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Storia Dei Trattati e Politica Internazionale


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2.8 Le conseguenze dell’attacco militare turco e degli avvenimenti degli anni 60 sulla popolazione civile: il dramma dei profughi, la violazione dei diritti umani, lo sconvolgimento demografico.
A operazione militare avvenuta, la Turchia e la comunità turco cipriota per voce del suo leader Denktas, incoraggiarono la popolazione turco cipriota ancora residente al sud, a superare la linea di Attila, provocando così una divisione etnica e politica permanente.

Parte di questa popolazione, di etnia turca, era già stata costretta a lasciare le proprie case e a rifugiarsi in piccole enclave in seguito alle violenze subite durante le crisi del 1963 e 1967.

Il sentimento di odio interetnico, prese il posto negli anni sessanta, di quello anticoloniale.

Nel segno prima dell’indipendenza, poi dell’Enosis e della supremazia ellenica, l’EOKA, altri gruppi paramilitari e l’amministrazione greco cipriota stessa, fomentarono e attuarono azioni tese a isolare e sopraffare la comunità turco cipriota.

Seppur di minore entità numerica e diversa forza d’urto, rispetto alla massiccia operazione militare operata dalla Turchia nel 1974, la ritorsione operata ai danni della comunità turco cipriota, negli anni precedenti l’attacco, dalla controparte greca non può essere considerata trascurabile.

Secondo fonti turco cipriote, durante il periodo 1963-74, circa 30.000 turco ciprioti furono costretti a lasciare 103 villaggi e a rifugiarsi nelle enclave, che come abbiamo visto29 coprivano un territorio di circa il 3% dell’isola ospitando circa 120.000 persone.

Negli attacchi organizzati e negli incidenti occasionali tra le due comunità centinaia di persone perirono e la maggior parte erano turco ciprioti, sia civili che militari.

Sempre nello stesso periodo, di 11 anni, più di 800 turco ciprioti risultarono dispersi.

In seguito al colpo di stato operato dalla Guardia Nazionale, molte famiglie turche si rifugiarono, per paura di ritorsioni nelle basi militari Britanniche.

Durante il periodo che intercorse tra il primo attacco turco, il 20 luglio 1974 e il secondo attacco, il 14 agosto, le autorità turche e turco cipriote, lamentarono soprusi e violenze da parte della Guardia Nazionale ai danni di civili delle enclave turche, sottoposti alla condizione di prigionieri di guerra.

Nello stesso periodo, furono riportate uccisioni da parte dei militari greci, ai danni di alcune decine di civili turchi, nei villaggi di Aloa, Murataga e Sandallar.

Questi episodi furono presentati dalla Turchia, come una delle giustificazioni per il suo secondo attacco.

L’intervento militare turco del 1974, fece assumere al dramma delle popolazioni civili, proporzioni macroscopiche.

Durante le operazioni militari, del luglio e agosto 1974, la potenza offensiva dell’esercito e dell’aviazione turca, non risparmiò la popolazione civile.

I militari, nella loro avanzata si macchiarono di gravi delitti, deliberati e sistematici condotti ai danni di civili, uccisi anche a sangue freddo.

Ospedali e abitazioni civili furono bombardati dall’aviazione turca.

Molte famiglie fuggirono o furono costrette con la forza a lasciare le proprie case, dirigendosi verso sud.

Alla fine della prima operazione, circa 5000 profughi convogliarono verso sud.

Alla fine della seconda operazione “Attila II”, circa 3000 greco ciprioti persero la vita, 1619 persone di cui 993 soldati, 626 civili (112 donne e 26 bambini minori di 16 anni), risultavano e risultano tuttora disperse30.

Secondo fonti ONU, nell’agosto 1974 circa 225.600 si trovavano nella condizione di profughi a Cipro, di cui circa 183.800 greco-ciprioti.

Nella parte sud dell’isola, sotto il controllo dell’amministrazione greco cipriota, si trovavano 198.800 di questi rifugiati, dei quali 35.000 turco ciprioti, prigionieri di guerra inclusi.

Nel 1975, fu data la possibilità a circa 9000 profughi turchi di raggiungere la parte nord dell’isola e in cambio circa 800 greco ciprioti poterono raggiungere le loro famiglie nel sud.

Nello stesso anno altri 9000 turchi ospitati dagli inglesi nella base militare di Akrotiri raggiunsero la loro comunità nel nord del paese.

Il trattamento accordato da entrambe le parti, negli anni immediatamente successivi all’attacco turco, alle comunità e alle minoranze rimaste in condizione di prigionia o di libertà controllata nei territori occupati dalle comunità a loro “ostili”, è stato oggetto di continue accuse e appelli alla comunità internazionale per la cessazione di violenze e soprusi operati nei loro confronti.

