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DICHIARAZIONE DELL’ISTITUTO COMASCO PER

LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE

L’Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione, alla luce delle più recenti interpretazioni e valutazioni date da varie fonti sulla pagina finale di Benito Mussolini e dei suoi gerarchi arrestati il 27 aprile 1945 fra Musso e Dongo, sul lago di Como, precisa:

1) L’esecuzione del Capo del governo della Repubblica sociale italiana e del suo seguito decretata (in virtù del decreto dell’amministrazione della Giustizia del 25.4.1945 art. 5) la mattina del 26 aprile 1945 dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, delegato dal solo governo legale italiano, [10] formato da Luigi Longo ed Emilio Sereni per il PCI; Ferruccio Parri e Leo Valiani per il Partito d’Azione; Achille Marazza e Augusto De Gasperi per la Democrazia cristiana; Giustino Arpesani e Filippo Jacini per il Partito Liberale; Rodolfo Morandi e Sandro Pertini per il Partito socialista, fu materialmente eseguita da una missione disposta a tale scopo.

2) Sulla piazza di Dongo, nella tarda mattinata del 28 aprile, arrivarono, al comando di Walter Audisio (colonnello Valerio) e di Aldo Lampredi (Guido), i partigiani dell’Oltrepò pavese che avevano ricevuto il compito di formare il plotone di esecuzione.

3) A Bonzanigo, in casa della famiglia De Maria, si recarono Walter Audisio, Aldo Lampredi e Michele Moretti (Pietro), commissario politico della 52a Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, per prelevare Benito Mussolini, in forza del decreto di condanna emessa dal Clnai.

Alle 16.10 il capo della Repubblica sociale italiana e Claretta Petacci che lo accompagnava furono fucilati a Giulino di Mezzegra davanti al cancello di Villa Belmonte.

4) Dopo le 17, sul lungolago di Dongo, il plotone di esecuzione, comandato da Alfredo Mordini (Riccardo), fucilò i gerarchi fascisti.[11]

5) In serata, a missione compiuta, i corpi di tutti i giustiziati vennero trasportati a Milano e deposti più tardi in Piazzale Loreto, nel luogo dove il 10 agosto 1944 erano stati fucilati dalle Brigate Nere 15 fra antifascisti e partigiani.

L’Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione, nella ricorrenza del 50° anniversario della liberazione, ritiene sia giunto il momento di ribadire questa verità storica incontrovertibile, l’unica basata su documenti originali e testimonianze raccolti nel corso della sua lunga attività scientifica.

Giusto Perretta (presidente), [12] Luigi Carissimi Priori (dal 30 aprile 1945 commissario capo dell’ufficio politico della questura di Como), Mario Ferro (che accompagnò Aldo Lampredi e Alfredo Mordini a Dongo), Franco Giannantoni, Ricciotti Lazzaro, Marino Viganò (storici).

Como, 25 settembre 1995

* * *
E per la storiografia resistenziale questo è tutto, punto e a capo, prendere o lasciare, con l’avallo dei soliti giornalisti di regime!

Ipotesi Franco Bandini

Preannunciata da un servizio pubblicato su “Storia Illustrata” nel numero 183 del febbraio 1973 questa ipotesi venne poi meglio specificata nel libro dello stesso autore storico “Vita e morte segreta di Mussolini”, Mondadori, Milano 1978. Questa ricostruzione ruota attorno alla sceneggiata di una doppia fucilazione di Benito Mussolini e Clara Petacci, eseguita alle 16,10 davanti al cancello di villa Belmonte, per nascondere le vere modalità di una morte eseguita invece al mattino.

Visto che questa ipotesi deve poi, per forza ed in qualche modo, essere riproposta da tutti coloro che ipotizzano una fucilazione avvenuta in un orario diverso da quello della versione ufficiale, ecco che la ritroviamo, più o meno con qualche variante, anche in altri scrittori e ricercatori.

