Ana səhifə

Il nome della rosa


Yüklə 3.63 Mb.
səhifə19/88
tarix25.06.2016
ölçüsü3.63 Mb.
1   ...   15   16   17   18   19   20   21   22   ...   88

Vespri.

Dove si parla ancora con l’Abate, Guglielmo ha alcune idee mirabolanti per decifrare l’enigma del labirinto, e ci riesce nel modo più ragionevole. Poi si mangia il casio in pastelletto.


L’Abate ci attendeva con aria scura e preoccupata. Aveva in mano una carta.

« Ho ricevuto ora una lettera dall’abate di Conques, » disse. « Mi comunica il nome di colui a cui Giovanni ha affidato il comando dei soldati francesi, e la cura dell’incolumità della legazione. Non è un uomo d’arme, non è un uomo di corte, e sarà al tempo stesso un membro della legazione. »

« Raro connubio di diverse virtù, » disse Guglielmo inquieto. « Chi sarà? »

« Bernardo Gui, o Bernardo Guidoni, come volete chiamarlo. »

Guglielmo esplose in una esclamazione nella sua lingua, che non capii, né la capì l’Abate, e forse fu meglio per tutti, perché la parola che Guglielmo disse sibilava in modo osceno.

« La cosa non mi piace, » aggiunse subito. « Bernardo è stato per anni martello degli eretici nel tolosano e ha scritto una « Practica officii inquisitionis heretice pravitatis » a uso di tutti coloro che dovranno perseguire e distruggere valdesi, beghini, pinzocheri, fraticelli e dolciniani.

« Lo so. Conosco il libro, mirabile di dottrina. »

« Mirabile di dottrina, » ammise Guglielmo. « E’ devoto a Giovanni che negli anni scorsi gli ha affidato molte missioni nelle Fiandre e qui nell’alta Italia. E anche quando è stato nominato vescovo in Galizia non si è mai fatto vedere nella sua diocesi e ha continuato l’attività inquisitoriale. Ora credevo si fosse ritirato nel vescovado di Lodève, ma a quanto pare Giovanni lo rimette all’opera e proprio qui nell’Italia settentrionale. Perché proprio Bernardo e perché con responsabilità degli armati...? »

« La risposta c’è, » disse l’Abate, « e conferma tutti i timori che vi esprimevo ieri. Sapete bene — anche se non volete ammetterlo con me — che le posizioni sulla povertà di Cristo e della chiesa sostenute dal capitolo di Perugia, sia pure con dovizia di argomenti teologici, sono le stesse sostenute in modo molto meno prudente e con un comportamento meno ortodosso da molti movimenti ereticali. Ci vuole poco a dimostrare che le posizioni di Michele da Cesena, fatte proprie dall’imperatore, sono le stesse di quelle di Ubertino e di Angelo Clareno. E sin qui le due legazioni saranno d’accordo. Ma Gui potrebbe fare di più, e ne ha l’abilità: cercherà di sostenere che le tesi di Perugia sono le stesse dei fraticelli, o degli pseudo apostoli. Siete d’accordo? »

« Dite che le cose stanno così o che Bernardo Gui dirà che stanno così? »

« Diciamo che dico che lui lo dirà, » concesse prudentemente l’Abate.

« Ne convengo anch’io. Ma questo era previsto. Voglio dire, si sapeva che si sarebbe arrivati a questo anche senza la presenza di Bernardo. Al massimo Bernardo lo farà con più efficienza di tanti di quei curiali da poco, e si tratterà di discutere contro di lui con maggior sottigliezza. »

« Sì, » disse l’Abate, « ma a questo punto siamo di fronte alla questione suscitata ieri. Se non troviamo entro domani il colpevole di due o forse di tre delitti, dovrò concedere a Bernardo di esercitare una sorveglianza sulle cose dell’abbazia. Non posso celare a un uomo investito del potere di Bernardo (e per nostro mutuo accordo, ricordiamocelo) che qui all’abbazia sono avvenuti, stanno ancora avvenendo, fatti inesplicabili. Altrimenti, nel momento in cui egli lo scoprisse, nel momento che (Dio non voglia) avvenisse un nuovo fatto misterioso, egli avrebbe tutto il diritto di gridare al tradimento... »

« E’ vero, » mormorò Guglielmo preoccupato. « Non c’è nulla da fare. Bisognerà stare attenti, e vigilare su Bernardo che vigilerà sul misterioso assassino. Forse sarà un bene, Bernardo occupato a badare all’assassino sarà meno disponibile per intervenire nella discussione. »

