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Come considerare questa versione di Urbano Lazzaro ?

Intanto possiamo dire che valgono molte delle osservazioni già espresse a proposito della precedente ed alquanto simile versione di Franco Bandini, oltre al fatto che non si capisce bene come siano stati ricostruiti tutti questi particolari e scambi di frasi avvenuti in quei momenti, nonchè gli esatti nominativi dei partecipanti agli eventi. Fu, come asserisce l’autore, una meticolosa raccolta di testimonianze?

Ma da parte di chi? Non è dato sapere. Altre confidenze poi, fattegli da ex partigiani da tempo defunti, come per esempio Lino il Frangi, riportate dall’autore, non è possibile averne conferma.

Alquanto simili, rispetto alla versione di Bandini, ma non uguali, sono anche gli orari in cui sarebbero stati fucilati Mussolini e la Petacci: circa verso 12,15 (?) per il Bandini, verso le tredici circa per il Lazzaro.

Inoltre qui, come detto, il ruolo recitato da Valerio/Longo, è abbastanza ampliato e, fino ad oggi, non ha trovato apprezzabili riscontri (fatta salva qualche incerta testimonianza), tra coloro che a quel tempo ebbero modo, a Como e Dongo, di vedere Valerio conoscendo anche Longo.

Lazzaro lascia anche intendere che per lunghi tratti Valerio/Audisio e Valerio/Longo agirono assieme, il primo apparendo in pubblico ed il secondo dietro le quinte (e questo è già meno improbabile perchè altrimenti sarebbe inspiegabile il distacco di Audisio dai suoi uomini prima di Dongo).

Nel complesso anche questa versione manca di prove e le stesse poche testimonianze riportate sono molto vaghe e non danno riscontri certi.

Il libro, edito dalla Mondadori, come tanti altri di questa casa editrice, dà l’impressione di essere stato più che altro impostato come un best seller (visto anche il richiamo rappresentato dai ricordi dell’autore, importante ex partigiano).

Esso riporta infatti elementi senz’altro eclatanti e nuovi che, oltretutto, possono accontentare un pò tutti, sia da una parte politica che dall’altra, ma non è certo un apprezzabile contributo alla ricerca della verità: anzi ne aumenta la confusione.

In ogni caso e in positivo possiamo dire, come diremo più avanti presentando il lavoro di A. Zanella: la ricerca nei luoghi e tra gli ex partecipanti a quegli eventi, pur tra una coltre di silenzi, mistificazioni e devianze (sembra che il Lazzero interrogò centinaia di persone), fa comunque intravedere, dietro questi racconti, l’eco di un altra ben diversa verità.



LA LEGGENDA DI VALERIO / LONGO / Mr. X

Anche se le domande che questo argomento solleva, allo stato delle conoscenze attuali, non possono trovare delle risposte certe, vogliamo ugualmente spendere due parole su la faccenda ventilata da Bandini e poi sviluppata da Lazzaro ed altri circa il fatto che il vero Valerio sia stato in realtà Luigi Longo oppure un altro individuo rimasto nell’ombra.

Altri scrittori, infatti, hanno anche accettato la possibilità che, pur se non fosse stato proprio Longo il Valerio di quei giorni, questi era un altro partigiano rimasto ancora sconosciuta (la chiamiamo qui Mr. X).

Adirittura G. Pisanò, alla fine degli anni ’80 e per un certo periodo, suppose, al posto di Longo, Sandro Pertini (allora ancora presidente della Repubblica), ma poi questa ipotesi si rivelò inconsistente;20 inoltre c’è anche chi ipotizza, più realisticamente, la contemporanea presenza a Como, Dongo e forse a Bonzanigo di Valerio e Longo o chi per lui.

Comunque sia, alcuni autori, contribuendo alla confusione generale, ripropongono ogni tanto, pur senza molta convinzione, questa faccenda di Longo giustiziere, visto che l’argomento si presta magnificamente per una stampa che voglia fare della suspance e del clamore.

Longo, poi, non ha mai voluto intervenire in questa storia e a domande precise si è limitato a non rispondere, destando in tal modo, una certa perplessità.

