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13 febbraio Memorie, ma non solo di Paolo Brunatto 13-17 febbraio Non ci resta che ridere. Il cinema di Roberto Benigni


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martedì 24

ore 16.30

Roma ’38 (1954)

Regia: Sergio Capogna; soggetto: basato sul racconto Vanda di Vasco Pratolini; aiuto regia: Yasuko Masumura e Marco Leto; montaggio: Maria Rosada; interpreti: Rosy Mazzacurati, Aldo Saporetti, Anna Maestri, Giulio Paradisi; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 20’



«Da un racconto di Vasco Pratolini. Un amore sotto le persecuzioni razziali a Roma. Una ragazza ebrea ha un breve idillio con un giovane non correligionario. Si annegherà nel Tevere, quando, come suo padre, non potrà più lavorare. Lo short documenta un tentativo di neorealismo intimista, una presa di coscienza antifascista con piglio disturbato da precari toni lirici (e da una imperfetta registrazione del suono). Molti anni dopo l’autore – oggi prematuramente scomparso – ha tratto da questa storia un lungometraggio» (De Benedictis).
a seguire

Diario di un italiano (1971)

Regia: Sergio Capogna; soggetto: tratto dal racconto Vanda di Vasco Pratolini; sceneggiatura: S. Capogna; fotografia: Antonio Piazza; musica: Giuliano Illiani; montaggio: S. Capogna; interpreti: Donatello [Giuliano Iliani], Alida Valli, Mara Venier, Silvano Tranquilli, Pier Paolo Capponi; origine: Italia; produzione: Faser Film; durata: 95’



«Firenze 1938. Valerio, ragazzo di 19 anni, fa il tipografo e studia per migliorare la sua posizione. È orfano di padre e vive con la madre, Olga, una donna ancor giovane, legata al ricordo del marito, Lorenzo, un socialista morto in carcere nel ’23. Valerio, docile e affettuoso, conosce finalmente l'amore autentico di una ragazza del suo quartiere, Vanda, che vive col padre, perseguitato, perché ebreo, dalle ingiuste leggi razziali. Valerio, incurante degli avvenimenti politici che stanno maturando, insegue il suo sogno d’amore, trascorrendo tutto il tempo libero con Vanda. Il volto della ragazza appare sempre più velato di mestizia, ma ella non osa rivelare il suo segreto a Valerio, per timore di coinvolgerlo nel suo dramma familiare. Così un giorno, dopo essersi abbandonata a lui, scompare. Scoppia la guerra e Valerio è chiamato alle armi. Egli cerca disperatamente Vanda» (www.cinematografo.it). «Il film non raggiunge toni di dramma, ma preferisce mantenersi in una sfera di crepuscolo ora malinconico ed ora intenerito, in cui gli sfumati richiami pittorici dell’ambiente fiorentino hanno un’efficacia determinante» (Manciotti).
ore 18.30

Un eroe del nostro tempo (1960)

Regia: Sergio Capogna; soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini; sceneggiatura: S. Capogna, Marco Leto, Giulio Paradisi; fotografia: Domenico Scala; musica: Giovanni Fusco; montaggio: S. Capogna; interpreti: Marina Berti, Massimo Tonna, G. Paradisi, Margherita Autuori, Livia Contardi; origine: Italia; produzione: Giuliana Scappino; durata: 128’



«Un ex fascista, incapace di accettare la realtà del nuovo clima politico e sociale del dopoguerra, vive un’esistenza angosciosa che si trasforma in disperazione allorquando la sua amante, una vedova con problemi e sensi di colpa, si suicida» (Poppi/Pecorari). Il film fu presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1959, ma fu distribuito nelle sale solo nella stagione 1960-1961. «Il film illustra con dignità figurativa, a volte con calore ed efficacia drammatica, il testo letterario, e anche se non sempre si solleva sul piano dell’arte né sempre riesce a dare vita autonoma e significativa alle immagini, ai personaggi o alle situazioni, si pone su un piano di produzione culturale di classe, non inutile e non trascurabile» (Rondolino).
ore 20.45

Le mani tese (1960)

