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Juan de dios vial correa elio sgreccia libreria editrice vaticana


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L'embrione umano è un soggetto estremamente vulnerabile?

 

La questione della vulnerabilità dell'embrione umano nel contesto della ricerca biomedica emerge dalla evidente condizione di debolezza che caratterizza la vita embrionale, in modo particolare quella dell'embrione umano in vitro. La precarietà propria della condizione dell'embrione umano che si sviluppa al di fuori del grembo materno non può essere negata. Anche da un punto di vista meramente biologico, che trascuri l'umanità dell'embrione in quanto membro della famiglia umana, il concepito che si sviluppa in vitro è tra i più deboli e non autosufficienti esseri umani descritti nella letteratura medica, la cui condizione fisica – per quanto concerne la totale dipendenza da un sistema di supporto vitale –è paragonabile a quella dei pazienti in condizioni acute di pericolo di vita, come il neonato gravemente prematuro in una incubatrice, il paziente chirurgico durante l'anestesia totale ed il malato critico in terapia intensiva.



Nonostante i continui sforzi per migliorarli,[63] i mezzi e le condizioni di coltura degli embrioni sono lontani dall'essere ideali se confrontati con il naturale ambiente tubarico e uterino,[64] e lo sviluppo embrionale in vitro è esposto ad una serie di rischi che includono il ritardo nella crescita, le infezioni, la frammentazione dei blastomeri, la cavitazione parziale, una anomala distribuzione delle cellule tra la massa cellulare interna ed il trofoblasto, le alterazioni della zona pellucida ed il ritardo dell'hatching.[65] Inoltre, la crioconservazione in azoto liquido – una procedura eseguita nel caso in cui l'embrione non venga trasferito in utero entro 5 o 6 giorni di coltura – non è una condizione di sicurezza per la conservazione degli embrioni. In dipendenza dello stadio di sviluppo embrionale, delle tecniche impiegate e della durata della crioconservazione, un numero di embrioni viene danneggiato irreversibilmente o esposto al rischio di morte.[66] Tutto considerato, l'embrione umano in vitro è completamente dipendente dall'ambiente artificiale del laboratorio e dalla cura dei biologi e dei tecnici.[67] Ogni strumento difettoso, mezzo di coltura alterato o mancanza di conformità alle regole di precauzione (come quelle che riguardano la sterilità) può avere conseguenze drammatiche per la vita e l'integrità dell'embrione.[68] Sebbene anche quello in utero non sia esente da rischi, lo sviluppo embrionale in vitro è caratterizzato da una insolita esposizione a diverse cause di danno e, a motivo di questo, l'embrione umano in vitro è un soggetto altamente vulnerabile.

Oltre ai rischi che sono comuni ad ogni procedura di fertilizzazione in vitro (IVF) e di coltura (EC) e trasferimento (ET) di embrioni, i protocolli di ricerca aggiungono una ulteriore esposizione degli embrioni a condizioni pericolose. Alcuni esperimenti, per la loro stessa natura, richiedono la distruzione dell'embrione in fase di sviluppo. E' il caso della ricerca sulle cellule staminali embrionali (ESC) pluripotenti,[69] ottenute rimuovendo la massa cellulare interna della blastocisti a 5-6 giorni dalla fertilizzazione e coltivando le cellule, così ricavate, in presenza di alcuni fattori di crescita.[70] Altri tipi di esperimenti, almeno in quanto tali, sono meno distruttivi. Tra di essi sono da annoverare gli studi sul ciclo cellulare, sulla espressione dei geni (sintesi di mRNA e proteine) e sul metabolismo degli embrioni allo stadio di segmentazione, di morula e di blastocisti.[71] Al fine di compiere queste ricerche, un certo numero di cellule vengono asportate dall'embrione o iniettate con sostanze traccianti ed analizzate mediante tecniche microscopiche, immunochimiche o molecolari.[72] Per le cosiddette "ragioni di sicurezza" – evitare la possibile nascita di un bambino con difetti congeniti – agli embrioni che sopravvivono a questi esperimenti non viene però consentito di svilupparsi e di essere trasferiti nell'utero. Da ultimo, la ricerca di nuove tecniche per la IVF microassistita[73] e la diagnosi pre-impianto,[74] sebbene di natura meno invasiva e mirate alla generazione di embrioni che si sviluppino normalmente, è gravata da un numero di insuccessi, inclusa la malformazione e la morte degli embrioni stessi. «La sperimentazione sugli embrioni e sui feti comporta sempre il rischio, anzi, il più delle volte la previsione certa di un danno per la loro integrità fisica o addirittura della loro morte».[75]