Per quanto riguarda le rivendicazioni di parte greco cipriota, possiamo ricordare, tra i documenti più importanti, il report, del 10 luglio 1976, della Commissione Europea dei diritti Umani; le risoluzioni della Commissione dei diritti Umani dell’ONU, 4 (XXXI) DEL 13/02/75 e la 4 (XXXII) del 27/02/7631, nelle quali la Turchia venne riconosciuta colpevole di aver violato ripetutamente diritti umani, diritti della proprietà, diritti dei prigionieri di guerra, ecc.

Tra i documenti più importanti per la comunità turco cipriota invece, viene spesso richiamata la già citata risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU N° 186 DEL 04/03/196432, istituente una forza di pace sull’isola, accolta dai turco ciprioti come uno strumento per bloccare le violenze di cui furono vittime durante gli anni 63-64, oltre che vari reports del Segretario generale dell’ONU riguardanti persone disperse negli incidenti del 1964; e uno studio sulla distruzione delle proprietà private, sempre a cura delle Nazioni Unite, “Rapporto Ortega” del 1964.

Alla fine del 1975, circa 20.000 greco ciprioti vivevano ancora nella parte nord del paese; l’amministrazione turco cipriota minacciò di espellerli in massa, come ritorsione per il trattamento accordato alla propria comunità nell’area “greca”.

Per forzare il rilascio dei propri profughi, lanciò una provocatoria campagna di colonizzazione, che portò migliaia di contadini dalla madrepatria Turchia ad occupare le case lasciate dai greco ciprioti fuggiti.

La politica di colonizzazione continuò e continua tuttora, rivoluzionando l’assetto demografico del paese.

La popolazione civile, oltre che un numero di militari che oggi conta circa 35.000 unità, proveniente dalla Turchia continuò a confluire nell’isola con tale intensità che la popolazione originaria dell’isola, che negli anni successivi all’intervento del 74 emigrò anche all’estero e specialmente in Inghilterra, rischia di diventare minoritaria rispetto a quella degli emigranti-coloni della madre patria Turchia.



2.9 La controversia sull’interpretazione legale dell’intervento militare turco.
L’azione militare intrapresa dalla Turchia nel 1974, ha suscitato un acceso dibattito sulla sua legittimità tra i giuristi e gli esperti di diritto internazionale.

Il governo di Ankara, diede una giustificazione di tipo legale ed etnico al suo intervento.

Definì il colpo di stato ai danni di Makarios, un chiaro segnale verso l’annessione dell’isola alla Grecia, proibito dal trattato di garanzia del 1960.

Richiamando lo stesso trattato, si arrogò il diritto e la responsabilità di intervenire, per difendere la comunità turco-cipriota, ristabilire l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’isola.

Secondo il punto di vista di Ankara, con il colpo di stato operato dalla giunta, la Grecia aveva messo deliberatamente in pericolo la sicurezza della comunità turco cipriota e aveva, lei per prima violato i trattati del 1960.

Effettivamente, le azioni della Grecia, rispondevano a un piano preciso, secondo il quale si sarebbe occupata tutta l’isola con l’aiuto della Guardia Nazionale, in modo rapido e tempestivo.

Nonostante ciò, è difficile non pensare che la Turchia, una volta creatasi l'occasione, supportata anche sul piano legale, avrebbe rinunciato facilmente a un’espansione territoriale strategicamente così importante, in nome del ripristino della legalità sull’isola.

Dal punto di vista prettamente legale, in accordo con l’art. 4 del trattato di garanzia, l’azione della Turchia era giustificata da due fattori.

Primo, con il colpo di stato del 15 luglio, il trattato di garanzia era stato violato dalla Giunta Greca.

In secondo luogo, un’azione congiunta delle potenze garanti, non era attuabile per il rifiuto della Gran Bretagna di partecipare a una simile azione e la Grecia si trovava nella condizione di aver violato essa stessa il trattato.

L’azione turca d’altro canto, non poteva essere considerata legale, perché contrastava con lo spirito stesso del trattato.

Secondo alcune fonti33, il Regno Unito tentò di convocare una conferenza a Londra il 19 luglio 1974, per risolvere in modo pacifico il conflitto.

L’invito sarebbe stato accettato dalla Grecia e declinato dalla Turchia.

In una simile condizione l’intervento unilaterale e soprattutto la scelta di ricorrere alle armi, piuttosto che ai negoziati diplomatici, toglierebbe qualsiasi valore giuridico all’intervento turco.

Il dibattito giuridico sulla liceità dell’intervento turco, trova il suo terreno di discussione anche in rapporto ad altre norme internazionali e soprattutto alla Carta delle Nazioni Unite.

In particolare, secondo alcuni studiosi, l’azione Turca, sarebbe in diretto contrasto con l’Art. 103 della Carta, il quale afferma la prevalenza degli obblighi derivanti per gli stati membri dalla Carta stessa, rispetto a quelli assunti in base a qualsiasi altro accordo, che con i primi risultino in contrasto.

