Ana səhifə

Le versioni alternative


Yüklə 408 Kb.
səhifə7/8
tarix25.06.2016
ölçüsü408 Kb.
1   2   3   4   5   6   7   8

UN VELO PIETOSO SU QUESTO RACCONTO

Per tutto questo squallido racconto, del quale il Lonati non fornisce un serio straccio di prova, non spendiamo troppe parole.

Oltretutto, a differenza delle altre ipotesi e testimonianze alternative¸ che pur nelle loro inesattezze o ricostruzioni fantasiose, possono però sempre avere qualche elemento, qualche dettaglio, qualche attestazione di presenza in quegli eventi, utili ad una ricostruzione dei fatti, questa di Lonati, al di fuori della sua versione, non ha quasi nessun elemento, nessun dettaglio, nessuna testimonianza utile!

E’ un prendere o lasciare che, al di fuori di questa versione fantasiosa, non serve a niente. E questo è significativo.

Già la dinamica degli spari, con il fatto che la Petacci ed il Duce dovrebbero essere stati uccisi con due mitra Sten cal. 9, pone qualche interrogativo, dato che invece si ipotizza l’utilizzo di almeno un calibro 7,65 e di altri colpi con arma semiautomatica calibro 9, ma questo sarebbe il meno. Più problematico è invece il fatto che si asserisce la Petacci colpita al petto e non alla schiena come si evince chiaramente dai fori sulla sua pelliccia e dalle foto delle ferite.

Ma in ogni caso, chi ha pratica di questo genere di operazioni o del modo di procedere dei servizi segreti dell’epoca, sa che non era certo questa, così come raccontata dal Lonati, la prassi solitamente da essi seguita.

Rispetto alle ricerche delle foto, con l’esecuzione del Duce, presso il consolato britannico, che prima ne confermerebbe l’esistenza e poi si rimangia gli impegni presi, siamo nel campo della più completa inverosimiglianza.

Tutto il racconto è pertanto stonato e come è stato giustamente osservato



<

Ed è altrettanto assurdo immaginare che il discorso tra la coppia di reclusi ed il giustiziere senza macchia possa esordire con il tradizionale "Buon giorno" come di norma avviene tra persone bene educate.>> (Vedi il sito www. l’Archivio Story-History già citato).

Senza considerare poi che non si spiega cosa sarebbe successo ai cadaveri di Mussolini e della Petacci, abbandonati così per strada alle 11 del mattino. Nessuno del luogo li ha visti? non pare ci siano testimonianze in merito.

Anche ammesso che fossero intervenuti subito altri partigiani e li avessero nascosti, difficilmente poi il PCI si sarebbe azzardato ad imbastire la nota sceneggiata di Villa Belmonte con relativa versione ufficiale sapendo di poter essere smentito – e con prove certe – da un momento all’altro dai veri esecutori!

A meno che non dobbiamo presupporre un contemporaneo e preciso accordo tra inglesi e comunisti.

La stessa morte della Petacci che, dicesi, colpita al petto, sembra alquanto in disaccordo con i rilievi fotografici sul cadavere che, più che altro, attestano di una morte avvenuta per colpi ricevuti nella schiena, così come pure si riscontra nei fori sullo schienale della pelliccia di Claretta.

Del resto, non avendo il Lonati parlato di fasi caotiche durante l’esecuzione e forse non volendo asserire che la Petacci era stata vigliaccamente uccisa alle spalle (in modo da restare in coerenza con quanto si sapeva in merito), ha preferito optare per questa versione di una raffica al petto che però è alquanto fuori luogo.



Non tutto il racconto, però, a nostro avviso è inventato.

Probabilmente qualche elemento di verità ci dovrà pur essere.

A parte il già citato Peter Tompkins, come segnalato in nota, anche il giornalista storico Luciano Garibaldi, svolgendo qualche ricerca, è stato recentemente propenso a dare credito, almeno ad una parte della rivelazione del Lonati.

