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memoriali è veramente ridicola e manifesta una pervicace volontà, nonchè degli enormi interessi, da parte di chi non ha alcuna intenzione di far uscire fuori la verità. Di quello di Sandrino il Cantoni, ne parleremo diffusamente nel Capitolo 11, ma dovrebbe anche esserci un memoriale di un membro del CLN, tale Ferero Valsecchi da rendersi noto dopo la morte. Fatto emblematico poi, all’Istituto per la storia del movimento di Liberazione in Italia di Pavia, struttura finanziata con i fondi pubblici e ambito di svariati interessi, dovrebbero esserci due cassette registrate, a futura memoria, di due membri del plotone di esecuzione di Dongo, ovvero un certo Barbieri ex commissario politico della Capettini ed un certo Gardella poi sindaco comunista di Voghera; ebbene l’Istituto ha sempre opposto un suo rifiuto a poterle ascoltare. Anche Renzo Bianchi Renzo, che ebbe qualche ruolo nelle vicende del carteggio Mussolini/Churchill (che prima asserì di aver visto e poi negò e a guerra finita, si dice che fu premiato mandandolo a lavorare al casinò di Campione d’Italia come crupier pagato in franchi svizzeri) dicesi anche che prima di morire avrebbe lasciato un memoriale da rendere pubblico, ma solo dopo la morte del figlio.

4 Davide Luigi Grassi fu il primo questore a Como della Liberazione. Di tendenze liberali, dovette adeguarsi ad un ambiente in massima parte comunista. Era nato a Milano nel 1891 e mori nel 1970.


5 Virginio Bertinelli, nasce a Como nel 1901. Fu un esponente rinomato della socialdemocrazia e dopo la famosa scissione socialista di piazza Barberini fu deputato per 20 anni a partire dal 1948 e poi senatore dal 1972. Fu anche ministro del lavoro nel quarto governo Fanfani e nel terzo governo Moro. Morì nel 1973.


6 Eloquenti sono queste dichiarazioni di Davide Grassi al processo di Padova del 1957, inerenti il tesoro di Dongo: quando il Presidente gli chiese se potè svolgere delle inchieste in quel periodo, rispose l’ex questore: “Un inchiesta sulla sparizione dell’oro di Dongo? Ma come potevo concluderla, circondato com’ero da una polizia comunista? I comunisti facevano il bello e il cattivo tempo!”.

Stessa cosa, ovviamente, la si può dire per la morte del Duce.



7 Come il Carissimi possa fare questa affermazione così categorica lo sa solo lui, visto che non fu partecipe diretto o presente sul posto in quel 28 aprile 1945.


8 E’ attendibile il Carissimi che nelle vicende del carteggio, per le quali fu chiamato in causa, risultò spesso fuorviante e reticente? Ora qui egli afferma di aver interpellato i tre protagonisti e si deve presumere non molto tempo dopo i noti fatti. Escluso però il Moretti, residente più o meno a Como e dintorni, Audisio e Lampredi, che probabilmente ripassarono qualche volta da Como, ma quando e dove vennero incontrati e interrogati dal Carissimi? Nessuno lo ha mai accertato! Eppure a quanto va dicendo, circa la presenza dei tre giustizieri a Villa Belmonte, gli si potrebbe forse anche dare credito, ma solo se riferito ad una finta fucilazione!

9 Proprio le deduzioni del Carissimi, relative alla confusione di idee e di racconto dei tre personaggi (ammesso che veramente li ha interrogati tutti e tre), ci dice più di quanto l’interessato abbia invece creduto di aver capito.

Questa incertezza e confusione si può infatti spiegare con una versione falsa, artefatta, ma pur da sostenere con convinzione ed imbastita dal PCI in quei caotici giorni in quattro e quattr’otto, che ovviamente interrogando, separatamente, i presunti attori di quegli eventi, non può che ingenerare o necessariamente provocare, reticenze e strana ed astuta labilità e confusione di memoria.

