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13 febbraio Memorie, ma non solo di Paolo Brunatto 13-17 febbraio Non ci resta che ridere. Il cinema di Roberto Benigni


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Per gentile concessione di Blue Film
venerdì 20

A Sud!

ore 17.00

Ombre del Sud (1996)

Regia: Gianfranco Pannone; musica: Riccardo Giaggi; montaggio: Claudio Di Lolli; origine: Italia; produzione: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico; durata: 73’

Antologia da Diari del Novecento. Un viaggio nel meridione d’Italia attraverso alcuni documentari realizzati tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in parte prodotti dal Pci. Un ritratto dolente del Sud, in particolare del mondo agro-pastorale, sul quale il regista non nasconde il suo sguardo critico verso alcune vulgate della sinistra e del mondo cattolico. Era solo fatto di dolore il Sud del dopoguerra?

Per gentile concessione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
a seguire

Sonasò - Episodio n. 1: Marco (2007)

Regia: Gianfranco Pannone; ideato e scritto da Marco Fiumara, G. Pannone, Ambrogio Sparagna; fotografia: Pina Mastropietro; montaggio: Erika Manoni; origine: Italia; produzione: Barbarano Cinelab; durata: 26’



«L’episodio del giovane Marco alle prese con le sue zampogne è il primo di un progetto di film-documentario, Sonasò, sulla musica popolare nel Sud dell’Italia, ideato in quattro parti insieme a Marco Fiumara e Ambrogio Sparagna, con Marco Müller produttore, ahimè non andato più in porto. Due anni fa con un piccolo budget ho realizzato il primo episodio a Cassino, la città dove Marco, il protagonista, vive e lavora come ingegnere alla Fiat. Riuscirà o meno il nostro testimone a far conciliare la sua professione con l’amore per la zampogna e la musica di tradizione orale?» (Pannone).
a seguire

Così vicini, così lontani (1999)

Regia: Tarek Ben Abdallah, Gianfranco Pannone; scritto da T. Ben Abdallah, G. Pannone; fotografia: T. Ben Abballah; montaggio: Babak Karimi; origine: Italia; produzione: L’Altritalia Ambiente per Regione Siciliana; durata: 27’



La comunità tunisina di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, raccontata dai suoi giovani, in bilico tra desiderio di integrazione e legame con le proprie origini.
a seguire

Pietre, miracoli e petrolio (2004)

Regia Gianfranco Pannone; scritto da Giovanni Fasanella, G. Pannone; fotografia: Tarek Ben Abdallah, Alfredo Betrò; musica: Michele Sangiovanni, Ambrogio Sparagna; montaggio Erika Manoni; origine: Italia; produzione: Ready Made Films per Rai Tre, Rtsi, Regione Basilicata, Cem - Cinema & media; durata: 60’



Tre testimoni, Vittorio Prinzi Francesca Leggeri, Gianni Lacorazza, tre storie emblematiche della Val d’Agri, una piccola comunità della Basilicata alle prese con un fatto imprevisto: la scoperta di un imponente giacimento petrolifero. Evento eccezionale che, per uno strano scherzo del destino, si è verificato in una delle zone più povere e incontaminate della regione, proprio all’interno di un parco nazionale. La titolare di un’azienda agrituristica in guerra con l’Eni. Il sindaco di Viaggiano, il comune più importante della zona, per il quale il petrolio è invece un’opportunità di sviluppo. Ma possono convivere petrolio e ambiente? È la domanda a cui cerca di rispondere un giovane giornalista che ha deciso di non andarsene. «Un’opera ben fatta su un argomento di grande attualità: il petrolio. Ma più che una dissertazione sullo stesso, il documentario sposta la sua attenzione sugli effetti: dunque, i soldi e l’ambiente mutilato» (Lorenzo Leone, «CinemAvvenire»).

Per gentile concessione di Ready Made Films
ore 20.45

Cronisti di strada (2006/2007)

Regia: Gianfranco Pannone; ideato e scritto da G. Pannone, Paolo Santoni; fotografia: Tarek Ben Abdallah e Romano Montesarchio; musica: Daniele Sepe; montaggio: Federico Schiavi, Giuseppe Trepiccioni; origine: Italia; produzione: Rai Tre, Ready Made; durata: 45’ a episodio



Primo episodio: Se non si spara si fanno più soldi; secondo episodio: La guerra dei rolex; terzo episodio: Tutte le strade portano a Napoli.

