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(Un imbecille! Aggiungiamo noi, visto che dopo meno di mezz’ora si dovette poi ripeterla su due cadaveri, quindi un atto incomprensibile, n.d.r.),

Fino ad allora ricordo che non si era deciso nulla. Forse l’idea fu di Moretti e Guido, i due veri deux ex machina della vicenda, con il capitano Neri che però non partecipò pur essendo presente. Neri non fece fuoco in quella zona perchè lì era conosciutissimo ed era diventato un personaggio simbolo.



Erano le prime ore del pomeriggio, prima delle sedici.”.

Ed infine conclude Landini:

Prendemmo i cadaveri in due per ogni corpo, l’uno afferrandolo sotto le ascelle e l’altro per le gambe. Caricati quindi sull’Aprilia furono portati al cancello di Villa Belmonte, favoriti dalla ricordata assenza della popolazione... (precedentemente invitata ad andare sulla statale a veder passare il Duce prigioniero, n.d.r.)

Scaricati i cadaveri, posti leggermente addossati al muretto, forse anche Bill fece fuoco con Guido e Riccardo sui corpi già privi di vita.

Io mi posi poco lontano. Quindi ce ne andammo lasciando Lino e Sandrino di guardia”.

L’autore quindi aggiunge una testimonianza di Moretti, raccolta dallo scrittore storico resistenzialista Giusto Perretta, ma da questi riferita alla versione ufficiale e cioè alla asserita fucilazione delle 16,10 (n.d.r.), che così la riportò:

Erano appena le sedici. Essi raccolsero i bossoli e Moretti andò a chiamare Sandrino e Lino che, attardandosi, aveva perduti di vista. Alla fine li rintracciò sullo stradone principale proprio dove comincia la Mulattiera e li condusse sul posto dove era avvenuta l’esecuzione affinchè rimanessero di guardia”.

Il Bernini conclude:



accanto ai cadaveri lavati da una provvidenziale forte pioggia che cancellò il sangue ed altre tracce, furono lasciati sui corpi il cappotto dell’uno e dell’altra oltre la pelliccia di visone che Claretta aveva portato con sè, trapassata da colpi d’arma da fuoco, essendogli stata posta sulla schiena durante la sceneggiata”.

A nostro avviso viene il sospetto che questa aggiunta della pelliccia, da parte dell’autore, visto che non la menziona nel precedente racconto del Landini, è probabilmente un espediente per giustificare la presenza della pelliccia sforacchiata dai colpi.

Successivamente il Bernini riporta un paio di testimonianze di partigiani del plotone dell’Oltrepò, che aiutarono intorno alle 19 a caricare i cadaveri di Mussolini e la Petacci sul camion giunto da Azzano. I due, e in particolare Codaro Renato R. Codara, sembra che, incredibilmente ebbero a sostenere che i cadaveri erano ancora caldi (dopo circa 3 ore all’aperto e sotto la pioggia!). Il Bernini, ovviamente, si appoggia proprio su queste testimonianze, tra l’altro smentite da altre testimonianze di gente del posto, per dare convalida al racconto del Landini.
Cosa dire di questa “eccezionale”, ma quasi ignorata

rivelazione” del Landini, riportata da Fabrizio Bernini ?


Diciamo subito che non ci convince per niente, oltre che per i motivi da noi di tanto in tanto già intercalati al testo, ma anche per il fatto che vengono ad essere completamente ignorati i rilievi e le osservazioni fatte sulle foto che mostrano i reperti di vestiario indossati dal cadavere di Mussolini privi di colpi.

In ogni caso:



  1. Se dopo pochi minuti bisognava fare il replay della fucilazione a Villa Belmonte, perchè allora anticipare volutamente l’esecuzione in quel viottolo?

A che scopo? Oppure fu un atto inconsulto, ma perchè?

Perchè complicare tutto con una successiva sceneggiata?

Questa, infatti, avrebbe avuto un senso solo se Mussolini e la Petacci fossero stati uccisi molto prima ed in circostanze diverse, magari impreviste;


  1. Come si spiegherebbe il fatto sorprendente che, secondo il Landini, Mussolini sarebbe stato colpito due volte al braccio e poi ucciso con due mitra?