Tuttavia, i danni fisici non sono in ogni caso il solo tipo di lesione che un embrione umano può subire durante la sua generazione ed il suo sviluppo al di fuori del grembo materno e, ancor più, se sottoposto ad uno studio sperimentale. La dignità dell'embrione umano in quanto individuo umano (soggetto) – figlio o figlia di una donna e di un uomo, dotato della loro stessa dignità – è minacciata quando altre persone esercitano un dominio incontrastato sulla vita e l'integrità del concepito che si sviluppa. Per quanto appaiano importanti i dati scientifici e clinici ottenuti e sia nobile ed umanitario lo scopo di uno studio sperimentale, esso non può ridurre l'embrione umano ad un "oggetto" o "strumento". «L'uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e a ogni persona».[76]

In secondo luogo, e nel contesto in cui usiamo il termine "vulnerabilità", esso ci ricorda che alcuni ricercatori, consapevolmente o negligentemente, in modo scorretto hanno sfruttato a proprio vantaggio la debolezza dell'embrione umano, conducendo esperimenti su un soggetto non competente e "senza voce". Le ragioni per le quali l'embrione è molto suscettibile di venire sfruttato in una ricerca biomedica non etica consentono di mettere in luce nuovamente la elevata vulnerabilità di questo soggetto di ricerca. Sebbene la raccolta di un consenso libero e informato non sia il solo criterio etico per giustificare una ricerca su soggetti umani, l'assenza della capacità di decidere consapevolmente se partecipare oppure no ad uno studio sperimentale è considerata unanimemente un sicuro indicatore di vulnerabilità. La vulnerabilità cognitiva, in presenza di un rischio per i soggetti che sia superiore al "minimo", sarebbe sufficiente ad escludere l'ammissibilità del consenso per procura in un contesto sperimentale non terapeutico. Questo dovrebbe valere anche per l'embrione umano. «Nessuna finalità, anche in se stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri esseri umani e per la società, può in alcun modo giustificare la sperimentazione sugli embrioni o sui feti umani, vitali o non, nel seno materno e fuori di esso. Il consenso informato, normalmente richiesto per la sperimentazione clinica sull'adulto, non può essere concesso dai genitori, i quali non possono disporre né dell'integrità fisica né della vita del nascituro».[77]

Gli embrioni umani in utero sono sotto la potestà formale dei loro genitori (o della sola madre) se questi sono competenti, mentre l'embrione in vitro può essere soggetto ai genitori legali che hanno fornito i gameti per il processo di fertilizzazione o ad altre persone, come i medici, i ricercatori e i giudici (embrioni eccedenti rispetto ai cicli di ETo generati esclusivamente per scopi sperimentali). A motivo di questa subordinazione, gli embrioni umani sono vulnerabili giuridicamente: essi sono sottoposti alla autorità di altri che possono avere un interesse che trascura o risulta in conflitto con il "migliore interesse" del soggetto di ricerca.[78] Questa particolare vulnerabilità solleva obiezioni sulla validità del consenso alla ricerca sugli embrioni dato dai loro genitori o da altri soggetti coinvolti nella IVF-ET. «Una speciale preoccupazione sorge quando coloro che esercitano l'autorità sono anche quelli che conducono o commissionano la ricerca, oppure ne traggono in qualche modo un beneficio».[79]