Regia: Enzo Battaglia; fotografia: Vittorio Storaro; interprete: Enzo Doria, Virma [Maria Virginia Onorato], Raffaella Pelloni [Carrà], Marco Bellocchio, Romano Giomini, Serafino Fuscagni; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 10’



Roma, primavera. Un gruppo di amici gioca a scacchi. Sergio (Enzo Doria) è distratto, perché non riesce a trovare Monica. Si reca al mare, nella speranza d’incontrarla. Trova invece un’amica (Maria Virginia Onorato) che sta studiando per un esame universitario. I due chiacchierano del più e del meno. Sergio beve diverse birre, attendendo invano Monica. Mentre la gente si diverte al mare, Sergio accompagna l’amica a casa.

a seguire



Battaglie di carta (1963)

Regia: Enzo Battaglia; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 15’



Documentario su un esempio di campagna politica con pubblicità in tutte le forme, comizi e qualche intervista. Quanto è cambiata l’ars retorica dei politici? Moltissimo sembra suggerirci Enzo Battaglia con le immagini e con la voce ironica (Paolo Todisco). L’eleganza classica degli antichi romani è decaduta per sempre. Al suo posto c’è una cartellonistica sempre più invasiva che si confonde con la pubblicità: DC, PCI, PSI, MSI, sembrano dei loghi, delle marche di qualche prodotto alimentare da promuovere. E in questa società dello spettacolo il comizio elettorale ha perso qualsiasi fascino. L’indifferenza degli elettori completa un quadro di lucido quanto profetico disincanto.
a seguire

Che farai quest’estate? (1961)

Regia: Enzo Battaglia; soggetto, sceneggiatura: E. Battaglia; fotografia: Guido Cosulich De Pecine; montaggio: E. Battaglia; operatore alla macchina: Mario Masini; interpreti: Krystyna Stipulkowska, Romano Giomini, Daniela Igliozzi, Pino Passalacqua; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 35’



«Riflessioni in margine alla crisi di un rapporto sentimentale tra una maestrina e un medico. Dialoghi di scontato tenore esistenziale si alternano a più felici tagli ambientali. L’influenza di Antonioni – i coevi L’avventura, La notte – è palese anche in certo atteggiarsi del personaggio femminile (la Stipulkowska, poi attrice con Wajda). Curiosamente, Battaglia ricalcò se stesso un paio di anni dopo, rigirando lo stesso soggetto per un film a episodi» (De Benedictis).
a seguire

La vita provvisoria (1963)

Regia: Vincenzo Gamna e Enzo Battaglia; soggetto: Fabio Jegher, Giorgio Prosperi; sceneggiatura: G. Prosperi, C. Broadbent, V. Gamma, Gianfranco Mingozzi, Berto Pelosso, E. Battaglia (per l’episodio da lui diretto, L’estate); fotografia: Guido Cosulich De Pecine, Alessandro D’Eva; musica: Carlo Savina; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Paola Pitagora, Paolo Graziosi, Yves Barsacq, Vicky Ludovisi, Peter Dane, Charles Lavialle; origine: Italia/Francia; produzione: Avers Film; durata: 108’



«Il film è costituito da una serie di episodi: un operaio milanese è vittima di un truffatore che gli vende un lotto sulla luna. Il poveretto è portato al manicomio. Esaltate dalla pubblicità cinematografica, due zitelle sfiorite affrontano un regista, sperando di essere assunte in un film. Un giovane contadino, desideroso di evadere dalla miseria del paese, fa strage della famiglia che vuole impedirglielo. Affannosa ricerca di una bustarella smarrita in un ufficio statale. Un’aspirante suora, il giorno in cui compie diciotto anni, non resiste alla tentazione di fare un bagno in mare. Accanto all’innocente amore di due ragazzi che si incontrano su una spiaggia, vediamo la crudele beffa di un gruppo di giovani ricchi e viziosi, che maltrattano uno di loro vestito da donna. Un vecchio impiegato si diverte a giocare con supposti segnali che disturbano tutti i teleschermi vicini. L’ultimo episodio narra la caccia data da un addetto all’aeroporto ad un passeggero, fuggito per sottrarsi alla quarantena cui è destinato, in seguito ad un caso di vaiolo verificatosi sull’aereo». (www.cinematografo.it).
mercoledì 25

ore 17.30

Latin Lover (ep. de I tre volti, 1965)

