Ana səhifə

Lo svolgimento del processo


Yüklə 1.66 Mb.
səhifə20/39
tarix24.06.2016
ölçüsü1.66 Mb.
1   ...   16   17   18   19   20   21   22   23   ...   39
(ibidem, pagine 53-54);

  • <> (pag. 181-183).

    Orbene, quanto alle osservazioni sub a) b) e d) deve premettersi che lo Spatola ha individuato in modo netto gli anni 1983-1985 il periodo nel quale ha riferito di avere avuto, in almeno cinque occasioni, notizia di operazioni di controllo del territorio che avrebbero interessato Campobello di Mazara.

    In tali anni l’avv. Messina era libero e l’imputato era Coordinatore dei Centri S.I.S.DE della Sicilia e Capo di Gabinetto dell’Ufficio dell’Alto Commissario a Palermo (dal settembre 1982), per essere, poi, trasferito a Roma dal primo gennaio 1986, e stato distaccato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed assegnato al III° Reparto del S.I.S.De.

    Lo stesso Spatola, coerentemente con la cronologia degli incarichi istituzionali dell’imputato , ha riferito di non essere stato avvisato dell’ultima perquisizione, subita nel gennaio 1986 (pag. 135 trascrizione udienza 27 aprile 1994).

    Ha precisato, inoltre, che successivamente si era allontanato da Campobello di Mazara per sottrarsi alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale irrogatagli dal Tribunale di Trapani (cfr. pagine 3 e 4 - 69 e ss. trascr. cit).

    Ora, l’imputato ha affermato che (cfr. trascrizione udienza 29/12/1994 pagine 12 e ss. ed udienza 13/12/1994 pagine 31 e ss.), poiché il suo Ufficio non svolgeva compiti di Polizia Giudiziaria, veniva informato delle operazioni sul territorio solo all’esito delle stesse, e quindi egli non avrebbe mai potuto conoscere in anticipo tali notizie, con la logica conseguenza dell’impossibilità di trasmetterle ai gruppi mafiosi interessati.

    Il Tribunale ha persuasivamente confutato tale assunto anche in relazione a quanto detto dallo stesso Contrada, e cioè di essere stato sempre stato il punto di riferimento di tutte le notizie riguardanti indagini di mafia.

    In particolare, l’imputato, nel riferire (in altra parte delle proprie dichiarazioni) sull’attività dispiegata nel periodo 1982-1985, in cui, oltre a ricoprire l’incarico di Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario, era anche Coordinatore dei Centri S.I.S.DE della Sicilia, ha evidenziato la sua collaborazione attiva con organi di Polizia con specifico riferimento al compimento di operazioni nel settore della criminalità organizzata (cfr. pagina 22 trascrizione udienza 25/11/1994 e pagina 37 trascrizione udienza. 13/12/1994), essendo, quindi <> (pag. 974 della sentenza appellata).

    Quel Giudice, in secondo luogo, ha dato contezza della anticipata conoscenza, in concreto, quantomeno di alcune di tali operazioni (si consideri che lo Spatola, per quanto lo riguardava, ne ha menzionate almeno cinque, precisando che, in un paio di casi, la sua fonte era stato non l’avv. Messina, ma, per attività limitate al paese di Campobello di Mazara, l’ispettore di Polizia Pellegrino coniugato con una sorella della moglie di Nunzio Spezia, capo-mafia di Campobello di Mazara e condannato in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p.).

    Si afferma, infatti, a pag. 974 della sentenza appellata: <<… deve, inoltre rilevarsi che fino all’Ottobre del 1983, periodo compreso nell’ambito dell’indicazione cronologica offerta dal collaborante, l’Alto Commissario, dott. De Francesco, ricopriva a sua volta anche l’incarico di Prefetto di Palermo.

