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Lo svolgimento del processo


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Le censure concernenti l’operazione di Polizia del 5 maggio 1980 ed i rapporti tra l’imputato ed il Questore dr. Vincenzo Immordino.
Il Tribunale (pagine 1203- 1236 della sentenza appellata) ha ricostruito con dovizia di particolari il contesto nel quale maturò l’operazione di Polizia nota come “blitz del 5/5/1980”, menzionando:

  • la situazione di eccezionale gravità per l’Ordine Pubblico venutasi a creare a Palermo a seguito dell’incredibile sequenza di omicidi “eccellenti” verificatisi tra il 1979 ed il 1980 (il 21 Luglio del 1979 era stato ucciso il Dirigente della Squadra Mobile Boris Giuliano, il successivo 25 Settembre era stato consumato l’omicidio in danno del giudice Cesare Terranova ed il 6 Gennaio 1980 quello in pregiudizio del Presidente della Regione Siciliana, on.le Piersanti Mattarella);

  • la condizione di turbamento, sconforto, prostrazione nell’ambito delle Forze di Polizia a Palermo, rilevata dal dott. Giovanni Epifanio, Questore in carica all’epoca dell’omicidio Giuliano;

  • la scelta del medesimo Questore, mirata a risollevare il morale della Squadra Mobile di Palermo, di adottare - piuttosto che nominare un nuovo dirigente - una soluzione transitoria, proponendo al capo della Polizia dell’epoca, Prefetto Giovanni Rinaldo Coronas, con il consenso del Prefetto di Palermo dott. Girolamo Di Giovanni, la nomina “ad interim”, alla dirigenza della Squadra Mobile, del dott. Contrada, già dirigente della Criminalpol, ritenuto la figura più idonea per il suo carisma;

  • la visita del dott. Epifanio, unitamente all’odierno imputato, al Procuratore della Repubblica dell’epoca, dott. Gaetano Costa, cui il Questore aveva prospettato la necessità di procedere ad un’operazione di Polizia giudiziaria che rappresentasse una risposta di politica criminale all’omicidio Giuliano;

  • l’avallo dato a questa indicazione dallo stesso Procuratore Costa, che aveva consigliato di predisporre un rapporto di denuncia, concepito almeno in parte come rapporto con arresti in flagranza per il reato associativo;

  • i solleciti rivolti che, fino al dicembre 1979, epoca in cui aveva lasciato la sede di Palermo, il Questore Epifanio aveva rivolto a Contrada per la redazione di quel rapporto (l’imputato aveva addotto la “delicatezza” dell’operazione e dunque “preso tempo62 anche in relazione alla importanza e complessità delle indagini sui rapporti tra il gruppo Spatola ed il banchiere Michele Sindona, compiute su incarico del Giudice Istruttore di Roma);

  • l’impulso impresso dal nuovo Questore Vincenzo Immordino, in carica fino al 10 Giugno 1980, data del suo collocamento in quiescenza per raggiunti limiti di età, alla attuazione, in tempi rapidi, di un’operazione congiunta tra tutte le Forze di Polizia a carico dei principali gruppi mafiosi palermitani, preannunciata in numerosi incontri con i vertici della Magistratura palermitana, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e sostenuta da unanimi consensi;

  • l’incarico, dato a questo fine a Contrada ed al vicedirigente dell Squadra Mobile Vasquez, di redigere un rapporto di denuncia avente ad oggetto una associazione per delinquere, funzionale ad un’operazione di arresti in flagranza di reato;

  • i solleciti loro rivolti e la richiesta con frequenza pressochè giornaliera, da parte del Questore, di relazioni sul lavoro svolto (testimonianza Vasquez);

  • la consegna da parte del dott. Contrada, in un primo tempo, soltanto di una “mappa” delle cosche mafiose di Palermo ;

  • l’iniziativa dello stesso dott. Immordino, nei primi giorni del mese di Aprile del 1980, quando non era stato ancora portato a compimento l’incarico, di affidarne lo svolgimento ad un gruppo di lavoro appositamente creato (tale gruppo operava in condizioni di assoluta segretezza in una stanza degli uffici della DIGOS, e della sua attivazione l’odierno imputato, al pari di tutti gli esponenti della tradizionale struttura investigativa della Questura, era stato tenuto all’oscuro per una specifica indicazione del Questore, che non nutriva più fiducia in lui).

Il Tribunale ha ricordato che, nell’ultima decade del mese di Aprile, gli elaborati dal gruppo di lavoro (tre rapporti di denuncia) erano già stati ultimati ed erano stati consegnati al Questore.

Quest’ultimo, dopo averli esaminati, aveva riferito al vice-questore Borgese (titolare del compito coordinare il lavoro del gruppo) di essersi consultato con il Procuratore della Repubblica dott. Costa, il quale gli aveva assicurato il suo preventivo assenso a procedere alla fase esecutiva degli arresti in flagranza.

Quando l’elaborazione dei rapporti era pervenuta a tale, avanzata fase, Contrada aveva presentato una “bozza” di rapporto suscettibile - secondo la sua stessa intestazione - “di ampliamento, rettifiche e riesame”, che prevedeva la denunzia di 66 persone, tra cui il banchiere Michele Sindona; bozza non funzionale, tuttavia, ad una operazione di arresti in flagranza. Contestualmente, aveva presentato una domanda di congedo ordinario per ferie, che aveva suscitato il disappunto del Questore, tenuto conto della gravità della situazione del momento.

Quanto al contenuto degli elaborati, per il gruppo di mafia più numeroso e pericoloso, facente capo alle famiglie Spatola -Gambino -Inzerillo-Di Maggio, si era ritenuto di poter procedere ad un’operazione di arresti in flagranza.

Per un secondo rapporto, relativo a soggetti collegati alle famiglie Badalamenti, Bontate e Sollena, non si era ritenuta praticabile la soluzione dell’operazione di polizia con arresti in flagranza, essendo stato, in precedenza, inoltrato all’A.G. un rapporto per traffico di stupefacenti, sicchè si era adottata la decisione di inoltrare al Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, dott. Rocco Chinnici, quale seguito, un ulteriore rapporto di denuncia per associazione per delinquere, recante la data del 30 aprile 1980 e la firma del capo della Squadra mobile dr. Impallomeni.

Per un terzo rapporto, contenente circa dodici nominativi di personaggi ritenuti di minor spessore delinquenziale, infine, erano stati individuati vincoli associativi al loro interno,ma non con il gruppo criminale principale.

Peraltro, alcune parti della “bozza Contrada”, e segnatamente la parte concernente la vicenda Sindona (il nominativo del banchiere, peraltro, era stato espunto dal novero dei denunciati per il paventato pericolo di spostamento della competenza territoriale sulle indagini e sul procedimento), erano state estrapolate ed inserite nella stesura finale del primo rapporto redatto dal gruppo e trasmesso alla Magistratura (Spatola + 54).

L’assassinio del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, avvenuto la notte tra il 3 ed il 4 Maggio del 1980, aveva determinato la necessità di accelerare i tempi della risposta dello Stato, e dunque, insieme ai rappresentanti dell’Arma era stato deciso di far partire immediatamente dalla caserma dei carabinieri “Carini” una prima operazione di arresti in flagranza avente ad oggetto il gruppo criminale dei personaggi componenti la cosca di Corso Dei Mille, anche in funzione di diversivo rispetto alla più ampia, successiva operazione di arresti, programmata per la notte tra il 5 ed il 6 maggio.

