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Lo svolgimento del processo


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Le censure riguardanti le propalazioni di Rosario Spatola.

Il Tribunale, premesso che Rosario Spatola aveva iniziato a collaborare con la Procura della Repubblica di Marsala nel settembre del 1989, confessando di essere stato affiliato a “Cosa Nostra”, alla fine del 1972 quale "uomo d'onore" della famiglia di Campobello di Mazara, di essere stato dedito al contrabbando di tabacchi e successivamente a vasti traffici di stupefacenti, rilevava che egli, nel corso della sua deposizione dibattimentale, aveva dettagliatamente riferito dei suoi rapporti di assidua frequentazione con "uomini d'onore" della sua famiglia di appartenenza ed anche con quelli delle famiglie del territorio di Palermo, città base dei propri traffici illeciti.

In particolare, lo Spatola aveva indicato tra i suoi referenti l’avvocato Antonio Messina (detto "Totò"), capo della “famiglia” mafiosa di Campobello di Mazara, esercente la professione forense ed a lui legato da un rapporto di “comparaggio” (avendo fatto da padrino di cresima a suo figlio Francesco), nonché i fratelli Rosario e Federico Caro, entrambi trasferitisi a Palermo, appartenenti alla loggia massonica "Grande Oriente d'Italia", nell'ambito della quale Federico Caro aveva ricoperto un grado più elevato.

Questi ultimi, proprio perché residenti a Palermo, erano stati in rapporti di più assidua frequentazione con lui.

Il collaborante aveva, quindi, indicato vari esponenti delle Istituzioni (nell'ambito politico, delle Forze dell'Ordine, della Magistratura ecc.) quali appartenenti alla Massoneria, secondo quanto riferitogli sia dai fratelli Caro che dall'avv. Messina, specificando di avere appreso che, proprio per i soggetti che ricoprono cariche istituzionali, vige all'interno della Massoneria la regola prudenziale di non farne risultare la formale iscrizione in elenchi ufficiali.

Nel ripercorrere le spiegazioni offerte dallo Spatola circa i motivi che lo avevano indotto a collaborare con la giustizia, il Tribunale riteneva pienamente giustificata la tempistica delle propalazioni in esame (il primo verbale contenente dichiarazioni sul conto dell’imputato, è del 16 dicembre 1992) rispetto all’epoca di inizio della collaborazione, intrapresa il 19 settembre 1989.

In particolare, la mattina del 5 dicembre 1989 era stato scongiurato un attentato alla vita del collaborante grazie ad alcune intercettazioni telefoniche dalla sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Marsala. Egli, dunque, era stato prelevato, trasferito nei locali della Procura stessa e successivamente, a Roma, presso gli uffici dell'Alto Commissario, che da quel momento aveva iniziato ad occuparsi stabilmente della sua protezione.

In quella sede, mentre rendeva le sue dichiarazioni al dott. Antonino De Luca, alla porta della stanza in cui egli si trovava aveva visto affacciarsi il dott. Ignazio D'Antone, addetto all'Alto Commissario, che in precedenza aveva saputo essere a disposizione di "Cosa Nostra", nonchè molto vicino a Contrada e, al pari di lui, un “fratello”.

A causa di tale incontro egli non si era più sentito sicuro e aveva pensato che, trattandosi di personaggi "intoccabili", sarebbe stato più opportuno non riferire, nell'immediato, le notizie che aveva appreso nel corso della sua militanza sul loro conto, per paura di crearsi un doppio fronte di nemici: da un lato la mafia, che aveva già decretato la sua condanna a morte, e dall’altro "gli intoccabili" all'interno delle istituzioni, collusi con la stessa organizzazione criminale.

Il Tribunale riteneva pienamente riscontrato tale stato d’animo alla stregua della testimonianza del M.llo dei Carabinieri Enrico Ciavattini, addetto all’assistenza dello Spatola; della situazione di stallo nelle conversazioni con il collaborante, riferita dal teste Sica nel corso del suo esame con riguardo al periodo indicato; della tensione rilevabile dall’ascolto della cassetta con la dicitura 11.11.1989”; dalle stesse dichiarazioni del dott. Ignazio D’Antone, che, escusso nella qualità di imputato di reato connesso, aveva confermato, avendo ricostruito i propri ricordi con il dott. De Luca, di avere fatto capolino nella stanza di questi mentre c’era Spatola, essendo solito proporre al collega di prendere un caffè.

