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Lo svolgimento del processo


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Le censure riguardanti la vicenda Gentile


Come osservato dal Tribunale, la c.d. “vicenda Gentile”, risalente all’Aprile 1980 <> rientra nel novero di quei fatti <> (pag. 1135 della sentenza appellata).

Lunedì 14 aprile 1980 il Commissario Capo di P.S. Renato Gentile, funzionario addetto alla Squadra Mobile della Questura di Palermo, redasse una relazione di servizio, inviata al Dirigente della stessa Squadra Mobile dell’epoca, dott. Giuseppe Impallomeni, con la quale fece presente quanto segue: <<La sera di sabato 12 c.m., nell’antrone52 di questa Squadra Mobile, dopo avere lasciato la S.V., venivo avvicinato dal dott. Contrada che mi chiedeva se fossi andato a fare una perquisizione a casa di Inzerillo Salvatore e se in quell’occasione agenti armati di mitra fossero entrati nelle stanze facendo impaurire i bambini: a questo punto il dott. Contrada aggiungeva che aveva avuto lamentele dai capi-mafia per il modo in cui si era agito. Al che lo scrivente rispose che la perquisizione avvenne in modo normalissimo, senza violenza e senza armi in pugno, anzi, gli uomini nella stanza dove dormivano le figlie del latitante, si comportarono in modo tale da non farle alzare dal letto, aggiunsi, inoltre, che tutta l’operazione era diretta alla presenza della S.V. . Il dott. Contrada aggiungeva che determinati personaggi mafiosi hanno allacciamenti con l’America per cui noi, organi di Polizia non siamo che polvere di fronte a questa grande organizzazione mafiosa: hai visto che fine ha fatto Giuliano?



Nel pomeriggio di oggi la guardia Naso, della sez. catturandi, mi informava che nel pomeriggio di sabato anche lui fu chiamato dal dott. Contrada il quale gli chiese circa l’operazione compiuta presso l’abitazione dell’Inzerillo>>.

La relazione venne trasmessa il 15 aprile 1980 dal dott. Impallomeni al Questore dell'epoca, dott. Vincenzo Immordino. Quest’ultimo, a sua volta, segnalò l’episodio al Capo della Polizia con un appunto riservato dell'undici maggio 1980, indicando l'urgenza che si procedesse al trasferimento in altra sede dell’odierno imputato, del quale stigmatizzò l’immobilismo a seguito dei fatti, di cui si dirà, culminati nel blitz del 5 maggio 1980 e nei successivi arresti di esponenti mafiosi.

Il Tribunale - illustrati la caratura criminale di Salvatore Inzerillo nell’ambito dell’organizzazione mafiosa ed i suoi collegamenti con gli Stati Uniti nel narcotraffico - accertava che la lamentela circa le modalità della perquisizione era provenuta dall'Inzerillo stesso, il quale aveva chiesto al proprio difensore, l’avv. Cristoforo Fileccia, di farsene portavoce con Contrada.

Il professionista, dunque, la mattina immediatamente successiva alla notte in cui si era svolta la perquisizione, e cioè il 12 aprile 1980, aveva casualmente incontrato al Palazzo di Giustizia di Palermo il dott. Vittorio Vasquez, funzionario della Criminalpol e gli aveva illustrato la doglianza, che Vasquez, una volta rientrato in ufficio, aveva esposto all’odierno imputato.

Bruno Contrada, quindi, la stessa sera del sabato 12 aprile 1980, aveva rivolto a Gentile le parole riportate fedelmente da questi nella relazione del lunedì successivo, redatta su richiesta di Impallomeni.

Il Tribunale dava conto delle ragioni a sostegno del giudizio di piena attendibilità dei testi Gentile ed Impallomeni, e della valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni della guardia Biagio Naso e dei sottufficiali, all’epoca in servizio presso la Squadra Mobile, Francesco Belcamino e Corrado Catalano, indicati dalla Difesa.

Il Naso ed il Belcamino, in particolare, avevano affermato di avere sentito Contrada dare affettuosi consigli al giovane funzionario sul modo di condurre le perquisizioni ed avevano escluso che fossero state pronunziate le parole riportate nella relazione.

Il Catalano aveva dichiarato che Gentile gli aveva confidato di avere redatto, perché costretto a farlo, una relazione dal contenuto falso.

Quel giudice, inoltre, rilevava che i generici apprezzamenti espressi da alcuni testi (tra cui i predetti Naso, Belcamino e Catalano) sui modi irruenti con cui Gentile - nell’ambito dei suoi compiti di responsabile della ricerca dei latitanti - avrebbe eseguito le perquisizioni domiciliari, non avevano trovato rispondenza in specifici fatti emersi dal processo.

Attribuiva, infine, alle frasi rivolte da Contrada a Gentile, un << inequivoco significato intimidatorio", "sintomatico della volontà di incutere… uno stato di soggezione nei confronti dell'organizzazione mafiosa>>.

Concludeva, dunque, (pag. 1201 della sentenza appellata): <>.

****

Le censure riguardanti la vicenda Gentile sono state articolate nelle prime venti pagine del volume VI, capitolo VI dell’Atto di impugnazione (paragrafo VI. 1), e, più diffusamente, nelle 152 pagine del volume XIII dei Motivi Nuovi.

Per ragioni di comodità espositiva, esse possono essere riassunte nei termini che seguono.

Si deduce che la vicenda Gentile maturò, venendo strumentalizzata, in un contesto di incompatibilità e dissapori tra Contrada - cui gli uomini della Squadra Mobile erano legati da vincoli di stima, fiducia, affiatamento, affetto, specie dopo l’uccisione del loro capo Boris Giuliano - ed Impallomeni, frustrato per la sua sostanziale esautorazione e visto come un intruso, un estraneo, un funzionario non all'altezza del compito.

Lo stesso Impallomeni aveva rappresentato questo suo stato d’animo nel corso del proprio esame, assunto all’udienza del 20 maggio 1994, non nascondendo di essersi aspettato una iniziativa disciplinare nei riguardi dell’odierno imputato a seguito dell’episodio. Per raggiungere tale deprecabile fine egli avrebbe sfruttato, snaturandone il senso con basse insinuazioni e menzogne, un fatto di per sé banale ed insignificante (pagina 2 e pagine 143- 147 vol. XIII dei Motivi Nuovi).

La strumentalizzazione della vicenda, il mendacio di Impallomeni, le pressioni esercitate sul giovane funzionario Gentile per fargli redigere una relazione ideologicamente falsa, emergerebbero:



  • dalla non corretta cronologia degli eventi stabilita dal Tribunale, foriera di una loro interpretazione distorta;

  • dalle testimonianze di coloro che avevano riferito di tali pressioni e che avevano percepito l’effettivo contenuto del richiamo indirizzato dall’imputato;

  • dai comportamenti poco ortodossi dello stesso Gentile nella esecuzione dei suoi compiti di ricerca del latitanti, indiretto riscontro della veridicità di tali testimonianze.

Quanto alla cronologia degli eventi, l’incontro Fileccia-Vasquez al Palazzo di Giustizia sarebbe avvenuto non il 12 aprile 1980, ma <>>.

Nella circostanza, l’avv. Fileccia avrebbe messo al corrente il dott. Vasquez delle lamentele pervenutegli dal suo cliente, Salvatore Inzerillo, noto latitante mafioso, per il modo in cui erano state effettuate << frequenti perquisizioni nella sua abitazione ad opera di personale della Squadra Mobile. II legale rappresentò al dott. Vasquez che il motivo delle doglianze dell'Inzerillo consisteva nel fatto che gli uomini della Polizia irrompevano spesso nella sua abitazione, puntando le armi contro la moglie e i figli minori e adottando metodi brutali, comunque non necessitati dalle esigenze operative>> (pag. 1 vol. XIII dei Motivi Nuovi).

Peraltro dagli atti processuali <> (ibidem, pag. 13), e quindi le lamentele di Inzerillo non potevano riferirsi a quella specifica perquisizione.