E in tanta precisione di ricordi che fine fa il colpo al fianco uscito dal gluteo?
E la incongruenza che i 4 colpi che attinsero la Petacci alla schiena, dicesi raggiunsero Mussolini alla parte alta del torace (e sappiamo che poi uscirono dalla schiena con una rosa così ristretta che solo una raffica ravvicinatissima poteva formare) come si può spiegare?

Dobbiamo definirle delle semplici e alterate rimembranze del partigiano, che magari ha voluto strafare?




  1. Come risolsero poi questi esagitati fucilatori, in quattro e quattr’otto il problema di portare i due cadaveri, dicesi messi in macchina, davanti a villa Belmonte?

E quando scelsero questo posto ?

A meno che non furono insaccati nel portabagagli avrebbero dovuto pur sempre passare nei pressi del bivio di Azzano dove, a quell’ora, transitava gente verso la via Regina per “vedere” il Duce prigioniero secondo la falsa indicazione sparsa nel paese (che qui il Landini direttamente conferma).




  1. Nella fretta, l’autore e il relatore hanno dimenticato la figura dell’autista Geninazza: dove lo mettiamo?

Qui ora, per questa doppia fucilazione, non c’era certo il tempo di organizzare un finto arrivo di due partigiani addobbati da Duce e Petacci per ingannare sia lui che casuali abitanti del borgo.

E se è pur presente Valerio è grave che non è stata considerata anche la presenza dell’autista Geninazza (magari lasciato da qualche parte), durante la sceneggiata;

Dimenticanza? oppure dobbiamo non considerare tutte le testimonianze, compreso il Geninazza, che attestano un arrivo di Valerio sulla piazzetta del Lavatoio?

La cosa ci sembra alquanto problematica.



  1. Con i particolari riferiti ai momenti successivi (alcuni li abbiamo riportati, parlando del caricamento dei cadaveri al bivio di Azzano), vediamo che, per avallare l’orario della morte (quasi le 16 circa), con la storia dei corpi caldi, si incorre in troppe contraddizioni e del resto come credere che i cadaveri erano ancora caldi (oltretutto come dice il racconto riportato dall’autore, “lavati da una provvidenziale forte pioggia)42, dopo circa tre ore rimasti all’aperto ?

Si badi bene, i due partigiani del plotone dell’Oltrepò, in particolare il Codaro, sono la sola convalida di questa assurda testimonianza (smentita da altre persone del luogo non di parte), ma se consideriamo che quasi certamente, la loro asserzione che i due cadaveri erano ancora caldi non può essere corretta ed è anche di parte, crolla anche buona parte della testimonianza del Landini.

  1. Inoltre un rilievo non da poco: ma se a quell’ora di pomeriggio, sia Mordini che Landini, che erano i comandanti del plotone dell’Oltrepò, si trovavano a Bonzanigo, chi c’era rimasto a comandare i restanti partigiani dell’Oltrepò rimasti in attesa a Dongo?

Non è più logico, come d’altronde era stato in passato dallo stesso Landini asserito, che lui era rimasto a Dongo con i partigiani del plotone ?




  1. Infine non si può non rilevare come l’autore, il Bernini, abbia pubblicato questa testimonianza, di fatto avallandola (anche se non in modo esplicito) come “verità”, quasi due anni dopo che si era conosciuta la testimonianza di Dorina Mazzola raccolta da Pisanò. Ma la testimonianza di Mazzola non viene confutata apertamente, ne comparata, come avrebbe dovuto essere visto che era in netto contrasto con la versione di Landini.

L’autore, invece, su la testimonianza Mazzola vi sorvola allegramente o in qualche passaggio vi lascia aperta una futura attestazione di veridicità, oppure cerca di indicarla quasi come se fosse una “versione di Pisanò”; anzi nel suo secondo libro del 2000 (“Sul selciato di piazzale Loreto”) la cita varie volte e, non volendola o potendola smentire, da l’impressione di volerne utilizzare alcuni particolari come un avallo alla testimonianza di Landini che, viceversa, è completamente difforme sia nelle modalità che negli orari indicati.
Una osservazione:

Ancora una volta, in barba a chi ritiene attendibili le fonti partigiane e resistenziali, dobbiamo rilevare invece la loro attitudine a mistificare seguendo proprio il canovaccio della versione ufficiale, anche se qui il Landini sostenendo una doppia fucilazione, vi scantona poi decisamente.