La Napoli di oggi raccontata in particolare con gli occhi di due giovani giornalisti che lavorano in due piccoli quotidiani locali: Arnaldo Capezzuto, cronista di «Napolipiù», minacciato dalla camorra dopo essersi interessato della morte di Annalisa Durante, la ragazza uccisa a Forcella nel corso di una sparatoria; e Giancarlo Palumbo, cronista di «Cronache di Napoli», che indaga, tra mille difficoltà, sul giro della droga, vero e proprio business della città, provando a comporre una mappatura per quartieri dei clan dopo la faida di Scampia. Arnaldo medita di lasciare Napoli perché tollera a fatica l’ipocrisia e il cinismo che regnano sovrani sulla complessa composizione della città. Giancarlo, invece, soffre non poco i limiti che gli impone il suo giornale. Per entrambi il riferimento è un vecchio giornalista di cronaca nera, Giuseppe Virnicchi, che della camorra conosce ogni cosa. Dalle sue parole esce un quadro sconcertante della Napoli di oggi, all’interno del quale legalità e illegalità si incrociano senza tregua, anche perché la camorra investe i proventi della droga in attività pulite. Spesso le società che pagano le tasse, le società più in regola con lo Stato sono proprio quelle create dalla malavita organizzata. E la politica fa finta di niente. In primavera, nell’imminenza delle elezioni amministrative, il dibattito sul degrado cittadino è tutto concentrato sulla microcriminalità, il fenomeno che rischia di mettere in crisi una delle fonti di ricchezza della città, il turismo. A indagare sui fatti di piccola delinquenza all’interno del centro storico è Giuseppe Crimaldi, redattore quarantenne del quotidiano più importante della città, «Il Mattino». Intanto Desirée Klain, una giornalista free lance che abitualmente si occupa di cronaca di costume per il «Corriere del Mezzogiorno», organizza a Scampia un piccolo festival cinematografico, convinta che una Napoli migliore non possa che cominciare dalle periferie in abbandono. Ma a inizio autunno una serie di omicidi sanguinosi per mano di elementi impazziti della camorra rimettono Napoli al centro di un dibattito nazionale che sembra imprigionarla ancora una volta nel suo ruolo di città maledetta. Arnaldo e Giancarlo, negli ultimi mesi costretti a non esporsi troppo sul fronte della cronaca nera dai loro rispettivi direttori, tornano a occuparsi ancora una volta di camorra, sempre più coscienti che, malgrado tutto, la città non meriti di essere abbandonata. «Da buon documentarista Pannone non coltiva la pretesa di sceneggiare le vicende verso obiettivi precisi: basta raccontare, di solito, possibilmente da un punto di vista non scontato, e il senso è lì, che galleggia, basta vederlo e nuotarci… Il tutto in un contesto di racconto che si abbina in qualche modo al lavoro letterario di Saviano» (Antonio Dipollina).

Per gentile concessione di Rai Teche - Proiezione alla presenza del regista
sabato 21

Roma e dintorni

ore 18.00

Viaggio intorno alla mia casa (2000)

Regia: Gianfranco Pannone; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Alessandro Corradi; origine: Italia/Germania; produzione: Stefilm per ZDF/ARTE, Majade Film; durata: 32’



Uno dei cinque episodi che nel 2001 la tv franco-tedesca ARTE, in una Soirée tematique, ha dedicato al rapporto di cinque registi europei con il quartiere in cui vivono. Gianfranco Pannone si avventura lungo l’Appio Latino, tra il Parco della Caffarella e i palazzoni del sacco edilizio, per scoprire quanto a Roma il confine tra campagna e città sia labile. Ad accompagnarlo sono le suggestioni letterarie e cinematografiche di Pier Paolo Pasolini, che in quell’area, dove un tempo sorgeva un’immensa baraccopoli, girò La ricotta e trovò ispirazione per alcuni suoi versi. Passato e presente si intrecciano in un tutto che rende ancora una volta speciale la città eterna.