    Di particolare rilievo appare, quindi, al fine di incrinare ulteriormente l’assunto difensivo, quanto dichiarato dal Generale dell’Arma dei C.C. Francesco Valentini, il quale ha detto che quando si organizzavano operazioni di Polizia nei territori limitrofi a Palermo non si informava in via preventiva l’Ufficio dell’Alto Commissario ma si provvedeva a fornire segnalazione preventiva alla Prefettura di Palermo al fine di evitare duplicazioni di servizi nei medesimi territori (cfr. ff. 45-46-47- 59 e 60 ud. 20/1/1995). A ciò si aggiunga che dalla deposizione resa dal teste della difesa Paolo Splendore, coordinatore della Segreteria di Gabinetto dell’Ufficio dell’Alto Commissario per tutto il tempo in cui il dott. Contrada aveva svolto l’incarico di Capo di Gabinetto, è emerso che nonostante la formale distinzione tra la struttura burocratica della Prefettura e quella dell’Alto Commissario, in realtà , attesa la dirigenza di entrambe le strutture da parte del medesimo soggetto, si era determinata una certa commistione di atti che rendeva particolarmente complessa la gestione separata dei due uffici (cfr. f. 59 ud. 3/2/1995)>>.

    Del resto, seppure in altro contesto, e cioè trattando dei rapporti tra l’imputato ed i funzionari di Polizia Cassarà e Montana (a pag. 59 del volume VI, capitolo VI dei Motivi di appello) gli stessi difensori appellanti hanno citato la testimonianza resa all’udienza dell’undici aprile 1995 dal funzionario S.I.S.DE. Carlo Colmone , in ordine al possesso delle informazioni in parola:

    <<Colmone C. - ...io avevo rapporti anche personali sia col dott. Montana, che con il dott. Cassarà.

    Avv. Milio - Sì, senta. Nella duplice qualità, lei sta parlando il dott. Contrada, i rapporti... io le chiedevo di illustrarli con questi personaggi, con questi funzionari, tenendo conto che il dott. Contrada era Capo di Gabinetto e Coordinatore.

    Colmone C. - Sì, ma per noi era un punto in più e non in meno, perché nel momento in cui servivano documentazioni, atti o anche possibilità di accedere in determinati Enti, il dottore si poteva avvalere anche della veste di Alto Commissario per supportare l’attività, quindi c’era un flusso continuo fra anche i funzionari di Polizia che si rivolgevano al dott. Contrada come Capo di Gabinetto>>.

    Quanto alle osservazioni sub c), lo Spatola non ha attribuito all’avv. Antonio Messina il ruolo di monopolista della trasmissione delle informazioni riguardanti operazioni nei territori del trapanese o al dott. Contrada quello di tramite di tutte le informazioni che riguardavano operazioni di tal fatta, ovunque eseguite.

    Ha costantemente riferito, piuttosto, ben puntualizzando i limiti delle proprie conoscenze, che il suo referente lo preavvisava, indicando la fonte primigenia di tali notizie in Contrada, dei “rastrellamenti” che avrebbero interessato Campobello di Mazara (cfr. pag. pag. 29 trascrizione udienza 27 aprile 1994:

    <


    SPATOLA R.: Sì.

    P.M.:A chi avvertiva?

    SPATOLA R.: Non entrai nello specifico a chi di preciso. Né mi fu detto né lo chiesi. A me bastava che quando ero, diciamo, in Sicilia o in Campobello, venivo avvertito che l’indomani mattina ci sarebbe stata una perquisizione, non solo per me ma diciamo, 50, 60, 70 persone oltre ad altri rastrellamenti, bloccavano il paese, perquisizioni, fermi, queste cose. Quindi a me bastava che fossi avvisato. Poi a chi avvisava di preciso non l’ho chiesto e non mi è stato detto>>.

    Questo concetto è ribadito alle pagine 120 -121 trascrizione udienza 27 aprile 1994:



    <<SPATOLA R.:A me l’ha riferito Antonio Messina, se altri hanno riferito la voce del dottor Contrada non ne sono a conoscenza.