L’ipotesi di Franco Bandini, però, specificata meglio solo nel 1978, aggiunse anche un altro interessante elemento, ovvero che a presenziare a questa fucilazione, se non ad eseguirla personalmente, ci sia stato Gallo cioè Luigi Longo, invece notoriamente ritenuto in quell’ora a Milano.

Secondo Bandini, Longo partì da Milano poco dopo Audisio e a sua insaputa. Giunto a Como, certamente non solo, passò in federazione comunista dove raccolse Mordini e Lampredi (reduci da aver lasciato Audisio intorno alle 10,30) ed assieme a Dante Gorreri Guglielmo, l’autista (il socialista Giuseppe Perotta), più un altra macchina con Aglietto, Ferro ed un altro autista vanno subito a Dongo a prelevare Michele Moretti e Luigi Canali e forse la Gianna Giuseppina Tuissi, al fine di avere le esatte indicazioni e la possibilità di viaggiare spediti, superando tutti i posti di blocco.

Con questa ipotesi ovviamente il Bandini nega che, verso le 11 in Prefettura, Valerio abbia parlato al telefono con lo stesso Longo.

Comunque sia, arrivati a Bonzanigo per una strada secondaria (intende via del Riale), intorno a mezzogiorno,13 il gruppo dei giustizieri guidato da Longo, porta via in fretta i due prigionieri senza neppure il tempo di prendere il cappotto e la pelliccia. Una volta arrivati alle macchine:

Riccardo (Mordini) e Longo si avvicinarono velocemente: ebbero un attimo di esitazione vedendo che con Mussolini si trovava anche Claretta, poi fecero fuoco, uno dalla destra e uno dalla sinistra, mentre Moretti e Neri si scostavano in fretta... Mussolini fu stroncato da sette colpi di mitra cecoslovacco cal. 9, Claretta da altrettanti”.

Singolare questa indicazione del calibro 9 delle pallottole, ma non si spiega da cosa sia stata dedotta.

L’autore quindi accenna al fatto che, per distogliere l’attenzione della popolazione locale ed effettuare poi la finta fucilazione al pomeriggio, furono da molto tempo prima apprestati dei posti di blocco per impedire il transito alle persone e fu anche sparsa la voce del passaggio di Mussolini prigioniero sulla via Regina, dove infatti vi accorsero i circa 50 abitanti di Bonzanigo, e si meraviglia, giustamente, che le tante testimonianze a riguardo siano rimaste per anni ignorate.

Da lontano assistettero alla esecuzione Lampredi, Gorreri e la Tuissi Gianna, oltre Neri e Moretti..

Arrivano quindi di corsa Lino e Sandrino i quali aiutano Mordini e Moretti a caricare i due corpi sulla macchina. Nell’operazione Claretta perse le scarpe ed a Mussolini si sfilò lo stivale destro. I cadaveri vennero occultati nel vicino cortiletto di un comunista locale.

Di lì a poco Longo ripartirà per Milano per incontrare sia pure con ritardo, all’inizio di viale Certosa, Moscatelli e le sue formazioni della Valsesia.

Più tardi a Dongo, Lampredi informa Valerio di quanto accaduto ed è questo, per l’autore, il vero motivo del litigio tra i due notato da Pedro.

Ed ecco anche perchè poi Valerio sarà irremovibile sul nome di Claretta tra quelli da fucilare: sa benissimo, infatti, che è già morta!

Il resto è noto: Valerio, Guido e Pietro, con l’autista Geninazza, partono dopo le 15 per Bonzanigo per la recita della storica fucilazione e quindi, mentre Valerio percorre la strada statale fino al Lavatoio, Gianna ed un altro partigiano, raggiungono per la mulattiera (via del Riale) casa De Maria e si travestono da Mussolini e Claretta, indossando la pelliccia, il cappotto, il foulard e la bustina berretto rimasti nella stanza.

Così, acconciati alla bene e meglio, i due scendono verso la piazza del Lavatoio scortati da Lino e Sandrino e Guido, preavvertiti dal colpo sparato in aria da Valerio.