E questo per la semplice constatazione che, a parte le evidenti contraddizioni insite nella sua testimonianza, si prospetta in questo caso, una inevitabile alternativa per la quale, o mente lui, o mentono tutti gli altri testi partigiani di quelle vicende!

E stiamo parlando di partigiani di un certo rilievo!

A parte, infatti, il trio Valerio, Pietro,Guido, con la loro incredibile contraddizione reciproca sull’atteggiamento di Mussolini al momento di essere ucciso e di cui abbiamo più volte parlato, non è forse vero che se, al tempo nel lontano 1956, non fosse intervenuto il partito, le rivelazioni ben remunerate, ma false di Sandrino il Cantoni al settimanale Oggi (vedi il precedente Capitolo 5) sarebbero state date per storicamente acquisite?

Anzi, quella falsa testimonianza del Cantoni, ai giorni nostri, sarebbe forse stata accettata anche dallo stesso moderno “revisionismo resistenziale” visto che rimarcava la storica versione e non era in evidente contraddizione circa un ruolo, oggi accettato come ipotesi, di Valerio & Moretti sparatori?

Resta comunque veramente inspiegabile perchè Orfeo Landini, in tarda età si sia deciso a rilasciare questa testimonianza. L’unica interpretazione che si può dare, di questa vicenda, è che il Landini volle prendersi una rivincita, per motivi che non sappiamo, nei confronti del partito comunista.

Egli probabilmente rimase a Dongo quel pomeriggio ed a differenza di Mordini (che svicolò da Como con il Lampredi) devesi anche escludere una sua salita a Bonzanigo al mattino, ma certamente ebbe modo di conoscere molti particolari di quella vicenda, tra cui quello importantissimo della finta fucilazione.

In qualche modo, sia pure distorto, ha voluto, renderli noti.

E’ per questo che pur nella sua estrema incongruenza questa testimonianza del Landini rimane importantissima in quanto consente di scorgere, sia pure confusamente e da lontano, qualche altro elemento verso il raggiungimento della verità.

LE IPOTESI ALDO LAMPREDI “FUCILATORE”

Come abbiamo visto, in quasi tutte le precedenti ipotesi e versioni (tranne quella dello Zanella) c’è sempre la presenza dI Aldo Lampredi al momento della fucilazione di Mussolini o durante la spedizione di Valerio.

Nessuna di queste però lo indica tra quelli che sparano, tranne qualche accenno al fatto che gli si sarebbe inceppata la pistola e forse alla versione ufficiale che, con gli anni, è divenuta leggermente più possibilista sul fatto che a sparare, oltre a Valerio, potesse essere stato anche Moretti e/o Lampredi appunto.

E questo è alquanto curioso visto che le ipotesi alternative elaborate da storici, scrittori o ex partigiani, abbondano e descrivono nome e cognome di svariati eventuali sparatori senza però dirci esattamente come li hanno dedotti.

E’ pur vero che, per le ipotesi alternative, che danno un Mussolini ucciso al mattino (il dott. Alessiani e lo Zanella pongono questa uccisione all’alba, altri in mattinata), devono pur tener conto del fatto che, almeno fino alle ore 9 (chi dice fino alle 10, chi alle 10,30, Lampredi stesso afferma, a nostro avviso mentendo, fin verso le 11), Guido si trovava in Prefettura a Como con Valerio. Come noto poi passò alla Federazione Comunista comasca e quindi apparve sulla piazza di Dongo dopo le 14 e dopo Valerio (qualcuno asserisce invece, poco prima).

Qui sappiamo anche che ci fu un astioso diverbio, tra Guido e Valerio descritto in diversi modi da alcuni testimoni, diverbio attribuito da molti al fatto che, probabilmente, in quel momento Lampredi mise al corrente Valerio della morte di Mussolini e della Petacci, ingenerando nell’ignaro colonnello una reazione per esser stato boicottato.