Come riferito dall’imputato nel corso del proprio esame, l’incontro con Gentile, avvenuto al termine dell’orario di ufficio, sarebbe stato casuale ed estemporaneo, circostanza, questa <53 e sottintesa, indurre il dott. Gentile a desistere o non più impegnarsi nella ricerca di criminali latitanti in genere e di Salvatore Inzerillo in specie.

Qualora ciò fosse stato l'intendimento, di certo il dott. Contrada non l'avrebbe fatto in quel luogo, in quel momento e in quelle circostanze e cioè "coram populi">>.

Ed ancora, <<….il dott. Contrada stava uscendo dall’ufficio in compagnia del dott. Vasquez, il quale si era fatto in precedenza portavoce delle lamentele espresse dall’Inzerillo tramite il suo legale, avv. Fileccia. La concomitante presenza del dott. Gentile e del dott. Vasquez, deve essere stato probabilmente il motivo dell'insorgere del ricordo del problema che gli era stato prospettato e quindi dell'approccio con Gentile, consistente nella domanda se era stato a casa di Inzerillo e se si erano verificati inconvenienti tali da giustificare le lamentele e, comunque, nell’invito o consiglio o esortazione per evitare in futuro il ripetersi di incidenti del genere>> (ibidem, pagine 3-4 e pag. 54).

In altri termini, il Tribunale avrebbe errato nel dare credito alla <<"verità" del dott. Gentile e Impallomeni per la illogicità di un intervento, quello del dott. Contrada che sarebbe stato esperito dopo un notevole numero di perquisizioni e perdippiù svolte nell'arco di un anno circa>> (pag. 8 vol. VI capitolo VI dell’Atto di impugnazione), anzicchè in modo subitaneo, come sarebbe stato plausibile laddove vi fossero stati intendimenti collusivi.

Oltretutto, se davvero vi fosse stato un rapporto collusivo tra l’imputato e Salvatore Inzerillo, questi non avrebbe avuto bisogno della mediazione del proprio avvocato per fare giungere le sue lamentele al loro destinatario.

Quel giudice avrebbe parimenti errato:


  • nel non considerare che Gentile aveva ricevuto pressioni per redigere la relazione di servizio;

  • nel sottovalutare le scuse che l’imputato aveva riferito essergli state rivolte dal giovane collega, dispiaciuto per essere stato costretto a lasciare una traccia formale del fatto (pag. 6 Vol. VI capitolo VI dell’Atto di impugnazione).

Non a caso, del resto, <>(pag. 24 Vol XIII dei Motivi nuovi) .

Ed ancora, il Tribunale non avrebbe considerato che il Questore Immordino si limitò a disporre l'inserimento delle relazioni Gentile ed Impallomeni nel fascicolo personale di Contrada, esistente agli atti della Questura, <

Se avesse, invece, ritenuto che al comportamento integrava estremi di reato avrebbe interessato personalmente o tramite lo stesso dott. Impallomeni, dirigente della Squadra Mobile, la competente Autorità Giudiziaria.

Se avesse considerato che il dott. Contrada aveva posto in essere un comportamento riprovevole nei confronti del dott. Impallomeni o del dott. Gentile o comunque, contrario ai suoi doveri di ufficio, lo avrebbe richiamato o rimproverato o gli avrebbe chiesto chiarimenti in merito>> (pagine 8 e 9 volume XIII dei Motivi Nuovi).

Allo stesso modo, il primo Giudice aveva sottovalutato la circostanza che l’episodio Gentile non era stato trattato dall'Ispettore Generale Zecca - che ne aveva soltanto accennato in uno dei suoi appunti manoscritti - nella relazione redatta a conclusione dell'inchiesta svolta nel giugno 198154, in quanto ritenuto marginale e valutato come mero indicatore del risentimento di Impallomeni per essere stato scavalcato da Contrada, rivoltosi direttamente al suo subordinato e non a lui in violazione del principio gerarchico (pag. 69 Vol. XIII Motivi nuovi).

Inoltre, le modalità poco ortodosse della condotta del dott. Gentile nell’esecuzione delle perquisizioni sarebbero emerse in occasione di un altro episodio, e cioè la perquisizione da lui eseguita ai sensi dell’art. 41 T.U.L.P.S. il 15 marzo 1980 in territorio di Ciaculli presso l’abitazione di Giovannello Greco, collegata ad un fermo eseguito nei confronti dello stesso Giovannello Greco e di Giuseppe Greco, detto “Scarpuzzedda”, noti mafiosi, nelle more trattenuti presso gli uffici della Squadra Mobile.

In tale circostanza, come ricordato anche nella sentenza appellata (pagine 1158 e 1159) il teste dott. Francesco Pellegrino, già funzionario presso la Squadra Mobile di Palermo, aveva ricevuto una lamentela da parte del mafioso Salvatore Greco (padre di Giovannello Greco), il quale aveva asserito che nel corso di quella perquisizione, il dott. Gentile aveva spintonato la figlia “ mettendole le mani addosso”. Anche “Pino” Greco detto “Scarpuzzedda” si era lamentato con lui asserendo che lo stesso Gentile l’aveva spintonato quando egli era stato tratto in arresto.

Ebbene, (cfr. pag. 149 Vol. XIII dei motivi nuovi) : <> il dott. Gentile <

Allora si pone la domanda la cui risposta dà la chiave della corretta interpretazione e valutazione del comportamento e del dott. Gentile e del dott. Impallomeni.

Perché il dott. Gentile, in seguito al richiamo e all' invito o consiglio o esortazione rivoltagli dal suo superiore diretto dott. Pellegrino, a comportarsi in maniera più corretta nei riguardi dei familiari, specie donne dei latitanti, non ha redatto una relazione sull'intervento nei suoi confronti, così come aveva fatto per il dott. Contrada?

Perché non si è sentito turbato o intimidito dalle parole del dott. Pellegrino "cerca un po' di stare attento perché guarda che questa qui insomma è gente....."(inc. nella trascrizione del verbale ma probabilmente la parola è: “pericolosa”)?

La risposta è semplice: perché il dott. Impallomeni non glielo ha chiesto, anzi non glielo ha imposto, in quanto non nutriva sentimenti di astio e rancore nei confronti del dott. Pellegrino e non aveva quindi motivo o interesse alcuno a colpirlo>> così come, invece, aveva fatto nei riguardi dell’odierno imputato.

Ulteriore aspetto evidenziato dai difensori appellanti è stato l’impegno investigativo del loro assistito nei riguardi di Salvatore Inzerillo e la sua cosca, tradottosi nelle indagini espletate per l'omicidio di Di Cristina Giuseppe, per la vicenda Sindona e per l'omicidio del Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Gaetano Costa (pag. 8 Vol. VI capitolo VI dell’Atto di impugnazione e pag. 60 dei Motivi nuovi, ove si riportano le dichiarazioni spontanee rese da Contrada all’udienza del 26 maggio 1995).

*****


Le doglianze sin qui riassunte non hanno fondamento.

Rinviando alla ricostruzione operata dal Tribunale, che ha vagliato in massima parte il materiale logico riversato nell’Atto di impugnazione e nei Motivi nuovi, giova innanzitutto rilevare che la cronologia dei fatti, come prospettata dai difensori appellanti, sconta evidenti forzature.

Ed invero, non sono aderenti alle risultanze processuali le proposizioni difensive secondo cui :


  • l’incontro Fileccia-Vasquez al Palazzo di Giustizia di Palermo sarebbe avvenuto non il 12 aprile 1980, ma <>>;

  • nelle prime ore del mattino del 12 aprile 1980 non vi sarebbe stata alcuna perquisizione presso l’abitazione di Salvatore Inzerillo;

  • questi, piuttosto, si sarebbe lamentato genericamente, per il tramite del suo legale, della frequenza e dei metodi brutali delle perquisizioni nella sua abitazione ad opera di personale della Squadra Mobile;

  • l’incontro Contrada - Gentile, avvenuto al termine dell’orario di ufficio, sarebbe stato casuale ed estemporaneo;

  • il ricordo del problema prospettato dall’avv. Fileccia sarebbe affiorato nella mente dell’imputato in modo altrettanto casuale, e cioè per la concomitante presenza del Gentile e del dott. Vasquez, che avrebbe indotto Bruno Contrada a chiedere al giovane funzionario se fosse stato a casa di Inzerillo e se si fossero verificati inconvenienti.

