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Gli ammonimenti a Gilda Ziino, vedova Parisi
La vicenda relativa agli ammonimenti dell’imputato con Gilda Ziino, vedova dell’ing. Roberto Parisi - già Presidente della società I.C.E.M. e della “Palermo Calcio” ucciso a colpi di pistola in un agguato di stampo mafioso a Palermo il 23/2/1985 - offre significativi elementi di giudizio, che si affiancano in un condizione di autonomia alle plurime indicazioni accusatorie rese in questo processo dai collaboratori di giustizia.

Il Tribunale ha ricordato che la Ziino, nel corso del proprio esame, aveva riferito due episodi di cui si era reso protagonista Bruno Contrada in relazione alle indagini sull’omicidio del marito. La stessa aveva premesso che Bruno Contrada aveva intrattenuto con l’ingegnere Parisi rapporto di amicizia, ma che, al di là degli incontri in occasione di ricevimenti ufficiali tra amici e conoscenti, non aveva mai avuto rapporti di natura personale con lei.

Aveva affermato che, a distanza di poche ore dall’uccisione del marito, (era da poco rientrata a casa dall’ospedale, dove non le avevano ancora neppure consentito di vedere la salma), Contrada si era presentato a casa sua, dicendole che, qualunque cosa potesse sapere sulla morte del marito, avrebbe dovuto restare zitta, non parlarne con nessuno e ricordarsi che aveva una figlia piccola.

La teste aveva escluso con assoluta certezza che quelle parole, anche per la peculiarità del contesto e per il tono con cui erano state pronunziate - per di più senza alcun accenno ad espressioni di conforto, cordoglio o consiglio - avessero avuto la sostanza di un suggerimento amichevole, ed aveva affermato di esserne rimasta sbigottita, tanto da non farne cenno alcuno neppure ai magistrati Domenico Signorino e Giuseppe Ajala, titolari dell’inchiesta sull’omicidio del marito, che poco dopo l’avevano sentita in ordine alle circostanze relative al delitto.

Aveva ritenuto di raccontare l’episodio, nel 1987, al prof. avv. Alfredo Galasso - al quale, nello stesso anno, si era rivolta per avere assistenza legale - e successivamente, su sua indicazione, al giudice istruttore dott. Giovanni Falcone.

Con quest’ultimo aveva concordato, per un sabato del febbraio 1988, un incontro nei locali del Palazzo di Giustizia di Palermo, che, per motivi di riservatezza imposti dal magistrato al momento della convocazione, aveva tenuto nascosto ad amici e parenti, simulando un temporaneo allontanamento da casa; incontro nel corso del quale aveva parlato anche della visita di Contrada del 23 febbraio 1985.

L’indomani del colloquio con il magistrato, Bruno Contrada le si era nuovamente presentato a casa, senza preavviso, chiedendole cosa avesse detto a Falcone; fortemente “sorpresa ed intimorita” per la conoscenza che egli aveva mostrato di avere del suo colloquio (anche perché sapeva che l’odierno imputato, in quel periodo, lavorava a Roma), aveva negato con decisione tale circostanza.

Subito dopo la visita, aveva contattato telefonicamente a Roma il proprio avvocato, prof. Alfredo Galasso, raccontandogli l’accaduto. La stessa sera questi l’aveva richiamata, comunicandole di avere parlato con il giudice Falcone,che si era stupito enormemente del fatto che Contrada fosse venuto subito a conoscenza dell’atto istruttorio, data la riservatezza del caso.

La teste aveva, ancora, ricordato di essere stata citata, nel 1990, dal sostituto procuratore della Repubblica di Palermo dott. Carmelo Carrara, per altre precisazioni su circostanze inerenti l’omicidio del marito; di avere trovato Contrada, con sua grande sorpresa, nella stanza del magistrato; di avere provato “un senso di angoscia, paura, ansia e tensione nervosa”. Posta a confronto con lui, ne aveva avallato la tesi secondo cui le parole pronunciate in occasione della visita fatta nell’immediatezza dell’omicidio del marito potevano essere interpretate come “raccomandazioni amichevoli”. Quindi, aveva riferito al prof. Galasso l’esito del confronto.