Quello che, a nostro avviso, però, rende difficile il poter esprimere una valida ipotesi su chi veramente fosse Valerio è il fatto che dobbiamo basarci su di uno scenario, su degli elementi descrittici, in massima parte, dagli autori primordiali della versione ufficiale.

Partendo da questo quadro degli avvenimenti ed alla luce dei dubbi che poi vengono presi in esame ogni ipotesi è fattibile, ma altrettanto problematica ed indimostrabile.

Dal momento delle poche e sintetiche righe, apparse sull’unità del 30 aprile ‘45, ai primi particolari della leggenda di Valerio, raccontati alcuni mesi dopo, infatti, chi ebbe modo di studiare ed architettare tutta la storiella dell’eroe giustizialista, ebbe anche il tempo per ponderare e mischiare elementi veritieri, con altri distorti ed altri ancora inventati di sana pianta. Tutto questo, è indubbio, ha falsato il quadro complessivo della situazione.

Certamente, a ben vedere, non ci sono poi tante prove schiaccianti che accertino irrefutabilmente che fu veramente Walter Audisio, al tempo in forza presso il Comando generale del CVL di Milano, ad apparire a Como e poi sulla piazza di Dongo intorno alle 14,10, per recarsi poco più di un oretta dopo a Giulino di Mezzegra per fucilare Mussolini e la Petacci e poi, come un forsennato, tornare a Dongo per imporre un altra e più vasta fucilazione.

Ci sono agli atti testimonianze, credenziali esibite, ecc., qualche lettera successiva a quegli eventi, ma nulla di tutto questo presenta i caratteri di una prova incontrovertibile, specialmente se vogliamo estendere questa presenza e questa identità a tutti gli atti e movimenti attribuiti al colonnello Valerio.

Anzi i dubbi in proposito non sono pochi, anche se le prove contrarie forse sono ancor meno.

Si sarebbe forse potuta avere la conferma da quel filmino che tal Luca Schenini di Dongo si dice ebbe a girare in quei momenti della fucilazione in piazza, ma questo film si dice che venne sequestrato e fatto opportunamente sparire.

Comunque sia a Milano (partenza di Valerio), Como (arrivo e litigi in Prefettura) e Dongo (rapporti con i comandanti della 52a Brigata, e massacro in piazza) comprendendo i relativi posti di blocco stradali, c’è chi era effettivamente entrato in contatto e aveva conosciuto questo soggetto, avendo avuto modo anche di vagliarne attentamente le sue credenziali.

La spedizione poi da Dongo a Giulino di Mezzegra aveva invece avuto aspetti molto oscuri e pochi testimoni (con al centro l’opportuno autista Geninazza).

Questo per dire che oggi, a posteriori e in mancanza di altro, dobbiamo per forza prendere per buona, sia pure con riserva, la leggenda così come ci è stata raccontata e su questi elementi, labili e contraddittori, cercare di avanzare un nostro parere, anche se – è bene precisarlo – mentre è sicuro e lo vogliamo ripetere, che al tempo operò un Valerio, ben pochi sono gli elementi certi che possano attestare che proprio Walter Audisio sia quello stesso Valerio presente in tutti quegli eventi, o ancor meglio che oltre ad Audisio, non ci fosse qualcun altro (Mr. X appunto) ben più importante e determinato.21

Chi fosse Walter Audisio lo abbiamo riassunto nella sua biografia riportata nel Capitolo 1, ed abbiamo anche sottolineato alcuni suoi profili che attestano una personalità alquanto grigia nonchè la sua poca praticità nel maneggio delle armi, personalità che poi ebbe a confermarsi anche negli anni del dopoguerra, dove questo anonimo ragioniere non lasciò alcun segno politico o umano di un certo spessore.

Tutti fattori questi che mal si prestano per affidargli un incarico di quel genere ed in quella caotica e pericolosa situazione.22

Quello che oltretutto lascia a pensare è poi il ruolo che Valerio giocò a Como e Dongo: a Como, isterico, inconcludente e confusionario; a Dongo invece rabbioso ed autoritario, non tanto nella imposizione alle altre componenti partigiane della volontà di fucilare un gruppo di prigionieri, quanto nell’arbitrio e nell’autorità con la quale procedette alla selezione degli stessi, compreso Marcello Petacci.