Per gentile concessione di Stefilm
a seguire

Lettera da Roma (1990)

Regia: Gianfranco Pannone; sceneggiatura: Francesco Bruni, G. Pannone; fotografia: Gianni Araldo; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Thomas Woschitz; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 8’



Uno studente universitario scrive alla sua fidanzata e le descrive il Ghetto di Roma dove abita. Primo doumentario di Pannone, realizzato al Centro Sperimentale di Cinematografia.
a seguire

Bienvenue chez Giuseppe (2006)

Regia: Gianfranco Pannone; fotografia: Antonio Covato; montaggio: Sophie Routier; origine: Francia; produzione: Bruno Tribbioli per Blue Film, Les Films d’Ici per ARTE France; durata: 26’



Giuseppe è proprietario di una libreria che è nel cuore del quartiere ebraico di Roma. Per lui i libri (rigorosamente usati) sono importanti, ma ancor più lo sono le fotografie di famiglia d’ogni epoca e provenienza che da anni accumula senza tregua. Spesso Giuseppe è a caccia di foto, lo puoi incrociare di domenica a Porta Portese, fin dalle prime luci dell’alba, a rovistare tra le bancarelle. Le fotografie che considera più significative le cataloga per argomento e le mette in bella mostra nella libreria. Dietro la sua ossessione c’è forse una visione un po’ pessimista del mondo: attraverso le immagini fisse e rigorosamente amatoriali, Giuseppe sente di comprendere meglio l’umanità. Oltre le vecchie foto, a proteggerlo c’è anche l’antico Ghetto, dove passa gente d’ogni tipo, che il nostro protagonista osserva con una curiosità che non disdegna la pietas. Documentario per la serie Visages d’Europe.
ore 19.30

Gianfranco Pannone, un documentarista per caso (2008)

Regia: Elio Codega; montaggio: E. Codega; origine: Italia; produzione: Blue Film; durata: 45’



Un’intervista a Gianfranco Pannone che ripercorre vent’anni di attività.
ore 20.30

La giostra (1989)

Regia: Gianfranco Pannone; soggetto e sceneggiatura: Tarek Ben Abdallah, Francesco Bruni, Gianfranco Pannone, con la collaborazione di Luigi Guarnirei; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Marco Spoletini; interpreti: Enrico Lo Verso, Carolina Salomé, Alberto Molinari; origine: Italia; produzione: Csc, Arci-Cultura e sviluppo; durata: 18’



L’incontro, in una notte di Capodanno, di un immigrato tunisino, guardiano di una piccola giostra, e una ragazza di borgata. Tra i due potrebbe nascere qualcosa, ma l’alba, che giunge improvvisa, riporta entrambi alla realtà. Saggio di diploma di Pannone al Csc.
a seguire

Kelibia/Mazara (1998)

Regia: Tarek Ben Abdallah, Gianfranco Pannone; soggetto e sceneggiatura: T. Ben Abdallah, G. Pannone, Fathy Heddaoui; fotografia: T. Ben Abdallah, montaggio: Luca Benedetti; organizzazione generale: Bruno Tribbioli, G. Pannone; interpreti: Fathy Heddaoui, T. Ben Abdallah; origine: Italia; produzione: G. Pannone per Effetto Notte, L’Altritalia Ambiente; durata: 12’



Un motorista di peschereccio, emigrato dalla Tunisia a Mazara del Vallo, deve tornare a casa, nella sua Kelibia, a Capo Bon. Farà lo stesso mestiere che ha sempre fatto in Italia, ma a condizioni ben più svantaggiose, sebbene i datori di lavoro siano gli stessi. La differenza non è nella pelle, ma nel lavoro retribuito.
a seguire

Io che amo solo te (2004)

Regia Gianfranco Pannone; soggetto e sceneggiatura: Giulia Merenda, G. Pannone; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Erika Manoni; musica: Alessandro Molinari; interpreti: Cesare Bocci, Gianna Breil, Francesca Cuttica, Francesca Giordani; origine: Italia; produzione: Bruno Tribbioli e Alessandro Bonifazi per Blue Film; durata: 80’



Roma, primi mesi del 2003. Pietro, sposato con Roberta da vent’anni, è stanco della propria vita affettiva. Anche sul piano professionale si sente frustrato e disilluso. Ed è così che mette da parte la passione politica di un tempo e, complice un imprenditore senza scrupoli, intraprende una veloce scalata al successo. Dopo aver conosciuto una prostituta di alto bordo, Angela, che travolge la sua esistenza, Pietro si inventa una seconda identità. Sullo sfondo della guerra in Iraq, tra rimorsi e insuccessi personali, diviso tra Roberta ed Angela, Pietro non riesce a decidere del suo futuro e perde tutto. «Io che amo solo te, un titolo che ha il sapore di un’amara ironia (se si pensa anche alla famosa omonima canzone di Sergio Endrigo, cui fa riferimento), visto che il film tenta di afferrare senza indulgenze certi tratti salienti di deriva culturale e morale del nostro paese» (Antonio Medici).