Il Tribunale,quindi, dava conto della testimonianza del prof. Galasso; del contenuto del verbale delle dichiarazioni rese dalla Ziino al G.I. Falcone il 6/2/1988: (<<mi ha detto che, nel caso in cui avessi saputo qualcosa, era meglio che io pensassi che ero una mamma”>>); della circostanza che il 6 Febbraio 1988 era effettivamente un sabato; del fatto che, dall’agenda dell’imputato del 1988, risultava la sua presenza a Palermo la domenica 7 febbraio; del contenuto del processo verbale del confronto eseguito in data 3/11/1990 tra la Ziino e l’imputato; delle dichiarazioni, infine, rese nella sede dibattimentale da Contrada.

Quest’ultimo, in particolare, aveva continuato a sostenere:


  • di avere rivolto alla Ziino, subito dopo l’omicidio del marito, soltanto un amichevole consiglio alla prudenza, “di stare attenta, di non parlarne con nessuno, tranne che con i magistrati inquirenti...”, .avendo avuto l’impressione che la donna “parlasse a ruota libera”;

  • che non mai vi erano mai stati l’incontro ed il colloquio che la stessa Ziino asseriva essersi svolti l’indomani delle dichiarazioni da lei rese al dott. Falcone nel 1988.

Il Tribunale disattendeva il costrutto difensivo, osservando, con riferimento alla prima visita, quella a poche ore dall’omicidio del marito, che:

  • la Ziino aveva categoricamente escluso che le parole pronunciate nell’occasione da Contrada potessero essere interpretate come il consiglio di un buon amico;

  • sia la teste che l’imputato avevano concordemente escluso l’esistenza di rapporti personali tra loro, tali da giustificare l’immediato intervento dello stesso Contrada in qualità di amico personale della vedova;

  • neppure l’incarico professionale in quel momento ricoperto dall’imputato di Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario e di dirigente dei Centri SISDE in Sicilia poteva spiegare quell’intervento che, pur nella versione da lui offerta, si addiceva, semmai, ad un ufficiale di polizia giudiziaria, investito delle indagini sull’omicidio.

Il fatto stesso che la Ziino si fosse successivamente determinata a rivelare quello strano avvertimento al proprio legale, e, subito dopo, al giudice Falcone, costituiva conferma della circostanza che aveva sin dall’inizio percepito come anomalo quel comportamento; la circostanza, poi, che tale rivelazione fosse stata fatta tra la fine del 1987 ed il febbraio del 1988 eliminava ogni dubbio sulla possibilità di un qualsiasi interesse a rendere tali dichiarazioni in relazione al presente procedimento.

Oltretutto, soggiungeva il Tribunale, non si comprendeva come la donna, che aveva perso il marito poche ore prima della visita, avesse potuto dare prova “di parlare a ruota libera” sul complesso intreccio di interessi che facevano capo alla sua impresa e comunicare a Bruno Contrada - come l’imputato, in sede di confronto davanti al dott. Carrara, aveva affermato essere avvenuto - il proposito di continuare ad operare nel suo settore imprenditoriale: la Ziino, infatti, aveva precisato di avere maturato solo successivamente la decisione di proseguire l’attività imprenditoriale, e che sarebbe stato del tutto illogico pensare a questo poche ore dopo il delitto.

Del tutto inconsistente, inoltre, era apparsa anche la linea difensiva di totale negazione assunta dall’imputato con riferimento all’episodio della seconda visita, collocata cronologicamente, sia dalla Ziino che dal teste Galasso, nella domenica immediatamente successiva alla deposizione resa dinanzi al G.I. Falcone.

Così ricostruiti gli episodi in argomento, fondandosi su dati di natura documentale e sulle concordanti deposizioni testimoniali della Ziino e del prof. Galasso, il Tribunale osservava che:



  • il comportamento posto in essere dall’imputato nel 1985 era univocamente diretto, in via preventiva e tempestiva, ad apprendere se la predetta fosse in possesso di notizie di rilievo sull’omicidio del marito, inducendola a tacere su tali circostanze ove ne fosse stata a conoscenza;

  • il comportamento posto in essere nel 1988 denotava, poi, che Contrada aveva un particolare interesse a seguire le indagini su quell’omicidio, rimasto uno dei più inquietanti e irrisolti tra i delitti di mafia commessi a Palermo, dimostrando anche di disporre di fonti in grado di rivelargli notizie riservate dall’interno delle Istituzioni.