Lo Spatola aveva dichiarato che, solo a seguito della strage che aveva coinvolto il Procuratore Borsellino, al quale era stato legato da un particolare vincolo di affetto e riconoscenza, era prevalso in lui il senso del dovere morale nei suoi confronti rispetto all'iniziale timore di riferire alcune notizie in suo possesso, ed aveva deciso, quindi, di collaborare senza altre remore con gli organi inquirenti.

Quanto a Contrada, aveva riferito di averlo visto per la prima volta nella primavera del 1980 all'interno di un ristorante di Sferracavallo (borgata marinara del Palermitano), denominato " Il Delfino", gestito da tale Antonio, cognato di "don Ciccio Carollo", uomo d'onore e massone palermitano.

A causa di tale rapporto di affinità con il Carollo, il gestore del "Delfino", seppure non formalmente "uomo d'onore", veniva ritenuto soggetto "affidabile" all'interno di "Cosa Nostra" e lo stesso collaborante vi si era recato spesso a pranzare in compagnia dello stesso Rosario Caro.

Nella circostanza, lo Spatola aveva visto il Caro rivolgere un cenno di saluto in direzione di un tavolo, posto in posizione appartata su un piano rialzato, cui si accedeva da alcuni scalini in fondo al locale. Al tavolo erano sedute tre persone: si trattava, come riferitogli dal Caro, del dott. Contrada, di Rosario Riccobono e di una terza persona che lo stesso Caro non conosceva e che, a differenza delle altre due, non aveva risposto al suo saluto.

I tre, uscendo dal locale prima dello Spatola e del Caro, avevano nuovamente rivolto a quest'ultimo un cenno di saluto passando davanti al loro tavolo.

Il collaborante era rimasto sorpreso dalla notizia che l'uomo in compagnia del Riccobono fosse Contrada, di cui, in precedenza, aveva già sentito parlare avendone appreso l'elevato ruolo ricoperto all'interno della Questura di Palermo. Successivamente, egli aveva constatato che l'indicazione fattagli dal Caro sull'identità di quei due uomini (Riccobono e Contrada) corrispondeva al vero, avendo visto alcune fotografie su giornali ritraenti entrambi i soggetti.

In occasione dell'incontro "Al Delfino" egli aveva appreso da Rosario Caro che Contrada era un fratello massone, a disposizione di “Cosa Nostra”, un "buon amico" a cui potersi rivolgere in caso di bisogno o di problemi con la Polizia; che già il fratello Federico aveva ottenuto, grazie alla sua intercessione, il rilascio del porto di pistola e che anche lui era in attesa di ricevere il porto d’armi (enunciazione, quest’ultima, del cui significato si dirà esaminando i motivi di appello).

L’avv. Messina, inoltre, gli aveva indicato in Contrada la fonte delle informazioni dategli in anticipo in ordine a grosse operazioni di polizia eseguite nel Trapanese, e, per quanto concerneva esso collaborante, a Campobello di Mazara; informazioni grazie a cui egli aveva potuto occultare in tempo le armi che deteneva nella propria abitazione. In altre occasioni, e cioè per operazioni di Polizia in ambito locale, era stato preavvisato da tale Pellegrino, ispettore di Polizia presso il Commissariato di Mazara del Vallo, cognato di Nunzio Spezia, "uomo d'onore" della famiglia di Campobello di Mazara.

Il Tribunale, quindi, rassegnava gli elementi a sostegno della positiva verifica della attendibilità intrinseca, estrinseca e del contributo del collaborante.

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Ampia trattazione è state dedicata dai difensori appellanti alle censure riguardanti le propalazioni di Rosario Spatola, svolte nel volume V, capitolo V dell’Atto di impugnazione (pagine da 19 a 126 ) ed oggetto esclusivo delle 245 pagine di cui si compongono i due tomi del volume I dei Motivi nuovi.

Giova muovere, in ordine logico, dalle doglianze che si riferiscono alla personalità dello Spatola, ai tempi ed alle ragioni della sua collaborazione, e dunque alla sua credibilità soggettiva, posta in discussione dalla Difesa sulla base di alcuni rilievi riassumibili nel concetto che le sue “qualità personali e delinquenziali” - indicate nell’essere figlio di un poliziotto, nell’avere gravitato nell'ambiente della prostituzione, nell’essere stato sospettato di sfruttare o agevolare la prostituzione, nell’essere stato un cocainomane, nell’avere riportato condanne per emissione di assegni a vuoto, per bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e furto - sarebbero <> (pagine 1-15 Tomo I, volume I dei “Motivi Nuovi”).