L'embrione umano, in quanto soggetto della ricerca biomedica, risulta anche vulnerabile in modo indiretto, cioè attraverso la vulnerabilità della persona a cui è chiesto di fornire il consenso per procura. Tale persona può essere giuridicamente vulnerabile, come nel caso di una ragazza sotto l'autorità dei propri genitori o di una donna affidata ad un tutore. Per esempio, i genitori possono essere affetti da una vulnerabilità deferenziale in conseguenza di una forte pressione culturale e sociale in favore dell'uso delle ESC per la ricerca sulla terapia cellulare di malattie gravi.[80] Essi possono celare un desiderio interiore di non consentire ad una ricerca o trovarsi in forte difficoltà a respingere una richiesta – che può riguardare, per esempio, la cosiddetta "donazione di embrioni per la ricerca" – fatta dal proprio medico.

 

Un modo scorretto di risolvere la questione

 

Il modo più insidioso e pericoloso attraverso il quale un embrione umano diviene un soggetto di ricerca altamente vulnerabile deriva dalla negazione della sua soggettività. Quando non è riconosciuto come soggetto di ricerca – quale è ogni essere umano coinvolto nella ricerca biomedica – non esistono ragioni cogenti per trattare l'embrione umano secondo gli stessi criteri di rispetto e di protezione che dovrebbero essere adottati nei confronti di tutti gli individui umani ai quali si attribuisce comunemente lo status morale e legale di persone. Al contrario, «la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale: "L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento"[81]».[82] Nel contesto delle attuali discussioni sulla ricerca biomedica, l'oblio della soggettività dell'embrione umano e le implicazioni etiche che questo comporta sono spesso mascherate dalla argomentazione etica della "protezione speciale (o adeguata)" che viene accordata al concepito. Un esempio di questo approccio alla questione della ricerca sugli embrionipuò essere trovato nella Convenzione per la protezione dei diritti umani e la dignità dell'essere umano in riferimento alle applicazioni della biologia e della medicina(Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina) della Comunità Europea, il cui articolo 18 recita: «Laddove la ricerca sugli embrioni in vitro è consentita dalla legge, questa assicurerà una protezione adeguata all'embrione».[83] L'espressione riflette la posizione quanti sostengono che, sebbene gli embrioni umani prima dell'impiantorichiedano una certa protezione, essi tuttavia non devono venire rispettati come esseri umani.[84] Gli argomenti in favore di questa opinione variano da un autore all'altro, e comprendono la supposta discontinuità di sviluppo tra l'embrione in vitro e in utero, lo status non-personale o pre-personale dell'embrione umano, alcune versioni deboli dell'argomento di potenzialità, l'approccio del "conflitto di interessi" alle questioni morali e sociali, e l'idea che l'embrione umano possiede solo un "valore simbolico" che preclude la sua distruzione per ragioni banali.[85] Le argomentazioni citate non saranno oggetto di discussione in questa sede. Nell'ambito della vulnerabilità dei soggetti di ricerca, le nostre osservazioni conclusive si focalizzeranno sul significato oscuro ed ambiguo – in riferimento alla sperimentazione sugli embrioni umani – dell'espressione "protezione speciale (o adeguata)".