I due attori salgono senza parlare sulla macchina, priva di specchietto retrovisore, e neanche Geninazza si rese conto della sceneggiata. L’autista del resto ammise di non essersi voltato e Valerio sembra che lo fece fermare prima della curva che porta al cancello di villa Belmonte.

A dimostrazione che vennero sparati dei colpi su dei cadaveri il Bandini afferma che il muretto ha una altezza massima di 1,26 metri nel punto in cui si inserisce e muore nel pilastro del cancello, quindi digrada a mano a mano che se ne allontana, fino a che, nel punto bossoliin cui si suppone che fu fucilata la Petacci non supera il metro e venti centimetri.

Visto che le ferite mortali di Mussolini (meno quella al braccio) e quelle della Petacci, colpita alla parte bassa della gola, sono collocabili per una persona in piedi, a non meno di un metro e 40 centimetri dal suolo, di conseguenza le pallottole sparate, oltretutto da un mitra, tenuto più o meno all’altezza della cintura, avrebbero dovuto passare tutte sopra il muro, disperdendosi all’aria. Quindi a terra non si sarebbero dovute trovare pallottole o al massimo un paio di queste. Invece se ne ritrovarono almeno sette! Dopo le scariche, l’automobile del Geninazza discese fino al cancello per prendere Valerio il quale, per non ben precisati motivi, stava raccogliendo bossoli a terra. Salito in macchina ne regalò cinque a Geninazza e ne tenne per sè una cospicua parte. L’autista non potè specificare se si trattava solo di bossoli o anche di pallottole.

Secondo Bandini vennero sparati da Valerio alcuni colpi di pistola sui cadaveri, perché gli si era inceppato il mitra americano e quindi sparò Moretti con il suo mitra 7,65. Dice Bandini che Valerio restituì poi il Thompson, che aveva il grasso originale, con ancora il caricatore pieno, non spiegando però come fece a sparare il precedente colpo di avvertimento sulla piazzetta del Lavatoio.

Sui corpi, con Mussolini già in rigidità cadaverica, in posizione quasi seduta, vennero gettati la pelliccia, i due cappotti, il berretto, le scarpe di Claretta che poi rimasero sul posto.

Infine il Bandini aggiunge i particolari della rigidità cadaverica notato qualche ora più tardi al caricamento dei cadaveri prima in macchina e poi al bivio di Azzano e la strana mancanza dello sporco di sangue in terra dove era avvenuta la fucilazione.

L’autore riporta quindi varie testimonianze da lui raccolte a suo tempo, dagli abitanti del luogo, che attestano strani via vai e spari di partigiani al mattino, blocchi stradali messi in atto prima che arrivasse Valerio, ed infine la testimonianza, però indiretta, del sig. Mertz, di cui abbiamo già parlato, che asserisce di aver visto delle persone sparare in aria o su “dei cadaveri morti da un pezzo”.

Qualche altra testimonianza la aggiunge per avvalorare la presenza di Longo a Bonzanigo in quelle ore, ma non sono molto convincenti.

Vi aggiunge anche la testimonianza di Zita Ritossa, la compagna di Marcello Petacci, anch’essa fermata a Dongo, la quale dichiara di aver visto entrare nella sua stanza d’albergo, ove era rinchiusa dopo il fermo, nella tarda mattinata del 28 aprile, un uomo in borghese che la fissò a lungo senza parlare, per poi andar via. In questa persona, la Ritossa, ritiene di aver individuato Luigi Longo ed asserisce anche di possedere una foto di quella mattina, ma di questa decisiva foto non si è mai visto traccia.

Aggiunge, il Bandini, che anche Cesare Tuissi, fratello di Gianna ha attestato questa presenza di Longo ed un certo Pietro Castelli di Domaso ricorda la presenza, in quella mattina e verso le 11, di “una persona vestita fine, venuta da fuori, che parlava con accento lombardo e che nessuno seppe identificare”, secondo l’autore si tratterebbe di Longo.