    AVV. SBACCHI: Ma la fonte di Messina chi era? Il dottore Contrada? abbia pazienza.

    SPATOLA R.: Come?

    AVV. SBACCHI: La fonte di Messina chi era?

    SPATOLA R.: No, la fonte del Messina non me l’ha detta quale, quale persona di Cosa Nostra glielo riferiva. Era da, veniva da Palermo..

    AVV. SBACCHI: Veniva da Palermo

    SPATOLA R.: ... la fonte, ma non mi spiegava quale...

    AVV. SBACCHI: Allora è giusto quello che ricostruisco io, mi perdoni. Cioè che il punto di partenza è questo; c’è qualcuno di Palermo, uno o più persone che comunicano alle famiglie trapanesi che ci saranno operazioni di polizia e riferiscono che queste segnalazioni vengono dal dottore Contrada. Esatto?

    SPATOLA R.: Al Messina fu riferito così e mi riferì così, se ad altri capifamiglia...

    AVV. SBACCHI: Quindi, è una notizia di terza mano.

    SPATOLA R.: ... appartenenti a Cosa Nostra sia stato riferito lo stesso nome questo non glielo posso dire.

    AVV. SBACCHI: E’ una notizia... però Messina le parlò del dottore Contrada...

    SPATOLA R.: Sì.

    AVV. SBACCHI: ... e non le disse chi era stata la sua fonte a sua volta.

    PRESIDENTE: Da chi l’aveva ricevuta la notizia...

    SPATOLA R.: No, no, era una fonte... Niente non parlò>>.

    Della esistenza di tali rastrellamenti, che gli stessi difensori appellanti finiscono con il riconoscere, non è dato dubitare, avendone parlato, in sede di esame, il tenente dei Carabinieri Carmelo Canale, che aveva titolo per riferirne, essendo stato fino al gennaio 1992 Comandante la sezione CC di Polizia Giudiziaria della Procura di Marsala, nel cui circondario ricade Campobello di Mazara (cfr. pag. 1 trascrizione udienza 27.9.1994)40.

    Il Tribunale, d’altra parte (pag. 967-971 della sentenza) ha illustrato quanto stretti fossero i rapporti tra lo Spatola e l’avv. Messina, peraltro “compare” del collaborante perché padrino di cresima del figlio Francesco, non essendo ragionevolmente pensabile che questi gli mentisse, e lo stesso Spatola, del resto, ha confermato che le informazioni del Messina si erano sempre rivelate esatte (pag. 113 trascrizione udienza 27 aprile 1994).

    In conclusione, le citate emergenze (effettiva esecuzione di operazioni interforze negli anni 1983-1985, ruolo concretamente rivestito dall’imputato e negazione non credibile di non avere notizie di tali operazioni) costituiscono un riscontro che trascende, in chiave individualizzante, la mera equazione tra il poter sapere e l’avvertire.

    In ultimo, giova rilevare come non abbia inciso sulla attendibilità dello Spatola la circostanza che questi, nel corso del suo esame, talora abbia indicato in modo esatto i compiti di Contrada ed in altri passaggi abbia dichiarato di non conoscerli (cfr. pag. 32 tomo primo, volume I del Motivi nuovi).

    In realtà, dalla lettura delle trascrizioni è agevole rilevare che Rosario Spatola, richiesto di indicare quale incarico ricoprisse Contrada nel primo periodo della sua collaborazione (fine 1989, inizi 1990) ha risposto di sapere, da notizie di stampa, che si trattava di “un funzionario del S.I.S.DE... "(pag. 128, ibidem).