*****

Le censure riguardanti il tema degli incontri e dei colloqui avuti dall’imputato con Gilda Ziino sono state articolate nelle brevi notazioni alle pagine 106 -110 del volume VI, capitolo VI, paragrafo VI. 5 dell’Atto di impugnazione.

Esse, tradiscono, all’evidenza, l’estremo disagio e le evidenti difficoltà della Difesa nel rappresentare una ricostruzione alternativa a quella del Tribunale, scolpita in modo impeccabile.

La loro stessa stringatezza, oltretutto, contrasta con le modalità serrate e (legittimamente) snervanti con cui è stato condotto il controesame della stessa Gilda Ziino.

Ragioni di comodità espositiva suggeriscono di ripercorrere e commentare passo per passo tali doglianze.

Si deduce, innanzitutto, che: <


E tali "comportamenti", di cui la sig.ra Ziino si lamenta riguardano il periodo successivo all'omicidio dell'ing. Roberto Parisi, amico del dott. Contrada.

Il primo è collegato alla visita del dott. Contrada alla sig.ra Ziino il 23 febbraio 1985, subito dopo l'omicidio.

Tale visita desterà perplessità postume nella predetta teste cui l'odierno appellante s'era premurato, tenuto conto dei rapporti di amicizia che lo avevano legato all'ing. Parisi, di portarle il proprio cordoglio>> (pag. 106 Vol. VI, capitolo VI, pag. VI. 1 dell’Atto di impugnazione).

Osserva questa Corte che l’odierno imputato non deve rispondere di avere ingenerato in Gilda Ziino <>>.

La sua condotta, infatti, viene in considerazione perché, nelle sue connotazioni iniziali (visita del 23 febbraio 1985) e nel suo sviluppo successivo (visita del 7 febbraio 1988), apportò un contributo causale al rafforzamento del sodalizio mafioso, mirando ad impedire rivelazioni di notizie anche all’Autorità Giudiziaria procedente ed a carpire eventuali informazioni in possesso della stessa Ziino. Un contributo, dunque, consistito nel prestarsi a fare da tramite per acquisire e trasmettere elementi cui l’organizzazione mafiosa aveva interesse, prima che ne venisse in possesso l’Autorità Giudiziaria, non rilevando il fatto che, in concreto, la vedova Parisi non fosse stata in grado di fornirne e non ne avesse forniti81.

Quanto alla deplorata manifestazione “postuma” delle preoccupazioni e delle perplessità in ordine alla prima visita di Bruno Contrada, la circostanza che la Parisi avesse seguito il consiglio di parlarne al G.I. Falcone denota come la stessa avesse serbato un ricordo vivido e non tranquillizzante dell’episodio, quando, a distanza di due anni, ne aveva riferito al prof. Galasso, che con lei aveva, da poco tempo, intrapreso un rapporto di prestazione d’opera professionale.

D’altra parte, oltre al tenore letterale di quanto dichiarato - con costanza espositiva - sia al G.I. Falcone (<<mi ha detto che, nel caso in cui avessi saputo qualcosa, era meglio che io pensassi che ero una mamma>>), sia in sede di confronto davanti al Sostituto Procuratore Carrara, sia in sede di esame in questo processo, la ragione di quelle preoccupazioni e di quelle perplessità dovettero essere proprio il contesto in cui - ed il tono con cui - in occasione della visita del 23 febbraio 1985, la teste era stata invitata a tacere.

La Ziino, infatti, ha riferito che Contrada le chiese di parlarle da sola, tanto che i due scesero nello studio al piano seminterrato ( cfr. pag. 3 trascrizione udienza 31 maggio 1994); atteggiamento che non avrebbe avuto ragione di essere nel contesto di una normale visita di lutto, anche per dare una amichevole raccomandazione di prudenza.