Per gentile concessione di Blue Film - Proiezione alla presenza del regista
domenica 22

americhe” e dintorni



ore 17.00

L’America a Roma (La vera storia dello “Spaghetti western”) (1998)

Regia di Gianfranco Pannone; scritto da Marco Fiumara, G. Pannone; fotografia di Tarek Ben Abdallah; musica: Alessandro Molinari; montaggio: Babak Karimi; interpreti: Guglielmo Spoletini (William Bogart), Remo Capitani (Ray O’ Connors), Gino Marturano (Jean Martin), Paolo Magalotti (Paul Carter), Giovanni Cianfriglia (Ken Wood), Franco Daddi (Frank Daddy), Mauro Mammatrizio (Victor Man), con la partecipazione di Peter Berling e Manolo Bolognini; origine: Italia; produzione: Mario Mazzarotto e G. Pannone per Intelfilm, Rai Cinema, in collaborazione con Rai Uno; coproduzione: Effetto Notte; durata: 78’



Gianfranco Pannone, rievocando la memoria cinematografica della sua infanzia, intraprende una ricerca sugli anni d’oro dello “spaghetti western” e va a trovare Guglielmo Spoletini, ex stuntman e attore col nome di William Bogart. Riuniti come ai vecchi tempi, Guglielmo e i suoi amici si lasciano andare ai ricordi della giovinezza. Con loro il regista ripercorre la Roma degli anni Sessanta fino ai giorni della contestazione giovanile, rispolverando anche un vecchio western italiano, Requiescant di Carlo Lizzani, con Pier Paolo Pasolini nei panni di un prete messicano rivoluzionario. In fondo la storia dei borgatari di Roma non è così diversa da quella dei messicani protagonisti di quei film girati in pochi giorni e a basso costo, sulle orme dei film di Sergio Leone. Carico di entusiasmo, Guglielmo ha l’idea di realizzare un western: la storia di tre cavalieri messicani che si perdono tra i palazzoni della Roma di oggi. E l’autore, convinto che l’idea del vecchio stuntman non sia del tutto irrealizzabile, riserva una sorpresa finale… «L’America a Roma è molto più di una piacevole sorpresa. In una palude di titoli che dovrebbero sancire il Rinascimento del cinema italiano… al giovane regista napoletano va senza dubbio il titolo di “cinerabdomante”. Perché? Per il semplice motivo che Pannone con la sua cinepresa fiuta ciò che è sincero, intenso e reale nella vita di Guglielmo Spoletini, ex stunt-man e attore di western con lo pseudonimo di William Bogart e a lui si aggrappa, quasi lo vampirizza» (Umberto Sebastiano, «Nocturno Cinema»).
ore 19.00

Piccola America (1991)

Regia: Gianfranco Pannone; scritto da Francesco Bruni, G. Pannone; fotografia: Tonino Mirabella; musica: Ambrogio Sparagna; montaggio: Marco Spoletini; origine: Italia; produzione: Effetto Notte, Csc, Regione Lazio; durata: 61’



Italia, primi anni Trenta. Migliaia di contadini, reclutati nelle regioni del Nord-est, lasciano la loro terra per lavorare alla bonifica delle Paludi Pontine. La “redenzione dell’Agro”, con la costruzione di cinque città nuove, diviene in breve tempo un vessillo della propaganda fascista. Mussolini promette a tutti un pezzo di terra e la gloria di aver partecipato a una storica impresa. Ma la realtà è ben diversa. La malaria, la fame e l’incubo della guerra (annunciata dalle riprese del film Scipione l’Africano a Sabaudia), attendono di lì a poco i coloni. Di fronte alla macchina da presa, gli ultimi superstiti di quella drammatica epopea raccontano in modo semplice e commosso un periodo cruciale della nostra storia. Barisone ha scritto a proposito della Trilogia dell’America: «Un mescolare Storia ufficiale e vicende personali, denso e affabulatorio; e insieme uno sguardo affettuoso, che fa sentire la presenza della macchina da presa, in una flagrante partecipazione del cineasta, non in qualità di demiurgo super partes, ma di un essere “testimone” che condivide nel corpo e nello spirito la condizione di quelli che filma».
a seguire