Per esempio, nel racconto si parla di un agente inglese, forse italiano, vestito da alpino (quello che i nostri incontrano a Tremezzo e dal quale hanno l’indicazione della casa di Bonzanigo di Mezzegra); ebbene un soggetto simile esce fuori anche da altri racconti e testimonianze inerenti quei luoghi e quei periodi; oppure lo scontro a fuoco di Argegno, richiamato nel racconto, che sembra sia effettivamente avvenuto (anche se non si sa bene con quali modalità); o ancora, il fatto che probabilmente il Lonati ebbe incarichi di comando tra i partigiani garibaldini; e pochi altri particolari che comunque sono tutti aleatori e non sufficienti per avallare questo racconto.

Visto che, comunque, noi non crediamo affatto a questa fantasiosa rivelazione, si può forse supporre che, in quei giorni del ‘45, il Lonati partecipò a qualche missione, da quelle parti, o qualcosa del genere, magari sotto comando inglese.

Molti anni dopo il Lonati, forte di vari resoconti e racconti su quelle vicende, ha pensato bene, non riusciamo ancora a capire per quali motivi, di architettare tutta questa incredibile storia frammistando particolari veramente vissuti, dedotti ed elaborati dalle storie pur conosciute, ad altri totalmente inventati.

Anche questo però si può solo supporre, ma non provare, come del resto non si può provare il racconto del Lonati, e pertanto preferiamo stendervi sopra un velo di pietoso silenzio.

Il “suicidio” di Mussolini con il cianuro

considerato da Alberto Bertotto

Concludiamo la nostra panoramica, circa le varie ipotesi alternative formulate dal dopoguerra ad oggi, con un accenno ad un altra ipotesi, già ventilata in passato 52 e riproposta recentemente da qualche giornalista storico: un tentato suicidio di Mussolini.

L’ipotesi che Mussolini si possa essere suicidato, nella fattispecie utilizzando un capsula di cianuro nascosta in una protesi dentaria,53 viene più o meno configurata in questo modo:

- nella prima m

attinata di quel 28 aprile 1945 Claretta Petacci si fa accompagnare ai servizi esterni di casa De Maria in quanto indisposta.

Mussolini, rimasto solo in stanza, forse utilizzando quel coltello da cucina che si dice sparito e ritrovato dai De Maria nella camera dei prigionieri, apre la protesi dentaria e rompe la capsula di cianuro che, si ipotizza, gli sarebbe stata donata da Hitler a Rastenburg, il 20 luglio 1944 durante il loro incontro.

Secondo questa ipotesi però il cianuro non darà l’effetto sperato determinando comunque un Mussolini agonizzante.54

All’accorrere della Petacci e dei due guardiani (Giuseppe Frangi Lino e Guglielmo Cantoni Sandrino) si comprende subito quanto è accaduto ad un Mussolini ancora in maglietta di salute e mutandoni di lana.

Uno dei guardiani riesce a comunicare con qualche dirigente comunista (come abbia fatto è un altro bel problema) ed avrebbe avuto immediatamente l’ordine di finire il Duce per attestare comunque un giustizia “in nome del popolo italiano” .

Altra variante asserisce invece che fu il Lino Giuseppe Frangi ha prendere impulsivamente questa iniziativa (sia in un caso che nell’altro, alcune attestazioni diranno che il Frangi ebbe poi a vantarsi di aver ucciso il Duce con il suo mitra).

Tornano opportune qui le testimonianze di Dorina Mazzola di Bonzanigo, non solo per la coincidenza degli orari mattutini, ma anche perchè avrebbe sentito urlare, in casa De Maria, frasi come <<Non si fanno queste cose in casa mia!>, mentre la Petacci, affacciatasi alla finestra urla invocando aiuto.

Mussolini comunque viene portato fuori casa, morto perchè ucciso nella stessa stanza oppure ancora vivo, ma agonizzante, trascinandolo per le mutande, cosa questa che sarà attestata dalla slabbratura di questo indumento (ma non dei soprastanti pantaloni), visibile a Piazzale Loreto.