    Con riguardo, poi, (cfr. pagine 55- 56, ibidem), all’epoca dell’incontro presso il ristorante “Il Delfino”, ha dichiarato di essere a conoscenza del fatto che l’odierno imputato << aveva un incarico di grado presso la Questura, la Polizia di Palermo>> (in effetti, nella primavera del 1980, l’imputato era Dirigente del Centro Interprovinciale Criminalpol della Sicilia Occidentale, incarico mantenuto fino al Gennaio 1982).

    Vero, è che lo Spatola,ad un certo punto, ha risposto di non sapere niente , ma ciò è avvenuto quando gli è stato chiesto, tout court, di ricostruire la carriera dall’imputato (cfr. pag. 112 trascrizione l’udienza del 27 aprile 1994:



    << AVV. SBACCHI: Che funzione ha svolto il dottore Contrada nell’ambito, nel corso degli anni?

    SPATOLA R.: Mi scusi, quale interesse io ho di sapere e di seguire la carriera del dottor Contrada?

    PRESIDENTE: No, che cosa lei sa.

    SPATOLA R.: Niente.

    PRESIDENTE: Che cosa lei sa.

    SPATOLA R.: Niente>>).

    Subito dopo, infatti, quando il tema è stato circoscritto all’epoca delle “soffiate” dell’avv. Messina, ha detto di sapere che l’odierno imputato era un <


    > (pag. 113 della trascrizione), e la Difesa gli ha contestato la precedente dichiarazione resa al Pubblico Ministero nell’interrogatorio del 23 dicembre 1993, e cioè di avere detto al sottufficiale addetto alla sua protezione che, in quel periodo, Contrada era Capo di gabinetto dell’Alto Commissario. Tale difformità va considerata, tuttavia, il frutto di una mera imprecisione, che non mina l’attendibilità del collaborante.

    In conclusione, anche alla stregua delle emergenze del primo dibattimento di appello, non possono che essere condivise le positive valutazioni svolte dal Tribunale circa la attendibilità intrinseca, la attendibilità estrinseca ed il contributo di Rosario Spatola; contributo qualificato dalla percezione visiva di un contatto tra l’imputato e Rosario Riccobono, ancorchè costituente soltanto uno dei molteplici apporti che hanno contribuito a comporre il quadro probatorio riguardante le condotte agevolatrici dell’imputato, pertinenti al sodalizio mafioso.


    CAPITOLO IX



    Le censure riguardanti le propalazioni di Maurizio Pirrone e le dichiarazioni delle testi Pirrello, Ruisi, Davì e Riccobono.
    Nel rassegnare le dichiarazioni di Maurizio Pirrone, il Tribunale evidenziava che questi aveva iniziato a collaborare con l’Autorità Giudiziaria di Milano nel 1993, essendo, a quell’epoca, imputato nell'ambito di un procedimento per associazione per delinquere finalizzata ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti, in concorso con altri 115 soggetti tra cui molti elementi della criminalità mafiosa palermitana.

    Successivamente, a seguito degli sviluppi investigativi emergenti dalle sue dichiarazioni riguardanti il territorio palermitano, la sua collaborazione si era estesa anche ad indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Palermo: le prime dichiarazioni rese ai magistrati palermitani risalivano 23 febbraio 1995, mentre il primo verbale in cui il Pirrone aveva fatto il nome di Bruno Contrada risaliva al 6 giugno 1995.

    Il Pirrone aveva riferito che, dopo il 1976-1977, periodo in cui era entrato a far parte di una società con tali Pietro e Cosimo Conti, avente ad oggetto la gestione del bar-pizzeria-cabaret “Madison”, sito a Palermo in piazza Don Bosco, aveva avuto più intense frequentazioni con personaggi di spessore criminale.

    La maggior parte di costoro gravitavano nell’ambito della famiglia mafiosa di Rosario Riccobono, e cioè i fratelli Salvatore e Michele Micalizzi,, Carmelo Zanca, Francesco D’Accardi, Vincenzo Sorce detto “ Cecè”, Alessandro Bronzini e Vincenzo Sutera41.