« Bernardo occupato a scoprire l’assassino sarà una spina nel fianco della mia autorità, ricordatevelo. Questa torbida vicenda mi impone per la prima volta di cedere parte del mio potere entro queste mura, ed è un fatto nuovo non solo nella storia di questa abbazia, ma dello stesso ordine cluniacense. Farei qualsiasi cosa per evitarlo. E la prima cosa da fare sarebbe negare ospitalità alle legazioni. »

« Prego ardentemente la sublimità vostra di riflettere su questa grave decisione, » disse Guglielmo. « Voi avete tra le mani una lettera dell’imperatore che vi invita caldamente a... »

« So cosa mi lega all’imperatore, » disse bruscamente l’Abate, « e lo sapete anche voi. E quindi sapete che purtroppo non posso recedere. Ma tutto questo è molto brutto. Dov’è Berengario, cosa gli è accaduto, cosa state facendo? »

« Sono solo un frate che ha condotto tanto tempo fa delle efficaci indagini inquisitorie. Voi sapete che non si trova la verità in due giorni. E infine che potere mi avete concesso? Posso entrare nella biblioteca? Posso porre tutte le domande che voglio, sostenuto sempre dalla vostra autorità? »

« Non vedo il rapporto tra i delitti e la biblioteca, » disse corrucciato l’Abate.

« Adelmo era miniatore, Venanzio traduttore, Berengario aiuto bibliotecario... » spiegò pazientemente Guglielmo.

« In questo senso tutti e sessanta i monaci hanno a che fare con la biblioteca, così come hanno a che vedere con la chiesa. Perché allora non cercate in chiesa? Frate Guglielmo, voi state conducendo una inchiesta per mio mandato e nei limiti in cui vi ho pregato di condurla. Per il resto, in questa cinta di mura, io sono il solo padrone dopo Dio, e per grazia sua. E questo varrà anche per Bernardo. D’altra parte, » aggiunse in tono più mansueto, « non è neppure detto che Bernardo sia qui proprio per l’incontro. L’abate di Conques mi scrive anche che scende in Italia per proseguire a sud. Mi dice pure che il papa ha pregato il cardinal Bertrando del Poggetto di salire da Bologna e recarsi qui per prendere il comando della legazione pontificia. Forse Bernardo viene qui per incontrarsi col cardinale. »

« Il che, in una prospettiva più ampia, sarebbe peggio. Bertrando è il martello degli eretici nell’Italia centrale. Questo incontro tra due campioni della lotta antiereticale può annunciare una offensiva più vasta nel paese, per coinvolgere alla fine tutto il movimento francescano... »

« E di questo informeremo subito l’imperatore, » disse l’Abate, « ma in questo caso il pericolo non sarebbe immediato. Vigileremo. Addio. »

Guglielmo rimase un poco silenzioso mentre l’Abate si allontanava. Poi mi disse: « Soprattutto, Adso, cerchiamo di non farci prendere dalla fretta. Le cose non si risolvono rapidamente quando si devono accumulare tante minute esperienze individuali. Io torno al laboratorio, perché senza le lenti non solo non potrò leggere il manoscritto ma non converrà neppure che si ritorni stanotte in biblioteca. Tu va a informarti se si sa qualcosa di Berengario. »

In quel momento ci corse incontro Nicola da Morimondo, latore di pessime notizie. Mentre cercava di molare meglio la lente migliore, quella su cui Guglielmo riponeva tante speranze, essa si era rotta. E un’altra, che poteva forse sostituirla, si era incrinata mentre provava a inserirla nella forcella. Nicola ci mostrò sconsolatamente il cielo. Era già l’ora del vespro e l’oscurità stava scendendo. Per quel giorno non si sarebbe più potuto lavorare. Un’altra giornata perduta, convenne amaramente Guglielmo, reprimendo (come mi confessò dopo) la tentazione di afferrare alla gola il vetraio maldestro, il quale d’altra parte era già abbastanza umiliato.

Lo lasciammo alla sua umiliazione e andammo a informarci circa Berengario. Naturalmente nessuno lo aveva trovato.