Nè sorprende che la Ziino avesse serbato dentro di sé per circa due anni le preoccupazioni, le perplessità ed il disagio legati all’ammonimento rivoltole dall’imputato: in primo luogo, infatti, le parole di Contrada, per il loro tenore ermetico, potevano non suscitare una reazione immediata (e non erano volte a suscitarla); in secondo luogo, non sarebbe stato agevole, per la Ziino, manifestare una reazione siffatta almeno fino a quanto la stessa, avendo avuto ingiunto di tacere con chicchessia, non avesse trovato un referente rassicurante.

Per contro, la visita del 7 febbraio 1988 ebbe una valenza intimidatoria molto più marcata ed evidente, giacchè l’imputato non si peritò di chiederle cosa avesse rivelato al giudice Falcone.

L’intera vicenda, del resto, va considerata anche in relazione al comportamento processuale dell’imputato, che ha negato in radice la seconda visita e che a proposito della prima, come in altre, analoghe occasioni (si pensi all’episodio Gentile, ovvero alla fuga dall’Italia di Olivero Tognoli), si è detto vittima di equivoci o strumentalizzazioni.

Soggiungono i difensori appellanti : << Ha spiegato Contrada che egli non una sola volta ma più esortò "la sig.ra Ziino a non parlare di vicende comunque connesse all'omicidio del marito, con nessuno, o di vicende connesse all'attività imprenditoriale del marito, di non parlarne con nessuno. Perché mi rendevo conto della, non dico pericolosità ma dell'estremo carattere paludoso dell'ambiente in cui si era mosso l'ingegnere Ziino82, nella sua attività imprenditoriale e in cui si trovava poi adesso successivamente alla morte la vedova, anche se nei primi giorni non manifestò l'intenzione di continuare l'attività imprenditoriale del marito ma la manifestò successivamente. Quindi le consigliai di non essere molto loquace, che se sapeva qualcosa, se le veniva in mente qualche episodio, qualche particolare di stare molto attenta con cui parlava, anzi di non parlarne proprio con nessuno, tranne che con i magistrati inquirenti, è chiaro, io ricordo questo termine, non è che dissi con i giudici o con i poliziotti, dissi con i magistrati inquirenti".

Questa chiara, spontanea risposta dell'imputato all'esame del P.M. avrebbe dovuto convincere chiunque della correttezza del suo comportamento.

Invece s'è preferito dar credito ad una teste che ha taciuto per anni su "comportamenti" poi ritenuti anomali, continua a tacere o a dire il falso davanti al G.I. dott. Falcone; tace ancora davanti al P.M. dr. Carrara; continua a frequentare l'imputato, ad essere presente alle ricorrenze dei Contrada; ad avere con la sua famiglia rapporti successivi ai presunti comportamenti "anomali">>;



Si ricorda improvvisamente e riferisce al suo avvocato quanto costui, non da avvocato ma da politico, aveva già scritto in un suo libro "La mafia politica".

Contrada, quindi, s'era limitato a consigliarle doverosamente di rivolgersi solo ai Magistrati e di non farne oggetto di salottiere discussioni ove fosse venuta a conoscenza di notizie utili alle indagini: che peraltro ella non ha mai avuto, come candidamente ha ammesso e confermato.

Ed allora cosa poteva apprendere il dott. Contrada da una persona che sull'argomento nulla ha mai saputo ?

Ma quale inquietudine può provocare l'esortazione di parlarne solo con i magistrati inquirenti e neppure con lui non essendo allora più in polizia? >> (pagine 107 e 108 Vol. VI, capitolo VI, pag. VI. 1 dell’Atto di impugnazione).



La risposta dell’imputato, lungi dall’essere chiara, spontanea e convincente come sostenuto dai difensori appellanti, si è dimostrata mendace.

In primo luogo, la inibizione a parlare di fatti eventualmente a sua conoscenza, relativi all’attività del marito ed alle circostanze antecedenti alla sua uccisione, venne rivolta alla vedova Parisi senza alcuna eccezione.

Ed invero, nel corso del suo esame la Ziino ha categoricamente smentito la tesi che l’odierno imputato le avesse affatto rivolto una “esortazione” a parlare soltanto con i magistrati inquirenti: <

P.M.: Lei ricorda se in quella circostanza il dott. Contrada le disse sulla opportunità di riferire quanto a sua conoscenza eventualmente soltanto ai magistrati o ad un magistrato?