A questo riguardo, nulla può aggiungersi alle esaustive e persuasive considerazioni operate dal Tribunale in ordine ai rilievi riguardanti la paternità - distante e sostanzialmente rinnegata - del collaborante e circa le significative eccezioni alla regola della non ammissione in “Cosa Nostra” dei figli di esponenti delle Forze dell’Ordine (pagine 908 e seguenti della sentenza appellata),così come è sufficiente rinviare alle osservazioni svolte alle pagine da 924 a 927 della sentenza appellata a proposito della pregressa qualità di consumatore di cocaina dello Spatola.

Non emerge, poi, dal certificato penale del collaborante alcun precedente in materia di prostituzione, né depone nel senso che egli esercitasse il lenocinio la pregressa frequentazione con meretrici29.

I difensori appellanti, nel corso della discussione, hanno fatto riferimento alla sentenza resa dal Tribunale di Trapani il 31.10.1997 nei confronti dell'On. Vincenzo Culicchia, della quale avevano chiesto l’acquisizione in via di rinnovazione parziale della istruzione dibattimentale a pag. 11 del volume A dei motivi nuovi.

Hanno dedotto, in particolare, alle udienze del 27 ottobre e del 10 novembre 2005, che, come risulterebbe da quella decisione, la stessa qualità di associato mafioso dello Spatola era stata posta in dubbio dai collaboratori di giustizia Sinacori, Patti e Bono.

Orbene, la produzione della sentenza in questione non venne ammessa dalla Corte davanti alla quale si svolse il primo dibattimento di appello a cagione del suo non intervenuto passaggio in giudicato, né della sua irrevocabilità è stata data prova in questo dibattimento, di tal che non è possibile apprezzarne i contenuti ai fini della credibilità dello Spatola, peraltro adeguatamente verificata in questo processo con riguardo all’odierno imputato.

Per contro, l’appartenenza dello Spatola al sodalizio mafioso,quale affiliato alla “famiglia” di Campobello di Mazara è stata accertata con la sentenza emessa dal Tribunale di Marsala il 21/12/1992 nell’ambito del procedimento nei confronti di Alfano Nicolò ed altri, parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza in data 19/3/1994, divenuta irrevocabile in data 27/3/1995, pronunce acquisite all'udienza del 22 settembre 1995 ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., ed ha trovato riscontro nell’insieme degli elementi vagliati dal Tribunale nel paragrafo “Attendibilità intrinseca del collaboratore di giustizia Rosario Spatola” (pagine 892 - 930 della sentenza appellata).

Per altro verso, elevata attendibilità intrinseca, oltre che la veste di mafioso, di Rosario Spatola sono state attestate sia nella citata sentenza Alfano del Tribunale di Marsala (cfr. pagine 92 e segg.), sia nella sentenza di condanna resa dal Tribunale di Palermo il 9 luglio 1997 nei confronti di Mandalari Giuseppe, imputato del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa <>> 30; sentenza prodotta nel primo dibattimento di appello all’udienza del 24 marzo 2000, confermata in grado di appello e divenuta irrevocabile in data 7 aprile 1999.

Alle pagine 51-52 della motivazione si afferma, infatti che <<…lo Spatola, uomo d'onore della famiglia di Campobello di Mazara dal 1973, ha permesso di squarciare un velo sulla sussistenza ed organizzazione delle famiglie mafiose trapanesi.

Dalle sue dichiarazioni è emersa la stretta colleganza tra le citate famiglie e quelle facenti capo al territorio della provincia di Palermo, i cui contatti non erano quindi solamente frutto di fattori occasionali bensì conseguenza di una precisa organizzazione territoriale, nella quale i singoli rappresentanti provinciali coordinavano le problematiche criminali riguardanti i rispettivi territori.

Sulla sua attendibilità si sono già pronunciati, positivamente, numerosi Tribunali sia in fase di giudizio incidentale di riesame che in sede di deliberazione delle sentenze e le rispettive pronunce hanno trovato definitiva conferma nelle decisioni della Corte di Cassazione.