Nel linguaggio quotidiano, così come nell'ambito etico e giuridico, la frase "proteggere qualcuno o qualcosa" richiama l'attenzione della gente alla necessità di preservare o salvare il protetto da un pericolo presente o prevedibile. Se, da una parte, la natura e la gravità del pericolo possono variare notevolmente e si può valutare da quali pericoli un soggetto o un oggetto debba essere protetto, vi è tuttavia un consenso unanime nell'affermare che il minimo grado di protezione da garantire ad una entità che abbia un certo valore sia il preservarla o il salvarla dalla morte e dalla distruzione. Il livello successivo è la protezione della sua integrità e della sua attività fondamentale. A prescindere da come l'embrione umanoin vitro venga considerato nell'attuale dibattito – se un soggetto umano con piena dignità personale e tutti i diritti, oppure un'entità biologica il cui valore si fonda sulla sua potenzialità di divenire una persona – la richiesta di protezione dell'embrione nell'ambito della ricerca biomedica dovrebbe almeno mettere al bando esplicitamente ogni sperimentazione che di sua natura e nelle intenzioni ne provoca la morte (distruzione) o il deterioramento permanente della capacità intrinseca di sviluppo. Se non è garantito il rispetto per la vita e l'integrità dell'embrione umano in qualunque situazione clinica o sperimentale si trovi, come può essere accordata al concepito in vitro una "protezione speciale (o adeguata)"?

Una delle interpretazioni proposte per questa affermazione è la seguente: gli embrioni umani, nel loro complesso, meritano di essere adeguatamente protetti dalla distruzione, dal danno e dallo sfruttamento nel corso di ricerche sperimentali condotte su di essi. Pertanto, solo un limitato numero di embrioni umani, in speciali circostanze, può essere arruolato in protocolli di ricerca non terapeutica che porteranno alla loro morte o ne pregiudicheranno lo sviluppo. Questo concetto di rispetto collettivo considera gli embrioni umani come una specie da proteggere e non come soggetti i cui diritti individuali devono essere salvaguardati da un oltraggio. In analogia a quanto avviene per gli animali in via di estinzione, il valore della vita umana sotteso a questa modalità di applicazione del principio della "protezione speciale" non sgorga dalla "dignità speciale (unica)" – intrinseca ed inalienabile – di ogni essere umano, qualunque sia la sua condizione personale, ma riflette il "ruolo speciale" accordato ai primi stadi della vita umana individuale nel mondo o in una società. Poiché questo ruolo è associato alla nascita di un bambino, i cosiddetti "embrioni sovrannumerari" (messi da parte nel corso dei cicli di IVF, crioconservati oppure no) – qualora non più richiesti per un ET – perdono la loro "funzione" e vengono considerati dei candidati ideali per le ricerche sperimentali. Così, si sente spesso affermare che la generazione di embrioni umani mediante IVF realizzata esclusivamente per finalità di ricerca è eticamente inaccettabile, mentre l'utilizzazione degli "embrioni sovrannumerari" sarebbe meno discutibile.[86] Tuttavia, altri mettono in dubbio o addirittura negano l'esistenza di una differenza morale tra le due procedure: «Non solo l'embrione è usato strumentalmente in entrambi i casi, ma anche lo status morale dell'embrione è identico».[87] L'argomentazione esibita da Annas et al.[88], secondo cui nei due casi l'intenzione di coloro che mettono a disposizione i gameti al momento della fertilizzazione è fondamentalmente diversa, risulta debole. «Anche nel contesto di una normale IVF, non ogni embrione è creato come un "fine in sé stesso". L'obiettivo della IVF è una soluzione alla mancanza involontaria di figli, e la perdita di alcuni embrioni in sovrannumero è calcolata preventivamente».[89]

Un secondo modo di affrontare la questione della "protezione speciale" dell'embrione umano nasce dall'approccio proporzionalista e utilitarista ai dilemmi etici degli studi biomedici che generano benefici per alcuni soggetti e provocano danni ad altri. Mentre esiste un ampio consenso tra i fautori di questa concezione etica circa il fatto che il solo scopo accettabile della ricerca sull'embrione umano debba essere un beneficio per la salute dell'uomo, le opinioni riguardo all'applicazione di questo principio sono differenti.[90] La maggior parte degli autori sottolinea che la ricerca sugli embrioni umani può essere giustificata solo nel caso in cui ci si possa ragionevolmente attendere dei rilevanti e diretti benefici clinici per altri embrioni, per i neonati o per gli adulti. Pochi autori, invece, sono disposti ad accettare anche la ricerca di base.[91] In questo contesto, l'avvento della ricerca sulle ESC umane e delle ipotesi sul loro possibile contributo alla terapia cellulare[92] ha avuto l'effetto di catalizzare la diffusione di questo tipo di pensiero, secondo il quale il concetto di rispetto relativo dovrebbe sostituire l'idea di "rispetto incondizionato" per la vita e l'integrità di ciascun embrione umano.[93]