Ci sentivamo a un punto morto. Passeggiammo un poco nel chiostro, incerti sul da farsi. Ma dopo breve vidi che Guglielmo stava assorto con lo sguardo perduto nell’aria, come se non vedesse nulla. Da poco si era tolto dal saio un rametto di quelle erbe che gli avevo visto raccogliere settimane prima, e lo stava masticando come se ne traesse una sorta di calma eccitazione. Infatti pareva assente, ma ogni tanto i suoi occhi si illuminavano come se nel vuoto della sua mente si fosse accesa una idea nuova; poi ripiombava in quella sua singolare e attiva ebetudine. A un tratto disse: « Certo, si potrebbe... »

« Cosa? » chiesi.

« Pensavo a un modo di orientarci nel labirinto. Non è semplice da realizzare, ma sarebbe efficace... In fondo, l’uscita è nel torrione orientale, e questo lo sappiamo. Ora supponi che noi avessimo una macchina che ci dice da che parte sta settentrione. Cosa accadrebbe? »

« Che naturalmente basterebbe girare alla nostra destra e ci si rivolgerebbe verso oriente. Oppure basterebbe andare in senso contrario, e sapremmo di andare verso il torrione meridionale. Ma anche ammesso che esistesse una simile magìa, il labirinto è appunto un labirinto, e appena dirigessimo a oriente incontreremmo una parete che ci impedirebbe di andare diritto, e perderemmo di nuovo la strada... » osservai.

« Sì, ma la macchina di cui parlo segnerebbe sempre la direzione di settentrione, anche se noi avessimo mutato il cammino, e a ogni punto ci direbbe da quale parte voltare. »

« Sarebbe meraviglioso. Ma bisognerebbe avere questa macchina, ed essa dovrebbe essere capace di riconoscere settentrione di notte e in luogo chiuso, senza poter vedere né il sole né le stelle... E non credo che neppure il vostro Bacone possedesse una macchina simile! » risi.

« E invece ti sbagli, » disse Guglielmo, « perché una macchina del genere è stata costruita e alcuni navigatori l’hanno usata. Essa non ha bisogno delle stelle o del sole, perché sfrutta la forza di una pietra meravigliosa, uguale a quella che abbiamo visto nell’ospedale di Severino, quella che attira il ferro. Ed è stata studiata da Bacone e da un mago piccardo, Pietro da Maricourt, che ne ha descritto i molteplici usi. »

« E voi sapreste costruirla? »

« Di per sé non sarebbe difficile. La pietra può essere usata per produrre molte mirabilia, tra cui una macchina che si muove perpetuamente senza alcuna forza esterna, ma la trovata più semplice è stata anche descritta da un arabo, Baylek al Qabayaki. Prendi un vaso pieno d’acqua e vi poni a galleggiare un sughero in cui hai infilato un ago di ferro. Poi passi la pietra magnetica sopra la superficie dell’acqua, con un moto circolare, sino a che l’ago non acquista le stesse proprietà della pietra. E a quel punto l’ago, ma l’avrebbe fatto anche la pietra se avesse avuto la possibilità di muovere intorno a un pernio, si dispone con la punta in direzione di settentrione, e se tu ti muovi col vaso, essa si volta sempre dalla parte di tramontana. Inutile che ti dica che se avrai segnato sul bordo del vaso, in relazione a tramontana, anche le posizioni di austro, aquilone e così via, tu saprai sempre da che parte muoverti in biblioteca per raggiungere il torrione orientale. »

« Che cosa meravigliosa! » esclamai. « Ma perché l’ago punta sempre a settentrione? La pietra attira il ferro, l’ho visto, e immagino che una immensa quantità di ferro attiri la pietra. Ma allora... allora in direzione della stella polare, ai limiti estremi del globo, esistono le grandi miniere di ferro! »

« Qualcuno ha suggerito infatti che sia così. Salvo che l’ago non punta esattamente nella direzione della stella nautica, ma verso il punto d’incontro dei meridiani celesti. Segno che, come è stato detto, ’hic lapis gerit in se similitudinem coeli’, e i poli del magnete ricevono la loro inclinazione dai poli del cielo e non da quelli della terra. Il che è un bell’esempio di movimento impresso a distanza e non per diretta causalità materiale: un problema di cui si sta occupando il mio amico Giovanni di Gianduno, quando l’imperatore non gli chiede di far sprofondare Avignone nelle viscere della terra... »

« Allora andiamo a prendere la pietra di Severino, e un vaso, e dell’acqua, e un sughero... » dissi eccitato.