A questo proposito, anche Leo Valiani, avrebbe fatto, molti anni dopo, alcune ammissioni, per la verità alquanto relative, in cui si dichiarava possibilista sulla presenza di Longo in zona d’operazioni in qualche ora del mattino.

Cosa dire di questa ipotesi di Franco Bandini ?

Pur non condividendola in pieno, bisogna ammettere che ci sono però molti elementi apprezzabili, che poi, sia pure in un diverso contesto hanno trovato ampie conferme, come l’ipotesi della doppia fucilazione; la presenza a quegli avvenimenti di Neri (Canali), Gianna (Tuissi) e Riccardo (Mordini); l’orario antimeridiano della morte anche alla luce del rigor mortis riscontrato al caricamento dei cadaveri a villa Belmonte ed al bivio di Azzano; la notizia dell’invito alla popolazione del luogo di andare a vedere Mussolini vivo e prigioniero sulla via Regina; il via vai di partigiani e gli spari uditi al mattino in paese, la sceneggiata del travestimento di due partigiani da Duce e Claretta, con la poco o nulla osservazione del Geninazza, ecc.

Ma ci sono anche molte affermazioni non dimostrate, come le testimonianze portate a conferma della presenza sotto mentite spoglie di Valerio / Longo con la sequenza del suo viaggio sui luoghi operativi o ancora, i nomi di chi sparò effettivamente al Duce, nonchè gli orari ed il punto esatto dove avvenne la fucilazione.

Oltretutto, ipotizzare una finta fucilazione alle 16,10 a villa Belmonte, implica anche la conseguenza di spiegare come hanno poi fatto gli sceneggiatori ad occultare e poi trasportare (a braccia o in auto?) i cadaveri di Mussolini e Claretta, da casa De Maria fino al cancello.

Da casa De Maria al cancello della Villa, infatti, ci sono due possibilità:

la prima, quella della salita di via del Riale fino alla piazzetta Rosati, poi via Brentano, il Lavatoio e quindi in macchina per via XXIV Maggio, obbligava parte del tragitto a piedi, attraverso vie non secondarie, con i due cadaveri;

la seconda, scendendo invece per via del Riale fino a viale delle Rimembranze, il bivio di Azzano ed infine a destra su per via XXIV Maggio, imponeva di passare con la macchina al bivio di Azzano dove transitava gente fatta accorrere verso la via Regina con la falsa indicazione che sarebbe passato il Duce prigioniero (questo enigma, come vedremo, lo scioglierà Pisanò solo nel 1996).

E’ forse per tutti questi motivi che lo storico Renzo De Felice ebbe giustamente ad osservare, nel 1985:

Bandini sa molte cose, ma al suo puzzle manca la cornice che tenga uniti i vari pezzi”.

Ma del Bandini vogliamo riportare un suo articolo su "Il Sabato" del 23 giugno 1990 dopo che un suo libro 14 era stato stroncato a suon di insulti. E’ un articolo contro tutto un potere editoriale che lo aveva, in pratica, emarginato per oltre quaranta anni, perchè non conforme alle verità imposte dal conformismo imperante.

L’articolo è quanto mai attuale perchè quella situazione perdura ancora ed ancora per molti anni continuerà a condizionare l’editoria nazionale.

Troppi gli interessi in gioco, troppi i condizionamenti politici per poter sperare che, a breve giro di qualche anno, le cose possano cambiare.

Ma ecco quanto scrisse Franco Bandini:

"Da quarantacinque anni a guardia dei misteri d'Italia stanno alcuni molossi di taglia diversa, ma tutti molto allenati nell'avvistare a grande distanza il più piccolo segnale di pericolo.

Accanto ai molossi ci sono le centrali della disinformazione nostrana, assai abili a lanciare al momento giusto un certo numero di "lepri meccaniche" per far correre i media di bocca buona, ma anche parecchi storici paludati.

E infine vi sono gli stessi media, quasi tutti troppo giovani per aver vissuto quel periodo, ed anche troppo indaffarati per prestarvi quell'attenzione che d'altra parte sarebbe necessaria, se se ne vuol scrivere. Per cui, nel migliore dei casi, essi preferiscono ignorare che vi sia in giro qualcosa di nuovo.

