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13 febbraio Memorie, ma non solo di Paolo Brunatto 13-17 febbraio Non ci resta che ridere. Il cinema di Roberto Benigni


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Vietato ai minori di anni 14
a seguire

Un dramma borghese (1979)

Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal romanzo di Guido Morselli; sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, F. Vancini; fotografia: Alfio Contini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Nero, Dalila Di Lazzaro, Lara Wendel, Carlo Bagno, Felicita Monfrone, Silvio Pascoletti; origine: Italia; produzione: A.M.A. Film; durata: 104’



Rimasto vedova, Guido ritira Mimmina, la figlia sedicenne, dal collegio. I due decidono di fermarsi in un albergo, dove sono raggiunti da un’amica della ragazza, la quale diventa ben presto l’amante di Guido. Ciò scatena la gelosia di Mimmina. «Esplicito omaggio alla memoria dello scrittore Morselli e apologo sulla difficoltà di capirsi tra generazioni diverse, il film sfiora il tema dell’incesto con pudore ed eleganza formale, in un gradevole intreccio di commedia e tragedia» (Grazzini).

Vietato ai minori di anni 14
venerdì 6

ore 17.00

Cronaca familiare (1962)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini; sceneggiatura: Mario Missiroli, V. Zurlini; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Goffredo Petrassi; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Marcello Mastroianni, Jacques Perrin, Valeria Ciangottini, Salvo Randone, Sylvie, Serena Vergano; origine: Italia; produzione: Titanus, Metro; durata: 122’



Enrico, giovane giornalista di un giornale romano, riceve l’annuncio della morte del fratello minore Dino. Folgorato dal dolore ripercorre con la memoria il proprio passato, e rivive la sua tormentata “cronaca familiare”, sotto forma di un commosso colloquio col fratello. «Cronaca familiare avrebbe dovuto essere il mio primo film. Sono andato a trovare Pratolini per conoscerlo dopo aver letto Cronaca familiare, un libro che mi aveva colpito in modo incredibile. Così cominciò l’amicizia con Pratolini e nacque l’idea un po’ folle – eravamo nel 1952 – di girare Cronaca familiare a colori. Se il film si fosse fatto all’epoca, saremmo stati su posizioni di totale avanguardia. Quando mi proposero di riprendere il progetto, diversi anni dopo, accettai perché è evidente che Cronaca familiare non era affatto invecchiato. [...] In Cronaca familiare ho volutamente abolito i movimenti di macchina, la composizione talvolta un po’ elaborata delle mie inquadrature, ho ridotto al minimo i costuni, l’evocazione storica viene data da qualche simbolo, ho puntato tutto sulla “staticità”, sui dialoghi, sulle battute molto lunghe di tono letterario, ho creduto in un film apparentemente senza storia. [...] Mi sembrava che nel libro mancassero delle pagine e chiesi a Pratolini di scriverle. Pratolini riconobbe l’effettiva mancanza di queste pagine, spiegandomene il motivo, ed accettò di scrivere qualcosa per raccontare simbolicamente quello che poteva essere stata l’opposizione tra lui e suo fratello. Di fatto, esistono nel film due sequenze che nel libro non ci sono, ma sono comunque anch’esse di Pratolini» (Zurlini). Il restauro del film, avviato nel 2004 e concluso in aprile 2005, è stato realizzato dalla Cineteca Nazionale con la supervisione di Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia del film. Per il restauro sono stati utilizzati i materiali originali, depositati in due laboratori differenti: il negativo immagine a Technicolor di Los Angeles a nome della Warner Bros, attuale avente diritto americano; e il negativo suono a Technicolor di Roma, a nome della Titanus, casa produttrice del film.
ore 19.15

Plagio (1968)

Regia: Sergio Capogna; soggetto e sceneggiatura: S. Capogna; fotografia: Antonio Piazza; musica: Dirtan Michailev; montaggio: S. Capogna; interpreti: Mita Medici, Alain Noury, Ray Lovelock, Cosetta Greco, Dino Mele, Giuliano Disperati; origine: Faser Film, Prodimex Film; durata: 88’



