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Lo svolgimento del processo


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Nel corso della propria audizione alla seconda Commissione del Senato della Repubblica, svoltasi il 26 novembre 1997, il dottor Francesco Cirillo, premettendo che il Servizio centrale di protezione del Ministero dell’interno, da lui diretto, si occupava soltanto delle esigenze quotidiane dei collaboranti (1091) e dei loro familiari (4250), ha precisato che il Servizio stesso - pur non rientrando tale attività nelle sue competenze - aveva effettuato oltre 600 segnalazioni di incontri tra collaboranti, peraltro vietati.
Tanto premesso, a venire in considerazione non è la utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che abbiano eventualmente violato il divieto di incontri <<durante la redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione>> (tale sanzione, infatti, è stata introdotta dalla legge 13 febbraio 2001 n. 2001, il cui articolo 6 ha integralmente sostituito l’articolo 13 del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8), ma la valutazione della loro attendibilità intrinseca, che però il Tribunale ha compiuto con estremo scrupolo e ponderazione.
Peraltro, le dichiarazioni rese dal dottor Francesco Cirillo in ordine alla possibilità di incontri tra pentiti vanno valutate alla stregua:
  • della rilevata insussistenza dei reciproci adattamenti o delle manipolazioni che i difensori appellanti hanno adombrato o denunziato;
  • della mancata, specifica, allegazione di ulteriori situazioni foriere di inquinamenti probatori e relative alla posizione di Contrada;
  • del tenore delle dichiarazioni rese nel primo dibattimento di appello da Rosario Spatola;
  • della già indicata cronologia delle collaborazioni.
Esse, cioè, attengono al complessivo fenomeno del pentitismo e dei suoi corretti strumenti di gestione, ma non possono avere, per sé sole, concrete ricadute in questo processo.

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All’udienza del 13 gennaio 2000 la Difesa ha chiesto acquisirsi al fascicolo del dibattimento le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giuseppe Giuga nei riguardi dell’imputato e gli atti relativi agli accertamenti che la Procura Generale ha disposto su di esse; richiesta accolta dalla Corte di Appello, sezione II penale, con ordinanza del 20 gennaio 2000.

Da un siffatto compendio documentale è emerso che, con nota dell’undici giugno 1999, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo trasmise al Procuratore Generale i verbali delle dichiarazioni rese dal Giuga il cinque novembre 1998 ed il 24 aprile 1999, rispettivamente a magistrati delle D.D.A. di Caltanissetta e di Palermo.

Dal verbale del 24 aprile 1989, acquisito in forma integrale, si rileva che Giuga, premettendo di essere stato affiliato nel dicembre 1986 alla famiglia mafiosa di Sommatino, compresa nel mandamento di Vallelunga Pratameno, capeggiato da Giuseppe Madonia, e di avere iniziato a collaborare con la giustizia nel settembre 1998 (pagine 3-4-5), dichiarò che lo stesso Madonia diceva di considerare “ come un figlio” il costruttore Calogero Pulci (ibidem, pag. 12) e faceva affidamento sulle sue relazioni, i suoi contatti e le sue conoscenze. Il Pulci, tra gli altri, secondo quanto riferito dal collaborante annoverava tra i propri amici il magistrato dottor Corrado Carnevale (indicato come percettore di somme di denaro) e l’odierno imputato.

Lo stesso Giuga riferì di avere accompagnato a Catania, agli inizi del 1991, l’avvocato Salvatore Montana ad un appuntamento con Nitto Santapaola, allora latitante. In tale circostanza, il Madonia ed il Santapaola si erano messi a discutere di una telefonata anonima pervenuta all’Ufficio dell’Alto Commissario, a Roma, con cui una voce femminile avrebbe indicato in Contrada l’autore di una “soffiata” che aveva consentito al Santapaola di sfuggire ad un “blitz” della Polizia, effettivamente verificatosi. Il Madonia, quindi, aveva chiesto all’avv. Montana se il Pulci fosse tornato da Roma, avendogli in precedenza consegnato un regalo per Contrada. Il legale gli aveva risposto di non averlo né visto né sentito e si era impegnato a dargli l’incarico di recuperare una copia della bobina relativa alla registrazione, per cercare di individuare la provenienza della telefonata e punire il delatore o la delatrice (ibidem, pagine 38-40).

Il 18 giugno 1999, ricevuti i predetti verbali, la Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo conferì dettagliate deleghe di indagine sulle circostanze oggetto delle dichiarazioni del Giuga (integrate da ulteriori richieste di accertamenti in data 20 settembre 1999), i cui esiti sono illustrati nelle note n° 4376 del 16 agosto 1999, n° 5261 del 30 settembre 1999, n° 5579 del 12 ottobre 1999, n° 6028 del 26 ottobre 1999.

Con nota dell’undici settembre 1999 la Procura della Repubblica di Caltanissetta inviò il verbale dell’interrogatorio reso al Pubblico Ministero il 18 agosto 1999, con il quale il Giuga ritrattò le proprie dichiarazioni, comprese quelle a carico di Contrada, dicendosi all’oscuro di tutti gli accadimenti che avevano riguardato la “famiglia” di Sommatino a partire dal 1991 e confessando che quanto da lui riferito gli era stato suggerito dal Pulci in occasione della comune detenzione nel carcere di Enna nel 1998 .