Più probabile, comunque, che è fuori casa, nel cortile, che Mussolini verrà ucciso immediatamente ed anche la Petacci, forse più tardi, verrà ammazzata.

Una ricostruzione più o meno simile a questa, sia pure a livello di ipotesi e con molta elasticità espositiva, verrà illustrata da Alberto Bertotto, uno scrittore e studioso su vari aspetti ed avvenimenti della vita e della storia del Duce.55

Lo scrittore sarebbe stato incuriosito a questa ipotesi da una confidenza ricevuta da un altro scrittore Athos Agostini, genovese, il quale asserì che intorno alla metà degli anni Settanta, mentre si trovava in vacanza sul lago di Como, ebbe una esperienza psichica: gli apparve infatti Mussolini che gli raccontò ciò che avvenne in casa De Maria.

Questo Agostini ne restò impressionato, ma la cosa finì lì. Molto tempo dopo, negli anni Duemila, durante una trasmissione su Raitre vide però un filmato dove, dei medici americani, asserivano che nel cervello di Mussolini erano state rinvenute tracce di cianuro.

Purtroppo non è stato possibile rintracciare quel filmato, ma solo un altro testimone che ricorda di averlo visto.

L’ipotesi del suicido con il cianuro, secondo Bertotto potrebbe comunque avere alcuni appigli:

la slabbratura dei mutandoni, ipotizzata dall’azione meccanica di un trascinamento di peso;

i fori delle pallottole che hanno attinto Mussolini e che moderne indagini sulle foto dimostrerebbero che questi fori sono solo sulla maglietta di salute e non sugli altri vestiti;

le ferite procurate da proiettili con traiettoria dall’alto in basso con esecutore ed esecutato evidentemente non sullo stesso piano.

Oltre ovviamente a tutti quegli altri indizi, che ben conosciamo, che indicano un Mussolini ucciso semi svestito e quindi rivestito da morto in stato di rigor mortis.

Il Bertotto ha anche preannunciato un suo imminente libro sulla morte del Duce: “La morte di Benito Mussolini: una storia da riscrivere” Paoletti, D’Isidori e Capponi editori, che attendiamo di leggere per avere ulteriori e più precisi particolari.

Viene anche riportata una testimonianza di Elena Curti, forse figlia naturale del Duce e presente, con lui, nella famosa autoblinda di Musso. Successivamente catturata venne imprigionata a Dongo. Orbene, la Curti avrebbe lasciato al Secolo XIX di Genova questa testimonianza;



<<una persona mi disse che mio padre aveva cercato di uccidersi e che gli avevano sparato mentre rantolava. All’epoca non gli credetti, perché sapevo che non aveva armi con sé. E poi avevo saputo della fucilazione>>.

Al tempo la Curti, quindi, non diede troppo peso a questa rivelazione tanto che oggi non ricorda se a fargliela fu Ettore Manzi, un carabiniere, o il partigiano Osvaldo Gobbetti, oppure addirittura Urbano Lazzaro Bill.

Che l’autopsia del cadavere di Mussolini non riporti elementi tali che possano far sospettare un suicidio con il cianuro viene giustificato con il fatto che, questi elementi, abbisognano di analisi particolari che ovviamente, quel giorno all’obitorio milanese non vennero fatte.

C’è anche il sospetto, però, che potrebbero essere stati elisa, dal verbale di Cattabeni per motivi di opportunità, la segnalazione della mancanza naturale di alcuni denti e peggio ancora quella dei due colpi, forse di pistola, sparati all’addome e riscontrati dai moderni rilievi scientifici (equipe medico legale di Pavia).

Ci sarebbero inoltre alcune indagini, non ben specificate, relative agli archivi italiani e americani che si dice avrebbero offerto, se non altro, l’esistenza di alcuni indizi.

In ogni caso lo stesso Bertotto sembra conscio che la certezza di un avvelenamento si potrebbe avere solo dall’esame del cervello di Mussolini, una cui piccola parte venne portata negli Stati Uniti ed ivi esaminata.