« Piano, piano, » disse Guglielmo. « Non so perché, ma non ho mai visto una macchina che, perfetta nella descrizione dei filosofi, poi sia perfetta nel suo funzionamento meccanico. Mentre la roncola di un contadino, che nessun filosofo ha mai descritto, funziona come si deve... Ho paura che a girare per il labirinto con un lume in una mano e un vaso pieno d’acqua nell’altra... Aspetta, mi viene un’altra idea. La macchina segnerebbe settentrione anche se fossimo fuori dal labirinto, è vero? »

« Sì, ma a quel punto non ci servirebbe perché avremmo il sole e le stelle... » dissi.

« Lo so, lo so. Ma se la macchina funziona sia fuori sia dentro, perché non dovrebbe essere così anche per la nostra testa? »

« La nostra testa? Certo che essa funziona anche fuori, e infatti da fuori sappiamo benissimo quale sia l’orientamento dell’Edificio! Ma è quando siamo dentro che non capiamo più niente! »

« Appunto. Ma dimentica ora la macchina. Il pensare alla macchina mi ha indotto a pensare alle leggi naturali e alle leggi del nostro pensiero. Ecco il punto: dobbiamo trovare da fuori un modo di descrivere l’Edificio come è da dentro... »

« E come? »

« Lasciami pensare, non deve essere così difficile... »

« E il metodo di cui dicevate ieri? Non volevate percorrere il labirinto facendo segni col carbone? »

« No, » disse, « più ci penso, meno mi convince. Forse non riesco a ricordare bene la regola, o forse per girare in un labirinto bisogna avere una buona Arianna che ti attende alla porta tenendo il capo di un fìlo. Ma non esistono fili così lunghi. E anche se esistessero, ciò significherebbe (spesso le favole dicono la verità) che si esce da un labirinto solo con un aiuto esterno. Dove le leggi dell’esterno siano uguali alle leggi dell’interno. Ecco, Adso, useremo le scienze matematiche. Solo nelle scienze matematiche, come dice Averroè, si identificano le cose note per noi e quelle note in modo assoluto. »

« Allora vedete che ammettete delle conoscenze universali. »

« Le conoscenze matematiche sono proposizioni costruite dal nostro intelletto in modo da funzionare sempre come vere, o perché sono innate o perché la matematica è stata inventata prima delle altre scienze. E la biblioteca è stata costruita da una mente umana che pensava in modo matematico, perché senza matematica non fai labirinti. E quindi si tratta di confrontare le nostre proposizioni matematiche con le proposizioni del costruttore, e di questo confronto si può dare scienza perché è scienza di termini su termini. E in ogni caso smettila di trascinarmi in discussioni di metafisica. Che diavolo ti ha morso oggi? Piuttosto, tu che hai gli occhi buoni, prendi una pergamena, una tavoletta, qualcosa su cui far segni, e uno stilo... bene, ce l’hai, bravo Adso. Andiamo a fare un giro intorno all’Edificio, sino a che abbiamo ancora un poco di luce. »

Girammo dunque a lungo intorno all’Edificio. E cioè esaminammo da lontano i torrioni orientale, meridionale e occidentale, con le pareti che li collegavano. Perché quanto al resto, dava sullo strapiombo, ma per ragioni di simmetria non doveva essere diverso da ciò che vedevamo.

E quel che vedemmo, osservò Guglielmo mentre mi faceva prendere precisi appunti sulla mia tavoletta, era che ogni muro aveva due finestre, e ogni torrione cinque.

« Ora ragiona, » mi disse il mio maestro. « Ogni stanza che abbiamo visto aveva una finestra... »

« Meno quelle a sette lati, » dissi.

« Ed è naturale, sono quelle al centro di ogni torre. »

« E meno alcune che trovammo senza finestre e non erano eptagonali. »

« Dimenticale. Prima troviamo la regola, poi cercheremo di giustificare le eccezioni. Dunque avremo all’esterno cinque stanze per ogni torre e due stanze per ogni muro, ciascuna con una finestra. Ma se da una stanza con finestra si procede verso l’interno dell’Edificio, si incontra un’altra sala con finestra. Segno che si tratta delle finestre interne. Ora quale forma ha il pozzo interno, quale lo si vede in cucina e nello scriptorium? »

« Ottagonale, » dissi.