Valga per tutti ciò che è successo a me personalmente, dopo che per otto anni ho raccolto documenti a chili, in cinque o sei nazioni diverse, per raccontare la storia della morte dei fratelli Rosselli".

Ipotesi Urbano Lazzaro (Bill)

Con un servizio su “L’Europeo” del 22 marzo 1982 venne resa nota dal partigiano Bill, Urbano Lazzaro una sua tardiva ricostruzione della morte del Duce.15

Alcuni anni dopo, nel 1993, il Lazzaro precisò meglio questa sua versione in un libro edito da Mondadori e titolato: “Dongo – mezzo secolo di menzogne”.16

Il Lazzaro, che rimarcava la sua non presenza in Giulino di Mezzegra, sposava senz’altro la tesi del Bandini che vuole Luigi Longo (Gallo) presente all’esecuzione di Mussolini al mattino ed anzi ne ampliava la partecipazione complessiva all’azione ritenendo possibile una sua presenza anche il pomeriggio a Dongo. Da questa versione ne risultava una morte accidentale del Duce (che avrebbe dovuto

invece essere condotto a Dongo) causata da una reazione della Petacci.

Ma riportiamo la versione di Bill.

Egli afferma che già nel 1947, quando vide le foto del comizio comunista alla basilica di Massenzio a Roma che ritraevano l’asserito Valerio / Audisio, egli cominciò ad avere dei sospetti che quell’uomo non fosse il Valerio di Dongo.17

Nel 1957 poi, al processo di Padova per l’oro di Dongo il dubbio gli aumentò in seguito ad alcuni riferimenti in quella sede forniti da Audisio e secondo il Lazzaro fortemente imprecisi, supportato anche da una mezza conferma a questo dubbio espressagli da Pedro (il Bellini).

Aggiunge poi l’autore ex partigiano che, proprio la Lia De Maria indicò, dinanzi ad una foto di Audisio ed un altra di Longo (sottopostele dal Lazzaro stesso e da Duilio Susmel), proprio in quella di Longo, colui che venne in casa sua quel 28 aprile del 1945, asserendo che infatti, questi, non aveva i baffetti. Il riscontro è però inficiato dal fatto che Audisio in quel periodo non aveva i baffetti come lo si può notare in una famosa foto del 30 aprile ’45 con Cadorna anche se, in quella stessa foto, si può intravedere una leggera somiglianza proprio con Luigi Longo.

Altro elemento che lascia alquanto perplessi è il fatto che tutta la ricostruzione del Lazzaro viene garantita da testimonianze che lo stesso asserisce di aver raccolto o ricordato direttamente, ma di cui però non fornisce precisi riscontri. Accenna invece ad alcune frasi scambiate all’epoca con Michele Moretti che, secondo Bill, ad una sua domanda se era vero quanto scriveva l’Unità nel pezzo del 30 aprile 1945, questi gli avrebbe sbrigativamente risposto con un: “Più o meno”.

Il giorno seguente, afferma poi di aver rivolto la stessa domanda a Sandrino Guglielmo Cantoni, il quale tra l’altro era a lui legato, così come a Moretti, e questi gli rispose con una smorfia: “Be qualcosa di vero c’è”, senza avere però il coraggio di guardarlo negli occhi.

Il Sandrino gli avrebbe poi aggiunto: “Di più non posso dirti Bill, tu mi capisci vero? Ammettendo un precedente giuramento al silenzio.

L’autore sostiene anche, ma essendo tutti questi soggetti oramai morti non lo possono confermare o smentire, di aver posto la stessa domanda a Lino Giuseppe Frangi e qui ebbe una eloquente risposta: “L’avevo già letto. Tutte balle! Te lo dirò io quello che è successo veramente a Bonzanigo. Adesso non posso. Rivediamoci. Ti potrai poi far confermare tutto da Neri che assieme a Gianna ti stimano moltissimo”. Ma il Frangi, come noto, pochi giorni dopo fu ritrovato morto sul greto del fiume Albano che sfocia nel centro di Dongo.