ZIINO G.: No, no. Mi disse solo queste testuali parole>> (pagine 3 - 4 trascrizione udienza 31 maggio 1994).

Ed ancora : <<AVV. MILIO: Non le disse, lei ricorda bene, non le disse di parlarne solo con il magistrato? ZIINO G.: No, assolutamente. AVV. MILIO: Assolutamente.



ZIINO G.: No, perche se lui me l'avesse detto di parlare con il magistrato, io la prima cosa che avrei fatto, l'avrei detto al magistrato>> (ibidem, pag. 15).

In effetti, ai sostituti procuratori Ayala e Signorino, che la interrogarono poco tempo dopo, la Ziino non fece menzione alcuna della visita dell’imputato (cfr. pag. 5 della trascrizione).



La smentita della teste ha trovato piena conferma non solo nel resoconto dell’episodio fatto al prof. Galasso nel 1987, ma soprattutto nella seconda visita di Contrada, quella del 7 febbraio 1988.

L’imputato, infatti, ove tale limitazione vi fosse stata davvero, non avrebbe avuto motivo alcuno di adontarsi e, al contempo, mostrare interesse per il colloquio della Ziino con il G.I. Falcone, pur restando comunque anomala la richiesta di notizie sul contenuto del colloquio, coperto dal segreto istruttorio.

Altrettanto falsa è l’affermazione di Contrada secondo cui gli ammonimenti a non parlare di vicende comunque connesse all'omicidio sarebbero stati collegati al dichiarato proposito della Ziino di proseguire l’attività imprenditoriale del marito.

Per renderla credibile, in sede di esame l’imputato ha affermato di avere rivolto tale amichevole consiglio in più occasioni, collegando tale asserzione al fatto che la Ziino avrebbe manifestato l'intenzione di continuare l'attività imprenditoriale dell’ing. Parisi non già lo stesso giorno della sua uccisione, ma successivamente.

Ancora una volta, però, le dichiarazioni della Ziino, di segno opposto a quelle dell’imputato, hanno trovato pregnanti riscontri.

A pag. 1483 della sentenza appellata, infatti, viene riportato un brano del verbale di confronto del 3 novembre 1990 tra la Ziino e Contrada (acquisito all’udienza del 31 maggio 1994, fogli 206-209), nel quale la prima ricorda l’ammonimento a tacere, rivoltole in quanto madre di una bambina piccola, e Contrada - immediatamente dopo - ricollega quell’ammonimento alla esternazione, da parte della donna, del proposito di dare un seguito all’attività di impresa.

Al riguardo, basta ricordare che il confronto ebbe ad oggetto una circostanza specifica, e cioè il contenuto ed il senso delle espressioni usate dall’imputato in occasione della visita del 23 febbraio 1985, visita compiuta a distanza di poche ore dall’omicidio Parisi; non, dunque, asseriti, successivi colloqui dell’imputato con la Ziino.

Non a caso, infatti, in sede di confronto Contrada disse di avere esortato la donna a parlarne con il dott. Signorino, cioè con il Pubblico Ministero di turno che, di lì a poco,l’avrebbe sentita: << Ziino : D.R.:“ Quando il dott. Contrada mi venne a trovare mi esortò a stare molto attenta alle cose che io potevo dire e di pensare anche al fatto che avevo una bambina ancora piccola.

Contrada:“ Raccomandai alla sig.ra di stare attenta poichè ella mi aveva manifestato la volontà di continuare ad operare nel settore imprenditoriale dell’azienda pilotata dal marito. Intendevo in tal modo mettere in guardia la sig.ra dai pericoli cui poteva andare incontro parlando con persone sbagliate e le raccomandai di rassegnare tutto ciò di cui era a conoscenza al magistrato inquirente, all’epoca dott. Signorino. Ricorda questo fatto signora?”

Ziino: “Si, effettivamente il tono e le circostanze delle raccomandazioni fattami dal dott. Contrada erano proprio quelle testè riferite. Ricordo pure che il dott. Contrada mi chiese se conoscessi il dott. Signorino che era in buoni rapporti con Roberto ed io risposi affermativamente (cfr. p.v. di confronto cit. f. 2)>>.