Ora, premesso che gli stessi difensori appellanti reputano la casualità dell’incontro, correlata alla loro ricostruzione della cronologia dei fatti << di fondamentale importanza al fine di escludere in maniera certa che il dott. Contrada avesse voluto, con parole di intimidazione, esplicita e aperta o servata55 e sottintesa, indurre il dott. Gentile a desistere o non più impegnarsi nella ricerca di criminali latitanti in genere e di Salvatore Inzerillo in specie>> (pagine 3-4 volume XIII dei Motivi Nuovi), vanno pienamente condivise le puntuali considerazioni svolte dal Procuratore Generale, a confutazione del costrutto difensivo, nella memoria depositata il 14 novembre 2005 in questo giudizio di rinvio.

Ed invero, le doglianze di Inzerillo riguardarono non solo il giro di vite adottato dalla Squadra Mobile sotto la direzione di Impallomeni56, con la frequenza ed aggressività delle perquisizioni preordinate alla sua ricerca, ma anche e soprattutto le modalità di una specifica perquisizione: quella compiuta nelle prime ore del mattino del 12 aprile 1980.

Tanto emerge:


  • dall’incrocio delle testimonianze dell’avv. Fileccia (<<prese spunto dall’ultima perquisizione andata oltre i limiti dell’accettabile>>, pag. 11 trascrizione udienza 11.4.1995) , del dott. Vasquez (<<era stata fatta una perquisizione alla sua villetta...>>: pag. 8 trascrizione udienza 10-1-95), e del sottufficiale Biagio Naso;

  • dalle relazioni di servizio e dalle testimonianze di Gentile e di Impallomeni;

  • dalla nota in data 11 maggio 1980 a firma del Questore Immordino.

Segnatamente, l’avv. Fileccia ha riferito (pagine 7-8-11-12 e 26 della trascrizione : <<Un giorno Inzerillo è venuto da me lamentandosi per i modi violenti con i quali la polizia irrompeva, addirittura scavalcando l'inferriata con i mitra, in questa villa dell'Inzerillo e faceva spaventare e la moglie e i bambini (…)

P.M.: Quindi non fece riferimento ad una perquisizione. La prego di rispondere, non fece riferimento ad una perquisizione.

FILECCIA C.: No, no, pero' prese spunto di intervenire presso di me, perche' i giorni prima c'era stata una perquisizione, dice che era stata... era andata oltre i limiti dell'accettabile>>.

Orbene, come rilevato dal Procuratore Generale nella già citata memoria <giorni prima”, omettendo la “i, come si fa a pag. 64 del vol.13 dei motivi nuovi) sembra doversi leggere come “il giorno prima”, perché diversamente non avrebbe senso l’uso dell’articolo determinativo plurale innanzi al sostantivo giorni>>.

In ogni caso, le lacune mnemoniche dell’avv. Fileccia sono state colmate dalla testimonianza della guardia Biagio Naso, il quale partecipò alla perquisizione, da lui collocata nello stesso giorno del colloquio Contrada – Gentile, o, più esattamente, la notte tra l’undici ed il 12 aprile (pag. 104 trascrizione udienza 13-1-95), e cioè il 12 aprile 1980.

Soggiunge il Procuratore Generale (pag. 7 della citata memoria), riferendosi alle relazioni Gentile ed Impallomeni, che in esse << non si fa menzione della data, ma proprio per questo dal tenore complessivo del discorso si ricava che nel colloquio Gentile-Contrada e in quello Contrada-Impallomeni non si parlò di date perché non ce n’era bisogno, riferendosi all’evidenza gli interlocutori alla perquisizione recentemente effettuata.

Diversamente, l’imputato non avrebbe potuto puramente e semplicemente chiedere a Gentile “se fossi andato a fare una perquisizione... e se in quella occasione agenti armati di mitra...” né questi avrebbe potuto, altrettanto puramente e semplicemente, obiettare “che tutta l’operazione era diretta alla presenza della S.V.” (di Impallomeni) : ma avrebbe dovuto chiedere, ad esempio, “se quattro giorni fa, cinque giorni fa, una settimana fa fossi andato a fare una perquisizione e se...” etc. etc.

Tutto ciò è perfettamente aderente a quanto dichiarato da Gentile al dibattimento circa un rapporto di immediatezza dell’intervento di Contrada rispetto all’espletato atto di ricerca del latitante>>.

D’altra parte, come anche rilevato dal Tribunale, la circostanza che della perquisizione in parola non fosse stato fatto un verbale non è significativa, stante il minor rigore formale all’epoca adottato nella documentazione di operazioni di Polizia, specie se conclusesi con esito negativo57.

Piuttosto, nel fascicolo personale dell’Inzerillo è contenuto il processo verbale di vane ricerche eseguito nell’abitazione del predetto in data 9/4/1980, e cioè appena tre giorni prima della perquisizione eseguita da Gentile ed Impallomeni che aveva tanto “disturbato” il latitante Inzerillo.

Da tale verbale, tuttavia, si evince che si trattò di altra perquisizione, perché in esso non risultano apposte né la firma di Gentile, né quella di Impallomeni (pag. 1199 della sentenza appellata).

Infine, decisivi elementi di giudizio circa la datazione della perquisizione emergono dalla già menzionata nota riservata al capo della Polizia in data 11 maggio 1980, con cui il Questore Immordino accompagnò le relazioni di Gentile ed Impallomeni. In essa quale si parla espressamente di una “perquisizione eseguita la sera prima” rispetto alla conversazione Gentile-Contrada del 12-4-80: <<L’attuale “tranquillità” del V. Questore Contrada potrebbe derivare da un tipo di inattività sostanziale che “tranquillizza” certi settori (tu non attacchi-noi non attacchiamo); in un tale quadro di logorio psicologico potrebbe trovarsi la spiegazione di un fatto, certamente grave e sintomatico, denunziato in una relazione dal Commissario Gentile il quale, la sera prima, aveva eseguito ricerche e perquisizioni nella casa del latitante Inzerillo Salvatore>>.

Individuata, dunque, nel 12 aprile 1980 la data della perquisizione di che trattasi, va ricordato che il teste Vasquez ha riferito di avere incontrato l’avv. Fileccia <>, precisando <<...e, rientrato in ufficio, ne parlai con Contrada>> (pag. 8, trascrizione udienza 10-1-95).

Poiché la perquisizione avvenne la notte tra l’11 e il 12 aprile, e la sera del 12 aprile Contrada già poté parlarne a Gentile, la mattina non può che essere quella del 12 aprile, e dunque deve concludersi che Vasquez ne riferì a Contrada quella stessa mattina.

Ne risulta, come rilevato alle pagine 8 e 9 della già citata memoria del Procuratore Generale, travolta << ab imis la tesi della non-immediatezza dell’intervento di Contrada, che poggia sulla retrodatazione della perquisizione e sul conseguente stiramento all’indietro dei tempi della visita di Inzerillo a Fileccia, dell’incontro Fileccia-Vasquez, del riferire di Vasquez a Contrada.

L’intervento di Contrada su Gentile non fu, dunque, il frutto della occasionale e contestuale presenza di Gentile e Vasquez, che fece ricordare all’imputato quanto riferitogli da quest’ultimo alcuni giorni prima, ma è, invece, il naturale epilogo del recentissimo apprendimento da parte di Contrada delle lagnanze di Inzerillo riferitegli da Vasquez>>.