In particolare ci sarebbe stridente contrasto con l’Art.2, par.4 della Carta che vieta l’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza di qualsiasi stato.

Gli articoli 24 e 29 della stessa Carta, confermerebbero l’illegalità dell’azione turca, indicando come sia prerogativa del Consiglio di Sicurezza intervenire per garantire il mantenimento della pace e dell’integrità territoriale di un paese, non essendo riconosciuto analogo diritto al singolo Stato Membro.

Evitando di disquisire ulteriormente sulle possibili interpretazioni da dare all’azione turca, che darebbero luogo a verità giuridiche differenti, a seconda dell’interelazione tra i principi e le norme internazionali utilizzate; senza dubbio è da rilevare che il protrarsi delle azioni militari turche, non trova un terreno legale giustificabile.

Pur sulla base di un’ulteriore giustificazione di garanzia di sicurezza per le proprie comunità (vittime di violenze durante il periodo tra i due attacchi), la ripresa delle ostilità con l’operazione “Attila II”, non diede adito a dubbi interpretativi sulla sua natura.

Lo status quo ante era stato ristabilito durante i primi giorni dell’invasione, la seconda operazione non aveva altro scopo che quello di poter consolidare la posizione della Turchia sull’isola.

Secondo Nancy Crashaw34, “da questo punto in poi le considerazioni di tipo strategico presero il sopravvento sulle obbligazioni derivanti dai trattati di Zurigo, che precludevano specificatamente la divisione di Cipro in stati separati”.

In conclusione, le autorità delle due parti in causa (come si evince anche dalle interviste in appendice) 35, si avvalgono tuttoggi di eminenti giuristi e studiosi di diritto internazionale per sostenere la propria tesi in merito alla legittimità o meno dell’intervento militare turco, ma indipendentemente dal riconoscimento di ciascuna di queste tesi rischiano di ridurre le possibilità di soluzione del problema di Cipro, da ricercarsi probabilmente su un terreno più squisitamente politico.

Imboccando la strada di un’interpretazione giuridica del problema di Cipro, secondo l’opinione dell’autore di questo studio, si rischia di confrontarsi su cavilli e condizioni legali che non coincidono con l’evoluzione del panorama politico internazionale venutosi a creare intorno al problema stesso, profondamente mutato anche nelle sue prospettive giuridiche.




2.10 Il ruolo della propaganda sugli avvenimenti degli anni sessanta e della loro drammatica evoluzione nel 1974.

Le differenti interpretazioni storiche di quegli avvenimenti, degli autori greci e turchi.
Nell’affrontare questo studio, l’autore si è trovato spesso a dover confrontare testi e documenti in diretto contrasto tra di loro, o per lo meno differenti nell’esposizione degli avvenimenti storici trattati.

La strumentalizzazione di tipo propagandistico nella maggior parte degli opuscoli e delle pubblicazioni di origine governativa delle due parti in causa, non manca di presentarsi anche su studi condotti a livello accademico.

La naturale soggettività di parte, non giustifica la completa omissione di alcuni degli avvenimenti storici più importanti occorsi nel periodo 1963-74.

Nel presentare la storia entrambe le parti hanno costruito una leggenda basata sul vittimismo e le prevaricazioni subite dalla controparte.

Dal punto di vista turco cipriota, la loro comunità ha subito un assedio di quattrocento anni in cui la maggioranza greca non ha mai smesso di costringerli con la forza e con l’inganno a un’intollerabile unione con la Grecia o ha addirittura cercato di cacciarla dall’isola.

La minuziosa descrizione dei massacri e delle violenze perpetrate ai danni della comunità turco cipriota nelle crisi del 1963 e 1967, trova spazio quasi unicamente nelle pubblicazioni di origine turca o in loro “favore”, per scomparire del tutto o essere ridimensionate in quelle di origine greco cipriota.

Per gli autori greci tutto il periodo antecedente l’invasione turca è un periodo quasi idilliaco, in cui le due comunità convivevano in pace e in cui la democrazia accordata dalla nuova costituzione avrebbe presto garantito tranquillità e coesione sociale e politica tra le due parti.

Dove per i greci la figura di Makarios e dell’amministrazione pubblica greco cipriota viene scagionata dalle accuse di collisione con le azioni dell’EOKA, per i turco ciprioti, tutta la politica dell’Arcivescovo e dei suoi collaboratori viene dipinta come un piano prestabilito teso a isolare e opprimere la comunità turco cipriota.

Il cosiddetto “Piano Akritas”, più volte menzionato nei documenti turco ciprioti, in cui si descriveva passo per passo la strategia da operare per raggiungere l’Enosis e conquistare il completo controllo politico dell’isola, avrebbe avuto tra i suoi ideatori lo stesso Makarios e sarebbe stato scritto per pugno di Glavkos Clerides.

Il testo o la citazione di questo piano, non appare, in alcuna delle pubblicazioni filogreche (fatto in questo caso comprensibile, trattandosi di un piano segreto di carattere decisamente offensivo verso la controparte), mentre trova grande enfasi in quelle filoturche.