Regia: Franco Indovina; soggetto e sceneggiatura: Alberto Sordi, Rodolfo Sonego, F. Indovina; fotografia: Otello Martelli; musica: Piero Piccioni; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Soraya, Alberto Sordi, Goffredo Alessandrini, Renato Tagliani, Alberto Giubilo; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 35’



Una ricca americana di passaggio a Roma disdegna la compagnia di un “latin lover” che un’agenzia turistica ha messo a sua disposizione. Al momento della partenza, pentita per il suo comportamento che potrebbe seriamente danneggiare il giovanotto, ella fa in modo d’essere fotografata insieme a lui restituendo quindi al “cavalier servente” la sua reputazione. Latin Lover è l’ultimo dei tre episodi che compongono il film I tre volti che mirava a trasformare in attrice l’ex moglie dello scià di Persia, riparata a Roma dopo il ripudio che aveva destato molto interesse nella stampa rosa dell’epoca, ma non ebbe successo. «Verifica laboriosa, ma che è troppo presto per dire sprecata, giacché intanto si è visto, nel passaggio dal secondo al terzo episodio dei Tre volti, che ove i soggettisti le offrano acconce occasioni (ottima idea fu quella di affiancare qui all’esordiente un attore di razza come Alberto Sordi, che scioglierebbe anche gli iceberg) il modello stantio della principessa desolata, sbarrata nella sventura, può essere corretto da qualche inflessione ironica, che getta un guizzo di vivacità in quel paesaggio di perplessità malinconica, e perciò solleva Soraya dalla cappa della noia. [...] L’unico passo avanti, un avvio alla demistificazione di Soraya, è compiuto, s’è detto, nel terzo episodio, Latin lover, che domani potrà essere ricordato anche come il felice debutto del regista Franco Indovina. L’amante latino, fornito di regolare patente per intrattenere le turiste straniere, è Sordi, il quale coscienziosamente si sforza di adempiere ai propri doveri con una bella donna d’affari americana venuta a Roma per due giorni. Non ci riuscirà, anche perché la bocca di Soraya resta per ora intangibile (l’imperiale epidermide è appena sfiorata da Richard Harris nell’episodio di Bolognini), ma con la sua patetica goffaggine saprà strapparle un fotografico attestato di confidenza sulla scaletta dell’aereo. Quanto gli basta per tener alto il proprio prestigio professionale, e quanto occorreva per inserire nella prognosi sull’attrice Soraya un fondato elemento di speranza» (Grazzini).
a seguire

Lo scatenato (1967)

Regia: Franco Indovina; soggetto e sceneggiatura: Tonino Guerra, Luigi Malerba, F. Indovina; fotografia: Aldo Tonti; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Marcello Malvestito; interpreti: Vittorio Gassman, Martha Hyer, Gila Golan, Massimo Serato, Claudio Gora, Carmelo Bene; origine: Italia; produzione: Fair Film; durata: 90’



«Dopo qualche segno iniziale abbastanza insignificante (un cagnolino che gli fa i bisogni sui pantaloni, un toro che lo carica...) per l’attore Bob Chiaramonte l’attenzione cui è sottoposto da parte di animali diventa vera e propria persecuzione. Il culmine è rappresentato da una mosca che non lo fa vivere e lo porta all’esasperazione» (Poppi-Pecorari). «Commedia intellettuale che sembra quasi uno studio freudiano sulla patologia persecutoria. Gassman si autodenigra in modo convincente, ma a volte eccede nel cercare il risvolto comico della situazione [...]. Il direttore della fotografia Aldo Tonti compare nel ruolo del regista, mentre il produttore Mario Cecchi Gori in quello di un pubblicitario. Bene è un prete» (Mereghetti).
Vittorio Armentano, un autore sui generis