Altro che “ricavai l'impressione che nemmeno loro sapessero bene chi avesse ucciso il Duce” !!ute iamente provocare, i memoria.te, i presunti attori di quegli eventi, non può che ingenerare reticenze e i in quattro


10 Le decisioni “unanimi” del CLNAI e gli scopi omicidi della missione, ovvero come qui si dice “l’esecuzione decretata dal CLNAI” (rappresentante di un governo che oltretutto, su Mussolini, aveva sottoscritto degli obblighi con gli Alleati) in realtà non hanno riscontri storici sicuri, anzi sembra proprio che furono forniti solo a posteriori e con molte contraddizioni. Nessun doveroso resoconto è mai stato dato all’autorità di governo o sua rappresentanza (CLNAI). N.d.r.

11 I fucilati di Dongo non erano tutti gerarchi, come qui sbrigativamente si sentenzia, anzi ci sono persone che non erano assolutamente passibili di pena di morte nè, tanto meno, senza un sia pur sbrigativo, processo! Quanto affermato, dopo 50 anni, liquidandolo con queste poche frasi lapidarie, visto anche come si è sorvolato sulla esecuzione della Petacci, è vergognoso! N.d.r.


12 Giusto Perretta, nato nel 1919 non partecipò alla resistenza essendo rimasto prigioniero dagli inglesi in India. Ultimo dei figli di Pier Amato Perretta, comunista a disposizione del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, ucciso durante un conflitto a fuoco con uomini della Muti. Giusto Perretta tenne per circa 30 anni la carica di segretario dell’Anpi della provincia di Como ed ha promosso studi e ricerche storiche per il periodo resistenziale arrivando alla pubblicazione di numerosi volumi. Direttore dell’Istituto storico per il movimento di Liberazione poi divenuto l’Istituto di Storia Contemporanea di Como, vero centro della vulgata resistenziale. Indubbiamente un enorme lavoro di ricerca e archiviazione storica oltre alla creazione, promozione e sostegno ad Associazioni, Enti, Cooperative, ecc. inerenti la storia della Resistenza.

Venne definito un liberal comunista che seguì il partito dopo la svolta alla Bolognina, svolta confacente a quella glasnost che si è poi concretizzata con il passaggio dal PCI al PDS. In quest’ottica ha cercato di razionalizzare tutto il bailamme delle contraddittorie versioni - della e attorno - la versione ufficiale, rispolverando e rivedendo svariate testimonianze di vecchi partigiani, soprattutto comunisti, tra i quali spicca Michele Moretti.

A ben vedere ha anche cercato di affrontare, senza remore e con il fine di ripulirle in qualche modo, molte pecche e misfatti che albergano nella storia del comunismo italiano: suo (anche e non solo), infatti e per esempio, il tentativo di riabilitare il Neri Luigi Canali, definendo il suo assassinio un tragico doloroso equivoco.


13 Una nostra osservazione sull’orario delle uccisioni indicato dal Bandini dopo il mezzogiorno:

probabilmente l’autore indica questo orario anche in base a testimonianze che a suo tempo aveva raccolto (vedi Capitolo 5 Altre testimonianze) e che gli attestavano che verso quell’ora, in paese, si udirono degli spari. Ebbene, come vedremo nel Capitolo 11, proprio intorno alle 12, quando veniva uccisa proditoriamente Claretta Petacci in fondo a via del Riale, in paese si udirono degli spari. L’autore, non potendo, al tempo, sospettare una morte del Duce di molto anteriore a quella della Petacci, ipotizzò la fucilazione contemporanea del Duce e di Claretta.



14 Si trattava di: F. Bandini Il cono d’ombra, Sugarco 1990, una lunga ricerca che praticamente dimostrò, con una documentatissima inchiesta, l’estraneità di Mussolini in merito all’omicidio in Francia dei fratelli Rosselli. Particolari questi che già si conoscevano anche se non in modo così documentato.

15 A sua scusante il Lazzaro affermò di essere stato molti anni in Brasile per lavoro e quindi di essere rimasto tagliato fuori da quanto, in proposito, si diceva e si scriveva in Italia.


16 Del quale libro, però, A. Zanella ha giustamente osservato: “seppur pieno di altrettante menzogne”.


17 Questo particolare il Lazzaro lo ha affermato in trasmissioni televisive, però stranamente, non lo riportò in un altro suo libro uscito proprio nello stesso periodo.

18 Tutta questa scenetta, riferita a scatenati guerriglieri che bussano alla porta come quella di un inquilino di una pensione, desta una evidente ilarità.

19 Visto che mordini si esprimeva con una strano dialetto misto di italiano, toscano e francese, si dice che avrebbe esclamato: “Tais-toi, putaine!”.