D’altro canto, la storiografia e il simbolismo filogreco, enfatizzano in modo massiccio l’operazione militare turca del 1974.

La brutalità dell’attacco dei militari, il dramma delle centinaia di migliaia di profughi e l’aggressività politica della Turchia, vengono trattati estensivamente in tutte le pubblicazioni filogreche.

Quella che i turco ciprioti definiscono “Operazione Pace”, viene descritta e definita dal collettivo dell’opinione pubblica e degli autori greco ciprioti come “brutale invasione”.

Ciascuna delle due comunità ha creato le proprie icone, immagini delle vittime cadute per le violenze subite durante gli attacchi del 1963-67 e del 1974.

Le foto e i simboli della sofferenza di quegli episodi, si possono incontrare in qualsiasi punto dell’isola, da una parte e dell’altra della “Linea Verde” di “confine” tra i due territori.

La foto di Muruvet Ilhan, moglie di un ufficiale medico turco cipriota, trucidata dall’EOKA, nella vasca da bagno della sua abitazione dove si era rifugiata con i suoi figli, è diventata il simbolo delle sofferenze turco cipriote e si può trovare ovunque nelle pubblicazioni o appesa ai muri nel nord dell’Isola.

A Nicosia nord o Lefkosa, come la chiamano i turchi, la stanza da bagno, così come era crivellata dai colpi di fucile, è conservata nel museo della guerra insieme ad altre terrificanti immagini, in bianco e nero, raffiguranti cadaveri di turco ciprioti.

Anologo museo si può trovare dall’altra parte della città, Nicosia sud o Lefkosia, come la chiamano i greco ciprioti.

I profughi e le immagini di edifici distrutti dall’attacco turco, raffigurano visivamente il dramma di quei giorni del 1974 e delle conseguenze che la divisione del paese ha portato negli anni successivi.

Nel centro di osservazione a Ledra Street, si elenca statisticamente ciò che i turchi hanno guadagnato occupando la parte settentrionale dell’isola.

Il 70% del prodotto interno lordo, il 65% delle prenotazioni turistiche, l’83% dello sdoganamento delle merci e il 48% delle esportazioni agricole, sono alcune delle cifre che il governo di Cipro considera aver perduto con l’invasione turca.

Il dramma dei dispersi, viene onorato con un monumento, posto anch’esso di fronte al punto di osservazione di Ledra Street (dal quale anche curiosi e turisti possono vedere al di là del muro, la zona cuscinetto e i quartieri turchi della città), raffigurante una sagoma umana nella quale si può affondare il proprio braccio, essendo scolpita simbolicamente nel vuoto di un pannello di metallo.

L’eco degli avvenimenti ciprioti sulla stampa internazionale, viene utilizzato sistematicamente dalle due comunità, che si sono impegnate a pubblicare innumerevoli raccolte stampa, ciascuna contenente gli articoli riguardanti la cronaca e le dichiarazioni di politici stranieri riguardo ai fatti degli anni 1960-1974.

Enfatizzando l’una o l’altra dichiarazione, evidenziando lo sdegno di giornalisti e politici stranieri riguardo alle violenze subite durante i periodi di terrore, entrambe le parti in causa cercano chiaramente di attirare l’attenzione sul loro dramma, entrambe si rivolgono al mondo esterno perché questo gli riconosca il ruolo di vittime.

Un altro campo in cui le due parti si accusano reciprocamente, riguarda lo scempio e la distruzione del patrimonio artistico, culturale e religioso operato indiscriminatamente durante gli attacchi di quegli anni.

Durante gli attacchi operati dall’EOKA e i disordini occorsi negli anni 60, le fonti turco cipriote36 riportano la distruzione di più di 100 moschee, mausolei e di altre preziose antichità ottomane ed islamiche.

Durante l’attacco militare turco e negli anni successivi, i turchi vengono accusati di aver deliberatamente offeso la cultura e la storia ellenico-cristiana, distruggendo o convertendo in moschee centinaia di chiese, dissacrando i cimiteri e vendendo sul mercato nero internazionale moltissimi pezzi di antichità di origine millenaria.

Il contrasto ideologico che attraversa tutti i settori sia della società civile sia delle classi politiche, ha assunto proporzioni così grandi da non permettere la ripresa di un dialogo tra le due parti, che non sia costantemente viziato da sentimenti di diffidenza.

Il periodo storico tra il 1960 e il 1974, così ricco di avvenimenti, ha creato i simboli che hanno condizionato psicologicamente tutti i rapporti tra le due comunità.

Il problema di Cipro, nasce quindi anche da questi simboli, nasce cioè dai ciprioti stessi, che li hanno creati e che non sembrano intenzionati a rimuoverli.