Vittorio Armentano è un cineasta inclassificabile e molto interessante. Assente dai salotti che contano (sia quelli mondani de La dolce vita, sia i cosiddetti circuiti alternativi/sperimentali), Armentano ha perseguito un percorso autarchico, coraggiosamente indipendente, attento sia alle tematiche sociali sia alla sperimentazione dell’immagine e del suono. Come scrive giustamente Bruno Di Marino: «I “documentari” di Armentano sono spesso in bilico tra registrazione di fatti reali e messa in scena coniugata a un tentativo di narrazione, come per esempio nello straordinario Il pignoramento o Cantiere ’62, entrambi realizzati nel 1962, dunque in un periodo antecedente all’esplosione del cinema sperimentale e d’artista». La modernità del cinema di Armentano, dove non è forzato trovare un parallelo oltre che nel cinema verità anche nell’arte contemporanea, è ben ravvisabile in un film come Modelling (1966), che è curiosamente in linea con il coevo Blow Up di Antonioni, e nel suo seguito, Fragility, girato con la stessa modella, nel febbraio 2003. Come un altro grande outsider Romano Scavolini, Vittorio Armentano realizzava la maggior parte dei suoi lavori per conto di alcune case di produzione che, in quegli anni, si dividevano il mercato del cortometraggio, ottenendo così i cosiddetti “premi qualità”.

Vittorio Armentano proviene da studi di medicina. Ha svolto attività giornalistica collaborando a diverse riviste specializzate, come «Filmselezione» e per tre anni, dal 1959 al 1962, presso il settimanale «Il Punto». Nel 1962 ha inizio la sua attività di regista e non ha mai smesso. Ha realizzato shorts per la tv inglese, pubblicità per Italgas e Fiat, documentari di varia natura (industriali, d’arte, sperimentali...). Da sempre si è interessato del rapporto tra cinema e letteratura, trasferendo in immagini testi di Eliot, Kafka, Lucrezio, Joyce. Nel 1968 ha iniziato la collaborazione con la Rai. Ha partecipato ai più importanti festival cinematografici, tra i quali: Festival dei Popoli a Firenze, Lipsia, Praga, Este, Trieste, Venezia e Cannes. Ha inoltre ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, vincendo, tra gli altri, la targa Leone S. Marco per il film sperimentale alla Mostra del Cinema di Venezia 1966, per il cortometraggio L’ultimo; il primo premio di Categoria al Festival Internazionale del film industriale (Amsterdam, 1972); il premio speciale della giuria “Pavone d’argento” all’VIII edizione del Festival Internazione del Film a New Delhi, col mediometraggio Scenotecnica prodotto dall’Istituto Luce. Dal 1988 è amministratore unico della Società Quadro Film s.r.l. Doveroso dunque l’omaggio a un regista particolare e originale come Vittorio Armentano, rigorosamente indipendente, coerentemente impegnato, involontariamente eclettico, orgogliosamente inclassificabile.

Rassegna a ingresso gratuito
ore 20.30

Incontro con Vittorio Armentano, Giuliano Montaldo, Italo Moscati


a seguire

Il pignoramento (1962)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giuseppe De Mitri; musica: Egisto Macchi; montaggio: Renato May; origine: Italia; produzione: Enzo Nasso; durata: 12’



Primo documentario di Vittorio Armentano come regista, racconta l’esecuzione di un pignoramento in un quartiere popolare di Roma, basandosi solo su elementi formali senza alcun commento parlato. È il tentativo di trattare soggetti neorealisti in forma astratta.
a seguire

Cantiere ’62 (1962)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Antonio Cerra; musica: Egisto Macchi; montaggio: Renato May; origine: Italia; produzione: Enzo Nasso; durata: 12’



È la documentazione di un ipotetico incidente sul lavoro in un cantiere edile, descritto attraverso elementi figurativi come i cretti di Alberto Burri e la futura arte povera. Questo documentario è senza commento parlato e anche questo, come il precedente, rappresenta il tentativo di trattare soggetti (neo)realistici in forma astratta.
a seguire

Trasformazioni marine (1965)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico; montaggio: Egisto Macchi; origine: Italia; produzione: Enzo Nasso; durata: 12’



Questo documentario è stato girato esclusivamente con un teleobiettivo 600 millimetri su una spiaggia affollata. Si ispira ad alcune frasi de L’Ulisse di Joyce.
a seguire