Quest’ultima era stata attuata in condizioni di straordinaria segretezza: segnatamente, era stato posto in essere un altro diversivo, consistente nel diramare a tutte le Forze di Polizia un fonogramma con il quale si comunicava che si temeva un’insurrezione nel carcere dell’Ucciardone, e ciò per giustificare l’eccezionale movimento di uomini, circa 500,che nel pomeriggio del 4/5/1980 erano stati convogliati presso la caserma “Pietro Lungaro” a Palermo, con la contestuale disattivazione delle linee telefoniche per impedire i contatti con l’esterno e la diffusione di qualsiasi notizia sugli arresti da eseguire.

L’undici maggio 1980 era stato arrestato Giovanni Bontate nell’ambito della seconda tornata di arresti, compiuta su mandato del G.I. Chinnici a conclusione dell’operazione di polizia ideata ed organizzata dalla Questura di Palermo in collaborazione con l’Arma e la Guardia di Finanza. Quello stesso giorno, il Questore Immordino aveva inviato al Capo della Polizia l’appunto riservato sulla <<attuale tranquillità del V.Questore Contrada>> e sul <>, già citato per estratto nella esposizione della “vicenda Gentile” ed integralmente riportato alle pagine 1236-1240 della sentenza appellata,cui si rinvia, pervenuto direttamente alla Segreteria del Capo della Polizia in data 22 maggio 198,.

Successivamente al “blitz” del 5 maggio 1980 si era verificata dagli ambienti della Questura di Palermo una fuga di notizie relativamente all’esclusione del nominativo di Michele Sindona dall’elenco delle persone denunciate.

Per accertarne l’origine, il Questore Immordino aveva incaricato il proprio vicario dott. Borgese di compiere un’inchiesta.

Nella relazione conclusiva di essa, indirizzata al Questore di Palermo in data 13/5/1980, il dott. Borgese era pervenuto alla conclusione che la fuga di notizie poteva provenire soltanto dal personale della Criminalpol, il solo a piena conoscenza dell’esistenza di una prima bozza di rapporto, compilato proprio dalla Criminalpol, nella quale era inserito il nominativo del bancarottiere Sindona.

In particolare, l’estensore prospettava come sufficientemente fondato il sospetto che la principale fonte della divulgazione delle notizie agli organi di stampa fosse da individuare nel funzionario della Criminalpol, dott. Vittorio Vasquez, e si diceva convinto che le indiscrezioni fossero state fatte trapelare “con la finalità di evidenziare che la complessa e delicata operazione di Polizia era stata decisa ed attuata all’insaputa di alcuni tradizionali organi investigativi della Questura” (cfr. dep. teste Borgese pagine 75 e ss. trascrizione udienza 5/9/1994- relazione a firma Borgese in data 13/5/1980 e stralci articoli di stampa in data 7/5/1980-8/5/1980-9/5/1980 e 10/5/1980 acquisiti all’inchiesta Zecca ff. 562 e ss.).

Peraltro, il caso era tornato all’attenzione degli organi di stampa nel giugno 1981, dopo che il Giudice Istruttore Giovanni Falcone aveva emesso mandato di cattura per associazione per delinquere a carico di Michele Sindona. Ed infatti, il capo della Squadra Mobile dott. Impallomeni era risultato iscritto alla medesima loggia massonica del Sindona, la "Propaganda 2" (P2), sicchè era stato ipotizzato dalla stampa che egli avesse voluto favorire il banchiere.

La fuga di notizie a seguito del blitz del 5 maggio 1980,le ragioni e l’iniziativa della esclusione del nominativo di Michele Sindona e l’andamento dei vari servizi della Questura di Palermo erano stati oggetto dell’ ispezione svolta dall’Ispettore Generale P.S. dott. Guido Zecca, e segnatamente della relazione da questi redatta il 19 novembre 1981 e relativi allegati, prodotti in atti.

Segnatamente, Impallomeni era stato scagionato da ogni eventuale addebito di favoritismo nei riguardi di Sindona sul rilievo che, alla data in cui era stato trasmesso all’Autorità Giudiziaria il rapporto c.d. “dei 55” (cioè il primo dei tre rapporti redatti al gruppo di lavoro incaricato dal Questore Immordino) egli non era ancora iscritto alla P2 e che, in ogni caso, la cancellazione del nome dello stesso Sindona dal rapporto era stata deliberata dal Questore Immordino, che in più di una pubblica dichiarazione se ne era assunta la piena responsabilità.

Ora, come ricordato alle pagine 138 e segg. della sentenza di annullamento con rinvio << Secondo l'apprezzamento del Tribunale, "la resistenza palesata dal dott. Contrada era finalizzata in modo specifico ad evitare l’inoltro all’A.G. di un rapporto per il mero reato associativo funzionale ad un’operazione di arresti in flagranza e ciò in piena coincidenza con quanto affermato dal collaborante Gaspare Mutolo, il quale ha chiarito che la mafia temeva più di ogni altra iniziativa ed era fermamente decisa ad evitare proprio tale tipo di rapporto" (pag. 1250).

Nella medesima sentenza, di seguito, si osserva : <”.

Il Tribunale raffronta anche la linea di condotta adottata dal Contrada nella descritta occasione con quella ben diversa adottata nel 1971, quando, ancora ritenuto dalle cosche mafiose temibile avversario, aveva attivamente collaborato alla redazione del rapporto c.d. dei 114, come risposta immediata all’omicidio del Procuratore Scaglione (pagg. 1250 ss.)>>, rapporto espressamente concepito come funzionale alla esecuzione di arresti in flagranza del reato di associazione a delinquere, sul presupposto della sua natura permanente.

*****

Le censure dei difensori appellanti sono state espresse, in modo assai stringato, alle pagine 47 e 48 del Volume VIII capitolo VI, paragrafo VI. 9, dell’Atto di impugnazione, ove si fa rinvio alla relazione predisposta da Contrada per l’Ispettore Generale Capo Guido Zecca, prodotta in atti ed << alle testimonianze rese da quanti (funzionari, sottufficiali e agenti di P.G.) erano a conoscenza dei fatti>>; fonti da cui emergerebbero, <>.



Soggiungono i difensori : << Certo è, ancora, che l’operazione del 5 maggio 1980 scaturì dalle indagini del Dott. Contrada e del Dott. Vasquez di cui si “appropriò” l’Immordino.

Del pari è certo che l’Immordino, in sede di indagini a carico del Dott. Contrada (in esito alle propalazioni del Buscetta), malgrado nemico dichiarato dell’odierno appellante, non ebbe a muovere accuse di collusioni nei confronti del medesimo>>.

Alcuni specifici aspetti della vicenda in esame sono stati affrontati,poi, nell’ambito dei Motivi nuovi.

Segnatamente, per quanto qui interessa, il Volume XI è dedicato al procedimento penale promosso dalla Procura della Repubblica di Palermo il 18 giugno 1981 nei riguardi dell’ex Questore Immordino a seguito delle notizie di stampa riguardanti la mancata inclusione di Michele Sindona nel rapporto del 6 maggio 1980 tra i denunciati, nonchè della scoperta della affiliazione alla loggia “P2” del dott. Impallomeni e del Questore Nicolicchia, succeduto allo stesso Immordino.

Detto procedimento venne definito con sentenza istruttoria di non doversi procedere resa il 20 febbraio 1984 dal G.I. Falcone << perché i fatti non sussistono>>.

La sentenza venne resa su conforme richiesta del Pubblico Ministero per l’addebito di favoreggiamento personale nei confronti del Sindona, ed in difformità della richiesta della Pubblica Accusa, di non doversi procedere per amnistia, in relazione al reato di abuso in atti di ufficio, che era stato contestato all’Immordino in relazione al fatto che:



  • nel rapporto di denuncia del 6 maggio 1980 era stata trasfusa parte della bozza di rapporto redatta da Contrada, restando, così, di fatto estromessi l’imputato ed il dott. Vasquez;

  • il nome di Sindona era stato espunto in modo che la competenza nell'espletamento delle indagini rimanesse sin dalle prime fasi all'Autorità Giudiziaria e all'Autorità di P.S. di Palermo.