Conserva, dunque, piena validità, ed anzi è rafforzata dal mendacio dell’imputato, la considerazione del Tribunale (pag. 1489 della sentenza appellata) secondo cui <>.

A tale considerazione ne vanno aggiunte due ulteriori.

In primo luogo, la stessa vedova Parisi ha riferito di non essere mai stata tenuta al corrente dal marito dei fatti di gestione della I.C.E.M.: <>(pag. 2 trascrizione udienza 31 maggio 1994)… << Io non sapevo neanche quale fosse l'assetto societario>> (ibidem, pag.6).

In secondo luogo, non risulta che vi fossero state successive occasioni di incontro a tu per tu con l’imputato, nelle quali la donna avrebbe potuto manifestare le sue aspirazioni ad occuparsi dell’impresa e dunque far temere che potesse parlare “a ruota libera”.

Quest’ultima considerazione offre il destro per confutare l’obiezione difensiva secondo cui il carattere strumentale delle rivelazioni “postume” della Ziino emergerebbe anche dal fatto che la stessa avrebbe continuato <>.

Nel corso del suo esame, infatti, Gilda Ziino, più volte sollecitata a spiegare se e quali rapporti avesse mantenuto con Bruno Contrada dopo la visita del 23 febbraio 1985, ha chiarito, con estremo nitore e costanza espositiva:

  • di avere rivisto l’imputato due o tre volte, di non avere mai parlato con lui dello stato delle indagini sull'omicidio di suo marito, pur avendo sperato che lo stesso Contrada potesse darle qualche notizia (pag. 9 della trascrizione);

  • che, dopo la visita del 7 febbraio 1988 e prima del confronto in Procura, Contrada non si era più fatto vivo con lei (ibidem, pag. 12)

  • di avere invitato a colazione, per l'Epifania dell’anno successivo alla morte del marito, e, quindi nel 1986 , Bruno Contrada con la moglie, il figlio e la fidanzata del figlio, continuando comunque, pur memore dell'avvertimento ricevuto, a nutrire la speranza che egli potesse dirle qualcosa (ibidem, pag. 31) ;

  • di essere stata sempre trattata in modo affettuoso dalla signora Contrada, che qualche volta aveva sentito per telefono e che, una sera, l’aveva invitata a cena a casa sua, mandandola a prendere in macchina con un maresciallo;

  • che in tale occasione, nella quale erano presenti due o tre ospiti, l’imputato non era a Palermo e, avendo telefonato a casa alla moglie, aveva salutato essa teste per telefono ( ibidem, pag. 36 e segg.);

  • che quella cena era stata successiva al pranzo dell’Epifania del 1986 e successiva al matrimonio dell’avv. Guido Contrada, figlio dell’imputato, al quale essa teste era stata invitata e non aveva partecipato, inviando, comunque il regalo di nozze (ibidem, pag. 37);

  • di avere chiesto ad un amico d’infanzia del marito, l’avv. Tommaso Romano, di interessarsi per farle avere i vestiti indossati dall’ing. Parisi il giorno della sua uccisione, e però di averli ottenuti avendone parlato con la signora Contrada, la quale, tempo dopo, le aveva personalmente telefonato preannunciandone il recapito a casa, risultato evidentemente dovuto ad un interessamento dell’imputato (ibidem, pag. 42-43).

Le circostanze dianzi esposte non palesano in alcun modo, come si adombra da parte dei difensori appellanti, un comportamento schizoide e contraddittorio della teste, né comunque tale infirmarne la credibilità.

La Ziino, infatti, ha costantemente ribadito di non avere avuto più alcun contatto con Contrada nel periodo tra la visita del 7 febbraio 1988 ed il confronto al cospetto del PM Carrara; circostanza che va correlata al già evidenziato spessore sintomatico della condotta dell’imputato - complessivamente considerata - rispetto al singolo episodio della prima visita.

Oltretutto, non si comprende come la gratitudine e la simpatia nutrite nei confronti della moglie del dott. Contrada, sinceramente impegnata a lenire il suo dolore, possano incidere sulla credibilità della teste, né stupisce che la stessa Parisi, pur perplessa ed intimorita dagli ammonimenti ricevuti il 23 febbraio 1985, avesse sperato che l’imputato le desse qualche notizia sulle indagini riguardanti l’omicidio del marito. Senza dire che gli stessi episodi riferiti - non è priva di significato, a conferma nelle riserve nutrite dalla Ziino, la sua mancata partecipazione alle nozze del figlio dell’imputato - non delineano quella familiarità e quella consuetudine di rapporti che la Difesa oppone al fine di tacciare la teste di avere fatto mendaci rivelazioni “postume”.