Ricco di questi ricordi, il Lazzaro sostiene anche di aver incontrato la Gianna Giuseppina Tuissi la quale cercava disperatamente di sapere perchè, quando e dove fosse stato eliminato il capitano Neri Luigi Canali, ma lui non poteva aiutarla ed aggiunge: “Gianna continuò a nutrire una totale fiducia in me”.

Ci sovviene quindi una domanda: perchè Bill, in quelle occasioni e prima della eliminazione della Gianna (avvenuta il 23 giugno 1945), anche approfittando dello sconcerto provato dalla stessa per il comportamento di tanti suoi compagni, non si è fatto dire per filo e per segno quanto accadde a Bonzanigo?

In ogni caso, simile alla versione del Bandini, questa di Lazzaro ha però anche altri elementi che la distinguono.

Secondo l’autore il fantomatico Valerio/Longo, aveva un progetto preciso: portare Mussolini e gli altri gerarchi a Milano vivi, e lì fucilarli in piazzale Loreto per vendicare i quindici partigiani ivi uccisi il 10 agosto del 1944.

La famosa telefonata di Valerio dalla prefettuta di Como sarebbe stata in realtà una telefonata alla federazione Comunista di Como per ordinare a Guido Lampredi, ivi recatosi, di partire per Bonzanigo, mentre lui, Longo, sarebbe giunto di lì a poco. Quindi praticamente, come si vede, Bill amplia il ruolo svolto da Longo, in funzione di Valerio, in quegli avvenimenti.

Alle 10,30 Guido, Riccardo (il Mordini), Neri Canali, Gianna Tuissi, Pietro Moretti, si dirigono verso Bonzanigo su due auto.

In questa versione non viene spiegato come Valerio ebbe a liberarsi di Giovanni Dessì che, per la versione ufficiale, fu scaricato durante il viaggio, ma in pratica anche dello stesso Cosimo M. De Angelis e del segretario del CLN locale Oscar Sforni, e soprattutto come poi, questi ultimi ricomparvero con Valerio poco dopo le 14 a Dongo, dato che dovrebbero aver fatto la strada da soli e non con Valerio come invece le varie ricostruzioni hanno appurato.

Comunque sia e senza spiegarlo bene, Lazzaro afferma che Valerio/Longo raggiunse i suoi ad Azzano, trasbordando sull’auto nera con Guido e Riccardo, mentre vi scesero Ferro e l’Aglietto.

Quindi Longo si dirigerebbe subito verso lo slargo di Bonzanigo dove erano in attesa Guido, i conosciuti (dai carcerieri) Pietro, Neri e Gianna ed in più viene qui aggiunto il Mentasti.

Mentre quest’ultimo scendeva per raggiungere Ferro e Aglietto sulla via Regina, il gruppo andava a prelevare i prigionieri.

Allo stesso Bill ed allo scrittore storico Duilio Susmel, la Lia De Maria avrebbe anni dopo confessato che quando vennero a prendere i prigionieri “non erano ancora le due” e Mussolini con la Petacci vennero portati via così senza soprabiti e copricapi.

Longo si approssimò alla porta della camera e bussò energicamente. Mussolini, in camicia nera, pantaloni alla cavallerizza e stivali gli aprì subito e rimase fermo sulla soglia mentre, dietro di lui, un pò scarmigliata, si alzò Claretta Petacci. Mussolini chiese: “Cosa c’è?”

Deve venire subito con noi” gli rispose Michele Moretti e aggiunse “dobbiamo condurla in un altro posto”, 18 quindi il Lazzaro ci dice che i prigionieri vennero portati via prima delle ore tredici, a piedi giù per via del Riale fino allo slargo dove iniziavano via Albana e viale delle Rimembranze.