Nella predetta nota della Procura di Caltanissetta si afferma che le prime incongruenze nel suo narrato erano emerse nel corso dell’interrogatorio del 13 agosto 1999: << le dichiarazioni del GIUGA apparivano tendenziose; infatti tutti i soggetti, accusati per fatti per i quali non era già intervenuta una sentenza di condanna definitiva o per fatti che comunque apparivano già acclarati al di là di ogni dubbio, erano personaggi nei confronti dei quali PULCI Calogero nutriva motivi di risentimento o che, nella dialettica interna della criminalità organizzata di suo mattino, si contrapponevano a PULCI Calogero (…) In definitiva si delineava chiaramente uno specifico disegno volto da una parte ad indirizzare le propalazioni contro soggetti che rappresentavano la corrente opposta al PULCI e dall'altra ad alleggerire la posizione del PULCI, unitamente a quella di INDORATO STEFANO, quest'ultimo persona di fiducia del PULCI, come lo stesso GIUGA, secondo le precedenti risultanze processuali (…) Le accuse GIUGA su appartenenti a forze dell'ordine si concentravano sui soggetti che avevano consentito le più incisive operazioni contro PULCI Calogero ed i soggetti a lui più vicini>>.

La Difesa, dando atto dell’impegno della Procura Generale nella verifica dei riscontri alle false propalazioni del Giuga, le ha additate come un esempio dei possibili fattori condizionanti delle collaborazioni che hanno attinto Contrada.

Tale impostazione pecca, ancora una volta, di genericità.

Ed invero, i motivi ispiratori della induzione del Giuga a mentire – cioè il proposito del Pulci di depistare le indagini che lo riguardavano o concernevano i soggetti a lui più vicini, e di colpire gli appartenenti alle Forze dell’Ordine che si erano occupati di lui e dei suoi sodali (specificamente, vari esponenti dell’Arma dei Carabinieri) –non si attagliano alla figura di Contrada.

Il Giuga, infatti, ha riferito che anche le false accuse nei riguardi di Contrada gli erano state suggerite da Pulci, precisando che questi lo aveva esortato ad inventarle facendogli balenare che, colpendo figure di rilievo, egli avrebbe potuto rendersi più credibile (pagine 11-12- 25 – 27 del verbale di interrogatorio del 18 agosto 1999).

In conclusione, le dichiarazioni del Giuga hanno costituito un unicum legato alla iniziativa del Pulci ed alla convinzione di potersi accreditare, restando del tutto estranee a qualsiasi ipotesi di complotto o di accordi fraudolenti o pedissequi adeguamenti tra collaboranti escussi in questo giudizio.

Esse, d’altronde, rimontano al periodo, particolarmente critico, successivo alla condanna di Contrada, nel quale il rischio di speculazioni è stato più elevato, tanto da imporre, come si dirà, criteri ancora più restrittivi nella valutazione degli apporti dei nuovi collaboratori di giustizia.

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La temperie del primo dibattimento di appello, del resto, spiega anche il clamore suscitato da una intervista rilasciata, nell’ambito della trasmissione “Porta a Porta” del 16 dicembre 1999, da Giovanni Mutolo, il quale aveva sostenuto di avere assistito ad un incontro del fratello Gaspare con Tommaso Buscetta, svoltosi a Roma nel maggio del 1994, e cioè nel medesimo torno di tempo in cui i due collaboranti aveva reso i rispettivi esami dibattimentali.



Con ordinanza del 13 giugno 2000 la Corte rigettò la richiesta di esame di Giovanni Mutolo sulle circostanze oggetto dell’intervista, ritenendola <<non utile (..) anche in dipendenza del contenuto del verbale dallo stesso reso al P.M.>>, e cioè delle dichiarazioni assunte da magistrati della D.D.A. di Palermo il 16 febbraio 2000, con le quali lo stesso Giovanni Mutolo aveva spiegato quanto segue: <<Durante l'incontro tra mio fratello e Buscetta si parlò solo del processo Andreotti e nei termini sopra riferiti; escludo pertanto che sia stato fatto alcun riferimento al processo Contrada. Aggiungo che di Contrada io non so nulla perché soltanto ho avuto occasione di incontrarlo nel luglio del '83 quando mi notificò un mandato di cattura emesso contro di me dal giudice Falcone>>.

Del resto, anche a volere ammettere che le circostanze riferite da Giovanni Mutolo - peraltro non verificate - fossero vere, va comunque tenuto presente che sia Gaspare Mutolo, sia Buscetta hanno reso in dibattimento dichiarazioni coerenti con quelle oggetto degli interrogatori da loro rispettivamente resi nella fase delle indagini preliminari, e cioè ben prima del maggio 1994, come si desume dalla mancata contestazione di significative difformità; esulando, dunque, l’ipotesi di una preordinazione delle loro testimonianze.


CAPITOLO XIV



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