20 A suo tempo Pisanò, anche in base ad una delle descrizioni che Lia De Maria diede del colonnello Valerio giunto quel pomeriggio in casa sua, dove lo ricordò in impermeabile bianco e basco, era propenso ad indicare in Lampredi, così vestito quel giorno, il vero capo del trio (con Audisio e Moretti), indicando poi in Moretti l’uccisore del Duce sotto direttiva di Lampredi (Vedi: G. Pisanò Storia della guerra civile Ed. F.P.E. Milano)

21 Può non voler dire molto, ma può anche voler dire tanto, il fatto che, per esempio, in tutti questi anni è stato praticamente quasi impossibile raccogliere una confidenza negli ambienti politici, anche comunisti ed ovviamente fuori dell’ufficialità, che esprimesse la convinzione che fosse proprio Walter Audisio l’uccisore del Duce! Anche sul canovaccio della versione ufficiale, quindi, almeno per il momento dell’uccisione di Mussolini la presenza di Valerio è in forte dubbio.


22 Ricorda Albero, Alberto Mario Cavallotti, quello che asserisce di aver consegnato il mitra nuovo, ma pieno di grasso, ad Audisio: “Audisio, pace all’anima sua, proprio non ci sapeva fare con le armi”. Ma in un altra occasione, precisando che fu proprio lui ad accogliere la missione al rientro da Dongo e quindi ebbe modo di parlare a caldo con i vari Valerio, Riccardo, ecc. ebbe ad escludere decisamente qualsiasi ipotesi che attesti un Valerio / Longo.

23 Il Lanfranchi sul Corriere d’Informazione aveva anticipato da maggio (o gli era stato appositamente fatto anticipare) il nome Valerio e la stessa Unità di settembre ’45 aveva pubblicato la foto di una lettera, datata 12 settembre, indirizzata al direttore Velio Spano e firmata “colonnello Valerio” con la quale, costui forniva al giornale la matricola del mitra MAS utilizzato “per uccidere” (stranamente non disse: “con il quale ho ucciso”) Mussolini. Ma l’ufficializzazione di questo nome avvenne solo con gli articoli dell’Unità iniziati il 18 novembre 1945. Ovviamente se quella lettera fu effettivamente firmata da Audisio, come sembra, ne consegue che: o effettivamente Audisio fu il colonnello Valerio, oppure gia dal settembre del 1945 al partito comunista avevano iniziato la manovra che doveva portare all’identificazione di Audisio con il famoso colonnello Valerio. Ovviamente questo non attesta proprio tutti i ruoli che poi vennero attribuiti ad Audisio.

24 Si dice che questo Valerio aveva l’abitudine di dire, ad esempio, “vamos a comer”, invece di andiamo a mangiare, oltre al fatto che tutto il suo parlare era infarcito di spagnolismi compresi i pezzettini di canzonette spagnole da lui cantati. Ma queste testimonianze, non sono però molto precise e chiare e quindi attestano poco.


25 In altra occasione, circa i particolari della fucilazione del Duce, il Valiani ebbe a dire di non saperne assolutamente nulla, aggiungendo quindi di non sapere neppure se Luigi Longo fosse andato effettivamente a Dongo. Ma di questa presunta ignoranza sulla morte del Duce, a lui che era stato uno dei componenti del Comitato Insurrezionale, pochi hanno creduto. Aldo Mola storico della massoneria (e del fascismo), racconta del silenzio eloquente che Leo Valiani ha sempre tenuto sulla fine di Mussolini. ”Montanelli e Spadolini», dice Mola, «lo sollecitavano a parlare ma lui ha sempre mantenuto il silenzio. Per coprire la vulgata e mettere un punto e a capo nella storia d’Italia. Ma lo sapevano tutti che le cose erano andate diversamente”.