Altri invece pensano fu in quel momento che Lampredi avvisò Valerio che il suo vero compito era di procedere alle fucilazioni sul posto.

C’è anche chi, più semplicemente, pensa che c’era stata una reazione di Valerio a seguito della non preavvisata e sospetta sparizione di Guido dalla Prefettura di Como.

Ma sono tutte supposizioni.

Ora occorre calcolare che da Como, per arrivare a Dongo, si può passare per Azzano (quindi Bonzanigo), e che a quei tempi la percorrenza Como - Bonzanigo era, al massimo, di circa 45 minuti, mentre quella Azzano – Dongo di poco meno di 30 minuti, sempre premettendo che quel giorno del 28 aprile si avessero con sè partigiani di rilievo e noti in quei luoghi (e Lampredi li aveva nella federazione comunista) per passare in fretta ai posti di blocco e non avere (un pò difficile questo) imprevisti di sorta.

Ricordiamo che per Valerio, il tratto Como – Dongo (con la sua scorta più Sforni e De Angelis), venne fatto in circa due ore, adducendo appunto la perdita di tempo ai posti di blocco e altri imprevisti (requisizione di un camion, ecc.).

Per tornare al ruolo di Lampredi fu proprio lo storico della resistenza Paolo Spriano nella sua “Storia del Partito Comunista Italiano” del 1975 ad accennare ad un ambiguo: “è vanto dei comunisti di avere essi eseguito, per opera di due loro dirigenti inviati dal Comando Generale, Lampredi ed Audisio, quella condanna”. La frase di Spriano però potrebbe voler dire tutto e niente perchè potrebbe essere stata usata in senso generale.

Il Remo Mentasti (Andrea) ebbe anche ad affermare, a suo tempo, che fu Guido, cioè Lampredi, e non Michele Moretti a far partire la raffica mortale dopo che Valerio si era trovato col mitra inceppato tra le mani, ma per la verità non fornì particolari atti a sostenere questa tesi.

La testimonianza, però, più probante che vuole Lampredi come fucilatore, l’abbiamo da Massimo Caprara, già segretario di Togliatti, che la riferì attraverso Storia Illustrata di agosto-settembre 1996, guarda caso poco dopo che si era conosciuta la testimonianza di Dorina Mazzola che sconvolse il panorama storico resistenziale.

Anche qui, come poi avvenne per la confessione di Giovanni Landini, si ha l’impressione che, in qualche modo, si voleva mettere in ombra la decisiva e scottante testimonianza della anziana signora di Bonzanigo con un altra rivelazione clamorosa. La domanda che infatti sorge spontanea è: come mai questa rivelazione da tempo conosciuta venne resa pubblica solo pochi mesi dopo la testimonianza della Mazzola?

A questa rivelazione, comunque, sia che risponda al vero e sia che sia stata in qualche modo caricata, dobbiamo dare un certo credito e riconsiderare, appunto, il ruolo effettivo giocato da Lampredi.43

Caprara inizia descrivendoci il Lampredi del dopoguerra a Botteghe Oscure, in contrasto con la presenza di Valerio negli stessi uffici: Valerio, quale un soggetto insignificante ed in un certo senso perfino noioso e ridicolo, mentre Lampredi, che lavorava nell’apparato di Secchia, appariva come un bieco e circospetto individuo inchiodato alla sua scrivania e che entrava ed usciva dall’ascensore di servizio, sovente con un basco ormai senza più colore, evitando incontri e soprattutto foto mai desiderate.

Lampredi insomma, per Caprara, voleva essere qualsiasi altro senza nome ne volto.



Palmiro Togliatti, un giorno, conversando acconsentì ai sospetti di Caprara circa il vero fucilatore di Mussolini e tutti i dubbi su Valerio, e disse deciso:

Non è lui. Abbiamo deciso di coprire il vero autore dell’esecuzione di Mussolini che è Lampredi”; oltretutto non accennando alla sorte della Petacci.