A suo tempo non si sono avute estensive relazioni ufficiali in merito, tranne una conferma che il cervello del Duce non presentava patologie tali da giustificare il suo operato (quale? ovviamente per i buoni, giusti e pacifici yankee, quello antidemocratico, da dittatore folle e guerrafondaio!).

Però il Bertotto qualche piccolo passo avanti crede di averlo fatto: sembrerebbe infatti che un’anziana archivista dell’Aip (Army Institute of Pathology, ora Walter Reed Army Medical Center Institute di Washington), oggi ultra ottantenne e che desidera mantenere l’incognito, avrebbe rivelato una strana coincidenza: essa ricorderebbe che “nel 1945 le passò per le mani uno strano documento: la carta copiativa di un referto istopatologico, senza numerazione progressiva e non assemblata in un blocco, contraddistinta da una sigla e affiancata dalla seguente diagnosi: “chemical poisoning”, avvelenamento da agenti chimici, e “bioptic material: brain (il cervello)”.

Trattavasi di un cadavere di un uomo nato prima del 1900, e morto per colpi di arma da fuoco. Stranamente però: “non c’era il numero della piastrina di riconoscimento, segno che il cadavere non era di un militare americano, né di un veterano; né poteva essere la vittima di un omicidio comune, perché nel caso ci sarebbe stata la sigla D. A. (district attorney, il procuratore che a volte chiedeva una mano ai medici dell’ospedale). C’era invece, nello stesso cassetto, una busta con scritto “Overseas”, (oltreoceano).

Poteva trattarsi di un referto riferito a Benito Mussolini? Forse, ma non è certo.

Un certo interesse, come detto, possono presentare i denti mancanti del Duce.

Sottolinea a questo proposito il Bertotto: <<Cosa che il referto ufficiale non annota. Poiché dalle fotografie non risulta che a Mussolini mancassero dei denti, è probabile che avesse delle protesi, nelle quali poteva nascondere la capsula con il veleno>>.

Se poi questi denti, come è possibile, fossero saltati durante le barbarie di Piazzale Loreto resterebbe da chiedersi perchè il Cova Villoresi non abbia sottolineato questa violenza riportando solo invece: <<In bocca mancano parecchi denti e tutti i superiori di destra>>.


UN GIUDIZIO SU L’IPOTESI “CIANURO

Difficile esprimere un giudizio oggettivo su questa suggestiva ipotesi circa un eventuale tentativo di suicidio di Mussolini attraverso il cianuro. Tra le tante ipotesi strampalate che sono state partorite questa ci sembra la meno assurda.

Resta però il fatto che non ci sono elementi concreti per poterla convalidare.

Emblematico è che si cerchi di adattarla alla testimonianza di Dorina Mazzola, che avremo modo di leggere nel prossimo Capitolo 11, e che bene o male è diventata una coperta indispensabile per tutti coloro che vogliono attestare una morte del Duce al primo mattino.

In questo caso però, a nostro avviso, l’adattamento è molto stiracchiato e quindi, considerando estremamente valida la testimonianza Mazzola, dobbiamo giocoforza ridimensionare questa ipotesi di suicidio.

Per entrare nei particolari è infatti anche possibile che il cianuro non abbia gli effetti preventivati, ma pensiamo che sia alquanto difficile che il Duce, dopo aver ingerito una dose di cianuro, in preda al vomito ed ai rantoli, abbia poi potuto scendere con i suoi piedi nel cortile di casa De Maria, seppur zoppicando, così come Dorina Mazzola lo vide da lontano (un uomo pelato e in maglietta nonostante il freddo mattutino) senza riconoscerlo.

Del resto si afferma, nell’ipotesi del suicidio, che egli venne trascinato per i mutandoni, ma anche questa dinamica, come visto, non si adatta alla testimonianza della Mazzola.

I particolari poi su un famoso e rimasto segreto referto americano che attesterebbero, proprio per Mussolini, un suicidio con il cianuro riscontrabile dall’analisi di parte del suo cervello, sono troppo indefiniti e al momento oggettivamente non riscontrabili.