Tale conclusione, indicativa della estrema celerità dell’agire dell’imputato, è corroborata dalla prova di una <> svolta dallo stesso Contrada <responsabile della perquisizione>> (pag. 10 della citata memoria del PG).

Il teste De Luca, infatti, ha riferito di avere saputo da Contrada e da Vasquez che l’Inzerillo ed i suoi familiari si erano lamentati, in particolare, del comportamento di un “giovane funzionario” (pag. 160 trascrizione udienza 28.10.1994).

Orbene, risulta che l’odierno imputato interpellò due giovani funzionari prima di Gentile a proposito delle lamentele di Inzerillo, e cioè il dott. Filippo Peritore, all’epoca ventinovenne, essendo nato il 25.12.1950, ed il dott. Girolamo Di Fazio, nato il 23 giugno 1948.

Il dott. Peritore, escusso quale teste all’udienza del 24 gennaio 1995, ha riferito che << ...il dott. Contrada, non ricordo in che circostanza di tempo e di luogo, mi disse se avevo effettuate perquisizioni o ricerche di latitanti. Io confermai e mi disse anche se c’erano stati problemi...io dissi che non c’era stato nessun problema e chiesi spiegazioni...Disse “no...visto che non sei tu, va be’, ne parlerò con l’interessato”...Poi ho saputo, così , da vicende che sono successive,che la stessa cosa era stata fatta ad altro mio collega, dott. Girolamo Di Fazio e al dott. Gentile>>.

Anche in questo caso, come rilevato dal Procuratore Generale nella citata memoria del 14 novembre 2005, il processo ha offerto gli elementi necessari a contestualizzare il ricordo del testimone, il quale, peraltro, ha collegato la richiesta di informazioni a lui rivolta con le analoghe richieste dirette a Di Fazio e Gentile .

Ed invero, nella relazione redatta il lunedì 14 aprile 1980, il dott. Gentile scrisse : << Nel pomeriggio di oggi, la guardia Naso della Sez. Catturandi mi informava che nel pomeriggio di sabato (cioè del 12 aprile, n.d.r.) anche lui fu chiamato dal Dott. CONTRADA il quale gli chiese circa l'operazione compiuta presso l'abitazione dell'INZERILLO>>.

Biagio Naso, rileva il Procuratore Generale (pag. 11 della memoria) <<è uno degli agenti che parteciparono alla perquisizione, tanto che ne ha descritto le modalità al Tribunale. E’ troppo ovvio, pertanto, che egli – quel pomeriggio del 12 aprile – poté fornire all’interpellante l’esatta identità del giovane funzionario, sicché deve ritenersi che l’interrogazione di Peritore e di Di Fazio sia avvenuta dopo il rientro in ufficio in mattinata di Vasquez e prima del pomeriggio in cui fu interrogato Naso: cioè con un operare fulmineo..>> che costituisce il nucleo essenziale del ricordo narrato dal dott. Gentile nel corso del proprio esame.

Soggiunge il Procuratore Generale <beccare da solo il secondo>>.

Quest’ultima notazione offre il destro per escludere che, come invece opinato dalla Difesa, l’imputato avesse rivolto le sue “raccomandazioni “ in un contesto incompatibile con il loro contenuto intimidatorio.

Il colloquio, infatti, seppure percepito da altri soggetti a pochi metri di distanza, avvenne a tu per tu: l’imputato, recita la relazione del 14 aprile 1980 si avvicinò a Gentile, e lo fece dopo che si era allontanato il dott. Impallomeni, cioè l’unica figura estranea al vecchio apparato della Squadra Mobile, che si riconosceva in lui. Il comprovato carisma di Contrada, dunque, pur non impedendo che Gentile percepisse l’anomalia del suo comportamento, ben poteva influenzare tale percezione nei presenti.

Ciò, per contro, non avvenne nei riguardi del Questore Immordino.

Quest’ultimo, infatti, trasse spunto anche dall’episodio in esame per formulare il giudizio di immobilismo dell’imputato nei riguardi del sodalizio mafioso che - all’esito del blitz del 5 maggio 1980 - ispirò il suo appunto riservato al Capo della Polizia. In tal modo, egli dimostrò di non ritenere l’accaduto per nulla banale, come invece ha opinato la Difesa sul rilievo che egli non avrebbe dato immediato seguito alle relazioni Gentile ed Impallomeni del 14 e del 15 aprile 1980.

E’ significativo, inoltre, che - una volta insediatosi, quale dirigente della Squadra Mobile il dott. Impallomeni, fautore del metodo di martellare i latitanti con continue perquisizioni domiciliari, anche solo per raccogliere elementi utili alla loro ricerca 58 - la pratica di scavalcare i cancelli o le inferriate fosse stata percepita come un fatto anomalo, o comunque come un elemento di novità, tanto che Salvatore Inzerillo se ne lamentò col suo legale indicando in Contrada, già dirigente ad interim della Squadra Mobile sino al primo febbraio 1980, il destinatario delle sue doglianze.

Altrettanto emblematiche di un modus operandi ben diverso ed assai meno incisivo di quello invalso con la dirigenza Impallomeni sono state le risposte, francamente discutibili, date dal teste Biagio Naso sul “bon ton” delle perquisizioni domiciliari, risposte riportate a pag. 115 del Volume XIII dei Motivi nuovi:



<<La perquisizione si svolse come di solito, era il suo carattere, un po’ dinamico, un po’ violento. "Entrando all'interno comincia a spingere la signora, poi c'era un ragazzo, mi sembra il figlio,e lui (Gentile) lo spingeva, è entrato improvvisamente nelle stanze si comportava in questo modo>>.

Alla obiezione del Presidente: <<Che cosa significa entrare improvvisamente nelle stanze? Non si deve cercare un latitante? Chi si deve avvisare per entrare nelle stanze? Allora si bussava prima di entrare?” , Naso ha così risposto: “No, però si può trovare…Noi eravamo un pò più garbati nel senso che entravamo all'interno prendendo delle precauzioni però spesso capitava di trovare donne nude e quindi noi questo spettacolo lo volevamo evitare e quindi si tollerava un po'”…” Non si bussava, si chiedeva alla persona che era vicina a noi se c 'erano donne o meno all’'interno e se non c 'erano donne si faceva l'irruzione”)>>.

Né appare troncante la considerazione, che, anche bussando ai citofoni ed attendendo che le donne fossero nelle condizioni di aprire le stanze da letto, comunque il buon esito delle perquisizioni e delle ricerche dei latitanti era assicurato dalla prassi di circondare l’immobile oggetto della perquisizione e della ricerca (secondo le parole del teste Belcamino :<< E allora, si predispongono gli uomini, si circonda l'isolato, la casa, l'appartamento, dipende, dipende il piano pure, se e' pianoterra, primo piano eccetera eccetera, una volta che si ha la certezza che non può scappare nessuno, a meno che non ha un cunicolo e se ne va (?) a due chilometri di distanza, allora si suona alla porta tranquillamente>>.

In primo luogo, infatti, questi accorgimenti non sempre vennero adottati, persino in costanza della dirigenza Impallomeni (si pensi alla operazione del 30 aprile 1980, condotta presso l’abitazione al piano attico dell’edificio sito a Palermo, nella via Jung n° 1, alla quale, proprio perché non veniva aperta la porta, tanto da rendersi necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco, riuscì a sfuggire Rosario Riccobono, operazione di cui ha riferito il teste Gianfranco Firinu all’udienza del 7 luglio 1995).

In secondo luogo, non è certo che, circondando gli immobili, i latitanti non riuscissero comunque a nascondersi, sfuggendo ad operazioni, non sufficientemente penetranti, di ricerca all’interno delle abitazioni.

Tutto ciò non dimostra - è bene sottolinearlo - che in epoca precedente all’avvento di Impallomeni fossero invalsi metodi scientemente concepiti a vanificare il buon esito dell’attività di ricerca dei latitanti. Più semplicemente, il minor livello di tolleranza e la maggiore decisione ed aggressività “del nuovo corso” misero in allarme Salvatore Inzerillo, che, dunque, si determinò ad indirizzare le sue rimostranze all’odierno imputato, individuandolo quale suo referente.