In altra occasione Caprara riportò anche una confidenza di Celeste Negarville (esponente comunista già direttore dell’Unità nel ‘44), che un giorno aveva asserito:

Con la Petacci Lampredi non c’entra. La Petacci è stata uccisa altrove. Lampredi si trovò un cadavere in più, che non era nel conto”. 44

Il segretario di Togliatti accenna poi al vero ruolo sostenuto da Lampredi nel partito, prima e durante la guerra, dice Caprara:

La sua designazione costituì una soluzione strettamente Kominternista. Vero è che la Terza Internazionale, da cui il Komintern dipendeva, venne sciolta pubblicamente il 15 maggio 1943... ma è altrettanto vero che il nucleo d’acciaio del Komintern, composto da Dimitrov, Manuilskji, Torez, Kuusinen ed Ercoli Togliatti, resistette a lungo e fu raggruppato nel cosiddetto “Istituto 200” che costituì la nuova centrale operativa e dirigente”.

Quindi aggiunse il Caprara: “L’operazione affidata a Lampredi fu considerata come un’operazione delicata, ma pur sempre di polizia e tale avrebbe dovuto rimanere, nei limiti circoscritti, con figuranti di secondo piano del livello di Audisio”.... Perchè la designazione di Lampredi fu mantenuta segreta? Chi conosce usi e costumi del Komintern non se ne può meravigliare”.

Dovendo prendere per buona la rivelazione di Togliatti 45 a Caprara e considerando anche quanto correttamente specificato da Negarville circa una diversa fase per la morte della Petacci, e ritenendo comunque scontato che Mussolini venne ucciso al mattino, pur non potendosi precisare, in base alla testimonianza di Dorina Mazzola, se questa morte avvenne intorno alle nove o vicino le dieci, si dovrebbe riconsiderare tutto quanto è stato affermato circa i tempi in cui Lampredi sgattaiolò dalla Prefettura, portandosi dietro Mordini.

Evidentemente, allora, questa tempistica non è stata riportata, o non è stata considerata, correttamente e quindi il Lampredi, forse, ebbe la possibilità di giungere a Bonzanigo in tempo per partecipare all’uccisione di Mussolini.

In ogni caso c’è da rilevare che nell’economia dei compiti che Lampredi (pur definito agente del Komintern) avrebbe potuto svolgere, per l’eliminazione di Mussolini, non è strettamente necessario che egli avrebbe dovuto premere il grilletto, potendosi anche limitare a presiedere ed accertarsi di questa uccisione.

Oltretutto, sebbene di uno spessore, anche militare, certamente superiore a quello di Audisio, Lampredi veniva impiegato dal partito più che altro per missioni diplomatiche con il CLN a Treviso e con i partigiani jugoslavi.

Come già detto, in questo senso, sembrerebbe che, in definitiva, neppure Lampredi risponda perfettamente ai requisiti di uno sparatore, dovendosi probabilmente anche accertare quali furono i suoi esatti ruoli nel Comintern (in Francia fu chiamato in causa per alcune storie inerenti queste attività) che, non necessariamente, dovevano essere stati quelli dell’esecutore diretto (sicario).

Come vedesi il discorso circa il vero o i veri nomi dei fucilatori di Mussolini è aperto e non è stata ancora detta l’ultima parola.

Comunque, non è qui il caso, ma occorrerà prima o poi indagare, non soltanto come si è fatto sinora solo sul ruolo inglese, ma anche sul ruolo sovietico nella eliminazione di Mussolini (qualche parola la spesa il Bandini).

Questo perchè non solo gli inglesi, per la nota questione del carteggio di Mussolini che li riguardava e per quello che veramente ci fu tra Churchill e Mussolini nel periodo dell’entrata in guerra dell’Italia e che doveva essere sepolto nella tomba assieme al Duce, ma anche per i contatti che ci furono tra l’Italia e la Russia rispetto ad una uscita dei sovietici dalla guerra.