« Ottimo. E su ogni lato dell’ottagono, possono benissimo aprirsi due finestre. Questo vuol dire che per ogni lato dell’ottagono, ci sono due stanze interne? Giusto? »

« Sì, ma le stanze senza finestra? »

« Sono otto in tutto. Infatti la sala interna a ogni torrione, a sette lati, ha cinque pareti che danno su ciascuna delle cinque stanze di ogni torrione. Con cosa confinano le altre due pareti? Non con una stanza posta lungo i muri esterni, ché vi sarebbero le finestre, né con una disposta lungo l’ottagono, per le stesse ragioni, e perché sarebbero allora stanze esageratamente lunghe. Prova infatti a tracciare un disegno di come possa apparire la biblioteca vista dall’alto. Vedi che in corrispondenza a ogni torre devono esserci due stanze che confinano con la stanza eptagonale e danno su due stanze che confinano con il pozzo ottagonale interno. »

Provai a tracciare il disegno che il mio maestro mi suggeriva e lanciai un grido di trionfo. « Ma allora sappiamo tutto! Lasciatemi contare... La biblioteca ha cinquantasei stanze, di cui quattro eptagonali e cinquantadue più o meno quadrate, e, di queste, otto sono senza finestre. mentre ventotto danno sull’esterno e sedici sull’interno! »

« E i quattro torrioni hanno ciascuno cinque stanze di quattro lati e una di sette... La biblioteca è costruita secondo un’armonia celeste a cui si possono attribuire vari e mirifici significati... »

« Splendida scoperta, » dissi, « ma allora perché è così difficile orientarvisi? »

« Perché ciò che non risponde a nessuna legge matematica è la disposizione dei varchi. Alcune stanze consentono il passaggio a più altre, alcune a una sola, e c’è da chiedersi se non vi siano stanze che non consentono il passaggio a nessuna. Se consideri questo elemento, più la mancanza di luce e il nessun indizio fornito dalla posizione del sole (e vi aggiungi le visioni e gli specchi), capisci come il labirinto sia capace di confondere chiunque lo percorra, già agitato da un senso di colpa. D’altra parte pensa a come eravamo disperati noi ieri sera quando non riuscivamo più a trovare la strada. Il massimo di confusione raggiunto con il massimo di ordine: mi pare un calcolo sublime. I costruttori della biblioteca erano dei gran maestri. »

« Come faremo allora a orientarci? »

« A questo punto non è difficile. Con la mappa che tu hai tracciato, e che bene o male deve corrispondere al tracciato della biblioteca, appena saremo nella prima sala eptagonale, ci muoveremo in modo di trovare subito una delle due stanze cieche. Poi, voltando sempre a destra, dopo tre o quattro stanze, dovremmo essere di nuovo in un torrione, che non potrà essere che il torrione settentrionale, sino a tornare in un’altra stanza cieca, che a sinistra confinerà con la sala eptagonale, e a destra dovrà permetterci di ritrovare un tragitto analogo a quello che ti ho detto or ora, sino ad arrivare al torrione occidentale. »

« Sì, se tutte le stanze immettessero in tutte le stanze... »

« Infatti. E per questo ci occorrerà la tua mappa, su cui segnare le pareti piene, in modo da sapere quali deviazioni stiamo facendo. Ma non sarà difficile.’’

« Ma siamo sicuri che funzionerà? » chiesi perplesso, perché mi pareva tutto troppo semplice.

« Funzionerà, » rispose Guglielmo. « Omnes enim causae effectuum naturalium dantur per lineas, angulos et figuras. Aliter enim impossibile est scire propter quid in illis, » citò. « Sono parole di uno dei grandi maestri di Oxford. Ma purtroppo non sappiamo ancora tutto. Abbiamo appreso come non perderci. Ora si tratta di sapere se c’è una regola che governa la distribuzione dei libri nelle stanze. E i versetti dell’Apocalisse ci dicono assai poco, anche perché molti si ripetono uguali in stanze diverse... »

« Eppure il libro dell’apostolo avrebbe permesso di trovare ben più di cinquantasei versetti! »

« Indubbiamente. Quindi solo alcuni versetti sono buoni. Strano. Come se ne avessero avuto meno di cinquanta, trenta, venti... Oh, per la barba di Merlino! »

« Di chi? »

« Non fa nulla, un mago delle mie terre... Hanno usato tanti versetti quante sono le lettere dell’alfabeto! Certo che è così! Il testo dei versetti non conta, contano le lettere iniziali. Ogni stanza è contrassegnata da una lettera dell’alfabeto, e tutte insieme compongono qualche testo che dobbiamo scoprire! »