Amore à trois fra studenti universitari in quel di Bologna: Angela, fidanzata con Massimo, si concede anche a Guido, creando dei dissidi fra i due amici. Ma il rapporto che li lega è molto forte. Melodramma intriso di malinconia, calato in un’atmosfera zurliniana, precedente però a La prima notte di quiete, film con quale ha molte affinità (il famoso cappotto…), scandito da una magnifica colonna sonora. «Dunque, se la necessità di un film sta in un quid interiore che va oltre i contenuti e la forma, ci pare di intravvedere in questo malinconico e triste film di Capogna le linee di una sostanza intima, una poesia delle cose, e riesce a comunicarci emozioni che oltrepassano il frasario chiuso della materia narrativa. […] Comunque il suo è un film piuttosto ingenuo, ma non banale […] un film testardo» (Turroni).

Vietato ai minori di anni 18
ore 21.00

La prima notte di quiete (1972)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: Enrico Medioli, V. Zurlini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Morra; interpreti: Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Alida Valli; origine: Italia/Francia; produzione: Mondial Te.Fi. - Televisione Film, Adel Productions, Valoria Films; durata: 132’



Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri “vitelloni” locali, egli è attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. «Tuttavia, direi che La prima notte di quiete è nato davvero per la voglia che avevo di mettere in scena un personaggio del genere. Un personaggio frutto ovviamente di numerosi incontri, forse di certe somiglianze con me stesso, quella base di nichilismo, quel cristianesimo rifiutato ma presente... È un personaggio nato in modo molto strano, in un momento di estrema diffidenza: non trovavo niente di personale da raccontare. Un giorno, mi metto alla scrivania e in venti giorni scrivo in un racconto di cento pagine la storia di quest’uomo alla fine della vita – il racconto esiste ancora e credo che non sia male. Ma questo racconto oggettivo, ha origine anche da quelle stagioni invernali, così brutali, così violente, così incanaglite, così antifemminili, così oppressive, così eccessive, stagioni che pure avevo conosciuto. Quella costiera adriatica che avevo visto l’inverno, quando non c’è l’esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L’avevo vista, quella violenza dell’uomo sulla donna. La prima notte di quiete è un film molto legato ad un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di “storia popolare”: la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo. [...] [Il titolo del film] è un verso di Goethe che si può tradurre più o meno così: “La morte, la prima notte di quiete”» (Zurlini).
sabato 7

ore 16.45

Uomini soli (1959)

Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: F. Vancini; commento: Stelio Martini; fotografia: Aldo Nascimbene; musica: Daniele Paris; origine: Italia; produzione: E. Ferrari; durata: 16’



La triste realtà del dormitorio pubblico di Ferrara, dove persone senza famiglia e occupazione trascorrono la notte. «L’accento posto da Vancini sulla solitudine, più che sull’emarginazione sociale e sulla povertà, si rivela centrale per comprendere l’importanza che il legame famigliare riveste nell’Italia di questi anni. La peggior sventura non è esser poveri, ma essere soli» (Ivelise Perniola).
a seguire

Amore amaro (1974)

Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal racconto Per cause imprecisate di Carlo Bernari; sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Lisa Gastoni, Leonard Mann [Leonardo Manzella], Rita Livesi, Germano Longo, Maurizio Fiori, Nino Dal Fabbro; origine: Italia; produzione: Fral; durata: 110’



A Ferrara, alla fine degli anni Trenta, uno studente universitario, figlio di un antifascista in carcere, si innamora di una vedova più anziana di lui, sostenitrice del regime. La diversa fede politica incrina il rapporto tra i due. «Curiosamente, Vancini e Suso Cecchi d’Amico hanno preso un racconto romano di Carlo Bernani (50 pagine del volume Per cause imprecisate, pubblicato da Mondadori) e l’hanno trasformato in una storia ferrarese di Giorgio Bassani. Nelle delicate pagine di Bernani lo sfondo storico è appena accennato: e la storia d’amore fra la bella vedova matura e il giovane tintore intellettuale è tutta affidata ai moti del cuore» (Kezich). «Se i miei film melodrammatici sono caratterizzati da un certo distacco, ciò è legato ad una precisa volontà. Probabilmente, se mi fossi avvicinato alla materia in maniera più disinvolta, più passionale, avrei ottenuto quella marcia in più. Ho cercato di mantenere le distanze, ma senza rinunciare del tutto all’istinto; in definitiva, amo la lirica, e dunque la nostalgia, il rimpianto in essa implicita» (Vancini).