    Aveva soggiunto di avere intrapreso, a partire dal 1979, la propria attività illecita nel settore del traffico degli stupefacenti, inizialmente collaborando, tra gli altri, con Alessandro Bronzini e, subito dopo, con Vincenzo Sutera ed i fratelli Micalizzi.

    A riprova della intensità dei rapporti instaurati con la famiglia del Riccobono, aveva partecipato alle cerimonie nuziali di entrambe le figlie del predetto, e cioè di Margherita con Michele Micalizzi e di Giuseppina con Salvatore Lauricella; circostanze, tutte del cui positivo riscontro il Tribunale dava ampia contezza.

    Quanto al contributo del propalante, quel giudice rilevava che il Pirrone aveva riferito che Margherita Riccobono e la sorella Giuseppina, in presenza anche della madre, gli avevano confidato che nella abitazione del padre, sita in un attico di via Guido Jung in Palermo, vi era un particolare accorgimento che consentiva di fuggire dal retro senza essere scoperti (una doppia porta con scala posteriore): via di fuga, questa, che le indagini di Polizia Giudiziaria avevano verificato esistere nell’appartamento al sesto piano dello stabile di via Jung n°1. Lo stesso Pirrone aveva sentito dire alle Riccobono che il loro marito e padre non nutriva particolari preoccupazioni nei confronti degli appartenenti alla Polizia (genericamente menzionati dal dichiarante e dalle sue referenti), che era sufficiente “pagare” per essere lasciati tranquilli.

    Per quanto specificamente concerne la posizione dell’imputato, il collaborante aveva dichiarato di averlo conosciuto nel periodo della propria società con Pietro Conti e con il di lui figlio Cosimo Conti. In una occasione, collocata all’inizio dell’inverno nel periodo compreso tra il 1976 ed il 1978, aveva accompagnato Cosimo Conti presso gli uffici della Criminalpol di Palermo, per portare a Contrada, come era consueto fare con le autorità cittadine, alcuni biglietti di invito per l’inaugurazione di un nuovo spettacolo di “cabaret” che si sarebbe svolto nei locali del teatro “Madison”, piccolo locale di circa 150 posti, annesso al bar-pizzeria (spettacolo al quale, poi, l’imputato aveva assistito con la moglie). Durante il tragitto, Cosimo Conti gli aveva riferito che Contrada - che il Pirrone conosceva di fama dalle cronache giornalistiche come funzionario di punta dell’apparato investigativo palermitano - era una “persona utile” che si prestava a fare qualche favore, a fornire notizie in anticipo su eventuali mandati di cattura, perquisizioni ed altre operazioni di Polizia e che “riceveva volentieri qualche regalo”.

    Oltre Pietro Conti, i citati Vincenzo Sorce e Franco D’Accardi, assidui frequentatori del “Madison”, gli avevano confermato che Contrada era “persona su cui si poteva fare affidamento” per avere in anticipo notizie su operazioni di Polizia.



    Operato un accurato vaglio di attendibilità intrinseca del Pirrone anche con riferimento alle sue condizioni sociali e familiari, al suo disinteresse ed alla genesi della sua collaborazione, alla coerenza e logicità espositiva delle dichiarazioni relative alle frequentazioni con personaggi di comprovata caratura criminale (molti dei quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Partanna Mondello), il Tribunale escludeva qualsiasi atteggiamento di millanteria, proposito di vendetta o coinvolgimento in ipotetici complotti” dello stesso Pirrone. Sottolineava che questi, fin dall’inizio della propria collaborazione era stato in contatto con l’Autorità giudiziaria milanese, mai interessata alle indagini ed al processo a carico dell’odierno imputato (pagine 838 ed 870 della sentenza).