Lettere dall’America (1995)

Regia: Gianfranco Pannone; scritto da Paola Mascioli, G. Pannone; fotografia: Tarek Ben Abdallah; musica: Daniele Sepe; montaggio: Marco Spoletini, Alessandro Corradi; origine: Italia/Francia; produzione: Effetto Notte, Megaris, ARTE France; durata: 55’



1947, nella Napoli povera del dopoguerra un italo-americano, Nicola Rainone, torna a far visita ai familiari che non vede da più di vent’anni. Per i parenti napoletani zio Nicola diviene l’incarnazione del mito americano, anche grazie alle lettere, ai dollari e ai pacchi pieni di regali che continuano ad arrivare dopo il suo ritorno a Brooklyn. La facciata generosa di questi neoamericani che non hanno dimenticato il Paese d’origine, nasconde però un ricatto politico: “Lettere dall’America” è infatti il nome di un progetto del governo americano e della Chiesa cattolica d’oltreoceano mirato a influenzare il risultato delle elezioni del ’48. «Pannone rivela anche l’implacabile procedere della Storia, una battaglia in cui i vincitori e i vinti sono sempre gli stessi: perché in Italia come faceva dire Tommasi di Lampedusa ai suoi personaggi di cent’anni fa, “tutto deve cambiare, affinché tutto resti come prima”» (Barisone).
ore 21.15

Latina/Littoria (Una città) (2001)

Regia: Gianfranco Pannone; fotografia: Tarek Ben Abdallah; musica: Ambrogio Sparagna; montaggio: Luca Benedetti; origine: Italia/Francia/Svezia; produzione: Carlo Cresto-Dina e Serge Lalou per Fandango, Les Films d’Ici; produttori associati: Effetto Notte, Hysteria Film; durata 75’



Primi mesi del 2001: nell’imminenza delle elezioni nazionali che porteranno alla vittoria Silvio Berlusconi e la sua coalizione di Centro-destra, a Latina, un tempo Littoria, si consuma uno psicodramma politico denso di contraddizioni. Il sindaco fascista, Ajmone Finestra, ex ufficiale repubblichino, combatte la sua piccola battaglia d’onore contro gli alleati di Forza Italia, rei di osteggiare, in nome di pesanti interessi edilizi, il nuovo Piano regolatore della città. Con il sindaco, protagonisti del film sono un provocatorio scrittore marxista, Antonio Pennacchi, che ostinatamente vuole fare i conti con la scomoda storia fascista della città chiedendo che la si chiami di nuovo Littoria, e un battagliero consigliere comunale di sinistra, Antonio Visari, che prova a smascherare il doppio gioco del sindaco Finestra. A elezioni fatte, il Piano regolatore non sarà adottato per volere dei costruttori, il sindaco tornerà a governare con Forza Italia e lo scrittore sarà emarginato dal conformismo generale. «Nonostante la televisione e il mediocre giornalismo di inchiesta dei nostri giorni, il documentario rinasce, perché c’è chi ha ancora bisogno di investigare, conoscere, capire. Latina/Littoria è certamente il titolo più rappresentativo e più forte di questo benvenuto revival…Di tanti film come questo avrebbe bisogno il nostro cinema, la nostra cultura» (Fofi).
lunedì 23

chiuso
24-25 febbraio



(In)visibile italiano: Sergio Capogna, Enzo Battaglia, Franco Indovina tre autori ingiustamente dimenticati