Deve, inoltre, essere ribadita la particolare rilevanza della. principale fonte di notizie dello Spatola, costituita dall'Avv. Antonio Messina, anch'egli uomo d'onore di particolare rilievo, già coinvolto negli anni '70 nel procedimento per il rapimento Corleo e, successivamente, definitivamente condannato per la sua appartenenza a Cosa Nostra e per il ruolo svolto nel traffico internazionale di stupefacenti.

Nel corso dell'audizione dibattimentale il collaboratore ha precisato circostanze relative alla partecipazione alla vita massonica da parte dei fratelli Caro che sono risultate integralmente confermate in esito all'escussione di questi ultimi.

Le dichiarazioni dello stesso, ritenute in più procedimenti puntuali e dotate di generica attendibilità, devono, pertanto, essere analogamente valutate>>.

Gli stessi difensori appellanti, del resto, muovono dichiaratamente dal presupposto della qualità di associato mafioso di Rosario Spatola quando, a proposito del suo ritardo nella formulazione delle accuse a carico dell’odierno imputato (pagine 30 e 31 volume primo, tomo primo dei motivi nuovi) osservano : <)>>.

Il riferimento al ritardo nelle accuse dello Spatola ed alla figura del dott. D’antone offre il destro per vagliare l’ulteriore sviluppo delle doglianze in punto di credibilità soggettiva del dichiarante (pagine da 19 ad 81 del volume primo, tomo primo dei motivi nuovi).

Poiché il relativo materiale logico è stato in massima parte già sviscerato nella motivazione della sentenza appellata (pagine 909-924 e 927-930), mette conto soffermarsi unicamente sui momenti essenziali delle censure difensive.

Si assume, innanzitutto, a proposito delle dichiarazioni a carico del dott. D’Antone - frutto, stando al narrato del collaborante, di notizie apprese dal mafioso Stefano Barbera e successivamente confermate e precisate dai fratelli Rosario Caro e Federico Caro - che << La genericità, la vaghezza, l'imprecisione, l'inconsistenza, la contraddittorietà, la banalità, la mancanza di un solo fatto concreto, di un particolare, di un'azione, di un qualsivoglia riscontro o possibilità di riscontro, sono tutti elementi che danno il senso e la misura della totale assenza di serietà, attendibilità e credibilità di un pentito come Spatola.

Nel dire queste cose sul dott. D'Antone, che non avrebbero meritato alcuna considerazione, Spatola ha tentato di conseguire due risultati: colpire un funzionario di polizia che per tanti anni ha lavorato a fianco del dott. Contrada e dare una giustificazione all'inaccettabile ritardo (oltre tre anni) delle sue propalazioni>> (pag. 23 Vol. I Tomo I dei Motivi Nuovi).

Orbene, è vero che lo Spatola non ha enunciato accuse nei riguardi di D’Antone al di là della generica disponibilità a fare favori e dell’esistenza di contatti con esponenti mafiosi.

E’ pur vero, però, che l’affermazione di essere stato intimorito dalla inaspettata constatazione della sua presenza a Roma, negli Uffici dell’Alto Commissario, ha ricevuto un pregnante riscontro dalla sentenza di condanna dello stesso D’Antone per concorso esterno in associazione mafiosa, resa dal Tribunale di Palermo in data 22 giugno 2000, irrevocabile il 26 maggio 2004 a seguito del rigetto del ricorso per cassazione, prodotta in questo dibattimento di appello31.

Peraltro, il timore, l’agitazione, coincisi con la “chiusura” del collaborante, sono stati confermati dalla testimonianza del maresciallo CC Enrico Ciavattini, cui era strato affidato lo stesso Spatola.

Né vale osservare che il D’Antone, tra il 1978 ed il 1979 - epoca in cui Rosario Spatola aveva affermato che gli era stato indicato dal mafioso Stefano Barbera, all’interno del bar Cordaro - dirigesse la sezione “Costumi”, e quindi non potesse agevolare “Cosa Nostra”.

In primo luogo, invero, gli stessi difensori appellanti ricordano che (pag. 105 Vol. IX dell’Atto di impugnazione e pag. 20 tomo I vol. I dei Motivi nuovi), negli anni in cui aveva prestato servizio alla Squadra Mobile (1971 - 1981), egli si era prevalentemente interessato non solo di indagini sulla criminalità comune ma anche, sia pure sporadicamente, di indagini sulla criminalità mafiosa, occupandosi anche di reati in materia di stupefacenti, di gioco d’azzardo e di attentati dinamitardi (ed è notorio che reati prima facie pertinenti al mondo della criminalità comune, come quelli in materia di stupefacenti, trovano sovente addentellato nel mondo della criminalità mafiosa).