Ma quello che lascia ancor più perplessi è questo fatto:

l’Audisio partito da Milano, dove al comando del CVL è ben conosciuto e ne avrebbe anche ricevuto l’incarico essendone informati persino gli americani attraverso il Daddario, è arrivato prima a Como e poi a Dongo, dove presentò le sue credenziali (che in alcuni casi furono anche attentamente vagliate) ad una moltitudine di persone ed autorità, quali ad esempio quelle del CLN e della Prefettura di Como, il comando della 52a Brigata di Dongo, vari posti di blocco, ecc., quindi dai suoi lasciapassare e documenti tutti sanno che porta il nome di battaglia di Valerio e che oltretutto si chiama Walter Audisio alias Magnoli.

Ebbene, come mai che per quasi sette mesi, cioè dal 30 aprile al novembre del 1945, non si “ufficializzò” almeno questo solo nome di battaglia (Valerio) che pur doveva essere da molti conosciuto ed oltretutto come si spiega che nessuno, di coloro che vi erano entrati in contatto, venne fuori a dire che il misterioso esecutore del Duce, di cui aveva parlato l’Unità nell’edizione di aprile, aveva il nome di Valerio ? 23

Ma peggio ancora, come mai che dal novembre del 1945, quando il misterioso esecutore era stato ufficializzato dall’Unità con il solo nome di battaglia di Valerio, dovette poi trascorrere oltre un altro anno e cioè fino al marzo del 1947, quando a quel Valerio si diede, o forse meglio si dovette dare per forza visto che oramai era stato scoperto, anche il vero nome di Walter Audisio?

Perchè nessuno fece trapelare prima questa identità?

D’accordo le ragioni di sicurezza, ma in ogni caso tanti avrebbero dovuto essere a conoscenza tra Milano, Como e Dongo, di queste identità, ma nessuno ne parlò, nè fece trapelare una precisa indiscrezione!

Tutto veramente strano.


Ovviamente tutte queste restano solo congetture, ma congettura per congettura potrebbe anche esserci una spiegazione plausibile come ebbe ad osservare Franco Bandini:

perchè chi sapeva o intuiva, sapeva anche che quell’Audisio non poteva essere l’uccisore di Mussolini o comunque l’autore proprio di tutte quelle gesta!

Costoro non potevano quindi ricollegare Valerio e/o Audisio a tutti i fatti ed agli avvenimenti che la versione ufficiale mano a mano tracciava e ritenevano più opportuno stare zitti.

O perchè, aggiungiamo noi, la versione ufficiale, più o meno veritiera nel quadro d’insieme, conteneva però alcuni diversivi, decisivi, completamente difformi, segreti e conosciuti da pochissimi. E quindi, gli ignari, coloro che magari intuivano che quel Valerio e/o quell’Audisio aveva svolto ben altri compiti che non quelli del giustiziere o comunque avevano, nei loro ricordi, dei scenari ben diversi di quegli avvenimenti, restavano perplessi, ma prudentemente in silenzio.

Ma queste, come detto, sono congetture ed allora lasciamole per ora da parte, andiamo per ordine e veniamo a considerare la persona di Luigi Longo.



Chi era precisamente Luigi Longo ?

Longo (nomi di battaglia Italo e Gallo) nasce a Fubine (Alessandria) il 15 marzo del 1900. Dal Monferrato si trasferisce con il padre a Torino.

Nel 1920 si iscrive al circolo socialista studentesco di Torino; conosce Antonio Gramsci e Togliatti, frequenta la sede dell’Ordine Nuovo.

Nel 1921 è a Livorno tra i fautori della scissione che porta alla nascita del Partito Comunista d’Italia. E’ ancora studente del Politecnico, ma da allora in poi i suoi studi universitari vengono sacrificati all’impegno politico ed alla famiglia (ha gia due figli).