26 Domenico Tomat, Silvio e/o Valerio è nato a Venzone (Ud), il 28.8.1903. Comunista, ex alpino, di mestiere muratore, Incarcerato ripetutamente, nel 1924 espatria in Francia, frequentando attivamente gli ambienti degli emigrati italiani. Nell'ottobre 1936 è in Spagna nelle brigate Garibaldi. Diventa nel febbraio 1938, comandante interinale della stessa brigata Garibaldi. Organizzatore di diversi passaggi clandestini dalla Francia in Italia, partecipa alla Resistenza francese. Passa anche in Svizzera e verso l’estate del 1944 torna in Italia dove fa parte, in bassa Valtellina ,della 40a brigata Garibaldi Matteotti come commissario politico. Grande amico di Longo, diventa anche comandante di una brigata comunista sopra Chiavenna pochi chilometri da Dongo. E’ molto strano che i grandi storici della Resistenza lo abbiano più o meno ignorato nei loro libri. E’ certo che il Tomat seppe ben presto che Mussolini era stato arrestato a Dongo, trovandosi egli infatti a Morbegno al comando della 1a divisione Lombardia dove sembra che vi si recarono la sera del 27 aprile Urbano Lazzaro Bill, e Alois Hoffmann proprio per comunicare l’avvenuta cattura del Duce.


27 Siro Rosi, nato a Roccastrada (Gr), il 14.2.1915. Di mestiere decoratore. Comunista, mandato in Spagna con un reparto dell'esercito italiano, diserterà ed entrerà nel campo opposto, ovvero nella brigata Garibaldi. Ferito, sarà poi internato nei campi francesi del Fernet e successivamente sarà coi partigiani francesi. In Italia è ispettore con il nome di battaglia di "Lino" del Comando Delegazione Garibaldi-Lombardia. Nei giorni insurrezionali si trovava nell'alto lago di Como.

28 C’è però da considerare un fatto importante: sembra e sottolineiamo sembra, che il giornalista Franco De Agazio del Meridiano d’Italia, poco prima di essere assassinato a marzo del 1947, nel corso di una sua inchiesta, era arrivato a scoprire l’identità di Audisio = Valerio comparando una vecchia firma di Audisio, su di un documento al tempo di quando era confinato, con quella a nome Magnoli (per la verità riportata con 7 lettere a stampatello) apposta in calce all’elenco dei fucilati di Dongo, ne aveva constatato l’identità della grafia. Quindi, a meno che non sia un improbabile falso del dopoguerra, o De Agazio non si sbagliasse con la sua perizia, a Dongo Audisio c’era stato veramente.


29 Se fosse vero che venne affidato ad Audisio il non facile compito di raggiungere Mussolini e fucilarlo è altrettanto vero allora che questo compito doveva essere assolutamente eseguito ed in fretta (soprattutto rispetto alla posizione del CLNAI verso gli Alleati a cui, in piena notte, era stato inviato un radiomessaggio di già eseguita fucilazione) e questo richiedeva una persona con doti di comando e capacità militari non indifferenti che Audisio non aveva affatto. Italo Busetto ex comandante dei GAP milanesi, se non bastasse, nel 1972 ebbe a testimoniare che si era ritrovato Audisio nei SAP di Cremona con risultati inconcludenti, tanto che ne stilò un rapporto a seguito del quale Audisio fu chiamato a Milano con incarichi privi di responsabilità.

30 Come vedesi il mistero di quando venne deciso il trasferimento a Bonzanigo e quello del problematico viaggio fino a Moltrasio e ritorno, trovano nell’autore una certa spiegazione logica.


31 Questa storia di dividere queste forze, in quel momento, tra moderati che vorrebbero consegnare il Duce agli Alleati e irriducibili che vorrebbero eliminarlo a tutti i costi, non è appropriata e andrebbe considerata sotto una diversa luce. Del resto sembra che la linea Cadorna-Sardagna sotto sotto, aveva dietro gli inglesi che come noto volevano il Duce morto.


32 A quel tempo non tutti sapevano guidare una macchina, specialmente qui di notte e non è dato sapere chi tra Pietro, Neri e Gianna lo sapesse fare.