Gli elementi portati a giustificazione di una morte anticipata rispetto all’orario di Villa Belmonte (le 16,10) e ad una evidente rivestizione di un cadavere sono, in ogni caso, validissimi, ma interpretabili per modalità di morte anche diversa dal suicidio per avvelenamento a cui sarebbe seguita un rapida esecuzione.

Le varie testimonianze raccolte a sostegno di questa ipotesi, infine, hanno un valore relativo vista la girandola di voci e dicerie che circolarono, nell’immediato dopoguerra, in merito a quella morte.



* * *

PROSPETTO GENERALE VERSIONI UCCISIONE

MUSSOLINI E PETACCI

ORA

LUOGO

ARMI

UCCISORI

ASSISTONO



Circa le 16,10


Cancello di Villa Belmonte


1 mitra Mas


Walter Audisio



Lampredi, Moretti e Geninazza.

- Lino e Sandrino

arrivano tardi.

VERSIONE



UFFICIALE

Circa le 16,10


Cancello di Villa Belmonte


1 mitra Mas (probabilmente anche 1 pistola Beretta)



Walter Audisio

(forse anche Moretti e/o Lampredi)



(Lampredi, Moretti) e Geninazza.

- Frangi e Cantoni arrivano tardi.



VERSIONE

UFFICIALE

revisionata

Circa le 12,15


Vicino slargo sotto casa De Maria


2 Mitra:

cal. 9 cecoslovacchi

Longo e Mordini



Moretti, Canali, Gianna, Lampredi, Gorreri.

- Frangi e Cantoni

arrivano tardi.




IPOTESI

BANDINI

Circa le

13

Vicino lo slargo di via del Riale

2 mitra:


1 Mas ed 1

imprecisato



Moretti e Mordini

Longo, Lampredi, Canali, Gianna

IPOTESI

LAZZARO

Circa le 5,30



In fondo via del Riale verso via Albana

2 mitra:

1 Mas ed 1

imprecisato

+ 1 pistola



Canali, Frangi e Moretti (per colpo di grazia)

Cantoni, e Gianna.

(arrivano poi Caserotti e 2 partigiani).




IPOTESI

ZANELLA

Poco prima delle 16



Viottolo con muretto a lato via del Riale (verso lo slargo)

2 mitra:


1 Mas ed 1

mitraglietta


Mordini e

Moretti


Canali, Landini, 2 partigiani Oltrepò, Lazzaro, Lampredi


VERSIONE

LANDINI

(tramite Bernini)

Circa le



11

Viottolo a lato via del Riale


2 mitra sten


John e Lonati


Gino e Bruno




VERSIONE

LONATI

Tra le


8 / 9,30

In stanza o meglio nel cortile di casa De Maria

1 mitra non specificato

(forse cal. 9)


Frangi


dopo tentato suicidio del Duce

Cantoni, forse i De Maria e la Petacci





IPOTESI

SUICIDIO CON CIANURO

* * *
Conclusa questa, sia pur riassuntiva ed incompleta, esposizione delle cosiddette versioni alternative, per le quali chiediamo anche scusa ai singoli autori, nel caso non le avessimo riassunte con precisione o avessimo omesso qualche particolare importante.

Con il prossimo 10° capitolo, sintetizzeremo punto per punto, tutti i motivi, qualificati in ordine di importanza: non credibili, assurdi, o letteralmente impossibili, per i quali, considerando soprattutto la loro sommatoria, ed alla luce di quanto abbiamo fin qui esposto, la versione ufficiale o versione di Valerio, deve essere definitivamente gettata nella spazzatura.

Sarà, infatti, oramai evidente al lettore che, all’interno di una versione ufficiale dei fatti, malamente tramandata alla Storia e tra l’altro ingarbugliata e mistificata nel suo insieme così incongruente e poco attendibile, ci sono stati dei diversivi, degli episodi rimasti segreti, che hanno determinato una ben diversa modalità di morte per Benito Mussolini e Claretta Petacci.