Il volume XII dei Motivi nuovi concerne i motivi, le finalità e le conclusioni dell’inchiesta del dott. Guido Zecca.

Trova addentellato nell’argomento in esame anche il tema, trattato al volume X dei Motivi Nuovi, delle ragioni del conferimento, in via interinale, dell’incarico di Dirigente della Squadra Mobile al dott. Contrada, che in questa sede può darsi per accertato, al di là di qualsiasi possibile congettura, fosse stato prescelto perché ritenuto la figura più idonea, non ritenendo, poi, il Questore Epifanio, a cagione della imminente scadenza del suo incarico, di procedere ad una nomina definitiva.

****

Tanto premesso, questa Corte non può esimersi dal rilevare che - come puntualmente osservato dal Procuratore Generale alle pagine 62 e 63 nella memoria depositata nel corso di questo dibattimento di appello il 14 novembre 2005 - il thema decidendum affrontato dal Tribunale <<è consistito nello stabilire: se la persistente inerzia dell’imputato nel redigere un rapporto funzionale ad un’operazione di arresti di mafiosi nella flagranza del reato permanente di associazione per delinquere – incarico conferitogli all’indomani dell’assassinio (21-7-79) del Dirigente della Mobile palermitana, riconfermato nel dicembre 1979 e successivamente sollecitato per l’eccezionale aggravarsi della situazione dell’ordine pubblico in Palermo (omicidio del giudice Terranova e dell’agente di scorta del settembre ‘79; omicidio del Presidente della Regione Sicilia, Mattarella, del 6\1\80) – possa, riguardata nel complessivo quadro probatorio, considerarsi o no espressione di collusione con l’organizzazione mafiosa e, in particolare, aderente al narrato del Mutolo, secondo il quale proprio tale tipo di denuncia Cosa Nostra aveva fermamente deciso di impedire, anche uccidendo i funzionari che non si fossero fatti ammorbidire>>.

Le proposizioni difensive sviluppate nell’Atto di impugnazione e nei volumi X,XI e XII dei Motivi nuovi eludono sostanzialmente il quesito, cui il Tribunale ha risposto affermativamente.

Tuttavia, la doverosa considerazione delle ragioni della Difesa impone di intendere nella sua massima estensione l’effetto devolutivo dell’appello.

Viene in rilievo, in tale direzione, l’incipit dell’Atto di impugnazione relativo a questo capo di sentenza (pag. 47 del volume VIII), che recita <>.

Agli atti dell’inchiesta Zecca constano, in realtà, tre relazioni a firma dell’imputato: due, in data 24-6-80, contenute rispettivamente alle pagine 525-527 e 528-545 del fascicolo, ed ad una terza, senza data e senza indicazione del destinatario, contenuta alle pagine 546-552.

Tra i temi in esse affrontati viene in considerazione, tenuto conto del devolutum, quello della fuga di notizie, poi diffuse dalla stampa, sulla mancata inclusione del nome di Michele Sindona tra quelli dei denunciati nel rapporto Spatola + 54 del 6 maggio 1980 (più esattamente, sul fatto che il nome di Sindona compariva tra quelli dei denunciati nella bozza o minuta di rapporto predisposta dall’odierno imputato ed era stato espunto nel rapporto del 6 maggio 1980).

Secondo il costrutto accusatorio, l’accertata provenienza della fuga di notizie da ambienti della Criminalpol troverebbe fondamento nella manifestazione della volontà di disconoscere la paternità del blitz del 5 maggio 1980 e delle attività ad esso propedeutiche e successive.

Un siffatto obiettivo - per di più - sarebbe stato ottenuto in modo diabolico, e cioè ammannendo alla stampa un’immagine di verginità della Criminalpol e di Contrada rispetto ad una condotta dubbia del gruppo di lavoro creato da Immordino, consistita, appunto, nella eliminazione del nome di Michele Sindona dall’elenco dei denunciati contenuto nella bozza di rapporto predisposta dall’imputato.

Sempre ai fini di una adeguata considerazione delle ragioni della Difesa, va rilevato che un qualche addentellato con lo specifico thema decidendum è offerto dal pur generico richiamo, contenuto a pag. 47 del volume VIII dell’Atto di impugnazione, al “corretto agire dell’imputato”, laddove si afferma : <Si citano, solo esemplificativamente, le testimonianze dei Dott.ri Francesco Borgese (5.9.1994), all’epoca Vice Questore Vicario di Palermo, Vittorio Vasquez (10.1.1995), stretto collaboratore del Contrada, che hanno narrato le vicende di quel periodo.


Da dette testimonianze, nonchè dalle dichiarazioni dei Dott.ri Carmelo Emanuele (23.6.1995), Francesco Federico (24.1.1995), De Luca Antonio (28.10.1994) e Ferdinando Pachino (5.10.1994), emergono, con tutta evidenza, i comportamenti dell’Immordino, le ragioni di contrasto tra quest’ultimo e il Dott. Contrada, il corretto agire dell’odierno appellante>>.

Orbene, riportando “il corretto agire” alle ragioni addotte da Contrada per spiegare la mancata redazione del rapporto nei termini richiestigli prima dal Questore Epifanio, poi dal Questore Immordino, deve rilevarsi che l’imputato ha prospettato due giustificazioni.

La prima è l’asserito divieto, impostogli dal giudice istruttore di Roma Ferdinando Imposimato, di utilizzare il materiale concernente il sequestro di Michele Sindona sino alla prevista definizione del procedimento con sentenza di incompetenza territoriale (la sentenza di primo grado, a pag. 1244, cita le dichiarazioni rese dall’imputato il 4 novembre 1994: <<(…)molto di questo materiale faceva parte dell’istruttoria del giudice Imposimato, il quale ci disse di non prendere nessuna iniziativa. Lo disse a me personalmente, alle mie insistenze di potere utilizzare questo materiale..disse: non appena mi spoglierò di questa inchiesta, perchè me ne spoglierò in quanto la competenza passa al Tribunale di Milano, perchè Milano aveva la vicenda sulla bancarotta della banca privata di Sindona, appena io manderò questa mia inchiesta per competenza territoriale ai giudici Colombo e Turone di Milano voi potete fare quello che volete su Palermo....aspettavo il ”placet” del giudice Imposimato che avvenne a Marzo del 1980 - cfr. f. 64 ud. 4/11/1994- nello stesso senso cfr. anche ff. 54 e ss. ud. 13/12/1994).

La seconda è la necessità di approfondimenti investigativi rispetto al materiale esistente.

La prima giustificazione è stata disattesa con argomentazioni logiche ed esaustive nella pagine da 1244 a 1249 della sentenza appellata - cui si rinvia - nelle quali sono stati rassegnati gli elementi a sostegno della credibilità della netta smentita di Imposimato.

Quanto alla seconda, non possono che essere condivise, in massima parte, le considerazioni svolte dal Procuratore Generale nella memoria depositata il 14 novembre 2005 (pagine 69-71), riassumibili nei termini che seguono.