33 Caserotti è una figura molto importante per gli avvenimenti di cui stiamo parlando, anche se non è stata sviscerata a fondo ed inoltre la sua presenza in quei momenti non è mai stata smentita, mentre conferma trovò il ruolo da lui svolto nel primo pomeriggio per deviare la gente del luogo, in particolare i circa 50 abitanti di Bonzanigo, verso il bivio di Azzano. Di lui si dirà anche che conservò alcuni oggetti della Petacci (per esempio il foulard e le scarpette). Un suo racconto del 1962, fatto a Franco Serra per una inchiesta della Settimana Incom dell’aprile ‘62, contiene delle ammissioni, allora non prese molto sul serio per la loro atipicità rispetto alla versione ufficiale (in altra occasione affermò di aver sparato anche lui al Duce) che però, vere, semi vere o false che siano, alla luce di quello che poi è emerso dal racconto del teste Dorina Mazzola nel 1996, meritano molta attenzione. In sintesi, disse allora Caserotti, che proprio lui l’alba del 28 aprile 1945 era stato il primo a sapere che Mussolini si trovava a casa De Maria. Precisò anche che Mussolini era stato raggiunto dapprima da un paio di colpi di rivoltella e successivamente da altri colpi esplosi da un personaggio che lui non voleva nominare. E’ ovvio che per deduzione si doveva comunque escludere il terzetto Audisio, Moretti, Lampredi.

34 La Gianna restò in possesso di vari oggetti di Claretta (sembra anche di una piccola pistola) alcuni dicesi regalatigli. L’agiografia partigiana ha dipinto tanti eroici guerriglieri di Dongo e dintorni con un alone di leggenda, ma le cronache spesso ce li mostrano che si sono appropriati di svariati articoli e gioielli appartenuti a persone ammazzate. La Tuissi fece anche parte, con il fidanzato Alippi a Milano, dei GAP l’organizzazione terroristica adusa a sparare alle spalle.

35 Uno dei partigiani dell’Oltrepò venuti con Valerio, spesso utilizzato come autista, i cui familiari non hanno voluto rendere noto il nome.

36 Lascia perplessi il fatto che il Neri Canali, pur essendo possibile che ultimamente era entrato in collusione con i servizi segreti inglesi, abbia voluto trascinare una donna, la Petacci, in quelle fasi che poi, nonostante i suoi tentativi per tenerla lontana, la coinvolsero in una morte bestiale.

37 L’autore ha anche riproposto questa versione in un altro suo successivo libro del 2000 “Sul selciato di piazzale Loreto”. Per la verità dobbiamo però dire che il Bernini lascia intravedere nei suoi testi un certo possibilismo che i fatti si siano anche svolti diversamente dalla versione di Landini, come altre testimonianze e versioni alternative attestano, ma non si comprende bene fino a che punto egli condivida a pieno la versione di Landini.

38 “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini” . Milano 1996.


39 Infatti morirà poverissimo ed alla vedova gli si dovettero pagare anche i funerali. E qui possiamo dire che nella sua rozzezza fu certamente un assassino con pochi scrupoli, ma almeno restò coerente visto che vendendo i suoi ricordi avrebbe potuto ricavare di che vivere.


40 Chi siano costoro il Landini non sa dire e questo è assurdo (e sospetto) visto che trattasi di suoi due uomini che dovevano sicuramente rimanergli a mente (o almeno uno)!

41 Secondo il Landini però tale colpo non dovette farle troppi danni e per lui, quelli evidenziati dalle foto di piazzale Loreto, furono inferti dopo morta.

42 Sottilmente, con questo accenno alla forte pioggia, il Bernini vuol risolvere la faccenda che nessuno notò mai il sangue sul viottolo della fucilazione e neppure al cancello di Villa Belmonte (in contraddizione però con una sua precedente pretesa testimonianza riportata nel suo stesso libro che invece di sangue qui ne attestò molto, n.d.r.), ma non si accorge di rendere meno credibile la storia dei cadaveri ancora caldi dopo oltre due ore e mezza!

43 A nostro avviso, ad uso interno del PCI, per anni si lasciò sussurrare, con discrezione, il nome di Guido, Lampredi, quale più credibile uccisore del Duce.


44 Se consideriamo in altra luce queste due confidenze (quella di Togliatti e soprattutto quella di Negarville) possiamo anche arrivare ad ipotizzare che a Lampredi, a latere della sua missione con Valerio, venne affidato il compito di pianificare e organizzare la sceneggiata pomeridiana a villa Belmonte dopo che al primo mattino era stato ucciso il Duce e poi si dovette aggiungere anche il cadavere della Petacci. Per questo Lampredi andò sicuramente a Bonzanigo con i dirigenti della federazione comunista di Como e poi si recò a Dongo da Audisio. Ma quando arrivò a Bonzanigo? In ogni caso, la confidenza di Togliatti, riportata da Caprara, non specifica affatto i tempi e le modalità dell’uccisione ed ogni ipotesi resta aperta.