Quello che però non è possibile capire, da quanto fin qui abbiamo potuto esporre e sottoporre ad uno spietato esame critico, è esattamente il come ed il quando e da chi essi vennero uccisi.

Per rispondere, almeno in buona parte, a queste altre domande dovremmo aspettare il successivo Capitolo 11, dove esporremo, sottoponendola ad una attenta critica, la importantissima testimonianza di Dorina Mazzola, l’ex abitante di Bonzanigo la quale, dopo cinquanta anni, con la sua testimonianza ha finito per affossare definitivamente la vulgata resistenziale, aprendo un vero e proprio squarcio di verità nel panorama stagnante della storiografia italiana.



1 Luigi Carissimi-Priori è nato a Milano nel 1914 e morto a Como nell’agosto del 2002.

Detto Cappuccetto Rosso, già basista nel 1944 di una radio dell’Organizzazione della Resistenza Italiana (la Ori, interfaccia dell’OSS americano) in stretto contatto con i comandi Alleati in Svizzera, fu un uomo vicino al Partito d’Azione e quindi, a nostro avviso, inevitabilmente a tutto l’ambiente massonico ad esso inerente.

Era oltretutto un esponente del ramo cadetto della famiglia Gonzaga e membro del Sovrano ordine dei Cavalieri di Malta. Arrestato nell’agosto del ‘44 assieme alla moglie finì prima nelle carceri comasche ed infine a San Vittore.

Nelle carceri comasche fu compagno di cella di Pier Maria Annoni da Gussola, dirigente della DC dell’alta Italia e futuro elemento istituzionalmente preposto al recupero di materiali e documenti delicati in qualità di vicecommissario conservatore dei beni e dei documenti della RSI.

Giunse a Como cinque giorni dopo la liberazione, inviato dai vertici non comunisti del CLN (in particolare Parri) su richiesta del nuovo questore di Como Davide Grassi. Come copertura gli venne ufficialmente affidato il ruolo di capo dell’ufficio politico della questura. In questa veste condusse una pseudo inchiesta, o meglio una raccolta di informazioni e confidenze, sulle modalità della morte del Duce e della Petacci, ma soprattutto riuscì ad entrare in possesso, sottraendola a Dante Gorreri, federale comunista di Como, di una riproduzione fotografica del carteggio Mussolini/Churchill (la vicenda però non è chiara e restano i dubbi sulle effettive modalità di come il Carissimi entrò in possesso di queste copie fotografiche). Il Carissimi era un uomo estremamente prudente tanto che, al tempo del suo mandato alla questura di Como e sotto evidenti minacce, entrò come indipendente nelle liste del partito comunista pur non essendo affatto comunista (continuando a riferire ed a appoggiarsi alla amministrazione Alleata o AMG) e venne eletto nel consiglio comunale di Como. In qualità di giudice istruttore nei processi contro alcuni fascisti di Como contribuì pure alla comminazione di alcune condanne a morte.

Ha vissuto molto tempo in Spagna, dove negli anni ’50 venne raccomandato direttamente al generale Franco dal Vaticano e per lui si mossero anche le autorità governative italiane, onde aiutarlo ad impiantare lucrose attività di ingegneristica imprenditoriale (sembra a compenso dei servigi resi per il famoso carteggio Mussolini/Churchill, consegnato tramite Pier Maria Annoni, a De Gasperi). Anche qui però ci sono diverse incongruenze per il fatto che il Carissimi ha poi mantenuto, fino all’ultimo, un certo astio contro il nostro paese da lui accusato di averlo trattato a pesci in faccia.



2 Per le vicende e le testimonianze di Carissimi-Priori si veda: Nuova Storia Contemporanea N. 1 Gennaio/Febbraio 2000, e soprattutto il N. 5 del 2004, ed anche R. Festorazzi Mussolini Churchill Le carte segrete Datanews 1998. Le citazioni di cui sopra sono tratte da questi testi.


3 La storia di questi fantomatici
1   2   3   4   5   6   7   8


Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©atelim.com 2016
rəhbərliyinə müraciət