Dalla relazione in data 24-6-81 a firma dell’imputato, allegata alla pag.536 del fascicolo concernente l’ispezione Zecca, risulta che la bozza di rapporto presentata al Questore il 24-4-80 riguardava indagini svolte sulla vicenda Sindona, sul traffico internazionale di stupefacenti tra la Sicilia e Stati Uniti d‘America su rimesse di dollari dagli Stati Uniti in Sicilia. Il materiale utilizzato era costituito:

<<per la vicenda Sindona, dalle risultanze investigative di numerosi rapporti, indirizzati al G.I. di Roma, Imposimato, dal 21\10\79 al 23\5\80;

per il traffico di droga, dalle varie indagini svolte dal 1978 in occasione dei sequestri di eroina operati in U.S.A. ed in Italia e comunque interessanti la mafia palermitana (indagini già appassionatamente seguite dal dr. GIULIANO sino al giorno della sua uccisione);

per la questione delle rimesse di dollari U.S.A., dalle indagini rappresentate nel R.G. Cat. E\79 Mob. Antimafia del 7 maggio 1979, avente per oggetto “Accertamenti su attività illecite condotte dal crimine organizzato in Italia e negli U.S.A. con pagamenti attraverso operazioni bancarie”, nonché in altri rapporti giudiziari del 3 ottobre, 13 novembre e 28 novembre 1979>> (pagg. 536 - 538 del fascicolo concernente l’ispezione Zecca).

A questa stregua, come osservato dal Procuratore Generale <quasi tutto il materiale investigativo utilizzato per redigere quella minuta di rapporto presentata solo a fine aprile del 1980.

Si è detto quasi tutto perché le integrazioni successive al dicembre 1979 riguardano l’argomento del traffico internazionale di stupefacenti tra la Sicilia e gli U.S.A. e sono costituite dalle indagini svolte in occasione di due sequestri di eroina a New York e a Milano rispettivamente il 16 gennaio e il 18 marzo 1980 : tale ultimo sequestro è quello per cui furono arrestati a Milano i tre fratelli Adamita (v. rispettivamente pag. 19 e segg. e pag. 22 e segg. della c.d. minuta o bozza Contrada).

Invece, per quanto riguarda la nota vicenda Sindona - come è espressamente scritto alla pag. 19 del vol.14 dei motivi nuovi - già “ il 10 dicembre 1979 fu trasmesso al G.I. Imposimato un ponderoso rapporto giudiziario, (sempre a firma Contrada) consistente nella rappresentazione, sulla base di approfondite e dettagliate indagini, di riscontri obiettivi e dati di fatto, di una potente, vasta e ramificata associazione per delinquere di tipo mafioso, operante tra Palermo e gli U.S.A. che, tra le molteplici e multiformi sue attività criminali, aveva avuto una rilevante parte anche nella vicenda della sparizione e del simulato sequestro di Sindona Michele.

Ed in effetti, se si ha la pazienza di leggere il citato rapporto 10-12-79, si constaterà che esso è veramente il rapporto fondamentale e che vi sono contenuti tutti gli elementi poi trasfusi nella futura minuta, mentre i rapporti successivi – elencati dall’imputato alle pagg. 535-536 del fascicolo Zecca – riguardano accertamenti di contorno rispetto alla già delineata associazione per delinquere e taluni non sono neppure diretti al giudice Imposimato, come quello del 20-2-80 con cui si inviano alla Procura di Milano le trascrizioni di intercettazioni disposte da quella A. G. nell’ambito delle indagini per l’omicidio Ambrosoli, oppure quello del 23-5-80 che è un foglietto con cui si invia al giudice Falcone documentazione da lui richiesta e utile per l’istruzione del procedimento a carico di Spatola + 54.

Col rapporto 13-12-79 si chiede a Imposimato l’autorizzazione a fornire certe notizie alla polizia statunitense, con quello 15-1-80 (uno solo, non due) l’autorizzazione ad intercettazione telefonica ….>>.

Attesi, dunque, la mancanza di significativi approfondimenti investigativi dopo il gennaio 1980, l’inesistenza di un veto del G.I. Imposimato ed il fatto che perché l’elaborato chiesto a Contrada doveva essere concepito in funzione di una pronta risposta di politica criminale ad una condizione di estremo allarme per l’ordine pubblico, non vale sostenere che i tempi di redazione di un rapporto sono a priori indeterminabili, dipendendo dalla scansione e dal maturare delle indagini. perché l’elaborato chiesto a Contrada doveva essere concepito in funzione di una pronta risposta di politica criminale ad una condizione di estremo allarme per l’ordine pubblico.

Per le medesime ragioni, la consegna di una “bozza“ (qualificata tale nella intestazione) e la richiesta di ferie - che di fatto impedirono che l’elaborato potesse essere utilizzato per lo scopo cui rispondeva l’originario incarico del Questore, ovvero subire delle revisioni - non possono giustificarsi, anche a fronte della drammaticità della escalation dei fatti di sangue di quel periodo, con il dissenso di Contrada nei riguardi del modus procedendi dello stesso Immordino.

L’imputato, a questo riguardo, nel corso del suo esame (cfr. trascrizione udienza 4 novembre 1994) ha dichiarato di avere sentito voci secondo cui tre o quattro funzionari <<erano asserragliati in un ufficio della digos e, lavoravano su fatti di Polizia giudiziaria>> e di avere, quindi, sospettato che il Questore stesse reiterando la strategia, già messa in atto a Trapani in occasione delle indagini sul sequestro Corleo,<< di creare le divisioni di estromettere la Polizia giudiziaria ed affidare incarichi di Polizia giudiziaria a funzionari estranei…lui pensava che cosi` mettendo contrapponendo i gruppi si ottenessero maggiori risultati come alcuni ritengono, che mettendo contro la polizia e i carabinieri si ottengono risultati perche' c'era emulazione ecco. Una mentalità del genere>>.

Tali “voci”, ad avviso di questa Corte, non potevano giustificare la mancata esecuzione dell’incarico, dal momento il gruppo di lavoro costituto dal Questore venne insediato i primi di aprile del 1980, quando, cioè, era già maturato un sensibile ed ingiustificato ritardo rispetto ai fini cui tendeva l’incarico stesso.

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L’istruttoria svolta nel primo dibattimento di appello ha arricchito il quadro probatorio che, in ordine alla vicenda in esame, è stato delineato nella sentenza impugnata.

Segnatamente, all’udienza del 6 febbraio 1999 il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo ha riferito di avere incontrato a Roma Giovanni Bontate, fratello di Stefano, tra il marzo e l’aprile 1980 e di avere pranzato con lui e con Pietro Lo Iacono, consigliere dello stesso Stefano Bontate.

Giovanni Bontate - ha dichiarato il Di Carlo - in quella circostanza gli aveva detto di avere saputo da Rosario Riccobono di essere stato menzionato un rapporto di denunzia per traffico di stupefacenti della Questura di Palermo. Gli era stato assicurato, tuttavia, che quel rapporto non avrebbe portato a provvedimenti restrittivi della sua libertà personale perché “vacante” nei suoi riguardi (cioè non abbastanza incisivo da giustificare un arresto in flagranza o un mandato di cattura).

Lo stesso Di Carlo ha soggiunto che Giovanni Bontate, contrariamente alle proprie aspettative, era stato successivamente tratto in arresto.

In punto di fatto, si è già visto che il Bontate venne privato della libertà personale l’undici maggio 1980 nell’ambito della seconda tornata di arresti scaturita dall’attività del gruppo di lavoro costituito dal Questore Immordino, in esecuzione del mandato di cattura emesso il 7 maggio 1980 dal Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, dott. Rocco Chinnici. Il mandato di cattura scaturì dal già citato rapporto del 30 aprile 1980, presentato quale seguito a un precedente rapporto giudiziario di cui si occupava il predetto magistrato, e con cui erano stati denunciati in relazione al reato di cui all’art. 75 L. 22/12/1975 n° 685 i soggetti individuati come appartenenti alla cosca composta da Gaetano Badalamenti, Salvatore Sollena, dallo stesso Giovanni Bontade ed altri.