Nel 1922 è membro di una delegazione che si reca a Mosca per il congresso dell’Internazionale, dove incontra Lenin. A Mosca ci tornerà varie volte. Nel 1926 ci andrà con il figlioletto di tre anni, che ha avuto da Estella, Teresa Noce, sua compagna da qualche anno.

Incontra Stalin, naturalmente, e tutti gli alti gradi del Cremlino e diverrà un fedele e sicuro agente comunista in linea con la politica sovietica.

E’ nelle Brigate Internazionali che agirono in Spagna, che emerge il Longo dirigente, ed è qui che acquisisce anche una certa esperienza militare.

Lui è il mitigo Gallo, l’Ispettore Generale delle Brigate Internazionali.

Mostra doti di risolutezza nell’assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, accanto ad un certo sangue freddo.

Allo scoppio della II guerra mondiale è in Francia internato a Vernet, ma con il successivo governo Petain nel 1941 viene estradato in Italia e confinato a Ventotene da dove verrà fatto uscire sotto il governo Badoglio.

Dopo l’8 settembre del 1943, fu in pratica il braccio destro di Palmiro Togliatti del quale ne interpretò magnificamente, e quando il caso con spietata durezza verso i dissidenti, la linea collaborazionista di Salerno.

Nella resistenza diede vita alle Brigate d’Assalto Garibaldi di cui ne fu il Comandante Generale. Fu anche vice Comandante del CVL.

Stretto collaboratore di Parri, fu tra i principali ispiratori dell’insurrezione del Nord Italia (anche se poi, di fatto, questa insurrezione fino a tutto il 25 aprile fu piuttosto teorica o nelle intenzioni) presiedendo il famigerato Comitato Insurrezionale.

Dal 1945 praticamente Luigi Longo deteneva su di sè il vice-Comando del CVL, la segreteria del partito comunista clandestino, il comando delle Brigate Garibaldi e una presenza nel CLNAI.

Freddo e spietato unì a queste doti militari anche spiccate capacità politiche ed una certa astuzia.

Nel dopoguerra fu membro dell’Assemblea Costituente e risultò deputato per tutte le legislature. Successe a Palmiro Togliatti alla guida del PCI e quindi ne fu segretario dal 1964 al 1972 divenendo poi presidente del partito, ma senza raggiungere la statura politica del predecessore.

Mori a Roma nel 1980.

I sospetti che Valerio possa essere stato Longo.

Si può anche ammettere che una certa somiglianza tra Longo ed Audisio (senza baffetti), almeno nelle fotografie, può essere accettata e questo ha consentito di sviluppare tutte quelle ipotesi che lo hanno voluto come il vero Valerio al posto di Audisio stesso, o assieme ad Audisio, in Como e Dongo.

Infatti, in aggiunta alle due diverse e troppo divergenti personalità ed alla mancanza di una pratica militare di Audisio, si è poi affermato il fatto che, per esempio, a Dongo il Valerio che smascherò Marcello Petacci (fattosi passare per console spagnolo), utilizzando qualche frase in spagnolo appunto, non poteva che essere Longo o comunque qualcuno che conoscesse bene quella lingua.

Ed inoltre quel Valerio aveva confidato, in quei frangenti (così almeno alcuni hanno poi attestato), di aver fatto la guerra civile spagnola.

Ora è certo che Audisio non era mai stato in Spagna, almeno durante la guerra civile, essendo infatti al confino, ed al massimo poteva sapere un poco di spagnolo come vezzo di molti comunisti di quell’epoca, mentre Longo, come abbiamo visto nella precedente autobiografia, era stato un veterano di quella guerra. 24

Abbiamo anche la testimonianza, che se veritiera sarebbe molto importante, del capitano di fregata Giovanni Dessì, il quale riferì che gli uomini giunti con Valerio a Como indossavano divise che ricordavano la guerra civile spagnola e che lo stesso Valerio ebbe a dirgli di avervi a lungo partecipato. In questo caso, oltretutto, il Dessì esponente del SIM e quindi spia con una certa esperienza, è strano che possa aver equivocato.