Per altro verso - posto che la natura di atto a sorpresa delle perquisizioni non sempre si concilia con il rigoroso rispetto dei dettami di Giovanni Della Casa o di Baldesar Castiglione, e che una spinta può essere giustificata dalla necessità di superare un ostacolo frapposto al loro buon esito - il Tribunale ha dato ampia contezza della genericità ed inconsistenza degli addebiti riguardanti i pretesi comportamenti arbitrari del dott. Gentile.

Ha dato conto, altresì, del carattere pretestuoso delle lamentele avanzate dai destinatari di esse (cfr. pagine 1170-1183 della sentenza appellata, cui si rinvia) con specifico riguardo alle lamentele per la perquisizione domiciliare presso l’abitazione del mafioso Giovannello Greco.

I difensori appellanti hanno fatto riferimento a quest’ultima perquisizione, sottolineandone le analogie con la vicenda Gentile, ma soprattutto le differenze rispetto ad essa; differenze, a loro avviso, sintomatiche della falsità delle relazioni e delle testimonianze del dott. Gentile e del dott. Impallomeni.

Hanno rimarcato, come si è già detto, che il dott. Gentile, pur <> dal dott. Francesco Pellegrino <> (cfr. pag. 149 Vol. XIII dei Motivi nuovi), suscitate da uno spintone che egli avrebbe dato ad una donna che gli impediva l’ingresso (cfr. pag. 1181 della sentenza appellata), non aveva redatto una relazione sull'intervento del dott. Pellegrino nei suoi confronti, così come, invece, aveva fatto per Contrada.

Hanno ritenuto di spiegare tale condotta con il fatto che Impallomeni non glielo avrebbe chiesto, anzi non glielo avrebbe imposto,<< in quanto non nutriva sentimenti di astio e rancore nei confronti del dott. Pellegrino e non aveva quindi motivo o interesse alcuno a colpirlo>>.

E’ agevole obiettare, a questo riguardo, che il rilievo prova troppo. Nella deposizione del teste Pellegrino, infatti, non vengono evocati né l’uccisione di Boris Giuliano, né il “Memento homo, quia pulvis es” che segnano pesantemente l’avvertimento del 12 aprile 1980 sulla forza e la articolazione tentacolare dell’organizzazione mafiosa; avvertimento per nulla necessario al mero fine di richiamare l’attenzione di un funzionario meno esperto sull’importanza data, nel sentire mafioso, al rispetto del pudore sessuale delle donne o della serenità dei bambini.

Questione decisiva, dunque, è quella della attendibilità delle testimonianze sull’effettivo contenuto del colloquio.

Il teste Biagio Naso, già appartenente alla neo costituita sezione “Catturandi” diretta dal dott. Gentile, all’udienza del 13 gennaio 1995 ha riferito di avere ascoltato il colloquio tra Contrada e lo stesso Gentile, traendone il convincimento che l’imputato, nella sua qualità di funzionario anziano, avesse dato dei consigli su come operare per evitare di dare “spettacolo gratuito” ai familiari dei latitanti: si era trattato, cioè, di una “paternale” (pag. 180 della trascrizione, identico sostantivo è stato utilizzato dal teste Corrado Catalano), fatta ad un funzionario più giovane .

Ha soggiunto di ricordare che a quella discussione aveva assistito il defunto maresciallo Trigona, ma non chi fossero gli altri presenti, ed in particolare se vi avesse assistito il dott. Vasquez (ibidem, pagine 185-186-188-189); di non avere mai parlato con Gentile dell’intervento di Contrada (al contrario di quanto si afferma nella relazione Gentile); di essere stato, tuttavia, stato avvicinato anche lui dall’imputato, che gli aveva chiesto notizie sulle modalità di svolgimento della perquisizione in casa Inzerillo (particolare anch’esso riportato nella predetta relazione - cfr. pag. 186 della trascrizione).

La asserita presenza del teste Naso - della quale non ha parlato l’imputato - è stata confermata dal teste Francesco Belcamino, escusso all’udienza del 20 gennaio 1995, che tuttavia nessun altro teste ha indicato come presente a quel colloquio.

Per contro, lo stesso Gentile, nel corso del suo esame, ha dichiarato che l’incontro con Contrada era avvenuto alla presenza del Maresciallo Trigona (ora deceduto) e che, a breve distanza, vi erano altre persone di cui non è stato in grado di ricordare l’identità.

Ha escluso, comunque, che a quel colloquio fosse stato presente Biagio Naso, citato nella sua relazione, che invece aveva partecipato alla perquisizione in casa Inzerillo ( cfr. pag. 109 trascrizione udienza 20 maggio 1994: <


>).

Orbene, come rilevato dal Procuratore Generale a pag. 19 della memoria del 14 novembre 2005, alla domanda del Presidente: <<Senta, prima che lei assistesse a questo colloquio tra il dottore Contrada e il dottore Gentile, Contrada, le aveva chiesto come si era svolta la perquisizione quella mattina...>>, Naso ha risposto <<No. Preciso: dopo la discussione... il dott. Gentile si è allontanato.... il dott. Contrada si è avvicinato e mi ha chiesto come era andata effettivamente la perquisizione ... io gli risposi che era andata alle solite>> (pagg. 186-187 della trascrizione).

Senonchè l’imputato aveva indicato proprio in Biagio Naso la persona che, oltre l’avv. Fileccia, lo aveva informato delle irregolarità commesse nella perquisizione presso il domicilio di Salvatore Inzerillo.

Ora, nella parte conclusiva della relazione Gentile del 14 aprile 1980 si dice espressamente - e su questo aspetto non vi sarebbe stata ragione o necessità alcuna di mentire - <<Nel pomeriggio di oggi, la guardia Naso della Sez. Catturandi mi informava che nel pomeriggio di sabato anche lui fu chiamato dal Dott. CONTRADA il quale gli chiese circa l'operazione compiuta presso l'abitazione dell'INZERILLO.>>

A ben guardare, inoltre, tutto il costrutto difensivo muove dal presupposto che questa informazione fosse stata raccolta prima, non dopo la conversazione con il giovane funzionario (che costituì, come si è visto, l’epilogo della personale indagine condotta da Contrada).

I difensori appellanti, infatti, commentando la relazione di Impallomeni in data 15 aprile 1980, laddove si dice che l’imputato, interpellato sul colloquio con Gentile, avrebbe indicato quali sue fonti di conoscenza << Vasquez, informato a sua volta da un avvocato>> ed un'altra persona di cui non mi ha fornito il nome>>, hanno bollato la seconda parte della proposizione come una “perfida insinuazione”, preordinata ad << adombrare il sospetto che l'altra persona fosse "un mafioso" di cui il dott. Contrada non poteva e non voleva fornire il nome>>.

Hanno soggiunto : << La verità è che al dott. Contrada, come del resto anche ad altri funzionali della Mobile, le notizie sul comportamento del dott. Gentile erano pervenute da più persone, non da una sola persona, e cioè dagli uomini che avevano operato con il funzionario, tra cui anche l'allora Guardia Naso Biagio>> cfr. pag. 23 Vol. XIII dei Motivi nuovi).

I medesimi difensori, infatti, hanno ribadito (pag. 28, ibidem), parificando le fonti indicate da Contrada: <>.

Per non dire che risponde anche ad un criterio di buon senso che l’imputato attingesse informazioni prima di consigliare paternamente Gentile e non dopo averlo consigliato.

Dunque, se non è vera l’affermazione del teste Naso di essere stato interpellato da Contrada dopo il colloquio con Gentile, deve inferirsi:



  • che è credibile l’affermazione del teste Gentile, come lo è l’insieme della sua testimonianza, che Biagio Naso non fu presente al suo colloquio con l’imputato;

  • che non sono attendibili le dichiarazioni dello stesso Naso, il quale, all’udienza del 13 gennaio 1995, ha escluso, prima con la riserva di un “che io sappia” poi in modo categorico (“assolutamente”), che fossero state pronunziate le parole riportate nella relazione Gentile (cfr. il testo riportato a pag. 12 del volume VI, capitolo VI dell’Atto di impugnazione: <>).