Modelling (1966) + Fragility (2003)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico, Sebastiano Celeste; musica: Lamberto Macchi; montaggio: Egisto Macchi, Roberto Schiavone; interprete: Mirella Petteni Haggiag; origine: Italia; produzione: Enzo Nasso, Quadro Film; durata: 16’



La bellezza di una modella prende lentamente forma davanti alla macchina da presa, ulteriore riflesso del narcisismo, già evocato in un curioso gioco di specchi e sottolineato dal rapporto musica-movimento. Ha partecipato al Festival di Lipsia. Molti anni dopo, nel febbraio 2003, il regista ha voluto realizzare un seguito, Fragility, con la stessa modella e con immagini di repertorio che riassumono in modo efficace alcuni eventi capitali accaduti in questi ultimi trent’anni. Probabilmente unico caso in cui “modello originale” e il suo seguito vanno considerati e visti come opera unica e indissolubile.
a seguire

L’ultimo (1966)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico; musica: Egisto Macchi; montaggio: Rossana Coppola; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 12’



Un uomo fugge in un paesaggio vulcanico, inseguito da un’indefinibile minaccia. Girato con effetti speciali in fase di riprese, simboleggia il pericolo atomico. L’ultimo ha ottenuto la targa Leone di San Marco al festival di Venezia del 1966.
a seguire

L’isola degli uccelli (1969)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico; musica: Egisto Macchi; montaggio: Rossano Coppola; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 12’



Alcuni versi del poeta T.S. Eliot sono stati illustrati con immagini di uccelli e di repertorio fotografico che drammatizzano il significato del verso poetico. Voce di Pamela Tiffin.
a seguire

Teatro di guerriglia (1968)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Mario Vulpiani; musica: Egisto Macchi; montaggio: Rossana Copola; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 12’



In collaborazione col gruppo teatrale di Valentino Orfeo Armentano ricostruisce uno spettacolo happening ispirato al Living Theatre e basato sul tema del mare e della morte.
a seguire

Dinanzi alla legge (1970)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico; musica: Egisto Macchi; montaggio: Carla Simoncelli; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 12’



Ispirato liberamente da alcuni brani de Il Processo di Kafka, è un tentativo di ricostruire il clima ossessivo dell’opera dell’autore praghese. È ambientato nel tetro palazzo di giustizia di Roma.
a seguire

Il dolore è lontano (1971)

Regia: Vittorio Armentano; fotografia: Giulio Albonico da fotografie di Franco Stampacchia; musica: Egisto Macchi; montaggio: Giuliana Bettoia; origine: Italia; produzione: L’Universale Cinetelevisiva; durata: 12’



Sulla base di un drammatico servizio fotografico scattato in Pakistan da Franco Stampacchia, il poeta Emilio Villa ha scritto un testo di intensa drammaticità che infonde un senso poetico alla terribile crudezza delle immagini.
giovedì 26