Fino a che i turco ciprioti continueranno a chiamare un attacco militare, che ha causato migliaia di morti, “Operazione Pace” e i greco ciprioti sederanno a un tavolo delle trattative con il “nemico” definendo il proprio interlocutore “cosiddetto Ministro di un pseudo Stato”, non ci sarà posto per un’analisi obbiettiva dei fatti degli anni 1960-74, indispensabile per la ripresa del dialogo.

Capitolo 3
3 Dalla crisi del 1974 ai giorni nostri.

La dichiarazione di indipendenza della “TRNC”37

Gli equilibri geopolitici mondiali.

Sviluppi e prospettive odierne.

3.1 Il primo periodo successivo alla crisi.

Interminabile serie di colloqui di pace tra le due comunità.

Il ruolo del Segretario Generale delle Nazioni Unite
Alla fine del 1974, in seguito all’operazione militare turca, la composizione territoriale, politica e demografica dell’isola era profondamente mutata.

La situazione creatasi, risultava de facto, nella completa divisione dell’isola in due entità separate, divise da una linea di demarcazione, controllata dalle forze dell’ONU, che non si esauriva nel suo aspetto meramente geografico, ma che rispecchiava ancor prima una frattura di tipo ideologico, una definitiva separazione di due “mondi” opposti tra loro.

Questa situazione non muterà nel corso degli anni avvenire, tutt’oggi, dopo più di 25 anni, il tentativo di far convergere questi due “mondi” è fallito, perché le condizioni in cui si sono svolte tutte le azioni diplomatiche, politiche e sociali per trovare una soluzione al problema di Cipro, non hanno incontrato le contingenze necessarie per sviluppare una strategia accettabile da entrambe le parti.

Fin dal primo tentativo di far convergere le due comunità in drammatici colloqui di pace, è emersa nel panorama diplomatico internazionale, la figura del Segretario Generale delle Nazioni Unite e del suo ufficio, quale ideale mediatore per la risoluzione del conflitto.

Dopo aver emanato, il 2 novembre 1974, la risoluzione 3212, che raccomandava il ritiro di tutte le forze militari dall’isola e il ritorno in sicurezza di tutti i profughi nelle loro case, l’intensa azione diplomatica delle Nazioni Unite, riuscì a far convocare una prima serie di colloqui tra i leader delle comunità, da tenersi a Vienna nel gennaio 1975, sotto gli auspici del Segretario Generale Dr. Kurt Waldheim.

Il successo di questi colloqui dipendeva dalla convergenza delle diverse condizioni politiche presentate dalle due parti al tavolo delle trattative: i turco ciprioti volevano uno stato federale, con governi regionali dotati di forte autonomia; mentre i greci, pur non escludendo a priori una soluzione “bizonale”, avrebbero potuto accettare una soluzione di tipo cantonale o multi regionale, controllata da un governo centrale con ampi poteri.

Alla conclusione dei colloqui, riuscirono solo ad accordarsi sull’indipendenza, il non allineamento politico e la demilitarizzione di Cipro.

A raffreddare questo clima di riapertura al dialogo, il 13 febbraio 1975, lo “Stato Federato Turco di Cipro”, (“TFSC”) 38, fu proclamato nel territorio occupato dalla comunità turco cipriota.

Il nuovo stato non intendeva essere riconosciuto come una repubblica indipendente, ma mirava a ristabilire le istituzioni e i principi, in passato sperimentati con la creazione dell’amministrazione autonoma.

Rauf Denktas, leader indiscusso, fu proclamato presidente del “nuovo stato”.

La Grecia e l’amministrazione greco cipriota si opposero fermamente a quest’iniziativa, definendola “una minaccia alla pace” e si appellarono alle Nazioni Unite, il cui consiglio di sicurezza, nel Marzo 1975, emanò una risoluzione contro la decisione di istituire uno Stato Federato Turco.

I colloqui ripresero in Aprile, e la speranza di un accordo sembrò concretizzarsi quando le due parti accettarono la costituzione di una commissione neutrale di esperti, che avrebbe studiato una possibile composizione da dare al governo di Cipro entro giugno dello stesso anno.

I successivi negoziati di Vienna però non diedero i risultati sperati e si entrò in una fase di stallo.

Nonostante ciò un accordo, che però è anche oggetto di controversia, fu raggiunto durante il terzo “round39” di colloqui nel luglio 1975.

Grazie a quest’accordo fu data la possibilità a circa 10.000 turco ciprioti di emigrare al nord.

La controversia però nacque, allorquando circa 2.000 greco ciprioti dovettero lasciare il nord del paese, in condizioni di dubbia libertà di scelta.

L’accordo prevedeva il movimento delle popolazioni, da attuarsi secondo la loro volontà.

Denktas e i suoi collaboratori, troveranno l’occasione negli anni successivi di biasimare l’amministrazione greco cipriota, per non riconoscere la validità di quest’accordo, come base per l’accettazione di una federazione bizonale.