Orbene, come puntualmente evidenziato dal Procuratore Generale (pagine 72 e segg. della memoria depositata il 14 novembre 2005) la bozza di rapporto presentata al Questore il 24 aprile 1980 (Badalamenti Gaetano + 63), contemplava unitariamente il gruppo Spatola - Gambino - Inzerillo - Di Maggio e quello Badalamenti e Sollena (i fratelli Salvatore e Matteo Sollena erano anche nipoti di Gaetano Badalamenti).

E’ rimasto accertato, d’altra parte, che la scelta di separare i due gruppi di denunciati maturò nell’ambito dell’equipe costituita dallo stesso Immordino.

Quanto alla incisività delle indicazioni della bozza, di Giovanni Bontate si fa menzione nel paragrafo B (dal 26° foglio in poi, nella copia acquisita all’udienza del 6 maggio 1994), dove vengono riportate le telefonate effettuate a numeri di Palermo dalla utenza del New Jersey di Salvatore Sollena.

Si rileva, infatti:

  • che tra tali numeri era risultato il 444659, relativo ad una utenza ubicata in un deposito della via Villagrazia n.83 (il contratto era stato stipulato da certo Francesco Giglio, il quale aveva chiesto che le bollette telefoniche fossero recapitate in via Villagrazia 110);

  • che l’utenza ENEL di quel deposito era risultata intestata a certo Natale Salerno, con recapito delle bollette in via Buonriposo n. 215;

  • che il Giglio aveva negoziato assegni bancari per 300.000 dollari, provento del narcotraffico, indicando quali sui recapiti Via Villagrazia 83 e via Buonriposo n. 215 ;

  • che l’utenza 444659 era utilizzata << quale recapito segreto>> da Giovanni Bontate, residente in via Villagrazia n.110, indiziato mafioso e che questi si avvaleva anche di un’altra, utenza installata in altra abitazione del civico 110 di via Villagrazia ed intestata a tale Angela D’Alessandro, moglie del mafioso Matteo Citarda e suocera dello stesso Bontate;

  • che Giovanni Bontate aveva negato di avere ricevuto telefonate dagli Stati uniti, e, parimenti, negato di conoscere Salvatore Sollena.

Al di là di questi spunti, prima facie suggestivi, manca, tuttavia, un approfondimento o una specificazione concreta sull’impiego dell’utenza da parte di Giovanni Bontate e sul contenuto di eventuali conversazioni (“come si accertava a seguito di intercettazione telefonica disposta da codesta Procura della Repubblica, l’utenza 444659, installata in via Villagrazia 83, era utilizzata quale recapito segreto….”).

Ora, il Di Carlo, che non poteva essere a conoscenza della iniziativa del Questore Immordino e delle determinazioni del gruppo di lavoro da lui creato, come non lo era stato Contrada, le ha accomunate in un unico rapporto, ricollegando, erroneamente, l’arresto di Giovanni Bontate alla convalida degli arresti in flagranza del 5 maggio 1980 da parte del Procuratore della Repubblica Gaetano Costa (pagine 28,29,35, 88 trascrizione udienza 6 febbraio 1999).

A questa stregua, non coglie nel segno l’osservazione difensiva, sviluppata nella “Memoria in replica alla requisitoria del 30 marzo 2001 del Procuratore Generale”, depositata il 2 maggio 2001 nel primo dibattimento di appello, secondo cui il Di Carlo avrebbe mentito, e la sua menzogna sarebbe documentata <<dall’accorpamento di vicende giudiziarie diverse, maturate in tempi diversi e culminate in provvedimenti restrittivi di uffici diversi>>63.

Appaiono, per contro, pienamente condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il Procuratore Generale nella memoria depositata il 14 novembre 2005 in questo dibattimento di rinvio, secondo cui:

  • solo colui (cioè l’imputato) che aveva predisposto un unico rapporto per le posizioni dei Bontate e quelle degli Spatola- Inzerillo poteva far giungere a Giovanni Bontate, per il tramite di Rosario Riccobono, notizia della sua inclusione in quel rapporto;

  • solo colui (cioè l’imputato) che aveva predisposto quell’unico rapporto, anzi bozza di rapporto, in modo che non fosse funzionale ad arresti in flagranza, poteva fornire assicurazione circa l’inconsistenza probatoria di esso;

  • la notizia dell’esistenza di un unico rapporto e la quasi - contestualità tra gli arresti in flagranza del 5 maggio e quelli, in esecuzione di mandato di cattura, dell’11 maggio avevano plausibilmente ingenerato, nell’immediatezza dei fatti, l’erroneo convincimento – espresso dal Di Carlo – che il procuratore Costa “ si era preso la responsabilità’ a firmare” anche per l’arresto di quegli individui, e tra costoro Giovanni Bontade, per i quali, invece, era stato emesso mandato di cattura dal Consigliere Istruttore Chinnici.

Osserva questa Corte che, nel racconto del Di Carlo, non viene indicata la fonte primigenia delle rassicurazioni date da Riccobono a Giovanni Bontate. Tuttavia, le emergenze processuali circa i contatti tra Contrada e Riccobono, correlate alle circostanze appena evidenziate (paternità della bozza di rapporto, possibilità di fornire assicurazioni su di esso, quasi contestualità tra gli arresti in flagranza del 5 maggio e quelli, in esecuzione di mandato di cattura, dell’11 maggio) formano un quadro indiziario che individua l’autore di quelle rassicurazioni nell’imputato.

In questa direzione, ulteriori, significativi elementi di giudizio si traggono dall’episodio della fuga di notizie, divulgate dalla stampa, immediatamente successiva al blitz del 5 maggio 1980.

Di esso si fa menzione nella requisitoria in data 15 giugno 1983 con cui il Pubblico Ministero chiese - nel già citato procedimento penale nei riguardi del Questore Immordino - dichiarare non doversi procedere nei riguardi dello stesso Immordino quanto alla imputazione di favoreggiamento personale del Sindona, perché il fatto non costituisce reato, e quanto al reato di abuso innominato in atti di ufficio perché estinta per intervenuta amnistia.

Mentre è prodotta in atti la sentenza istruttoria del 20 febbraio 1984 con cui il G.I. Giovanni Falcone dichiarò non doversi procedere nei confronti del dott. Immordino, per entrambe le imputazioni ascritte, perché il fatto non sussiste, la requisitoria è stata trascritta, senza contestazioni di sorta, alle pagine 9-26 del volume XI dei Motivi Nuovi.

Per quanto qui rileva il Procuratore della Repubblica espose che

64: << II 18/6/1981 il "Giornale di Sicilia" pubblicava, a firma di Francesco Licata, un articolo sotto il titolo "Quella notte sparì il nome di Sindona"; in esso il giornalista, nel commentare la notizia che il Giudice Istruttore presso questo Tribunale aveva emesso - nell'ambito del procedimento contro Spatola Rosario ed altri - mandato dì cattura contro Sindona Michele, riferiva la notizia che il rapporto dì denunzia contro lo Spatola, presentato il 5/5/1980 a questa Procura della Repubblica a che aveva costituito il momento iniziale di quel procedimento, era stato in realtà il frutto del rifacimento di altro rapporto a carico di 66 persone già preparato dalla Squadra Mobile e dalla Criminalpol di Palermo, nel quale fra i denunziati era incluso, al n°65, anche Michele Sindona, il cui nome invece mancava nel rapporto definitivo (…..) Intanto, dal pomeriggio dello stesso 18 Giugno 1981, questa Procura della Repubblica iniziava indagini preliminari in ordine alle notizie riferite dal "Giornale di Sicilia", veniva quindi escusso come teste il giornalista Francesco La Licata il quale dichiarava che la notizia di un originario rapporto con cui era denunziato anche il Sindona era stata da lui raccolta - in non meglio precisati ambienti della Questura di Palermo - già l'anno prima all'atto stesso, cioè, dell'arresto dello Spatola e di numerosi altri denunziati e che già a quell'epoca la notizia era stata data, sia pure con minore risalto, dalla stampa cittadina (v.f.5-6-11-12). Naturalmente negli articoli apparsi nel Maggio 1980 non era stato avanzato alcun sospetto a carico del Dr. Impallomeni perché si ignorava allora la circostanza che egli fosse iscritto alla P.2>>.