45 Togliatti però parla del vero uccisore, al singolare, quando molti e validi elementi dinamici e balistici indicano gli uccisori del Duce, in almeno due sparatori. C’è quindi puzza di depistaggio.

46 La versione di Lonati era stata già riportata da R. Gervaso nella sua biografia di “Claretta” del 1982.


47 Per rendere credibile il suo racconto, che aveva destato l’interesse dei mass-media soprattutto per la relazione con la storia del ruolo dei servizi segreti inglesi nella morte del Duce, il Lonati sembra che cercò di contattare dopo circa cinquant’anni uno di costoro, ma questi, non ne volle sapere negando recisamente di essere il tale cercato dal Lonati.

48 Il nome di Lampredi, fatto in questa circostanza, mostra uno strano, ma al tempo frequente connubio, tra comunisti e servizi inglesi. Il Lonati pare che sia anche un ex dipendente Fiat uscito dal partito comunista nel febbraio del 1946.

49 Cosa fecero i tre carcerieri resi impotenti, una volta usciti Lonati e compagni, non si sa: erano stati legati o solo disarmati ? e se questi avessero avuto altre armi nascoste in casa ?

E i coniugi De Maria, tutti buoni e zitti ? Come vedesi sembra tutta una pagliacciata!




50 Subito la stampa pseudo storica ha voluto dare un nome a questo agente inglese, in parte rivelato dallo stesso Lonati: si dovrebbe trattare, viene asserito, di un certo John Maccaroni nato in Gran Bretagna, figlio di immigrati italiani (dalla toscana), volontario dell’esercito inglese, addetto allo Special Operations Executive. Altre fonti invece lo danno come un certo Roberto Maccarrone oriundo siciliano.

51 Gli venne dato un certo credito, oltre che in ambito televisivo, dallo scrittore storico Peter Tompkins (ex agente OSS americano) e dal giornalista storico Luciano Garibaldi. Tutti scrittori propensi a condividere le versioni dell’intervento diretto inglese nell’uccisione di Mussolini, o comunque di un loro ruolo.

Purtroppo c’è anche da rilevare che alcuni servizi televisivi cercarono di far coincidere, pacchianamente, alcuni spezzoni della testimonianza di Dorina Mazzola con certi orari forniti della testimonianza di Giovanni Lonati, facendo anche vedere brevi spezzoni dei filmini girati da Pisanò sul posto ed inerenti la testimonianza di Dorina Mazzola, come se questa, estremamente difforme, si adattasse alla storia del Lonati.

Queste assurdità comunque vennero poi correttamente segnalate. E’ un ulteriore riprova però di come la testimonianza Mazzola, non potendo essere contestata appieno la si cerca di utilizzarla abusivamente e senza senso per ogni occasione.


52 Molti anni addietro ci fu anche chi prospettò un suicidio di Mussolini con la sua pistola che, si ipotizzò non gli era stata sequestrata al momento dell’arresto. Altri ipotizzarono invece che la pistola gli era stata segretamente fornita dal Canali il capitano Neri.


53 Qualcuno si è anche ricordato un particolare scritto da F. Bandini Vita e morte segreta di Mussolini. Mondadori, 1978: <<…Nessuno, benchè suoni strano, perquisisce lei (Claretta), nessuno perquisisce lui (Mussolini): e quindi nessuno può escludere che non nascondano una capsula di cianuro, non si dice nel castone di un anello, che sarebbe romanzesco, ma semplicemente in un taschino, nel portafoglio>>.


54 Vedere anche: C. Paglieri Mussolini l’ombra del suicidio Secolo XIX 5 dicembre 2007.

55 Vedere: A. Bertotto. Il Duce si è suicidato: lo conferma Elena Curti, la figlia naturale di Mussolini. Rinascita, 14 Ottobre, 2007. ed anche:

A. Bertotto. Il Duce si è suicidato: da Washington un indizio intrigante? Rinascita, 4 Dicembre, 2007;

oltre a: A. Bertotto: Mussolini è stato fucilato due volte Rinascita 7 febbraio 2008

Vedere anche: Si l’hanno uccisi in casa De Maria nel sito: http://www.italoeuropeo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=584&Itemid=1





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