Il governo greco cipriota, accusò invece i turco ciprioti di aver forzato il trasferimento verso sud della popolazione, disattendendo il principio di volontarietà che l’accordo implicava.

Per iniziativa dei ministri degli esteri di Grecia e Turchia, riunitisi a Bruxelles il 12 dicembre e che avevano naturalmente già partecipato attivamente alla realizzazione dei precedenti negoziati, i colloqui ripresero nel febbraio 1976.

In quest’occasione, si decise che le due parti avrebbero dovuto presentare proposte complete e dettagliate, entro sei settimane, sotto forma di un piano comprendente sia gli aspetti territoriali, sia una possibile soluzione federale, sia la composizione da dare a un governo centrale.

Il 6 aprile i greco ciprioti presentarono il loro piano al rappresentante delle Nazioni Unite, completo nelle sue parti riguardanti il problema territoriale e quello costituzionale.

Il piano turco cipriota per l’istituzione di una federazione bizonale, fu presentato il 17 aprile, privo tuttavia di una proposta sugli aspetti territoriali.

Intanto, l’arcivescovo Makarios era ritornato sull’isola, nel dicembre 1974, riassumendo legittimamente la carica di Presidente della Repubblica.

Makarios aveva ovviamente seguito passo per passo il progresso dei negoziati di pace, accordando piena fiducia a Glavkos Clerides.

In occasione dei colloqui dell’Aprile 1976, però Makarios si trovò in aperto contrasto con la politica seguita da Clerides (fonti turco cipriote40, citano un accordo segreto tra il negoziatore greco cipriota e Denktas, per il quale Makarios sarebbe stato avvertito in ritardo dell’andamento dei colloqui, in modo da non influenzarne i risultati), che portarono alle dimissioni di quest’ultimo.

Allo stesso tempo, Umit Süleyman, prese il posto di Denktas come negoziatore turco cipriota.

Questi avvenimenti occorrevano poco prima che in entrambe le parti dell’isola si svolgessero nuove elezioni generali.

Nel nord, Denktas fu riconfermato Presidente della neonata “TFSC”.

Il suo partito, UBP (partito di unità nazionale), ebbe la maggioranza dei voti e dei seggi dell’assemblea legislativa, formata da 40 membri.

Il segretario generale dell’UBP, Nejat Konuk, fu nominato Primo Ministro.

In settembre le elezioni furono indette nel sud dell’isola.

Un nuovo partito, alla guida di Spyros Kyprianou (che supportava la politica dell’Arcivescovo Makarios), vinse nettamente le elezioni, conquistando 21 dei 35 seggi disponibili alla Camera dei Rappresentanti.

Il partito democratico di Glavkos Clerides (DISY), non conquistò neanche un seggio.

Nel gennaio 1977, per iniziativa diretta dei due presidenti, i colloqui ripresero.

Makarios e Denktas, si incontrarono in due summit, il 27 gennaio e il 12 febbraio, il primo alla presenza del rappresentante speciale dell’ONU, al secondo partecipò direttamente il Segretario Generale Waldheim.

Durante gli incontri, i due leader, si accordarono sull’elaborazione di un piano, che prevedeva l’accettazione dell’istituzione di una forma di stato federale e bizonale da parte dei greco ciprioti, a condizione di concessioni territoriali e una definizione di un governo centrale dotato di poteri sufficientemente forti.

I piani, meglio noti come le quattro “linee guida“, furono presentati al sesto “round” di colloqui a Vienna, in marzo.

Come già in passato, rimasero lettera morta, perché per entrambe le parti rappresentavano un compromesso troppo grande: i turco ciprioti non presentarono proposte sull’assetto territoriale, aspettando le contromosse “dell’avversario”; i greco ciprioti non riconfermarono le “linee guida” come base per una soluzione definitiva, temendo che le concessioni per una forma di stato federale avrebbero pregiudicato troppo la loro posizione.

Il 3 agosto 1977, la morte dell’Arcivescovo Makarios, pose fine alle speranze di una ripresa a breve termine dei negoziati.

Venendo a mancare il suo leader storico, crebbe la paura per la stabilità politica del paese e dei colloqui stessi, non essendoci una figura che potesse realmente fungere da suo successore naturale.

Spyros Kyprianou, Presidente della Camera dei Rappresentanti, fu nominato presidente ad interim alla fine di Agosto ed eletto ufficialmente nel gennaio 1978.

Nell’aprile dello stesso anno, una crisi nel nord del paese portò alle dimissioni di Nejat Konuk dalla carica di Primo Ministro della “TFSC”, sostituito da Osman Orek.

Il suo governo però ebbe vita breve e in dicembre una nuova crisi investì l’amministrazione turco-cipriota, provocando la dimissione di tutti e nove i ministri del suo gabinetto, Mustafa Çagatay formò un nuovo governo.

Superata questa fase di crisi politiche interne, che portò anche alle dimissioni di Tassos Papadopoulos quale mediatore greco cipriota ai negoziati di pace, si crearono le condizioni per riprendere i colloqui tra le due comunità.