Non fa una piega, del resto - ed anzi giustifica ampiamente l’accondiscendenza mostrata in sede di confronto - la spiegazione offerta dalla Ziino, nel corso del suo controesame (pag. 33 della trascrizione), di fronte alla sorpresa manifestata da uno dei difensori dell’imputato per la sua affermazione di essere uscita dalla stanza del dr. Carrara, a confronto avvenuto, assieme a Bruno Contrada, e di averlo anche salutato:

<< AVV. MILIO: In un ufficio. Vi siete salutati con il Contrada quando vi siete visti?

ZIINO G.: Siamo usciti assieme, si.

AVV. MILIO: Ah, siete usciti addirittura assieme?

ZIINO G. : Certo, e logico. Io non potevo manifestare proprio alla persona di cui avevo timore le mie titubanze.

AVV. MILIO: Ma timore di che, signora?

ZIINO G.:Ma lei ha dimenticato, mi scusi, che il dott. Contrada e venuto a casa mia successivamente all'incontro di Giovanni Falcone chiedendomi che cosa mi avesse chiesto il dott. Giovanni Falcone, e perchè il dott. Contrada sapeva che io ero stata interrogata dal dott. Falcone quando era un incontro assolutamente segreto?>>

Quanto alla già menzionata, sibillina, affermazione difensiva secondo cui la Ziino << Si ricorda improvvisamente e riferisce al suo avvocato quando costui, non da avvocato ma da politico, aveva già scritto in un suo libro "La mafia politica">>, deve osservarsi che il volume non è prodotto in atti, e quindi non è dato apprezzarne il contenuto. E’ assolutamente arbitrario, dunque, ipotizzare che il prof. Galasso possa avere indotto la teste a riferire circostanze non vere, attinte dal suo libro ed usate a scopi politici. Oltretutto, non è emerso in alcun modo che la Ziino avesse espresso le perplessità legate al primo incontro con Contrada - e la vivissima preoccupazione a seguito del secondo incontro - soltanto dopo che il volume del prof. Galasso aveva avuto la sua prima edizione,sì da fare sospettare di essere stata influenzata dal suo autore.

Né, per altro verso, appaiono conferenti le ulteriori obiezioni difensive secondo cui:

  • non avrebbe avuto senso inibire alla Ziino di rivelare ciò che non sapeva;

  • Contrada non svolgeva compiti di Polizia Giudiziaria dal 1985.

Ora, la circostanza che la Ziino, nell’immediatezza, non ricordasse nulla di significativo non altera la sostanza della condotta dell’imputato, e cioè le sue finalità inibitorie ed esplorative.

La seconda obiezione, invece, prova troppo, giacchè proprio il fatto che Contrada non svolgesse compiti di Polizia Giudiziaria all’epoca dell’omicidio Parisi priva di qualsiasi legittimazione istituzionale il suo intervento, valutabile, piuttosto, soprattutto alla luce della visita del 7 febbraio 1988, come il tentativo di attingere informazioni di cui farsi portatore.

Proprio a proposito di tale visita, negata in radice dal’imputato, i difensori appellanti affermano: <
"Io non ho mai chiesto questo alla sig.ra Ziino, mai se aveva reso una deposizione al Giudice Istruttore dottor Falcone, non ho mai saputo che la sig.ra Ziino fosse stata ascoltata, interrogata dal giudice Falcone, non sapevo che il giudice Falcone si occupava dell'inchiesta sull'omicidio Parisi, non l'ho mai saputo, quindi come potevo chiedere alla sig.ra Ziino se era stata interrogata dal giudice Falcone "perché" io credo che molti magistrati l'abbiano sentita per la vicenda del marito, non solo il giudice Falcone, io so senz'altro che il primo magistrato è stato il dott. Signorino, il giudice diciamo, il sostituto di turno quel giorno.