Anche Leo Valiani si dichiarò, molti anni dopo e sia pur moderatamente ottimista, circa una presenza di Longo quel giorno nei luoghi operativi, anche se non per tutta la mattinata.25

Nel suo tardivo libro Dongo mezzo secolo di menzogne, Urbano Lazzaro, Bill, convinto di aver riconosciuto dalle foto (seppur viste anni dopo), Longo in Valerio, ci racconta che al tempo del processo di Padova del 1957, non avendo riconosciuto, neppure dal vivo ed in quel momento, in Audisio il Valerio di Dongo, volle accertarsene tirandogli un tranello: affermò infatti, davanti ai giudici, che Valerio gli aveva ordinato di togliere le scarpe a Marcello Petacci, al che Audisio esclamò: Che scarpe! E lo tacciò di essere un bugiardo. Ma il tranello era riuscito, afferma Bill, perchè il vero Valerio non poteva ignorare quell’episodio così inconsueto. Anche Pedro il Bellini rimase alquanto perplesso e dubbioso.

Lo stesso Lazzaro riferisce poi altri particolari che Audisio ebbe a riportare, in modo inesatto, in quell’occasione e che attesterebbero una inequivocabile mistificazione di Audisio.

In ogni caso, seppur diverse sono le testimonianze, tutte però molto tardive, ovvero raccolte solo dopo che con il libro del Bandini scoppiò il caso Valerio / Longo, altrettanto numerose e forse più convincenti sono quelle che negano questa intercambiabilità di ruoli quel sabato 28 aprile del 1945.

Alcune di queste testimonianze attestano, infatti, la presenza di Longo (però confusamente e non per tutta la mattinata, dove anzi ci sono ampie lacune) in quel di Milano.

In ogni caso pare che nel primo pomeriggio (ma sembra che venne in ritardo), Longo si incontrò con Moscatelli e le sue divisioni della Valsesia in arrivo a Milano e successivamente, sembra accertato, tenne anche un comizio in piazza Duomo.

Ma oltretutto, a meno di una contemporanea e doppia presenza in loco, una dinamica che veda Valerio/Longo staccarsi dai suoi uomini del plotone dell’Oltrepò, prima di arrivare a Dongo, per andare ad uccidere il Duce a Bonzanigo alle 12,30 o alle 13 che siano, come suppose Urbano Lazzaro, non è credibile e difficilmente sarebbe stata celata per tanto tempo nei ricordi dei superstiti di quel plotone.

I sospetti che Valerio possa essere stato un altro partigiano

Occorre anche accennare al fatto che alcuni (tra i quali anche il Bandini) hanno ipotizzato che il Valerio visto a Dongo possa essere stato in realtà un misterioso partigiano, come ad esempio il fumantino ed esperto colonnello Domenico Tomat,. comunista, fedelissimo di Longo ex maggiore delle Brigate Internazionali e comandante di una brigata comunista a Chiavenna (vicino Dongo).

Il nome di battaglia di Tomat, oltre che Silvio, era proprio Valerio e sembra questi un esecutore molto più credibile di Audisio ed aveva anche lo stesso carattere irascibile e violento manifestato da Valerio in quegli avvenimenti. Stranamente poi questo Tomat, viene poco o nulla citato nei testi sacri della Resistenza. 26

In questo senso si è anche detto che tra i gruppi di fuoco, scatenati per l’immediata liquidazione di Mussolini, poteva esserci proprio il gruppo Tomat – Siro Rosi.

Di Tomat e di Siro Rosi ne fa alcuni accenni anche Fabio Andriola nel suo Appuntamento sul lago già citato.

Questo Rosi,27 detto Lino, grossetano ex combattente di Spagna (e chiamato anche in causa per l’assassinio di Gianna, Giuseppina Tuissi) ebbe, alla sua morte nel marzo 1987, dal PCI grossetano, un riconoscimento di varie benemerenze tra le quali, la partecipazione alla cattura di Mussolini, fatto questo di cui, almeno ufficialmente, non si era mai sentito parlare.