Orbene, dalla superiore esposizione emerge che il giornalista La Licata apprese la notizia della esclusione del nome di Sindona - poi rilanciata il 18 giugno 1981, giorno in cui il G.I. emise mandato di cattura per associazione per delinquere a carico del banchiere - da << non meglio precisati ambienti della Questura di Palermo(…) all'atto stesso (…) dell'arresto dello Spatola e di numerosi altri denunziati>>.

Se, dunque, la fuga di notizie ebbe origine dalla Questura, la protesta di estraneità ad essa da parte dell’imputato non è credibile.

Ed infatti, la oggettiva idoneità della fuga stessa a manifestare all’esterno una dissociazione dal metodo e dagli obbiettivi del gruppo di lavoro insediato dal Questore Immordino, si correla, in chiave indiziaria e di riscontro alle dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo.

Deve, cioè ritenersi, avuto riguardo alle dichiarazioni del collaborante sulla sicurezza ostentata da Giovanni Bontate, che tale dissociazione fu funzionale a spiegare perché fossero state tradite le attese dello stesso Bontate, e che venne posta in atto con una efficacissima leva mediatica, costituita dall’impatto della notizia della eliminazione del nome di Michele Sindona in un contesto di sospettate complicità con l’allora Dirigente della Squadra Mobile, dott. Impallomeni; tutto questo, in modo da colpire, il Questore Immordino, che aveva voluto l’Impallomeni con sé a Palermo.

D’altra parte, lo stesso imputato, nella relazione del 24 giugno 1981 indirizzata all’Ispettore Generale Zecca (intitolata nell’oggetto “Operazione antimafia maggio 1980 - Vicenda SINDONA Michele e trascritta dopo la pag. 15 del volume XII dei Motivi nuovi di Appello) ammise - né, per la sua posizione, avrebbe potuto negarlo, correndo, oltretutto, il rischio di essere smentito - di conoscere <<da anni LA LICATA, come del resto tutti gli altri giornalisti palermitani che si occupano di cronaca nera e giudiziaria>> precisando di non avere con lui <<rapporti di amicizia sul piano personale anche se sono ottimi i rapporti sul piano professionale>>.

Oltretutto, osserva questa Corte, la capacità di sfruttare la leva mediatica in relazione al proprio ruolo istituzionale emerge sovente dalle annotazioni nelle agende dell’imputato: a titolo di esempio, alla data del 18 ottobre 1979 (giorno dell’arresto di Rosario Spatola nell’ambito delle indagini sulla scomparsa di Michele Sindona, delegate dalla Autorità Giudiziaria Romana) è vergato un appunto riguardante la comunicazione della notizia all’ANSA, alla Rai, al quotidiano “l’Ora” ed al quotidiano “il Diario”.

Devono, conclusivamente, essere pienamente condivise le osservazioni svolte dal Tribunale sulla vicenda in esame, e, conseguentemente, essere disattese le censure dei difensori appellanti.

CAPITOLO XVI

Le censure relative alla vicenda dell’allontanamento dall’Italia di John Gambino
La vicenda dell’allontanamento dall’Italia di John Gambino, non compresa fra gli argomenti dedotti dall’Accusa a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio di Bruno Contrada, è stata valorizzata dal Tribunale anche per la sua scaturigine schiettamente dibattimentale, e cioè per la casualità della sua emersione.

All’udienza del 28 ottobre 1994, infatti, il funzionario della Squadra Mobile palermitana Antonino De Luca, trattando dell’attività del suo ufficio nel periodo successivo all’omicidio del dirigente Boris Giuliano (21 luglio 1979), quando era vice dirigente della Squadra Mobile unitamente al dottor Vittorio Vasquez, aveva fatto riferimento alla indagine condotta per delega dell’Autorità Giudiziaria romana nel procedimento a carico di Vincenzo Spatola, arrestato a Roma per tentata estorsione il 9 Ottobre 1979 presso lo studio dell’avv.to Rodolfo Guzzi, legale del banchiere Michele Sindona in Italia.

Il Tribunale premetteva che il 10 settembre precedente il Sindona avrebbe dovuto comparire davanti all’Autorità Giudiziaria americana, quale imputato di bancarotta fraudolenta e di altri reati, a seguito del dissesto della Franklin National Bank; che il pomeriggio del 2 agosto 1979 era sparito a New York; che il 16 ottobre successivo era riapparso nella stessa città con una ferita d’arma da fuoco alla gamba sinistra, tendente ad accreditare la versione di un patito sequestro di persona.

Al predetto avv. Guzzi, Vincenzo Spatola aveva recapitato una lettera autografa del banchiere in data 8 Ottobre 1979 alla quale era allegato un messaggio dei sedicenti rapitori che “invitavano” quel legale a consegnare alcuni documenti di loro interesse.

Secondo il Tribunale, l’arresto dello Spatola era intervenuto in un contesto già allora apparso connotato da collegamenti tra la vicenda Sindona (seppure ancora non chiarita quanto alla realtà o alla simulazione del sequestro di persona), la mafia siciliana e quella siculo-americana: la famiglia degli Spatola, infatti, era imparentata con la famiglia Gambino, già oggetto di indagini da parte del dirigente della Squadra Mobile Boris Giuliano, il cui capo-stipite, Charles Gambino, era indicato come uno dei capi di “Cosa Nostra”: segnatamente Vincenzo Spatola, latore della lettera all’avv. Guzzi, era fratello del mafioso Rosario Spatola e cugino di John Gambino, mafioso siculo - americano giunto a Palermo da Brooklin il 6 Settembre 1979.

Quest’ultimo era stato individuato casualmente a Palermo,il 12 ottobre 1989, quale ospite del Motel Agip dal maresciallo della Squadra Mobile Giuseppe Curcio grazie all’esame della prescritta nota delle presenze alberghiere, ed era stato accompagnato per l’identificazione presso gli uffici di Polizia.

Lo stesso De Luca aveva dichiarato di averne personalmente disposto l’accompagnamento ed assunto le dichiarazioni, di averlo perquisito - in tale circostanza era stata rinvenuta documentazione rivelatasi importante per il prosieguo delle indagini - e di avere insistito con Contrada, che in quel frangente si trovava a Roma, perché il Gambino fosse arrestato anche con un pretesto (in particolare, per favoreggiamento personale).

L’odierno imputato, che all’epoca ricopriva il doppio incarico di dirigente della Squadra Mobile (in via interinale) e del Centro Criminalpol di Palermo, gli aveva risposto che si sarebbe consultato con il Pubblico Ministero Sica ed il Giudice Istruttore Imposimato, titolari dell’inchiesta romana su Sindona. Poco dopo, gli aveva riferito di avere avuto detto da Imposimato che non c’erano elementi per un arresto, sicchè il Gambino era stato rilasciato ed era tornato negli Stati Uniti D’America.