prima parte

Tre registi ingiustamente dimenticati, accomunati entrambi purtroppo da una morte prematura. Di Sergio Capogna (Roma, 1927-1972) si era presentato, nell’ambito della rassegna Schermi in fiamme. Il cinema della contestazione, il suo bellissimo Plagio (1968) che preannunciava per toni e atmosfere La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini. Si è voluto pertanto ripresentare il film, venerdì 6 febbraio, nella rassegna di questo mese Le stagioni del nostro cinema, accoppiandolo alla pellicola di Zurlini. Sergio Capogna consegue il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1954 con il saggio di esame Roma ’38, basato sul racconto Vanda di Vasco Pratolini. Molti anni dopo, il regista, ne ha tratto un lungometraggio, il suo ultimo film: Diario di un italiano (1971). Ma la passione letteraria verso lo scrittore toscano segna anche il suo lungometraggio d’esordio: Un eroe del nostro tempo (1960), basato sul romanzo omonimo di Vasco Pratolini. Se i modelli di riferimento sono da una parte Michelangelo Antonioni e dall’altra il citato Valerio Zurlini, Capogna riesce a rielaborarli in uno stile personale costituito da immagini ricercate ed eleganti, mai fini a se stesse, ma espressioni delicatissime dei tormenti esistenziali dei suoi personaggi.

Enzo Battaglia (Ragusa, 1935 - Catania, 1987) consegue il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia con il saggio di esame Che farai quest’estate? (1961) sulle crisi di coppia simili al cinema coevo di Antonioni. Successivamente è assistente di Pietro Germi prima, poi autore di alcuni film molto personali, di grande interesse e ben realizzati. Firma la regia dell’episodio L’estate – rielaborazione del suo saggio diploma – del film ingiustamente misconosciuto ma di grande interesse La vita provvisoria (1963). Gli arcangeli (1963) è uno dei lungometraggi d’esordio più interessanti della prima metà degli anni Sessanta, documento accurato e scottante sui mutamenti di certa gioventù italiana, senza mai cadere nelle facili trappole di gratuite immagini pruriginose ed erotiche. Il film è stato collocato nella giornata di mercoledì 18, all’interno di Indipendente Italiano, in coppia con il suo attuale “remake/remodel”: Gli arcangeli (2007) di Simone Scafidi. Ma, come scrive amaramente Roberto Poppi, sulla (non) carriera di Battaglia: «Il modesto successo commerciale delle opere lo induce ad accettare proposte poco qualificanti che lo relegano, purtroppo, nel dimenticatoio». Un motivo in più per riscoprirlo.

Franco Indovina (Palermo, 1932-1972) s’interessa sin da giovane al teatro, collaborando con maestri come Giorgio Strehler e Luchino Visconti. Al cinema si avvicina nel 1960 in qualità di aiuto di Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse), di Francesco Rosi (Salvatore Giuliano), di Vittorio De Sica (Matrimonio all’italiana). Come regista firma l’episodio Latin Lover de I tre volti (1964), dirigendo la principessa Soraya, che diventerà poi sua compagna. Il suo primo lungometraggio è la commedia di costume, Ménage all’italiana (1965) con Ugo Tognazzi e uno stuolo di attrici (Buccella, Moffo, Dalida, Power). Il suo ultimo (in una filmografia tragicamente ridotta a soli 4 film e due episodi) è Giochi particolari (1970), film che indaga sulla crisi coniugale di una coppia. Muore appena quarantenne nel tragico incidente aereo di Punta Raisi, alle porte della sua Palermo. Sui film che ci ha lasciato, così li ricorda il suo amico Roberto Andò: «Franco Indovina è stato peraltro un regista eccentricamente non etichettabile, frequentatore di generi disparati, dalla commedia nera, al grottesco, al plot esistenziale, sino al medioevo inedito di Tre nel mille [...]. Non è facile immaginare che tipo di film avrebbe fatto dopo [il] sorprendente Tre nel mille, dove il medioevo diviene l’occasione per uno squarcio da dopostoria, pervaso di pietas e humour. La sua filmografia disegna il ritratto di un intellettuale, affascinato da una varietà di toni di voce, da registri diversi, anche inediti nella nostra più comune congerie stilistica, dalle zone più impervie del raccontare e attratto dai grandi attori, da Sordi a Tognazzi a Gassmann a Mastroianni. Molte volte si è usata l’immagine della crisalide per indicare il lavoro del cineasta e mai essa ha rischiato di apparire così adatta come in questa circostanza. Come sempre, anche in modo terribile, nel cinema, si intrecciano in modo struggente e lucido, ciò che è dentro al fotogramma e ciò che è rimasto fuori. Anche in questo la parabola di Franco Indovina riverbera una luce speciale, che durerà nel tempo».

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