A questo proposito è anche da rivedere, alla luce di certi accordi segreti, mai appurati, tra l’Italia e la Russia, sia il comportamento, sostanzialmente “tranquillo” dei comunisti in Italia durante il ventennio e fino all’invasione della Russia del giugno 1941, ed indagare se anche in questo senso c’era dell’altro, dietro l’uccisione, oltre che di Mussolini anche di Nicola Bombacci (tra i fucilati a Dongo) il quale era sicuramente al corrente di questi accordi, così come Claretta.



La “confessione” di Giovanni Lonati

Se le varie ricostruzioni della morte del Duce, con le scene delinquenziali dell’uccisione della Petacci ci hanno destato, mano a mano che le riportavamo, una certa indignazione anche per il constatare come, senza alcuno scrupolo, gli storici hanno giocato con queste morti, vuoi per partito preso o per interessi politici ed altro, quest’altra confessione, ovviamente sempre tardiva, dell’autore del libro “Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta la verità” edizioni Mursia 1994,46 cioè Bruno Giovanni Lonati, nome di battaglia “Giacomo”, ex partigiano ed ex commissario politico della 101ma Brigata Garibaldi, ci fa veramente ribrezzo.

Leggendo appresso si capirà il perchè.

Intanto, come per la testimonianza del Landini, ripresa dal Bernini, anche questa del Lonati più che di una ipotesi trattasi di una vera e propria versione dei fatti attestata da un presunto partecipante diretto, anzi esecutore, della morte di Mussolini.

Non c’è niente da indagare o analizzare: o la si condivide o la si rifiuta in toto perchè mendace.

Facciamo però anche una ulteriore premessa: tutte le pseudo versioni che vorrebbero attestare interventi ultra tempestivi di fantomatici agenti segreti (inglesi) che scovano il nascondiglio del Duce e vi si recano per ammazzarlo sul posto, hanno un quasi irrisolvibile problema:



- o con essi si dimostra che è presente uno o più di questi partigiani: Pietro il Moretti, Neri il Canali, Pedro il Bellini delle Stelle (o forse Gianna la Tuissi), cioè uno dei conosciuti (dai carcerieri Sandrino il Cantoni e Lino il Frangi) accompagnatori dei prigionieri della notte precedente;

- oppure occorre ipotizzare e spiegare la mancata reazione armata dei due guardiani stessi in casa De Maria alla vista di estranei.

Come vedremo il Lonati ci risolverà il problema con un poco credibile espediente degno di Gianluigi Bonelli, il fatasioso autore di fumetti avventurosi.

Il Lonati è, al tempo dei suoi racconti, un 73enne residente a Brescia, ex dirigente di aziende e sedicente ex comandante partigiano.

Egli afferma che un certo “capitano John”, misterioso capitano dell’esercito inglese di origini italiane (inquadrato come agente del Servizio Informazioni britannico alle dirette dipendenze del generale H. Alexander) ebbe a contattarlo per chiedergli di radunare alla svelta altri tre partigiani che poi saranno tali Bruno, Gino e Lino di cui non si conoscono le generalità e non si riuscirà mai a rintracciare.47

Questo agente britannico si trovava già da qualche mese in Italia e reggeva una vasta rete di agenti ed informatori, ramificata in tutta la Lombardia (praticamente di spie), preposta al rifornimento delle bande partigiane.

Pare che il Lonati aveva già avuto modo di conoscerlo perchè presentatogli da Aldo Lampredi nel marzo del ’45 durante una riunione partigiana.48

Comunque sia questo John era entrato immediatamente in azione già dal primo pomeriggio del 27 aprile 1945.

In pratica, l’inglese, dopo aver spiegato il suo intento di rintracciare preziosi carteggi in possesso di Mussolini e quindi di raggiungere subito il luogo dove questi, da poco arrestato, si trovava, chiese l’aiuto di Lonati e degli altri partigiani che subito si resero disponibili.

Già da qui si noti come, il Lonati, secondo il suo racconto, si sia subito messo a disposizione di uno straniero (l’inglese) senza richiedere autorizzazioni al CLN o ad altre strutture di brigata o autorità italiane dalle quali doveva pur dipendere!