    Parimenti verificata, e con esiti ampiamente positivi, era stata l’attendibilità estrinseca del collaborante, sia per la convergenza delle sue dichiarazioni con quelle rese in modo del tutto autonomo da altri collaboratori di giustizia (in primo luogo da Gaspare Mutolo, che aveva narrato della utilizzazione, da parte del Riccobono, di un appartamento in via Jung ed della assunzione di Enzo Sutera da parte della società Farsura, facente capo al figlio dell’imprenditore Arturo Cassina), sia sulla base dei numerosi riscontri esterni alle dichiarazioni rese dal collaborante sui rapporti societari intrattenuti con i Conti e sulla posizione di Pietro Conti e Vincenzo Sorce nei riguardi di “Cosa Nostra”.

    Il Tribunale, a questo proposito, valorizzava la circostanza che le notizie apprese dal Pirrone sul conto di Contrada provenivano da fonti completamente diverse da quelle degli altri collaboratori di giustizia, convergendo con le indicazioni rese dagli altri propalanti con riferimento alla tipologia di condotte poste in essere (agevolazione dell’organizzazione criminale “Cosa Nostra” mediante l’anticipazione di notizie su perquisizioni, altre operazioni di Polizia ovvero provvedimenti restrittivi prossimi all’esecuzione), sia con riferimento alla loro epoca (tra il 1976 ed il 1979).

    Risultava, in tal modo, rafforzato il quadro accusatorio a carico dell’imputato in ordine ai suoi rapporti con il Riccobono, ma anche con altri esponenti dell’organizzazione mafiosa a loro volta legati alla famiglia Bontate, e specificamente, Pietro Conti e Vincenzo Sorce.

    Di Pietro Conti avevano riferito, in sede di esame, oltre che lo stesso Pirrone, sulla base di notizie apprese dal Bronzini e da “Ino” Salerno, macellaio del quartiere San Lorenzo (pagine 818, 842 ed 843 della sentenza appellata) il capitano dei Carabinieri Luigi Bruno ed il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino.

    Quanto a Vincenzo Sorce (detto Cecè), indicato dal Pirrone come una delle fonti da cui aveva appreso notizie sull’odierno imputato, lo stesso, sulla base delle concordi dichiarazioni rese sul suo conto da Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, era stato condannato nell’ambito del primo maxi processo, per i reati di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p., quale “uomo d’onore” originariamente appartenente alla famiglia mafiosa di Palermo Centro e successivamente trasmigrato nella famiglia di S. Maria di Gesu’, capeggiata da Stefano Bontate, (cfr. pag. 830 della sentenza appellata).

    Il Pirrone, rilevava il Tribunale, pur riferendo di non avere sentito fare alla moglie ed alle figlie del Riccobono nomi di poliziotti collusi, ed in particolare il nome dell’imputato, aveva dichiarato di avere personalmente constatato che la famiglia mafiosa del Riccobono disponeva di informatori all’interno delle Forze di Polizia.

    Aveva citato, a tale proposito (pag. 854 della sentenza appellata) un episodio cui aveva personalmente assistito: una volta, Salvatore Micalizzi era giunto al bar “Singapore”42, avvisando i suoi uomini di non trascorrere, per prudenza, la notte in casa, essendo prevista “una retata”(cfr. pagine 58 - 59 trascrizione udienza 11 luglio 1995); di tale “soffiata”, peraltro, il Micalizzi non aveva indicato la fonte.

    Il Tribunale, poi, valutava come specifiche conferme alle notizie apprese dal Pirrone le testimonianze rese da Carmela Pirrello ed Angela Ruisi, reputandole tali da far ritenere realmente espresse le affermazioni attribuite ad una delle figlie dello stesso Riccobono, Giuseppina, sul conto dell’imputato.