Il 19 maggio 1979 Kyprianou e Denktas elaborarono un nuovo piano, contenente dieci punti e basato sui precedenti accordi del 1977 tra Makarios e il leader turco cipriota.

Un aspetto importante di questi accordi, fu la discussione sulla restituzione alla comunità greco cipriota, di Varosha (quartiere di Famagusta).

Famagusta era un importante porto commerciale e una frequentatissima stazione balneare.

In seguito all’occupazione turca, l’attività portuale e gli alberghi, un tempo meta di grandi flussi di turisti, caddero in uno stato di semiabbandono, che permane tutt’oggi.

I turco ciprioti rifiutarono di discutere su questo punto e divergenze sull’interpretazione degli altri punti accordati in maggio, portarono a nuovo inevitabile collasso delle trattative.

La frustrazione dei buoni propositi per un accordo ragionevole, aveva ormai raggiunto un livello molto alto.

In un memorandum fatto pervenire dal Ministro degli esteri greco cipriota Rolandis al Segretario Generale delle Nazioni Unite Dr. Waldheim, si misero in evidenza le negligenze e i voltafaccia operati dai negoziatori turco ciprioti durante i colloqui di pace tra il 1975 e il 1979.

Secondo Rolandis, ogni volta che i greco ciprioti si impegnarono ad accomodare la posizione della controparte, i turco ciprioti attuarono un voltafaccia, proponendo prima una federazione, poi la creazione di due stati virtualmente separati41.

Ovviamente, gli autori turco ciprioti divergono considerevolmente con questa analisi dei primi anni di colloqui intercomunali.

Secondo N.M.Ertekün 42, i negoziatori greco ciprioti disattesero gli impegni presi nell’accordo Makarios/Denktas del 1977, che era alla base di un accettazione di uno stato federale e cercarono in tutti i modi di portare la discussione fuori dei propri confini, per ottenere maggiore legittimazione della propria causa da parte della comunità internazionale.

Perché si creassero le condizioni per un dialogo sincero ed incondizionato, era necessario che le due parti convergessero ai colloqui mettendo da parte il sentimento di diffidenza e paura che regnava ogni qualvolta le due parti si incontravano.

Nonostante ciò, l’ottimismo e la speranza che questi sentimenti cambiassero era espresso dal Segretario Generale Kurt Waldheim e dai suoi collaboratori, alla vigilia di ognuno degli incontri.

I report da lui divulgati a conclusione di ogni colloquio, ne esaltarono la capacità diplomatica e il positivismo necessario a stimolare la ripresa del dialogo tra le due parti.

Dal giugno 1979 all’agosto 1980, gli sforzi diplomatici per riattivare i colloqui e riportare le due parti al tavolo delle trattative, continuarono con grande intensità.

Confermando il ruolo primario assunto dall’ufficio dalle Nazioni Unite, il Rappresentante Speciale per Cipro, Hugo Gobbi, riuscì ad indire una nuova serie di colloqui di pace, la cui apertura dei lavori, ebbe luogo a Nicosia il 16 settembre 1980.

Oltre alle inevitabili proposte per un riassetto politico e territoriale dell’isola, la questione di Varosha e una speciale raccomandazione a condurre i colloqui in uno spirito di reciproca confidenza furono portati al tavolo delle trattative come punti principali.

Neanche in questa occasione si raggiunse alcun risultato concreto e i colloqui protrattesi fino alla primavera del 1981 caddero nuovamente in un’inesorabile fase di stallo.

Il crescente criticismo nei confronti di Kyprianou per i continui insuccessi diplomatici e il sorgere di una grave crisi economica portarono, nell’aprile 1981, alla caduta del governo e alla convocazione di nuove elezioni parlamentari.

Dalle elezioni, indette per il maggio dello stesso anno con il sistema proporzionale, uscirono rinforzati il partito comunista AKEL e il partito di Clerides, DISY, che conquistarono 12 dei 35 seggi disponibili alla Camera dei Rappresentanti.

Il partito di Kyprianou, DIKO, uscì invece ridimensionato, conquistando solo otto seggi.

Nel giugno del 1981, le elezioni nella “TFSC”, riconfermarono Rauf Denktas Presidente, ma con un consenso di solo il 52%.

Il suo partito UBP, conquistò solo 18 seggi, cinque in meno rispetto alle precedenti elezioni.

La speranza di un accordo, sul fronte dei negoziati di pace, si ebbe quando i turco ciprioti presentarono un nuovo piano, relativamente più accomodante per la posizione della controparte.

La proposta, prevedeva la restituzione di circa il 4% del territorio occupato dai turco ciprioti, oltre alla cessione della zona cuscinetto ai greco ciprioti.

Secondo il piano, inoltre, circa 40.000 profughi, sarebbero potuti ritornare nell’area di Famagusta.