Ulteriore prova della inattendibilità di Biagio Naso è data dall’incrocio tra la sua testimonianza e le relazioni:

  • dello stesso Naso, redatta il 14 gennaio 1993 ed indirizzata al Questore di Messina, (riprodotta alle pagine 118 e 119 del volume XIII dei Motivi nuovi)

  • dell’Ispettore Corrado Catalano, anch’essa del 14 gennaio 1993, riprodotta a pag. 127 del volume XIII dei Motivi nuovi e prodotta nel primo dibattimento di appello all’udienza del 6 febbraio 1999, fogli 239 e 390.

L’incipit della prima recita << in relazione a quanto apparso ieri su "II Giornale" di Milano e precisamente sulla relazione ivi scritta del dott. Renato Gentile, il quale mi chiama in causa, ritengo doveroso chiarire quanto segue>>.

Nel corpo di essa, Naso non menziona in alcun modo la sua presenza al colloquio Contrada-Gentile, che, invece, sarebbe stato naturale esplicitare: << Nel particolare caso che cita il Dott. Gentile, debbo smentire quanto asserito dallo stesso. E' possibile, invece, che trovandomi a discutere della questione avrò detto che il Dott. Contrada ci aveva sempre raccomandato di evitare inopportuni comportamenti bruschi come sopra specificato, soprattutto irruzioni irruente nelle camere da letto dove si trovano a dormire le donne>>.

Piuttosto, le raccomandazioni di Contrada sulla conduzione delle perquisizioni vengono inquadrate in una prospettiva di carattere generale, avulsa dal singolo episodio, del tutto opposta a quella delineata nella relazione Gentile.

E’ plausibile, allora, che Biagio Naso intenda smentire la specifica circostanza a proposito della quale Gentile lo <<chiama in causa>>, e cioè di avere detto al funzionario che nel pomeriggio di sabato 12 aprile Contrada lo aveva convocato per avere notizie circa l’operazione compiuta presso l’abitazione di Salvatore Inzerillo.

La seconda relazione, quella a firma Catalano introduce un elemento che il teste Naso aveva escluso essere stato menzionato dall’imputato nel suo colloquio con Gentile, e cioè l’ammonimento relativo all’uccisione di Boris Giuliano, sia pure rammentato in modo dubitativo, e però rafforzato dall’ulteriore evocazione dell’uccisione del vicebrigadiere della Polizia di Stato Filadelfo Aparo59: <<In merito al fatto specifico della relazione di cui sopra nei confronti del Dott. Contrada, debbo far presente che alcuni giorni dopo, mentre mi trovavo all'interno di un'autovettura di servizio col Dott. Gentile col quale ci accingevamo ad uscire dalla Caserma Cairoli, notai che questi, insolitamente, era triste e depresso. Chiesi il perché del suo inconsueto cattivo umore ed egli mi riferì, in dialetto napoletano, le seguenti testuali parole "Sono uno stronzo..... mi hanno obbligato a fare una relazione contro il Dott. Contrada che io non volevo fare".

Chiesi spiegazioni ed egli mi rispose di essere stato, come al solito, redarguito dal suo amico nonché concittadino. Dott. Contrada in quanto dei familiari del ricercato INZERILLO Salvatore, tramite il loro difensore di fiducia, si erano lamentati per presunte violenze subite durante una perquisizione nella loro abitazione.

Aggiunse anche che il Dott. Contrada bonariamente lo aveva solo consigliato a comportarsi più correttamente onde evitare possibili rappresaglie, considerando il fatto dell'uccisione del V. Brg. Aparo Filadelfo o e, presumibilmente, anche quella del Dott. Giuliano>>.

D’altra parte, il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni di Biagio Naso - dovuto anche alla loro genericità, efficacemente stigmatizzata dal Tribunale - è sovrapponibile a quello sulle testimonianze dello stesso Corrado Catalano e di Francesco Belcamino.

Il Catalano, nel corso della sua testimonianza, ha riferito di avere avuto confidato da Gentile di essere stato minacciato dall’imputato affinché non facesse perquisizioni nei confronti di mafiosi; circostanza che, come fatto rilevare dal Presidente al teste, non emerge dal tenore letterale della relazione Gentile del 14 aprile 1980 (pag. 1186 della sentenza appellata).

Il medesimo teste, inoltre, premesso di avere partecipato a due, tre, massimo quattro servizi di Polizia, in occasione di posti di blocco o perquisizioni, unitamente al dott. Gentile, e dopo averne definito il metodo di lavoro “ a dir poco pessimo”, ha dichiarato << ….io spesso, vista che c’era questa confidenza, ci davamo del tu quando eravamo da soli che non c’erano altri funzionari, per via gerarchica cercavo di dirglielo - dottore ma lei si comporta male veramente!…>> (cfr. pag. 1184 della sentenza appellata, ove si cita pag. 216 della trascrizione dell’esame reso il 20 gennaio 1995).

In tal modo, egli ha operato un involontario trapasso dal “tu” al “lei”, che nelle conversazioni private non avrebbe avuto alcun ragione di esistere laddove quel rapporto confidenziale - negato dal Gentile in sede di esame e di confronto - ci fosse stato davvero.

Non pertinente, per questa ragione, è l’osservazione difensiva, svolta pag. 20 del Volume VI, capitolo VI dell’atto di impugnazione secondo cui << Ogni commento è davvero superfluo su questo punto della motivazione dopo la precisazione del Catalano che il "tu" tra di loro era riservato solo al "privato" ed un confronto avanti un Tribunale non può certo ritenersi un momento "privato">>.

A ben guardare, infatti, il Catalano si è lasciato scappare il “lei” anche al di fuori del pubblico confronto, e cioè nel passaggio della sua testimonianza che il Tribunale ha citato, ove viene narrato nella forma della costruzione diretta il contenuto della conversazione confidenziale avuta con Gentile, così come nel successivo passaggio a pag. 227 della trascrizione (“Ed io ci dissi: ma scusa perché lei non gliel'è andato a dire...”>>).

Lo stesso Catalano, d’altra parte, nella già citata relazione di servizio del 14 gennaio 1993, narrando della confidenza del dott. Gentile, riferisce che Impallomeni avrebbe detto al giovane funzionario: <<Metti per iscritto i precisi termini del colloquio>>, e cioè gli avrebbe ordinato di esporre i fatti come realmente accaduti e di riportare secondo il loro tenore testuale le frasi pronunziate.

Se ne evince che le “pressioni” operate dal dott. Impallomeni riguardarono, per così dire, l’estrinseco della vicenda, cioè la richiesta di lasciare una traccia formale del fatto, che Gentile avrebbe volentieri fatto a meno di lasciare, ma non l’intrinseco del colloquio.

Risulta non credibile, in definitiva, l’affermazione, resa dal Catalano in sede di esame, di avere avuto confidato da Gentile non solo che la relazione gli sarebbe stata imposta, ma che il suo contenuto era falso;affermazione che il teste ha confermato nel corso del confronto con lo stesso Gentile, svoltosi all’udienza del 26 maggio 1995.

Quanto al teste Belcamino, al di là del supporto offerto alla testimonianza (inattendibile) di Biagio Naso, non possono non rimarcarsi la estrema vaghezza, la genericità,e persino l’erroneità del suo ricordo, già evidenziate dal Tribunale alle pagine 1178-1180 della sentenza appellata.

Egli, infatti, dopo avere definito “comportamento poco urbano” quello abitualmente adottato da Gentile in occasione di perquisizioni volte alla cattura di latitanti, ha ricordato un’unica perquisizione eseguita insieme a lui (risultata, poi, essere quella nei confronti di Giovannello Greco), effettuata nella zona di Ciaculli, ed ha sostenuto che il richiamo di Contrada nei confronti di Gentile si sarebbe verificato a seguito di essa.