Questi personaggi in ogni caso restano avvolti nel mistero più fitto anche perchè bisognerebbe sapere con certezza, e non lo sappiamo, dove si trovavano la sera del 27 aprile 1945, chi li avrebbe contattati ed incaricati della missione, ecc.

Vale la pena di ricordare che, Pedro il Bellini descrisse Valerio come “un uomo piuttosto alto, un pò stempiato, dall’aspetto energico e dai modi bruschi”, mentre Pietro Carradori, l’attendente del Duce ferito e fermato a Dongo, ebbe modo di incontrare Valerio nel Municipio di Dongo e quindi, molti anni dopo, gli vennero fatte vedere alcune foto. Trovò una fortissima somiglianza di Valerio con Giovanni Pesce Visone, ma dovette escludere questa identità perchè il Pesce era alto appena 1 metro e 67, mentre quel Valerio era più alto, quasi quanto lui. Escludeva comunque che potesse essere Audisio perchè troppo evidenti erano le differenze, mentre riteneva possibile che fosse Longo.

Il mistero in tal modo si complica ancora.

Come sciogliere l’enigma della vera identità di Valerio?

Considerando tutto quanto sopra esposto, e partendo dal fatto che Valerio, oltre a muoversi dal Comando del CVL di Milano dove ebbe incarichi, incontri e quant’altro, presentò le sue credenziali ed i suoi lasciapassare, che furono attentamente vagliati, in almeno tre occasioni (escludendo i tanti posti di blocco), ricordiamoli:

al mattino al CLN e Prefettura di Como; al primo pomeriggio al comando della 52a brigata a Dongo ed infine la sera tardi, quando fu mezzo arrestato presso la Pirelli in via Fabio Filzi dal capitano della divisione partigiana, non comunista, Luigi Vieni.

Possiamo allora sviluppare, purtroppo con la grave limitazione di ragionare solo in base al quadro degli avvenimenti che ci sono stati fatti conoscere, almeno 4 eventualità (quelle più evidenti, ma ce ne sarebbero molte di più) per soppesare gli aspetti critici che non consentono di risolvere questa storia del Valerio / Longo / Mr. X.

Indichiamo qui i motivi che contrastano con l’eventualità prospettata di uno scambio di persona e non quelli che invece la confermerebbero, perchè è troppo aleatorio evidenziare eventuali conferme: 28

Vediamo allora queste 4 eventualità:


  1. L’eventualità che effettivamente sia proprio Walter Audisio il Valerio che partito da Milano agì a Como, Dongo e Mezzegra.

A questa eventualità contrasta il fatto degli scarsi requisiti caratteriali e militari posseduti da Audisio per lo svolgimento di questo particolare ruolo para militare 29 comprese le gesta che, tale Valerio, mise in evidenza a Dongo e tipiche di un carattere che Audisio, nè prima, nè dopo ha mai mostrato di avere;

contrasta anche il fatto che Valerio mostrò una buona conoscenza di spagnolo e vantò una partecipazione alla guerra civile di Spagna. Purtroppo però questo tipo di anomalie restano però solo come congetture;

contrasta anche il mancato riconoscimento in Audisio quale Valerio, anche se fatto a posteriori, da alcuni testimoni del tempo, specialmente (se non mente) Bill Urbano Lazzaro.


  1. Quella che Valerio sia in realtà Luigi Longo.

Qui, viceversa, contrasta il mancato riconoscimento di chi Longo lo conosceva bene ed ebbe anche modo di vedere il Valerio di Como e Dongo;

quindi c’è anche la mancata certezza, anzi l’improbabilità, di una assenza di Longo da Milano, praticamente per buona parte della giornata del 28 aprile. Il fatto che difficilmente Longo si sarebbe esposto così in prima persona a Como (e anche maldestramente) ed a Dongo. C’è poi il problema (e la mancanza di testimonianze in proposito) di collocare Audisio o chi per lui (che gironzolò con quella carta d’identità) e stabilire come e quando riapparve con il plotone dell’Oltrepò per andare con il camion dei cadaveri ad Azzano e poi tornare a Milano.


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