I greco ciprioti però, non accettarono la struttura proposta per l’assetto costituzionale, che prevedeva l’istituzione di uno stato confederale, in cui le due comunità avrebbero avuto equi poteri in seno a un governo centrale.

Il fallimento di questi colloqui, portò a una nuova situazione di stallo, i turco ciprioti avrebbero difficilmente accettato di scendere nuovamente a compromessi, dopo il rifiuto delle concessioni offerte ai greco ciprioti.

A nulla valse, il tentativo di avanzare un piano alternativo, direttamente da parte delle Nazioni Unite, per la costituzione di uno stato federale e indipendente, presentato nel novembre 1981.

Il piano fu accettato dai turco ciprioti, ma fu vivamente osteggiato dalla chiesa ortodossa e da alcuni gruppi politici nel sud del paese, finendo per essere considerato solo come base per futuri negoziati.

Nell’aprile del 1983, Kyprianou e il suo partito DIKO, strinsero un’alleanza col partito comunista AKEL, che per la prima volta entrò a far parte di un governo.

Nel febbraio 1983 Kyprianou fu riconfermato Presidente conquistando il 56,5 % dei voti contro il 34% di Clerides e il 9% del socialista Lyssarides.

In maggio, grazie anche alle pressioni esercitate dalla lobby greca e greco cipriota che provocò l’astensione dal voto di USA e Gran Bretagna, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò all’unanimità una mozione, in favore del ritiro immediato delle truppe turche da Cipro.

Denktas, in risposta a questo monito, minacciò di boicottare qualsiasi proposta di incontro intercomunale.

La lira turca, fu da questo momento introdotta nel nord dell’isola, quale moneta ufficiale e fu dato l’annuncio di un referendum secondo il quale i turco ciprioti avrebbero deciso se appoggiare una dichiarazione unilaterale di indipendenza per la creazione di uno Stato Turco del Nord.

Il 15 Novembre 1983, mentre il Rappresentante dell’ONU Gobbi, era giunto sull’isola, per tentare di far riprendere i negoziati, Rauf Denktas e la sua comunità decisero di fare il passo storico, senza aspettare un referendum: dichiarare unilateralmente uno stato nel nord del paese.

La “Repubbica Turca di Cipro del Nord” (“TRNC”), fu dichiarata quindi in modo unilaterale (UDI43).

Rauf Denktas in una lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, affermò di aver operato questa scelta non con l’intento di creare uno stato secessionario, ma con quello di favorire gli sforzi per la creazione di uno stato federale nel quale le due comunità dell’isola avrebbero avuto pari diritti.

La dichiarazione della “TRNC”, ebbe ancor prima che un impatto politico, un forte impatto psicologico.

La comunità turco cipriota e i suoi leader, avevano sempre lamentato, fin dalla creazione della Repubblica di Cipro, la loro condizione di minoranza etnica e politica nei confronti dei greco ciprioti.

Il riconoscimento legale e politico accordato dalla comunità internazionale al governo della Repubblica, era divenuto oggetto di frustrazione politica e ideologica per la controparte turca.

Resta il dubbio però che con questa azione, i turco ciprioti piuttosto che guadagnare credibilità abbiano aggravato la loro posizione di isolamento, che ancora oggi accompagna l’autoproclamatasi repubblica.

La comunità internazionale, infatti, condannò fermamente la UDI e nessuno stato tranne la Turchia, si impegnò né allora né in futuro a riconoscerne la legittimità.

I governi della Repubblica di Cipro, della Grecia e della gran Bretagna, richiesero urgentemente una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Il 18 Novembre 1983 il Consiglio adottò la risoluzione 541/83, nella quale si deplorava il tentativo di secessione di una parte della Repubblica di Cipro, si considerava illegale la dichiarazione chiedendone la revoca e si esortavano tutti gli stati a non impegnarsi nel riconoscere altro stato sull’isola che la Repubblica di Cipro.

La quasi totalità delle altre organizzazioni internazionali, emanò documenti, dichiarazioni o misure che coincidevano con questa linea di non riconoscimento e di condanna.

La dichiarazione inoltre, era in diretto contrasto con il trattato di Garanzia del 1960, pregiudicando l’unità della Repubblica.

“Vittima illustre” di questa azione fu anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite.

L’UDI, fu resa nota all’improvviso, proprio mentre lui e il suo ufficio erano alla ricerca di nuovi compromessi per la ripresa dei negoziati e questo gli apparve come una offesa e una minaccia per i futuri sviluppi degli stessi.

Denktas, con la sua decisione, riuscì probabilmente a cambiare il rapporto di equilibrio tra le due parti nella conduzione strategico-psicologica dei negoziati che si svolgeranno negli anni avvenire, ma ciò che resta da chiarire ancora oggi è se la sua azione aveva come scopo quello di conquistare questo maggiore potere contrattuale o se egli intendesse effettivamente creare le condizioni per una divisione definitiva dell’isola.


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