    La Ruisi, nel corso del proprio esame, aveva dichiarato di avere conosciuto Giuseppina Riccobono in quanto entrambe abitavano nel medesimo stabile, sito a Palermo nella via Alete n° 19, che lei stessa aveva lasciato nel febbraio 1995, dopo circa un anno, (pag. 1 trascrizione udienza primo luglio 1995); di avere appreso che era figlia del noto mafioso Rosario Riccobono; di avere intrattenuto con lei rapporti di buon vicinato; di essersi, talvolta, incontrata con lei anche in casa di Antonia Davì, altra inquilina del palazzo in buoni rapporti con la stessa Riccobono; di avere, in una di tali occasioni, trovato a casa della Davì la Riccobono che, molto adirata, aveva pronunziato la frase <>.

    La teste aveva escluso che, con quello sfogo, la Riccobono si fosse riferita specificamente all’odierno imputato (..<< ma a chi si riferiva questo io non lo posso dire, chiaro ?>> cfr. pag. 7 trascrizione udienza 1.7.95).

    Aveva ammesso di averne parlato con Carmela Pirrello, sua cliente occasionale, che un sabato di maggio si era recata presso il suo esercizio di parruccheria, dovendo il figlio fare la Prima Comunione il giorno successivo. L’argomento era stato affrontato prendendo spunto da un colloquio sul giudice Borsellino e sulla necessità di dire la verità per aiutare la Giustizia a fare il suo corso.

    La Pirrello, in precedenza presentatasi spontaneamente in Procura - cosa che aveva indotto il Pubblico Ministero a chiederne l’esame - aveva ricordato con precisione la data del colloquio avuto con la sig.ra Angela Ruisi, il 13 Maggio del 1995, ricollegandolo al ricordo della ricorrenza della Prima Comunione del figlio. In quel contesto discorsivo la Ruisi le aveva rivelato che Giuseppina Riccobono “odiava a morte” Contrada, “offesissima” perché questi prima era stato amico del padre e poi lo aveva rinnegato. La stessa Ruisi le aveva altresì riferito di avere visto, in una circostanza, sempre a casa della Riccobono, un album contenente una foto che ritraeva Contrada con il “boss” di Partanna, che non aveva più trovato in una successiva occasione in cui aveva avuto modo di prendere nuovamente visione di quell’album. Il tema della fotografia, aveva soggiunto la teste, era stato oggetto di un confronto avvenuto presso la Procura della Repubblica di Palermo, in attesa del quale, mentre entrambe aspettavano in anticamera, la Ruisi le aveva chiarito che per “boss” di Partanna intendeva proprio il Riccobono.

    Giuseppina Riccobono, in sede di esame, aveva confermato di avere conosciuto la Ruisi, di avere intrattenuto con lei rapporti di frequentazione e di averla, talvolta, incontrata anche a casa di Antonina Davì, sua amica ; di avere seguito i servizi televisivi riguardanti il processo a carico di Contrada, lamentandosi più volte delle parole offensive da lui usate, in dibattimento, nei confronti di suo padre, ma sempre con i propri familiari e non in presenza della Ruisi; di non avere mai riferito ad alcuno, tanto meno alla Ruisi, neppure in termini generali, di persone che prima andavano a braccetto con i mafiosi, intascandosi le mazzette e poi dicevano di non conoscerli più.

    La Davì, infine, si era sostanzialmente allineata alle dichiarazioni della Riccobono.

    Il Tribunale riteneva che la credibilità della teste Pirrello avesse ben resistito al controesame, dal quale non erano emerse incrinature nel suo racconto, preciso e costante, o aspetti della sua vita privata tali da metterla in discussione (pagina 862 della sentenza appellata). Per converso, sia la teste Ruisi che la teste Riccobono avevano solo parzialmente detto la verità: la Ruisi, riferendo che la Riccobono aveva bensì pronunciato quella frase, ma senza uno specifico destinatario; la Riccobono, ammettendo di essersi lamentata delle parole usate da Contrada nei confronti del padre, ma di averlo fatto soltanto nell’ambito della propria cerchia familiare.