All’esito dell’indagine romana concernente la vicenda del recapito della lettera minatoria in data 9 ottobre 1979, successivamente trasferita a Milano per ragioni di competenza, il Gambino era successivamente risultato una delle figure chiave nella cura del simulato sequestro di Michele Sindona, organizzato e favorito da massoni e mafiosi.

Il Tribunale, quindi, ravvisava un contrasto tra le risultanze processuali e le tre versioni dell’episodio rispettivamente offerte dall’imputato alle udienze dell’undici novembre, del 22 novembre e del 16 dicembre 1994, tutte accomunate dalla dichiarata convinzione della necessità di trattenere comunque il Gambino.

Valorizzava, in tale contesto, valorizzava la smentita del dott. Ferdinando Imposimato, che nel corso del proprio esame aveva escluso di avere mai dato indicazioni sul rilascio del Gambino, ed aveva dichiarato di essere stato all’oscuro della sua posizione sino a quando non gli era stato trasmesso il rapporto del 21 ottobre 1979 con i relativi allegati, rapporto concernente gli accertamenti condotti nei confronti dello stesso Gambino.

Quindi, rassegnate le testimonianze e le emergenze documentali relative alla vicenda, quel giudice perveniva alla conclusione che l’imputato era riuscito a favorire il definitivo allontanamento dall’Italia del Gambino, rivelatosi decisivo anche ai fini dell’espatrio dello stesso Sindona.

In tal modo, erano rimasti ineseguiti in Italia sia il mandato di cattura emesso dal G.I. Imposimato il 30 Ottobre 1979, sia il provvedimento di arresto emesso nei confronti del Gambino nel corso dell’operazione di Polizia del Maggio 1980, cui tante resistenze aveva opposto l’odierno imputato e che era diretta, tra gli altri, a perseguire anche i complici siciliani di Sindona.

*****


Le censure vertenti sulla vicenda relativa all’allontanamento dall’Italia di John Gambino sono state articolate nel volume VI capitolo II dell’Atto di impugnazione (pagine 22-42) e nel volume XIV dei Motivi nuovi ( pagine 1-105).

Esse possono sintetizzarsi nell’assunto secondo cui le risultanze processuali avrebbero evidenziato l’erroneità del ricordo del Giudice Imposimato a fronte delle testimonianze rese dai funzionari di Polizia De Luca e Vasquez, dall’avvocato Cristoforo Fileccia (dal quale si era recato il Gambino subito dopo il suo rilascio) e dai sottufficiali della Squadra Mobile e della Criminalpol che si erano occupati dello stesso Gambino. Il Tribunale, oltretutto, non avrebbe tenuto conto dello stato embrionale delle indagini e della scarsità degli elementi di conoscenza disponibili il 12 ottobre 1979, data del rintraccio del Gambino.

Secondo la ricostruzione della Difesa, modellata su quella progressivamente messa a punto dall’imputato nel corso del suo esame, <

La rimessione in libertà del Gambino, seguita dal suo ritorno negli U.S.A., fu adottata, nonostante il sospetto della sua implicazione nella vicenda Sindona, previa intesa con il Giudice Istruttore Imposimato, tempestivamente informato dell'accaduto.

In momento successivo, in esito a laboriose e approfondite investigazioni, svolte dalla Squadra Mobile e dalla Criminalpol di Palermo, rassegnate al predetto Magistrato con rapporti del 21 ottobre e seguenti, si raccolsero sul Gambino sufficienti elementi di responsabilità, tanto da consentire l’emissione di un mandato di cattura nei suoi confronti>> (Motivi nuovi, Vol. XIV, pagine 1-2).

Segnatamente, si deduce che:



  1. ad onta di quanto affermato dal teste De Luca sulla scorta di un erroneo ricordo di fatti ormai risalenti nel tempo, non fu lui, ma fu l’imputato ad impartire disposizioni di pedinare il Gambino, e, una volta segnalato che questi stava per lasciare la città (probabilmente per ritornare negli Stati Uniti d’America) a disporre il suo accompagnamento in ufficio, la perquisizione sulla sua persona e sul bagaglio e l’interrogatorio circa i motivi della sua presenza a Palermo ed i contatti che aveva ivi avuto (ibidem pag. 96);

  2. se Contrada avesse avuto motivo o interesse di proteggere o favorire John Gambino avrebbe agito diversamente, e cioè non ne avrebbe disposto l'accompagnamento, la perquisizione e l'interrogatorio, non avrebbe attivato nei suoi confronti le indagini che avevano consentito di accertare la sua responsabilità nella partecipazione all'operazione Sindona e che avevano reso possibile la emissione, da parte del Giudice Imposimato, dei mandati di cattura a suo carico ed a carico dei fratelli Spatola (ibidem, pag. 100);

  3. la carenza di ricordi del teste De Luca emerge anche dalla erronea indicazione di avere rintracciato Contrada, il 12 ottobre 1979, a Roma;

  4. l’imputato, invece, quel giorno si trovava a Palermo, essendo partito per Roma la mattina successiva con il volo delle 8.20 insieme con l’allora Ten. Col. CC. Antonio Subranni, per partecipare alla riunione indetta dal G.I Imposimato per le ore 12.00 presso la Direzione della Criminalpol avente per oggetto le indagini nella vicenda Sindona (ibidem, pag. 92);

  5. la presenza di John Gambino a Palermo e la conoscenza dei suoi rapporti con ambienti mafiosi siculo - americani nonché della sua parentela con Vincenzo Spatola, avevano fatto sorgere soltanto sospetti generici sulla sua persona, tanto da consigliare il suo accompagnamento in ufficio,la perquisizione, l'interrogatorio, appunto al fine di verificare la possibilità di acquisire elementi, sia pure indiziari, di responsabilità a suo carico, scopo non raggiunto almeno in quel momento (ibidem, pag. 97);

  6. alla data del 12 ottobre 1979 l’imputato ed i suoi collaboratori non sapevano pressoché nulla del sequestro o simulato sequestro di Sindona, in quanto avevano iniziato ad occuparsi della questione, sul piano investigativo, soltanto dal 9 ottobre precedente, giorno in cui era stato tratto in arresto a Roma Vincenzo Spatola, non sussistendo, quindi le condizioni per operare un fermo di polizia giudiziaria nei riguardi di John Gambino (ibidem, pag. 97);

  7. soltanto nei giorni successivi, in esito ad ulteriori, approfondite e intense indagini sul Gambino, sui suoi spostamenti, sui collegamenti con altri soggetti, sulle utenze telefoniche di cui si era avvalso, sui rapporti con i suoi cugini Vincenzo e Rosario Spatola era stato possibile avere una più chiara visione della posizione del Gambino, con la raccolta di vari elementi tutti prontamente e diligentemente riferiti al Giudice Istruttore Imposimato con il rapporto del 21 ottobre (ibidem, pag. 98);

  8. <> (ibidem, pag. 99);

  9. non è vero che Imposimato, contrariamente a quanto da lui asserito in sede di esame, seppe soltanto con il rapporto del 21 ottobre della esistenza di John Gambino, della sua presenza a Palermo, dell'interrogatorio, della perquisizione e del rinvenimento, nelle sue tasche, del foglietto con l’annotazione "741/sabato - Francoforte 6-40/2145296617”, foglietto che soltanto dopo il 21 ottobre 1979 si appurò riferirsi al volo Francoforte - New York con cui Sindona era tornato negli Stati Uniti (ibidem, pag. 100);

  10. egli, infatti, fu informato sommariamente per telefono la sera stessa del 12 ottobre e, più diffusamente e di presenza il giorno successivo a Roma, nel corso della riunione presso la Criminalpol;