Raggiunte le macchine Valerio/Longo invita Mussolini a salire sulla seconda vettura e lo obbliga a salire dietro, ma ordina a Riccardo Mordini di trattenere la donna che si accingeva a salire anche lei: “Tu no, tu rimani qui!”,

Ma in questo momento si verificherebbe un imprevisto.

Di fronte ad un simile atteggiamento, infatti, Claretta sconvolta urla a Mussolini, afferrando anche la canna del mitra di Mordini : “Ben, ti vogliono uccidere, ti vogliono uccidere!”.

Al che Longo intima a Riccardo (Mordini): “...e spara!”.

Ma Mussolini, allora, sceso dalla macchina urlerà a sua volta: “non commettete simile delitto, non potete è una donna!”.

Interviene allora il Neri (Canali) che strattona la donna che però, ancora attaccata alla canna del mitra provoca una breve raffica che prende in pieno Mussolini il quale, portandosi le mani alla gola, cade in terra rantolante.

Claretta gli si getta addosso urlando: “Non potete ammazzarci così! Non potete!”.

Poi, mentre inebetita, singhiozzava disperatamente, Riccardo esclamando “Maledetta puttana19 la fulmina con una scarica di mitra.

A questo punto Longo ordina a Moretti di finire il Duce a colpi di mitra Mas.

Quindi, qui a differenza della versione del Bandini, i due fucilatori, invece che Longo e Mordini, sono Mordini e Moretti ed inoltre, in questa dinamica, abbiamo il mitra, imprecisato di Mordini, ed il solito Mas di Moretti.

Anche l’orario è un poco più avanzato di quello indicato dal Bandini che si attestava verso le ore 12,30, mentre il Lazzaro indica più o meno intorno alle ore 13,00.

Come si vede non si fa cenno a colpi di pistola e sempre contrariamente ad altre versioni, qui si aggiunge anche un Longo infuriato per l’imprevisto che urlerebbe imprecando:

Maledetti, avete rovinato tutto! Chi porto adesso a piazzale Loreto, fregando quei porci di americani ed inglesi?!”.

Si decide quindi di occultare i cadaveri nella casa di un amico di Neri e di fucilare subito i gerarchi in quel di Dongo e quindi di allestire una messa in scena successiva per fingere una regolare fucilazione del Duce e di Claretta con modalità più o meno note come quelle raccontate dal Bandini.

Infine, sembra che la versione di Bill, dalle 14 in avanti, faccia entrare in gioco anche Audisio, di cui non si capiscono bene le eventuali mosse in quel momento, come fosse sbucato dal nulla, rendendo confuso tutto il racconto.

E confusa è anche la supposta presenza dello stesso Longo il pomeriggio a Dongo.

Interessante è però annotare quanto afferma Urbano Lazzaro circa una testimonianza del sindaco Ferrero Valsecchi, testimonianza che, comunque, segnala tutti gli strani movimenti di macchine e persone nella mattina del 28 aprile 1945. Quel giorno verso le 10,30, racconta Lazzaro, il Valsecchi, quale comandante militare partigiano della zona, insospettitosi per la lunga sosta sull’incorcio di via Regina con la strada di Mezzegra, dell’auto con Guido, Riccardo, Aglietto e Ferro,che aveva preceduto o soppiantato in Como Valerio ed attendeva altra vettura inerpicatasi a Bonzanigo con il capitano Neri, Mentasti, Gianna e Moretti “si fece avanti per esaminare i loro documenti e chiedere spiegazioni . Nel giro di pochi minuti si allontanò soddisfatto!.

A comprava l’autore produce un lasciapassare che il Valsecchi rilasciò a Lampredi per la libera circolazione. Ovviamente, il solito Mario Ferro, molti anni dopo nel 1998, pur confermando i presenti quel giorno in auto con Lampredi e i vari fermi ai posti di blocco, non confermerà la fermata a questo incrocio (che nel caso sarebbe veramente compromettente per la versione ufficiale). Ma, versione di Bill a parte, questo episodio conferma il via vai di macchine che pur ci fu in quella tetra mattinata.


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