    In realtà, ad avviso del Tribunale, la Riccobono, che neppure nel corso della sua deposizione era riuscita a celare il proprio risentimento nei confronti dell’imputato, non avrebbe avuto ragione di negare una esternazione che - se davvero fosse stata spersonalizzata, come aveva riferito la Ruisi - sarebbe stata del tutto innocua. La Ruisi, da parte sua, aveva palesato un sentimento di paura, plausibile ed adeguata causale della parziale difformità della sua versione rispetto a quella della Pirrello.

    In conclusione, la testimonianza della Pirrello, unitamente alle altre risultanze acquisite, costituiva ulteriore conferma del rapporto collusivo tra l’odierno imputato e Rosario Riccobono, ed una riprova di quanto il collaborante Pirrone aveva, a sua volta, dichiarato di avere appreso proprio dalle figlie dello stesso Riccobono ed alla presenza della di lui moglie.

    ****


    Le censure riguardanti le propalazioni di Maurizio Pirrone e la valutazione di attendibilità della teste Pirrello sono state articolate nel volume III, capitolo V, paragrafo V.1 dell’Atto di impugnazione (pagine 80-123) e costituiscono, altresì, l’oggetto dell’intero volume VIII dei Motivi Nuovi.

    Esse, per quanto attiene al Pirrone, possono sintetizzarsi nei seguenti termini:



    1. l’accusa è generica, incontrollata, incontrollabile, indeterminata e indeterminabile per assenza di qualsiasi specifico riferimento a fatti storicamente accertabili, a tempi, a luoghi, a persone, ad avvenimenti, sembrando <qualche regalo
      ma non certo in denaro>> (pagina 86 Vol. III paragrafo V.1 dell’Atto di impugnazione, pagina 3-10 e 30 volume VIII dei Motivi Nuovi);

    2. non è comprensibile come si possa affermare in sentenza, a pagina 870, che <<...gli elementi riferiti da Pirrone... contribuiscono a rafforzare il quadro accusatorio a carico dell’imputato, sia in ordine ai suoi illeciti rapporti con il Riccobono, sia con altri esponenti dell’organizzazione mafiosa (Conti Pietro) …legati alla famiglia Bontate>>, posto che il collaborante non aveva fatto specifico riferimento né a Riccobono, nè a Bontate;

    3. l’accusa de relato del Pirrone è inverosimile, giacchè i Conti non svolgevano una attività illecita ed il Pirrone non era organico al sodalizio mafioso, e pertanto non vi era nessuna ragione perché gli uni apprendessero notizie del genere e l’altro ne fosse messo a parte (pagine 81-82 vol. III dell’Atto di impugnazione );

    4. è inverosimile ed assurdo, dunque, <> (pag. 87 volume III dell’Atto di impugnazione);

    5. Cosimo Conti, nel corso del proprio esame (pagine 87 e segg. Vol III dell’Atto di impugnazione, pagine 11 e segg. Vol. VIII cit.), aveva riferito di intrattenere con il dr. Contrada, come con altre Autorità cittadine, soltanto rapporti formali, per avergli una o più volte portato in ufficio dei biglietti omaggio, cosa che non escludeva di avere fatto, in una occasione, in compagnia del Pirrone;

    6. egli, tuttavia, aveva recisamente negato di avere fatto al collaborante confidenze su eventuali “soffiate”, non avendo nessuna <<pendenza con la legge>> e non aspettandosi <<nessun mandato>> (pagg. 20 e 21, ud. 28.7.1995);

    7. lo stesso Cosimo Conti, del resto, aveva fornito un argomento inoppugnabile a sostegno della sua risposta, precisando: <<Quando mi hanno arrestato, non sono stato avvisato, mi hanno arrestato a casa, a me e a mio padre, ...mio zio e mio cugino... il 15 giugno 1985
  • 1   ...   16   17   18   19   20   21   22   23   ...   39


    Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©atelim.com 2016
    rəhbərliyinə müraciət