Eppure, a questo proposito, era noto che fin quando le armate Alleate non fossero entrate nelle zone evacuate in quei giorni dalle forze militari della RSI e dai tedeschi (e quindi subito occupate dal CLNAI), vigeva una specie di intesa che lasciava agli italiani una certa, anche seppur limitata, indipendente sovranità.

Ma quello che è più grave è il fatto che questi importanti documenti, appartenevano allo Stato italiano, e semmai avrebbe dovuto essere la provvisoria autorità del CLNAI a girarli successivamente agli inglesi (e certamente lo avrebbe fatto, vista la subordinazione dell’Italia!).

E gravissimo è anche il fatto che il Lonati, la cui sua stessa versione non gli fa onore, si sia poi dichiarato anche disposto ad uccidere il Duce per tacitarlo dietro ordine di uno straniero, quando anche questa richiesta d’esecuzione doveva essere messa in atto dal CLN dopo aver vagliato gli interessi dell’Italia in base ai documenti ed alla posizione di Mussolini rispetto alle altre nazioni belligeranti e agli stessi accordi presi con gli Alleati.

Invece il Lonati prende e parte con l’inglese e questi tre uomini trascinati dietro non si sa bene con quale autorità.

Giunto a Como, il gruppetto italo-inglese si diresse subito verso Brunate dove, in una villetta, un misterioso uomo, di cui non si sa chi sia o comunque chi lo avrebbe preavvertito, li attendeva.

L’inglese confabulò con costui e subito, l’uomo misterioso, si assentò fino alle ore 8 del mattino successivo (28 aprile), e cioè fin quando tornò e portò la notizia che Mussolini si trovava a Bonzanigo (come abbia fatto a trovare queste informazioni è un altro mistero).

Fatto sta che, alle 8,30, tutti e cinque costoro, si misero in macchina diretti verso il lago.

Pare che si imbatterono in un gruppo di partigiani ad un posto di blocco per cui ne nacque un conflitto a fuoco, in qualche modo superato nonostante la perdita di Lino, ucciso da una raffica di mitra.

Come fecero a superare altri sicuri posti di blocco non è dato sapere, ma comunque sia, dopo Tremezzo, il gruppetto così ridotto incontrò un secondo informatore il quale indicò loro con precisione casa De Maria, senza però accompagnarli.

Trovata questa casa i quattro giustizieri superstiti trovarono, sorpresa delle sorprese, anche ben tre partigiani di guardia.

A parte la faccenda del terzo partigiano trovato in più a guardia di Mussolini è ovvio che tutto questo racconto non convince affatto tanto è improbabile e fantasioso.

Questi tre carcerieri, prosegue il Lonati, vennero ben presto disarmati, dopo averli distratti con un modo di fare amichevole e offrendogli sigarette (proprio come in un fumetto alla Tex Willer!).

Entrati in casa, John e Lonati cercarono invano i documenti del Duce e quindi condussero i due prigionieri sul ballatoio per poi raggiungere gli altri.

Qui l’inglese informa il Lonati che oltre al Duce occorre sopprimere anche la Petacci perchè, a suo dire, è a conoscenza di troppe cose.

Il nostro affermerà, (ma guarda un pò) che non era d’accordo nell’uccidere la donna, ma comunque si rimetteva all’autorità di John con la sola riserva che lui (che galantuomo!) si sarebbe limitato a sparare solo a Mussolini (occhio che non vede....).

Uscirono con i due prigionieri e dopo circa 300 metri,49 verso via del Riale, si fermarono ad un crocevia con un viottolo (oggi strada asfaltata) dove qui spinsero la coppia con una scusa contro un muretto delimitato da una rete metallica.

Chiesero ai prigionieri di tacere e quindi Lonati e John aprirono improvvisamente il fuoco con i mitra Steng: Lonati verso Mussolini circa 4 – 5 colpi e l’inglese verso la Petacci una raffica un pò più lunga che la raggiunse al petto). Erano circa le 11 del 28 aprile.

L’inglese scattò anche una serie di foto, con una macchina fotografica estratta dal suo zaino e quindi i quattro se ne andarono, con l’impegno reciproco al più assoluto silenzio.

I cadaveri vennero lasciati sul posto così com’erano.