La stessa descrizione del colloquio del 12 aprile 1980 tra Contrada e Gentile - ammesso che il teste vi abbia mai assistito - trascolora nella mera valutazione di esso, che non può escludersi sia stata condizionata dalla stima riposta nell’odierno imputato e dal carisma da lui esercitato nei riguardi dei suoi vecchi collaboratori: il Belcamino, infatti, ha ammesso di non essere in grado di ricordare le precise parole pronunciate da Contrada, limitandosi a sostenere che si era trattato di un consiglio rivolto a Gentile in ordine al modo di trattare i familiari dei latitanti (cfr. ff. 134 trascrizione udienza 20 gennaio 2005).

La tesi degli affettuosi, paterni consigli è stata sostenuta dal teste Vittorio Vasquez all’udienza del 10 gennaio 1995. Tuttavia, non è causale, ad avviso di questa Corte, che la risposta alla prima domanda rivoltagli sul contenuto delle espressioni usate sia stata agganciata ad un giudizio sullo “stile di Contrada”, poi decodificato nel ricordo del senso del colloquio, come percepito dallo stesso dott. Vasquez (cfr. nel testo riportato a pag. 76 del Volume XIII dei Motivi nuovi: << Lei era presente quando il dott. Contrada parlò con il dott. Gentile… Lei ricorda se Contrada intimò a Gentile di non fare più perquisizioni, se riferì di paure, dì preoccupazioni, che potessero venire anche da fuori, da oltre oceano, dì grande mafia che poteva essere in contatto con Contrada, che poteva essere il suo porta - voce".



Risposta : "No, lo escludo, sia perché non ritengo che sia nello stile di Contrada dire di queste cose, specialmente a un giovane funzionario, ma poi i termini in cui fu fatto il discorso furono quelli cioè, insomma, è inutile, se non e 'è motivo, è inutile che uno se ha comportamenti inutili, cercare di evitarli" (pag. 10 cit. ud.)>>.

Successivamente, la paziente opera maieutica dei difensori ha intercettato il tema del “tono” del discorso :<< Domanda :"..... torno all'argomento Gentile, io vorrei sapere il tono del discorso di Contrada che furono ingiunzioni, comandi, inviti perentori a rispettare i mafiosi o furono solo dei consigli da buon padre di famiglia" . Risposta : furono consigli, furono suggerimenti che lui dava ad un collega piu’ giovane, in sostanza, tralasciare certi atteggiamenti, comportamenti, erano da ritenere inutili" (pag. 28 ud. cit.)>>.

Nel prosieguo del suo esame, infine, (pag. 65 trascrizione udienza 10 gennaio 1995) il teste ha escluso di avere sentito le espressioni, riportate nella relazione Gentile, “personaggi mafiosi che hanno allacciamenti con l'America ", "noi organi di polizia non siamo che polvere di fronte a questa grande organizzazione mafioso ", "hai visto che fine ha fatto Giuliano? ".

Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che il riferimento alla uccisione di Boris Giuliano è stato fatto, come si è visto, da altro teste della Difesa, e cioè l’Ispettore Corrado Catalano, sia pure a proposito della presunta confidenza che gli sarebbe stata fatta dal dott. Gentile in ordine alla strumentalizzazione di quella espressione.

Va, inoltre, evidenziato che il teste ha mostrato una non rassicurante imprecisione di ricordi, giacchè:


  • non è stato in grado di rammentare se il colloquio fosse avvenuto la sera stessa del giorno in cui egli aveva incontrato l’avv. Fileccia e ne aveva riferito a Contrada (particolare che, plausibilmente, avrebbe dovuto restargli impresso, e del quale non aveva fatto neanche menzione nella relazione a sua firma del 27/6/1981 su questo argomento, allegata alla relazione redatta in data 19/11/1981 dall’Ispettore Gen. della P.S. Guido Zecca);

  • non ha ricordato altri soggetti presenti, in quello specifico frangente, se non il dott. Ignazio D’Antone (ricordo errato, avendo lo stesso D’Antone smentito la circostanza all’udienza del 14/7/1995).

La stessa relazione Vasquez del 27/6/1981, del resto, più che fotografare i termini del colloquio, tende a rappresentarne quello che l’estensore ritenne esserne stato lo spirito: <<nell’occasione il dott. Contrada consigliò al dott. Gentile, che da pochi giorni prestava servizio alla Mobile, di usare sì cautele e precauzioni in servizi di cattura di boss di mafia, ma di non assumere o far assumere al personale atteggiamenti non adeguati alle esigenze nei confronti delle mogli e dei figli minori dei latitanti>>.

In sintesi, l’esclusione del significato intimidatorio delle espressioni usate appare il precipitato, da una parte, di una personale valutazione del teste, inevitabilmente condizionata dalla stima, dall’affetto, dalla fiducia per l’amico ed il collega; dall’altra, del generale clima di ostilità e diffidenza creatosi nei confronti di Impallomeni, la cui nomina, peraltro, aveva avuto ricadute dirette sulla carriera dello stesso Vasquez (aggregato, all’epoca del fatto, al centro Criminalpol di Palermo, diretto da Contrada, avendo dovuto lasciare il servizio alla Squadra Mobile, di cui era vice dirigente, per la incompatibilità della sua permanenza in quell'ufficio con la nomina a dirigente dello stesso Impallomeni, rispetto al quale vantava una maggiore anzianità di servizio).

Nemmeno la testimonianza di Vasquez, dunque, è valsa a radicare il dubbio che la relazione Gentile fosse ideologicamente falsa.

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, non può che essere condivisa la valutazione, operata dal Tribunale, di piena attendibilità sia delle relazioni, redatte nell’immediatezza, sia delle testimonianze di Gentile ed Impallomeni (pagine 1194 e 1995 della sentenza appellata).

In tale cornice - assodato che Gentile redasse la sua relazione perché richiesto di farlo dal suo superiore gerarchico - coglie nel segno il Tribunale laddove afferma : << Altrettanto inverosimile è, poi, quanto dedotto dall’imputato che, per accreditare l’ipotesi difensiva della costrizione dello stesso Gentile, ha sostenuto di avere ricevuto da quest'ultimo, nell’immediatezza del fatto, la confidenza in ordine alle pressioni subite per scrivere quella relazione, per la quale avrebbe ritenuto di scusarsi proprio perchè non corrispondente alla realtà.

La circostanza oltre ad essere stata smentita con decisione dal teste Gentile è logicamente insostenibile perchè in tal caso il dott. Contrada pur avendo acquisito la prova di un reato commesso ai danni suoi e del predetto funzionario non avrebbe ritenuto di reagire in alcun modo all’asserito abuso>> (ibidem, pag. 1196).

Anzi, come precedentemente rilevato dallo stesso Tribunale (ibidem, pag. 1161) <ho appreso, acquisendone la prova, che nel mese di Maggio dell’anno scorso il dott. Giuseppe Impallomeni, dirigente della Squadra Mobile, ha inviato al Questore di Palermo dell’epoca dott. Vincenzo Immordino, una relazione di servizio a firma del dott. Renato Gentile, funzionario della Squadra Mobile, contenente gravissime e calunniose accuse nei miei confronti, tra cui quella di avere esercitato pressioni per impedire la cattura di un noto mafioso latitante. Poichè è mio intendimento promuovere azione giudiziaria contro i responsabili, prego la S.V. di farmi avere copia di detta relazione e dell’eventuale altra documentazione concernente l’argomento o, in linea subordinata, di poterne prendere visione>>.

Il ritardo con cui Contrada ritenne di chiedere contezza del contenuto della relazione Gentile non è un fatto banale, correlato alla mancata conoscenza del suo esatto contenuto, quantomeno se si presta credito all’affermazione, resa nel corso del proprio esame dal teste Vasquez, di aver saputo - pur non avendola mai letta - che la relazione stessa "aveva un riferimento all’'intervento del dott. Contrada, almeno per quello che ricordo io, con cui veniva detto di non andare a fare perquisizioni a casa di Inzerillo Salvatore" (pag. 60 trascrizione udienza)”.