Giovanni Arpino, un romanziere cinematografico

«Se un artista, come dice Walter Benjamin, è responsabile non soltanto delle sue opere, ma anche di quelle che ne derivano, Giovanni Arpino può ripercorrere con una certa tranquillità il terreno sempre un po’ accidentato dove si snodano i rapporti tra letteratura e cinema e godersi la trasposizione cinematografica delle sue storie. I cineasti che si misurano con le sue trame e le sue atmosfere si rivelano infatti in primo luogo dei lettori appassionati e, senza rinunciare alla necessaria disinvoltura con cui un regista si appropria di un testo preesistente, nei successivi passaggi obbligati – dalla pagina stampata alla sceneggiatura all’immagine – riescono sempre a distillare gli umori, la sensibilità, lo sguardo di quello che si conferma (anche rivisto attraverso la mediazione dello schermo) uno dei nostri scrittori più importanti. Se si riflette sul disinvolto “découpage” di cui può dar prova, e con ottimi risultati, il cinema nei confronti dei pretesti letterari, trattati spesso come semplici “eventi narrativi” alla stregua dei fatti di cronaca, romanzi e racconti di Arpino vengono maneggiati con cura inattesa con un’insospettabile fedeltà di fondo. Cura e fedeltà che stanno tutte dalla parte dei cineasti, vista l’assoluta autonomia, ai limiti dell’indifferenza, con cui Arpino considera il lavoro di adattamento dei suoi testi: a Massimo Scaglione che lo invita ad andare sul set per assistere alle riprese di Una nuvola d’ira prodotto dalla Rai a Torino nel 1983, lo scrittore non a caso risponde: «Consideratemi un autore defunto». Affermazione obliqua, come tanta parte della sua narrativa, perché dietro la ritrosia scappa fuori il consapevole orgoglio di chi ritiene che i propri romanzi possano essere “trattati” come i classici, come Guerra e pace o I promessi sposi, che sopportano qualunque adattamento rimanendo fondamentalmente intatti. Anzi, al limite Arpino si diverte molto di più dall’altra parte della barricata, a rimaneggiare, reinterpretare, riscrivere come sceneggiatore il testo di un altro, come fa per Renzo e Luciana di Monicelli, insieme a Suso Cecchi d’Amico e Italo Calvino – partendo per l’appunto come pretesto dal racconto calviniano L’avventura dei due sposi –, che diventerà un contestato episodio del film collettivo Boccaccio ’70 (1961); mentre della prima avventura cinematografica di Arpino, La sporca guerra, il film di montaggio sulla guerra d’Algeria realizzato da Alberto Cavallone alla fine degli anni Cinquanta, resta soltanto il testo del suo commento parlato, con un passaggio all’epoca non inosservato sulle contraddizioni del partito comunista francese che in Parlamento vota a favore di De Gaulle: «Non si può dire no nelle piazze e poi dire sì nel segreto delle urne».

Ma torniamo ai suoi romanzi. Perché dunque Arpino al cinema funziona? Sicuramente per la sua capacità di passare all’interno della stessa inquadratura – sì, le sue sono “frasi”, periodi, pagine, ma si fanno immediatamente “vedere” e addirittura “annusare” in qualche caso – dal paesaggio al personaggio, in un’alternanza di piani che catturano sempre con un dettaglio concreto, capace di “far cadere l’occhio” e al tempo stesso di funzionare come un basso continuo di memoria narrativa per cucire l’insieme rilanciando continuamente attenzione, interesse, immedesimazione».

Sergio Toffetti, Arpino, un romanziere cinematografico, in Annamaria Licciardello, Luca Pallanch, Arpino e il cinema, Cineteca Nazionale-Comune di Bra, 2008, edito in occasione della omonima retrospettiva svoltasi a Bra dal 9 al 13 aprile 2008.


ore 16.30

Anima persa (1977)

Regia: Dino Risi; sceneggiatura: Bernardino Zapponi, D. Risi; soggetto: dal romanzo Un’anima persa di Giovanni Arpino; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Francis Lai; montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: Vittorio Gassman, Catherine Deneuve, Danilo Mattei, Anicée Alvina, Ester Carloni, Michele Capnist; origine: Italia/Francia; produzione: Dean Film, Les Productions Fox Europa; durata: 100’



«Film da focolare, che tenta di vincere i brividi dell’inverno con le ombre d’una fantasia sinuosa ma lascia aperta la porta alle spalle perché spifferi di paura vi gelino la schiena. Un thriller all’antica, che evoca aure putrescenti (Venezia!) e utilizza vecchi arnesi del giallo (topi, cigolii, ragnatele…) per rinfrescare il mito del dottor Jekyll e ripetere il gioco della doppia e tripla verità. Se preferite, un Dino Risi che sterzando dalla commedia satirica al film del terrore confida, in fraterna emulazione, al Diario d’uno schizofrenico la sua seconda nascita. Che ha da essere tanto inquietante, gotica e mitteleuropea, quanto la prima fu festosa, ironica e mediterranea. […] Sceneggiato da Bernardino Zapponi e Dino Risi, il romanzo di Giovanni Arpino che ispira il film non è tutto riconoscibile (l’azione è trasferita da Torino a Venezia e una figura è nuova di zecca), ma questo importa meno dello sforzo che Risi ha compiuto per staccarsi dai suoi modi brillanti ancor più di quanto già fece con Profumo di donna e per continuare su una tastiera diversa la sua critica sociale. Sforzo sincero e meritorio» (Grazzini).
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