Successivamente, prima del rientro dell’inglese in patria fecero anche una bella cena di commiato, dove il John, informò gli altri dell’avvenuto recupero delle carte che cercavano e ribadì di mantenere il più assoluto silenzio per almeno 35 anni.

Se il tutto fosse vero, nel complesso, il nostro eroico partigiano, senza autorizzazioni specifiche dei suoi comandi, avrebbe allegramente contribuito a provocare un gravissimo danno alla sua nazione!

Una semplice osservazione, comunque, si rende subito evidente:

questi agenti segreti con licenza di uccidere, dalle 8,30 del mattino (partenza dalla villa di Brunate), in circa due ore e trenta, avevano trovato il nascondiglio segreto, superato ogni ostacolo per strada, resa innocua la guardia dei prigionieri e proceduto all’esecuzione!

Valerio e Lampredi, secondo la versione ufficiale ci avevano impiegato, dall’arrivo alla Prefettura di Como all’esecuzione di Villa Belmonte, ben otto ore !

Anni dopo il Lonati, afferma che rintracciò telefonicamente questo fantomatico John di cui lui, guarda caso, non sa o non può dare il vero nome.50

Nel 1981 i due si diedero appuntamento a Londra, dove il Lonati si recò con la moglie, ma l’inglese non si fece vedere (anzi, asserì il Lonati, in Inghilterra lui e la moglie vennero persino pedinati, ma di John nessuna traccia).

Non si capisce come, il Lonati, che pur venne fatto oggetto di incredulità e non potendo addurre uno straccio di prova a conferma del suo racconto, non abbia fornito elementi per far contattare questo fantomatico John (forse Maccaroni) di cui sa che, ha fatto carriera ed è diventato un alto dirigente dei servizi segreti inglesi e lui, sempre nel 1981, ne contattò anche il fratello che gestirebbe un importante negozio a Londra.

Nel frattempo questa vicenda aveva riscosso un certo interesse, più che altro per i suoi risvolti spionistici 51 e per la solita smania dei mass-media di cavalcare tutto ciò che possa fare clamore. Infatti il risalto maggiore, questa versione, l’ha avuta nelle reti televisive, oltre che ad essere condivisa dallo scrittore P. Tompkins ex agente americano dell’O.S.S.

Lonati si prestò persino a girare un mezzo documentario sui luoghi di questa vicenda e, ridicolmente, a sottoporsi ad un test della macchina della verità con esiti, purtroppo per lui, oltretutto negativi.

Il Lonati afferma anche di aver cercato, nel 1982, presso il consolato inglese di Milano di entrare in possesso delle fotografie che l’inglese aveva scattato ai cadaveri e che, dopo un certo tempo, gli aveva detto John, avrebbe potuto averle.

Non ridete, ma egli racconterà adesso che, dopo una ricerca interna al consolato, gli venne confermato che effettivamente queste foto c’erano, ma che dovevano attendere una autorizzazione per consegnarne una copia. Dovremmo quindi, oltretutto credere che, foto di questa importanza storica, ancora giacevano allegramente al consolato di Milano!

Gli venne comunque promesso che, alla scadenza dei cinquanta anni da quegli eventi, egli avrebbe ricevuto dall’ambasciata romana una dichiarazione ufficiale a prova dell’avvenuta missione di guerra.

Quando il nostro eroe nel 1995 scrisse al consolato inglese di Roma, però, non ebbe risposta. E così anche questo riscontro venne a vanificarsi.

Da quanto su esposto ne dovremmo dedurre che una stampa ed una editoria serie, ed anche dei servizi radio televisivi seri, avrebbero dovuto lasciar cadere (e per sempre), nel dimenticatoio questa storia.

Viceversa è emblematico rilevare come, leggendo articoli e servizi, inerenti la morte di Mussolini o le vicende del suo Carteggio con Churchill, per la verità quasi sempre articoli estremamente superficiali, spesso si trova il modo di infilarci in mezzo qualche riferimento alla storia di Giovanni Lonati. O comunque di chiamarlo in causa.

E’ questa una immagine, veramente sconsolante, di come i mass media trattano queste vicende.

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