Poi della vicenda se ne è interessato il dottor Carrara, non so poi.............."

E la Ziino interrogata dal P.M. dr. Carrara gli riferisce l'esortazione del dott. Contrada che viene, così, interrogato dal P.M. e successivamente posto a confronto con la teste: ebbene anche in tale sede, avanti un Procuratore della Repubblica la sig.ra Ziino riferirà dopo di avere provato, vedendo il dott. Contrada, "un senso di angoscia, paura, ansia e tensione nervosa" mentre invece, durante il confronto ammetterà che il consiglio di Contrada non solo non aveva valenza intimidatoria ma l'aveva pienamente accolto ed avallato come " raccomandazione amichevole".

L'interrogatorio reso al dott. Falcone dalla Ziino porta la data di sabato 06 febbraio 1988: ebbene poiché sull'agenda del dr. Contrada si legge che egli il 07 febbraio ( domenica ) si recò a Mondello nella villa dei Fiorentino, suoi amici, per ritirare un orologio riparato, se ne è dedotto con plateale forzatura interpretativa che egli invece, si è recato nella villa della Ziino sulla circonvallazione!

Ecco pertanto altra prova su come si sono interpretate le annotazioni sull'agenda di Contrada: quelle che ci sono ed anche quelle che non ci sono!

Ma quel 07 febbraio 1988 Contrada era a Palermo: si legge così nella sua agenda! Quindi ha certamente ragione la Ziino!!!

Con amarezza e profondo disagio non si può non concludere con il rilevare che la interpretazione dei risultati delle indagini è stata alternativamente arbitraria, cervellotica, preconcetta, in assoluto contrasto con gli esiti processuali ed ha costituito sin dal primo momento un gravissimo pregiudizio nei confronti dell'imputato che, appare ormai certo, era stato condannato ad esser condannato>>.

Orbene, in ordine alla prova della visita del 7 febbraio 1988 non può che rinviarsi alle puntuali osservazioni della sentenza di primo grado, che ha valorizzato l’intreccio delle testimonianze della Ziino e del prof. Galasso e l’inconsistenza della giustificazioni fornite dall’imputato. Questi, infatti, ha ipotizzato che una sua visita, successiva a quella del 23 febbraio 1985, avesse trovato causa in un aiuto chiestogli dalla vedova Parisi per il permesso di soggiorno di due camerieri Filippini, ma è stato smentito dalle risultanze processuali (cfr. pagine 1491- 1492 della sentenza appellata : <ore 10 dalla sig.ra Parisi- mi parla della questione del cameriere filippino”)>>.

Infine, l’ulteriore allegazione difensiva secondo cui la domenica 7 febbraio 1988 Bruno Contrada si sarebbe recato a Mondello nella villa dei Fiorentino, suoi amici, per ritirare un orologio riparato, non è stata incompatibile con la ricostruzione offerta dall’Accusa e recepita dal Tribunale.

E’ ben possibile, cioè, che l’imputato sia stato a casa Fiorentino ed a casa Parisi. Della sua visita alla Ziino del 7 febbraio 1988, comunque, non si può dubitare, data l’immediatezza con cui la predetta cercò per telefono e rintracciò a Roma il prof. Galasso quello stesso giorno.

In conclusione, devono essere ribadite le valutazioni già espresse circa la prova ed il significato dei comportamenti tenuti da Contrada nei suoi colloqui con la vedova Parisi; comportamenti che il Tribunale ha ritenuto costituire <> (pag. 1493 della sentenza appellata).

Piuttosto, la vicenda in oggetto è l’ultima che consente di fissare nel tempo la condotta di sistematica agevolazione del sodalizio mafioso ascritta all’imputato, giacchè non offrono sicuri riferimenti cronologici né l’episodio riferito dal pentito Gaetano Costa, né quello narrato dal pentito Pietro Scavuzzo, né altri episodi successivi dei quali il Tribunale ha ritenuto comunque di trarre elementi di giudizio su tale condotta.

Ne deriva che i termini massimi di prescrizione del reato ritenuto nella sentenza appellata verranno a scadere il 7 agosto 2010, e cioè ventidue anni e mezzo dopo il 7 febbraio 1988.

CAPITOLO XX

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