  11. tra il 12 ed il 21 ottobre i contatti tra il dott. Contrada, il dott. Vasquez ed il dott. De Luca, da una parte, ed il dott. Imposimato ed i funzionari della Squadra Mobile romana, dall'altra, furono intensi e frequenti (ibidem, pag. 101);

  12. Contrada ed Imposimato, tra il 12 ed 21 ottobre, si incontrarono due volte per le indagini di cui si occupavano, e cioè il 13 ottobre a Roma negli uffici del Centro Nazionale Criminalpol ed il 17 - 18 ottobre a Palermo;

  13. è <> (pag. 101);

  14. qualora, infatti, l’imputato <> (ibidem, pag. 101);

  15. il teste Imposimato aveva fatto alcune, involontarie ammissioni di segno opposto rispetto alla smentita delle affermazioni di Contrada sintomatiche del fatto che egli era stato tempestivamente informato della presenza di Iohn Gambino a Palermo (ibidem, pagine 50 –53);

  16. l’assunto dell’imputato di avere avvertito telefonicamente Imposimato la sera del 12 ottobre 1979, di avergli sottoposto il 13 ottobre il verbale delle dichiarazioni del Gambino e di avere disposto il rilascio di costui su sua indicazione, aveva trovato due riscontri documentali;

  17. segnatamente, constava agli atti il telex di autorizzazione di Contrada ad una missione a Roma per il 13 ottobre, missione originariamente prevista per un colloquio presso il carcere di Spoleto con il detenuto De Caro Vincenzo (confidente di Contrada) ma utilizzata anche per la riunione presso la Criminalpol (ibidem, pagine 8-10);

  18. constavano, parimenti agli atti le annotazioni, vergate da Contrada nella sua agenda del 1979, dei numeri di telefono di casa e di ufficio del giudice Imposimato sotto la data del 12 ottobre 1979, e dell’appunto <<Partenza per Roma - Aereo ore 8,20 col Ten. Col. Subranni", "Ore 12 riunione Centro con il dr. Imposimato G.I. " "Partenza per Spoleto – Carcere (De Caro Vincenzo)>> sotto la data del 13 ottobre (ibidem, pag. 24);

  19. ulteriore conforto alla prospettazione difensiva secondo cui la permanenza di John Gambino si era protratta almeno sino alla tarda mattinata del 13 ottobre era stato offerto dalla testimonianza dell'avv. Cristoforo Fileccia, il quale aveva dichiarato di ricordare bene che il predetto si era recato nel suo studio di pomeriggio o di sera, subito dopo il rilascio, e quindi necessariamente il 13 ottobre, non potendo ciò essere accaduto il pomeriggio o la sera del 12 ottobre (ibidem, pag. 26 e pagine 57 e seguenti)>>;

  20. il teste Vittorio Vasquez, inviato a Roma da Contrada per seguire le indagini, aveva riferito di avere partecipato alla riunione presso il Centro Criminalpol del sabato 13 ottobre, circostanza nella quale si era discusso della posizione di John Gambino, che Imposimato aveva detto di lasciare andare non essendoci gli elementi per poterlo fermare;

  21. le dichiarazioni rispettivamente rese dai testi Sica ed Imposimato si erano elise a vicenda, risultando minata la credibilità di quelle dello stesso Imposimato;

  22. quest’ultimo, invero, aveva affermato che (pag. 1295 della sentenza appellata <>;

  23. per contro, il teste Sica aveva <>(Vol. XIV Motivi nuovi, pag. 55);

  24. Il tribunale, infine, aveva misconosciuto la lettera di elogio dei funzionari Contrada e Vasquez in data 16 luglio 1980, inviata dal G.I. Imposimato al capo della Polizia ed al Direttore Centrale della Criminalpol;

*****

Ritiene questa Corte, in conformità con la ricostruzione del Tribunale, che la agevolazione - oggettivamente posta in atto con il rilascio - della fuga di John Gambino, indiziato mafioso e già oggetto di investigazioni di Boris Giuliano, fu il frutto di una attività di consapevole oscuramento del suo rintraccio e delle emergenze documentali ad esso legate, e quindi fu illuminata dal dolo di rendere un servizio al sodalizio mafioso, che si era avvalso del Gambino come uno dei più stretti fiancheggiatori di Michele Sindona durante il suo simulato sequestro e se ne avvalse subito dopo il suo rientro a New York 65.

Il ruolo del Gambino in tale vicenda è stato tratteggiato sia nella sentenza - ordinanza di rinvio a giudizio del 17 luglio 1984 a firma del G.I. Giuliano Turone, cui fa riferimento il Tribunale, prodotta nel giudizio di primo grado all’udienza del 22 settembre 1995 sull’opposizione della Difesa66, sia nella sentenza della Corte di Assise di Milano, resa nei confronti di Michele Sindona + 25 il 18 marzo 1986, parzialmente riformata dalla Corte di Assise di Appello di Milano con sentenza del 5 marzo 1987 (prodotta nel primo dibattimento di appello all’udienza del 22 marzo 2000), divenuta irrevocabile il 25 febbraio 1988 nei confronti, tra gli altri, di Giovanni Gambino, Francesco Fazzino, Pier Alessandro Magnoni, Giacomo Vitale, Michele Barresi, Rosario Spatola, Vincenzo Spatola, Francesca Paola Longo67.

Nella predetta sentenza della Corte di Assise di Milano, alle pagine 277-278 si afferma <-simulazione del sequestro e nel prestare assistenza a SINDONA durante la sua permanenza segreta a Paler­mo.

Pochi giorni prima della scomparsa di SINDONA da New York egli si incontrò con lo stesso in quella città, ed ebbe contat­ti telefonici e personali con Rosario SPATOLA (…). Giunse a Palermo il 6 settembre prendendo alloggio in una ca­mera di albergo prenotatagli da Rosario SPATOLA, e il giorno stesso telefonò nell'ufficio di New York della E.A.C. di Pier Sandro MAGNONI68 (…); da tale momento (…), visse in continuo contatto con SINDONA, prestandogli as­sidua assistenza, e rimanendo di solito presente quando, nella casa della LONGO69, costui si intratteneva segretamente a collo­quio con altre persone.

In particolare, assistette SINDONA mentre,il 25 settembre nella casa di Torretta, MICELI CRIMI lo feriva con un colpo di pistola alla gamba (40/9,147), si recò a Roma il 18 settembre ed a Milano dal 2 al 6 ottobre per adempiere incarichi conferitigli dallo stesso Sindona, ed accompagnò il medesimo, come si è detto, nel viaggio verso Vienna iniziato a Palermo il giorno otto ottobre. Prima di intraprendere quest'ultimo viaggio il Gambino si era procurati da Rosario Spatola i biglietti aerei fino a Milano ed una falsa carta di identità a nome dello stesso Rosario, ed aveva predisposto l'incontro Milano con Francesco Fazzino, il quale con la propria automobile doveva accompagnare il gruppo in Austria. Si occupò infine del rientro di Sindona a New York, dove lo stesso per i primi giorni rimase nascosto nella casa di suo fratello Gambino Rosario>>.

Le emergenze processuali, ad avviso di questa Corte, hanno smentito la ricostruzione dei fatti ammannita dall’imputato ed hanno avvalorato la testimonianza dell’ex Giudice Istruttore di Roma Ferdinando Imposimato, peraltro intrinsecamente credibile nei riferimenti certi cui è apparsa legata, pur nel comprensibile sbiadire del ricordo.

Segnatamente, come ricordato dal Tribunale (pagine 1295-1296 della sentenza appellata), il teste, escusso all’udienza del 31 marzo 1995, <

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