Se cioè, constava al teste Vasquez - così come ha riferito di avere saputo anche il teste Corrado Catalano - la voce che il dott. Gentile avesse scritto di essere stato ammonito a non fare perquisizioni a casa Inzerillo - è impensabile che una voce del genere non fosse pervenuta anche all’orecchio dell’imputato.

Ed ancora, non vale ad oscurare la pregnanza indiziante e la valenza di riscontro dell’episodio in parola, il richiamo all’attività investigativa del dott. Contrada nei confronti di Salvatore Inzerillo e della sua cosca.

Sul punto, non possono che essere richiamate le considerazioni svolte alle pagine 1138 e segg. della sentenza appellata, secondo cui << il ruolo svolto dall’Inzerillo nell’ambito dell’organizzazione mafiosa ed i suoi collegamenti con gli Stati Uniti nell’attività di smistamento dell’eroina erano stati messi in luce, per la prima volta dal dott. Boris Giuliano, che all’epoca della sua dirigenza della Squadra Mobile aveva anche individuato, nel rapporto giudiziario del 3/6/1978, l’Inzerillo Salvatore tra i possibili autori dell’omicidio commesso il 30/5/1978 a Palermo ai danni del noto mafioso Giuseppe Di Cristina, indagini alle quali non aveva partecipato la Criminalpol diretta dal dott. Contrada…..

Lo stesso imputato nel corso delle sue dichiarazioni all’udienza del 22/11/1994, pur affermando che Salvatore Inzerillo era stato oggetto dell’operazione di Polizia eseguita il 5/5/1980, resa possibile anche dalle indagini da lui condotte, ed evidenziando che il gruppo di mafia a lui facente capo era stato indicato tra i possibili mandanti dell’omicidio in pregiudizio del Procuratore Capo della Repubblica di Palermo dott. Gaetano Costa nel rapporto redatto nel Dicembre 1980, a firma congiunta del dirigente della Criminalpol, del dirigente della Squadra Mobile, dott. Impallomeni e del Maggiore dei C.C. Santo Rizzo, ha ammesso che all’epoca delle predette denunce l’Inzerillo era già latitante, sulla base di un provvedimento restrittivo emesso a seguito delle indagini avviate dal dott. Giuliano sul riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di droga (cfr. ff.68 e 69 ud. 22/11/1994 - rapporto di denuncia per l’omicidio del Procuratore Gaetano Costa del Dicembre 1980 e rapporto preliminare sul medesimo omicidio redatto in data 22/8/1980 dalla Squadra Mobile di Palermo, a firma del dott. Impallomeni, nel quale, sulla base delle prime indagini eseguite, era già stato individuato il gruppo di mafia facente capo agli Inzerillo come possibile responsabile del delitto, prendendo spunto dall’accertata presenza sul luogo del delitto di Salvatore Inzerillo, omonimo del latitante in oggetto- Inzerillo Salvatore di Giuseppe, classe 1944 - e suo parente - v. rapporti acquisiti in atti all’udienza del 6/5/1994)>>.

Né vale obiettare, come fanno i difensori appellanti, che, laddove vi fosse stato davvero un rapporto collusivo con l’odierno imputato, l’Inzerillo si sarebbe rivolto direttamente a lui, senza avvalersi dell’avv. Fileccia.

Tra Contrada ed Inzerillo, infatti, non sono stati provati rapporti diretti, e cioè incontri personali 60, mentre è indubbio che l’avv. Fileccia, nella sua veste di difensore del mafioso, potesse essere un tramite utile e qualificato.

Infine, il fatto che della vicenda Gentile non si parli nella relazione finale redatta all’esito della ispezione Zecca61 non incide minimamente sulla validità della ricostruzione che ne ha operato il Tribunale.

Lo stesso dott. Guido Zecca, in sede di esame, ha spiegato di avere considerato l’episodio di rilievo marginale, di essersene occupato a seguito dei riferimenti ad esso fatti dal dott. Contrada e dal dott. Vasquez (cfr. pag. 67 trascrizione udienza 28 ottobre 1994), e di non avere ritenuto opportuno assumere direttamente le dichiarazioni del dott. Gentile, né procedere ad accertamenti in ordine alla perquisizione domiciliare eseguita nell’abitazione del latitante mafioso Inzerillo.



Si tratta di una personale valutazione della quale non può che prendersi atto, dovendosi, comunque, evidenziare che l’ispezione Zecca ebbe finalità diverse dall’approfondimento della vicenda Gentile, essendone oggetto, come risulta dal tenore della relazione finale:

  1. l’accusa rivolta dalla stampa al capo della Mobile, Impallomeni, di aver fatto cancellare il nome dell’esponente P2, Michele Sindona, dalla lista dei denunciati nel rapporto antimafia del 7/5/80 a carico di Spatola + 54;

  2. una fuga di notizie dalla Questura alla stampa in merito allo stesso episodio;

  3. l’andamento dei vari servizi della Questura di Palermo, del cui titolare, Nicolicchia, accusato di appartenere alla P2, si invocava l’allontanamento (cfr. relazione Zecca all.to n° 496 documentazione acquisita all’udienza del 6/5/1994).

D’altronde, proprio perché collocato in un periodo non sospetto, nel quale non erano ancora state formulate accuse di collusione nei riguardi del dott. Contrada, l’episodio si prestava ad interpretazioni diverse, e cioè:

    • la duplice chiave di lettura esposta nella relazione del 15 aprile 1980 da Impallomeni, e cioè l’essere stato scavalcato e quindi squalificato in quanto superiore gerarchico di Gentile, ma anche l’avere, l’odierno imputato, oggettivamente assecondato la propensione di “Cosa Nostra” a creare dei pretesti per indebolire o vanificare l’azione delle forze di Polizia (<<Le trasmetto per doverosa conoscenza una relazione presentatami dal Commissario Capo dott. Gentile e nel contempo mi corre l'obbligo segnalare il comportamento non certamente corretto del V. Questore dott. Contrada, il quale mi avrebbe dovuto informare dei fatti e non prendere a mia insaputa iniziative di alcun genere. Il predetto, per la sua decennale esperienza, dovrebbe conoscere il modo di operare della mafia, che con tutti i mezzi tenta sempre di scemare l'azione della polizia, non escluso quello di far intravedere minacce di denunzie per degli abusi fantomatici ricevuti>>);

    • l’interpretazione data in termini di inerzia, immobilismo, logorio psicologico, dal Questore Immordino nel contesto della già citata nota riservata al Capo della Polizia dell’undici maggio 1980 (…in un tale quadro di logorio psicologico potrebbe trovarsi la spiegazione di un fatto, certamente grave e sintomatico, denunziato in una relazione dal Commissario Gentile);

    • il proposito di agevolare la latitanza di Salvatore Inzerillo, non aduso ad essere ricercato con modalità così incisive e martellanti (va ricordato che, in sede di esame, il teste Gentile ha riferito di avere avuto la netta percezione di una fuga recente dell’Inzerillo <<Sì, in quella circostanza, quando entrai in camera da letto, vidi la signora che si stava muovendo dal lato del letto e il letto, diciamo, a fianco, il lato del letto a fianco era smosso e ancora era caldo>>.

In altri termini, anche secondo una lettura ex ante, a quell’epoca certamente ardua ma non priva di plausibilità, la condotta dell’odierno imputato si prestava ad essere valutata come indizio di un rapporto collusivo con il sodalizio mafioso, assumendo una prossimità logica sufficiente ai fini di tale inferenza.

Correttamente, dunque, il Tribunale l’ha considerata un riscontro alle accuse del collaborante Gaspare Mutolo, valutandola nella prospettiva globale ed unitaria delle emergenze processuali.



CAPITOLO XV
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