In secondo luogo lo Spatola ha riferito che le indicazioni del Barbera erano state confermate da quelle dei fratelli Rosario e Federico Caro nei primi anni ottanta del novecento, e cioè in un’epoca compatibile con quella in cui il dott. D’Antone era stato (dal 1981 al 1985) Dirigente della Squadra Mobile.

Nè, per altro verso, è conducente l’ulteriore osservazione, svolta alle pagine 98, 99 e 100 del volume 5 dell’Atto di impugnazione, che il pentito Spatola, avendo fatto i nomi dei funzionari Contrada e D’Antone quali “fratelli”, << nulla abbia riferito sulla appartenenza alla massoneria, certa e provata dall'esame degli elenchi di affiliati a logge massoniche (cfr.: testimonianza Cap. Bruno - D.I.A.- ud. del 12 ottobre 1995), di altri funzionari della Questura, quali il dott. Giovanni Console, già funzionario della Criminalpol di Palermo, il dott. Salvatore Pernice, ufficiale medico della polizia, il Ten. Col. Domenico Trozzi, già Comandante del Nucleo Elicotteri di Palermo, il dott. Giacomo Orestano, già Capo di Gabinetto della Questuta di Palermo, il dott. Giuseppe Varchi, già Vice Questore Vicario di Trapani, Il dott. Giuseppe Impallomeni, già Dirigente Squadra Mobile di Palermo (questi ultimi due erano aderenti alla loggia massonica della P2), il dott. Giuseppe Nicolicchia, già Questore di Palermo nel 1980-1981>>.

Così come, infatti, l’indicazione di D’Antone era scaturita dalla specifica occasione della sua presenza al bar Cordaro, segnalata allo Spatola dal mafioso Stefano Barbera, tema successivamente ripreso con i fratelli Caro, il riferimento all’odierno imputato aveva tratto spunto dall’episodio dell’incontro al ristorante “Il Delfino”.

E’ plausibile, dunque, che al collaborante non sovvenissero i nomi di altri funzionari di Polizia appartenenti alla massoneria, della cui esistenza, peraltro, egli ha detto di essere al corrente (pag. 14 trascrizione udienza 27.4.1994) . Oltretutto, soltanto dei predetti D’Antone e Contrada egli ha riferito, de relato, la qualità di “fratelli” a disposizione di Cosa Nostra, e non semplicemente di massoni; qualità non emersa, per quanto è dato sapere, rispetto ad altri funzionari di Polizia.

Tanto premesso, la circostanza che Rosario Spatola abbia fatto le sue prime rivelazioni sul conto dell’odierno imputato soltanto nel corso dell’interrogatorio del 16 dicembre 1992, pur avendo iniziato la sua collaborazione con la Giustizia nel settembre 1989, non è in alcun modo sintomo di inaffidabilità.

Secondo i difensori appellanti (pagine 30 e 31 tomo I vol. I dei Motivi nuovi) sarebbe <

Ma anche se avesse ritenuto opportuno non dire nulla sul dott. D'Antone perché questi era in servizio all'Alto Commissariato, non si comprende per quale motivo non avrebbe potuto riferire ciò che sapeva sul dott. Contrada, che in quegli anni svolgeva la sua attività in altro Organismo e cioè al S.I.S.DE, come dichiarato dallo stesso Spatola>>.

Inoltre (pagine 36, 37 e 38, ibidem) <....

O temeva, forse, che accusando Contrada e/o D'Antone sarebbe stato privato della protezione e lasciato alla mercé della vendetta della mafia? Oppure temeva di non essere creduto e, quindi, di essere incriminato per calunnia, ma in tal caso non si comprende come tale timore, nutrito per gli anni precedenti, sia poi scomparso il 16 dicembre 1992, dinanzi al Proc. Agg. Aliquò, in servizio alla Procura di Palermo da moltissimi anni.

Oppure, si sarebbe determinato all'accusa perché ha intuito o saputo o qualcuno lo ha informato che di lì a poco sarebbe passato sotto la protezione del Servizio Centrale Protezione o della D.I.A., essendo in fase di scioglimento l'Ufficio dell'Alto Commissario, o, ancora, perché qualcuno gli ha segnalato che di lì a poco Contrada e D'Antone sarebbero stati arrestati, o perlomeno il dott. Contrada, come in effetti si è verificato>>.

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