Una terza soluzione che è stata adottata per rendere operativo il concetto di "protezione speciale" fa ricorso al cosiddetto "principio di necessità" o di "sussidiarietà",[94] che conduce ad una forma di rispetto revocabile per la vita e l'integrità dell'embrione umano. Secondo il principio di necessità, gli embrioni umani possono venire arruolati in ricerche sperimentali solo se non esistono delle valide alternative per raggiungere un obiettivo di altissimo valore nel campo della medicina, come la cura di gravi malattie che minacciano la vita del paziente. Sia la Warnock Commission (Regno Unito) sia la Royal Commission (Canada) hanno attribuito al termine "necessità" il significato di una assenza (o di una inadeguatezza) dei modelli animali necessari per condurre esperimenti analoghi e raggiungere i risultati attesi.[95] Un'area di ricerca per la quale è stata invocata la "necessità" di usare gli embrioni umani è quella della terapia cellulare. I sostenitori della tesi che la ricerca sulle ESC umane rappresenta l'opportunità più promettente di entrare nell'era della "medicina rigenerativa" spesso negano che le cellule staminali di origine diversa rispetto all'embrione allo stadio di blastocisti – quali quelle che provengono dal sangue cordonale e dai tessuti fetali e postnatali – possano costituire un'efficace alternativa per la terapia cellulare. Al contrario, vi è una solida e crescente evidenza che cellule staminali o progenitrici, isolate da diversi tessuti e coltivate in vitro, sebbene non dotate di una illimitata capacità di autorinnovamento e di un potenziale epigenetico amplissimo come le ESC, mostrano una sorprendente capacità di differenziarsi o transdifferenziarsi in un numero di linee cellulari differenti (plasticità cellulare). Si sta lavorando per confermare la plasticità funzionale delle cellule staminali provenienti da alcuni tessuti dell'adulto, scoprire nuove fonti di cellule staminali, dimostrare la ripopolazione clonale degli organi in cui sono state innestate le cellule di derivazione staminale e identificare dei meccanismi per incrementare l'efficienza del loro innesto.[96] Come ha ricordato Giovanni Paolo II nel suo discorso al 18th International Congress of the Transplantation Society, «su queste vie dovrà avanzare la ricerca, se vuole essere rispettosa della dignità di ogni essere umano, anche allo stadio embrionale».[97] Per quanto più lungo e laborioso possa essere il percorso alternativo per raggiungere l'obiettivo della terapia cellulare, la sua fattibilità scientifica di principio e l'assenza di controindicazioni assolute di natura clinica ed etica non giustificano il ricorso al principio di necessità. A ben vedere, il principio stesso non è applicabile nelle circostanze in cui, per soddisfare alle necessità di un soggetto, si richiede di violare il rispetto dovuto alla vita e alla integrità di un altro individuo.

Il "rispetto", inteso secondo queste prospettive, viene ridotto ad una forma debole di protezione ed applicato secondo una modalità che risulta appropriata per un oggetto (per quanto preziose, le cose non hanno un valore intrinseco) ma inadeguata per un soggetto (il valore degli essere umani non dipende da ciò che è estrinseco ad essi). Nel contesto della ricerca biomedica, la dissoluzione della soggettività dell'essere umano conduce ad un drammatico aumento della sua vulnerabilità.

