte le volte che mi proibivano una cosa io la facevo apposta… non c’è misericordia che non rechi con sé la miseria. Infatti nelle vicende che ora vengono definite di frontiera, c’è sempre stato qualcuno prima di noi che ha portato con sé i poveri (es. don Mario). Per il luogo in cui siamo, le persone che hanno a che fare con Dio da un certo punto di vista sono chiamate ad usare misericordia ma verso chi se non hanno i poveri? Verso Dio che è il misero per eccellenza. Perché solo chi assume la condizione dei miseri è in grado di guardare la miseria, solo chi ha dimestichezza della propria condizione che se non è vissuta per condizione, è vissuta per scelta, solo così chi prega, ad es., prega Gesù che ha avuto fame e sete e non solo Gesù misericordioso come invece fanno i musulmani che pregano un Dio che non ha a che fare con la miseria. Allora avere a che fare con Dio significa avere a che fare con uno così. Ma chi è allora la misera e chi è la misericordia? Allora nelle situazioni di sofferenza, chi è la misera e chi la misericordia? Gli studiosi dicono che era inutile citare il marito e l’uomo del tradimento perché gli idoli non si citano. Non è questione della posizione della donna intesa come inferiore, ma è il contrario. Perché se nella vicenda di questa donna viene riconosciuto l’adulterio, è tutto il popolo che tradisce, è evidente che “gli idoli delle genti sono argento e oro, hanno occhi e non vedono, hanno narici e non odorano ecc….Allora sia come loro chi li fabbrica” e per questo gli uomini non vengono citati; va citata la donna, la misera e la misericordia.

  • La domanda che pone Gesù alla donna: “Dove sono?” è una domanda che mette a disagio perché questa donna si vede chiedere ragione di coloro che volevano lapidarla. Qui sta il discorso di una chiesa che si occupa di qualcuno e che è una chiesa di povera gente. Cioè ad es. nella messa in OPG di oggi ho chiesto dove erano quelli che li avevano condannati. I carcerati mi hanno risposto di lasciare stare i giudici. Spesso accade che chi vive condizioni particolari, si sentano giudicati. Qui è la condizione della chiesa che può condannare (dov’è colui che ti ha discriminato e non ti ha permesso di proclamare la parola di Dio?) oppure di Gesù che cerca chi gli aveva disobbedito (dove sei?). Domanda che io dico agli sposi di porsi sempre la sera, tutte le sere, anche quando le ombre si allungheranno, alla sera della loro vita “dove sei?”. Anche per i morenti è fondamentale avere qualcuno che gli stringa la mano : dove sei? Sono qui, senti la mia mano. Allora Gesù dice :“dove sono?” a tutte le persone che ho giudicato e a cui il Signore chiede: “Ma dov’è don Daniele che ti ha giudicato, discriminato?” e questa domanda Gesù non la pone a quelli che condannavano la donna, ma la pone a lei. Questo rivela un ministero che dobbiamo permettere ai giudicati di esercitare nella chiesa, che è un ministero di cui Gesù li investe e che è questo: “vai a cercare le persone che ti hanno giudicato o discriminato” e rendi consapevoli i giudicanti di essere cercati, di lasciarsi cercare. Inoltre Gesù non fa finta di niente: “Va e d’ora in poi non peccare più” perché è un cammino che Gesù fa fare alla samaritana. Perché è colui che di fronte al quale e per il quale si gioca un rapporto di fede, è colui che si china e si innalza. Cioè di fronte a questa vicenda, anticipa la sua Pasqua, è colui che fa sentire necessaria la miseria perché possa esercitare la misericordia ma nello stesso tempo è colui che si fa misero, per scardinare la misericordia di ciascuno di noi e di cui tutte le persone sono capaci; infine è colui che ti invita a non peccar più, che ti chiede conto di coloro che ti hanno condannato.

  • PERCHE’ SEI TU PADRE CHE TUTTO SOSTIENI CON LA TUA PAROLA ED E’ PER QUESTO CHE TI CHIEDIAMO PER IL DONO DELLO SPIRITO DI ESSERE RESI CONFORMI NELL’IMMAGINE DEL TUO FIGLIO CHE CON TE E LO SPIRITO SANTO VIVE E REGNA NEI SECOLI DEI SECOLI. AMEN


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