« Come un carme figurato, a forma di croce o di pesce! »

« Più o meno, e probabilmente ai tempi in cui la biblioteca fu costituita questo tipo di carmi era molto in voga. »

« Ma da dove inizia il testo? »

« Da un cartiglio più grande degli altri, dalla sala eptagonale del torrione d’ingresso... oppure... Ma certo, dalle frasi in rosso! »

« Ma sono tante! »

« E quindi ci saranno molti testi, o molte parole. Ora tu ricopi meglio e più in grande la tua mappa, poi visitando la biblioteca non solo segnerai col tuo stilo, e leggermente, le stanze da cui passiamo, e la posizione delle porte e delle pareti (nonché delle finestre), ma anche la lettera iniziale del versetto che vi appare, e in qualche modo, come un buon miniatore, farai più grande le lettere in rosso. »

« Ma come accade, » dissi ammirato, « che siete riuscito a risolvere il mistero della biblioteca guardandola da fuori e non l’avete risolto quando eravate dentro? »

« Così Dio conosce il mondo, perché lo ha concepito nella sua mente, come dall’esterno, prima che fosse creato, mentre noi non ne conosciamo la regola, perché vi viviamo dentro trovandolo già fatto. »

« Così si possono conoscere le cose guardandole dal di fuori! »

« Le cose dell’arte, perché ripercorriamo nella nostra mente le operazioni dell’artefice. Non le cose della natura, perché non sono opera della nostra mente. »

« Ma per la biblioteca ci basta, vero? »

« Sì, » disse Guglielmo. « Ma solo per la biblioteca. Ora andiamo a riposare. Io non posso far nulla sino a domani mattina quando avrò — spero — le mie lenti. Tanto vale dormire e levarci per tempo. Cercherò di riflettere. »

« E la cena? »

« Ah, già, la cena. E’ passata l’ora ormai. I monaci sono già a compieta. Ma forse la cucina è ancora aperta. Va a cercare qualcosa. »

« Rubare? »

« Chiedere. A Salvatore, che è ormai tuo amico. »

« Ma ruberà lui! »

« Sei forse il custode di tuo fratello? » domandò Guglielmo con le parole di Caino. Ma mi avvidi che scherzava e voleva dire che Dio è grande e misericordioso. Per questo mi misi alla ricerca di Salvatore e lo trovai presso alle stalle dei cavalli.


« Bello, » dissi accennando a Brunello, e tanto per attaccare discorso. « Mi piacerebbe cavalcarlo. »

« No se puede. Abbonis est. Ma non bisogna un buon cavallo per correre forte... » Mi indicò un cavallo robusto ma sgraziato: « Anco quello sufficit... Vide illuc, tertius equi... »

Voleva indicarmi il terzo cavallo. Risi del suo buffissimo latino. « E cosa farai con quello? » gli domandai.

E mi raccontò una strana storia. Disse che si poteva rendere qualsiasi cavallo, anche la bestia più vecchia e fiacca, altrettanto veloce di Brunello. Occorre mescolare nella sua avena un’erba che si chiama satirion, ben tritata, e poi ungere le cosce con grasso di cervo. Poi si sale sul cavallo e prima di spronarlo gli si volge il muso a levante e gli si pronuncia nell’orecchio, tre volte a voce bassa, le parole « Gaspare, Melchiorre, Merchisardo ». Il cavallo partirà di gran carriera e farà in un’ora il cammino che Brunello farebbe in otto ore. E se gli si fosse appeso al collo i denti di un lupo che il cavallo stesso, correndo, avesse ucciso, la bestia non sentirebbe neppure la fatica.

Gli chiesi se aveva mai provato. Mi disse, avvicinandosi circospetto e sussurrandomi all’orecchio, col suo alito invero sgradevole, che era molto difficile, perché il satirion viene ormai coltivato solo dai vescovi e dai cavalieri loro amici, che se ne servono per accrescere il loro potere. Posi fine al suo discorso e gli dissi che quella sera il mio maestro voleva leggere certi libri in cella e desiderava mangiare lassù.

« Facio mi, » disse, « facio el casio in pastelletto. »

1   ...   15   16   17   18   19   20   21   22   ...   88


Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©atelim.com 2016
rəhbərliyinə müraciət