 

Il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano



 

L'unica forma di protezione adeguata all'embrione umano come soggetto di ricerca è la piena protezione dei suoi diritti individuali, che gli competono in quanto essere umano: «“Il frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità corporale e spirituale».[98] Ogni forma più debole di protezione non consente di riconoscergli “i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita”.[99] Attualmente, la vita dell'embrione in vitro è esposta ad un rischio di essere minacciata nel corso degli studi sperimentali che è superiore rispetto a quello della vita di ogni altro essere umano. L'embrione umano è dunque uno dei soggetti di ricerca più vulnerabili. La vulnerabilità richiede un’attenzione singolare per il vulnerabile, e questa cura deve essere promossa dalla condotta etica degli scienziati e dei medici e garantita dalla legislazione nazionale ed internazionale. Il soggetto vulnerabile è un soggetto povero di protezione, non di diritti. La protezione dei poveri è un dovere morale e civile che non può essere trascurato nel corso della ricerca biomedica. In una prospettiva cristiana, fedele alla cura particolare per i più piccoli che il Vangelo esige, l'etica della ricerca biomedica deve porre una speciale attenzione ai diritti di questi soggetti di ricerca: «Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me». (Mt 25, 40)



[1] Nonostante la valutazione ottimistica, espressa dall'Advisory Committee on Human Radiation Experiments, che «il 40-50% delle ricerche sui soggetti umani presentano solo minimi rischi minimi di danneggiare i soggetti» coinvolti (Final Report, Washington, D.C.: U.S. Government Printing Office, 1995, Chapter 17, Commentary following Finding 22), il dibattito sul cosiddetto “rischio minimo stardard” ed il suo riverbero sull'etica e sul diritto dei trial clinici continua ad essere acceso. Secondo l'U.S. Federal Policy for the Protection of Human Subjects del Department of Health and Human Services, il “rischio minimo” si riferisce ad un contesto di ricerca nel quale «la probabilità e la grandezza del danno o del disagio previsti nel corso dello studio non sono maggiori, in sé stessi e per sé stessi, di quelle che si incontrano ordinariamente nella vita quotidiana o durante lo svolgimento di esami o test di routine, fisici o psicologici». (Code of Federal Regulations, Title 45, Part 46, § 102 (i) : Federal Register, June 18, 1991, 56: 28003) Evidentemente, per quanto concerne i rischi della "vita quotidiana", non vi è nulla che sia comune a tutti, ed ogni interpretazione del criterio proposto è discutibile. Per un'analisi critica della classificazione delle ricerche che si fonda sul rischio minimo standard, si veda: Prentice E.D. and Gordon B.G., Institutional Review Board Assessment of Risks and Benefits Associated with Research, in: National Bioethics Advisory CommissionEthical and Policy Issues in Research Involving Human Participants, Bethesda, MD: National Bioethics Advisory Commission, 2001, vol. 2, pp. L1-L16, alle pp. L7-L9.

[2] Evans D. and Evans M., A Decent Proposal. Ethical Review of Clinical Research, Chichester: Wiley, 1996, p. 17.

[3] Blacksher E. and Stone J.R., Introduction to "Vulnerability" Issues of Theoretical Medicine and Bioethics, Theoretical Medicine and Bioethics 2002, 23: 421-424, p. 422.

[4] Fox K., Hotep's story: Exploring the wounds of health vulnerability in the US, Theoretical Medicine and Bioethics 2002, 23: 471-497, p. 472.

[5] Kipnis K., Vulnerability in research subjects: a bioethical taxonomy, in: National Bioethics Advisory Commission,Ethical and Policy Issues in Research Involving Human Participantsop. cit., vol. 2, pp. G1-G13, p. G5; si veda anche Id.,Seven vulnerabilities in the pediatric research subject, Theoretical Medicine and Bioethics 2003, 107-120, pp. 108-109.
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