Vietato ai minori di anni 18
ore 19.00

La lunga notte del ’43 (1960)

Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal racconto Una notte del ’43 di Giorgio Bassani; sceneggiatura: F. Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Carlo Di Palma; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Nerio Bernardi, Gino Cervi; origine: Italia; produzione: Ajace Produzioni Cinematografiche, Euro International Film; durata: 106’



Nel novembre del ’43 un fascista fa ammazzare il console di Ferrara, facendo ricadere la responsabilità del delitto sugli antifascisti. Riesce così a riappropriarsi della carica di dirigente provinciale del partito e far fucilare alcuni noti antifascisti. Quindici anni dopo i fatti riemergono dall’oblio… Pestelli salutò con entusiasmo l’esordio del regista: «Esordienti così preparati non possono che far del bene al nostro cinema». «Rispetto all’opera letteraria sono stati aggiunti dei personaggi, inesistenti nel racconto; inoltre il finale è completamente diverso. Non si tratta di una ricostruzione storica rigorosa, ciò nonostante il massacro di cui si parla accadde realmente. Io stesso vidi quei corpi: avevo diciassette anni, stavo andando a scuola in bicicletta, quando sentii dire che in centro c’erano dei morti. Questo è quello che è vero storicamente, tuttavia Bassani ne ha fatto una rielaborazione abbastanza libera; il farmacista protagonista della vicenda, ad esempio, nella realtà non esiste» (Vancini).

Vietato ai minori di anni 16
ore 21.00

Il mercato delle facce (1952)

Regia: Valerio Zurlini; fotografia: Pier Ludovico Pavoni; montaggio: Luciano Fineschi; collaborazione alla regia: Rinaldo Ricci, Giulio Questi; voce: Arnoldo Foà; interpreti: Luisa Pizzi, Giuseppe La Torre, Armando Varriale, Mariolina Bovo, Gianni Franciolini, Francesco Rosi; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 12’



«Il mercato delle facce, girato quasi interamente in una stanza del sindacato generici e comparse, è dedicato con solidarietà e attenzione ai poveri relitti che si guadagnavano sì e no di che mangiare ai margini del mondo del cinema. Una curiosità del film è costituita dal fatto che vi comparvero il povero Gianni Franciolini, Franco Rosi e Franco Zeffirelli in veste di attori» (Zurlini). Il cortometraggio era abbinato a Gli undici moschettieri di Ennio De Concini e Fausto Saraceni. Medaglia d’oro per la miglior regia alla prima edizione della Mostra Nazionale del Nazionale del Documentario, Pisa 1952.
a seguire

Racconto del quartiere (1950)

Regia: Valerio Zurlini; fotografia: Tino Santoni; montaggio: Mario Nascimbene; voce: Tina Lattanzi; origine: Italia; produzione: Industrie Cinematografiche Sociali; durata: 11’



Una giornata, dall’alba al tramonto, del quartiere romano di Trastevere. Strade di sanpietrini lucidi, illuminati dal primo raggio di sole, le persiane sono chiuse, un campanile, una donna che, come un’ombra, attraversa la strada, un gattino accanto a un’inferriata... La macchina da presa sosta al lavatoio, cogliendo gesti e volti di donne al lavoro. Poi, quando il sole è alto, s’inoltra in “mercati piccoli, incuneati in angoli di strade”. Le donne si parlano da una finestra all’altra, i bambini giocano. A Regina Coeli, scrutata in ampie panoramiche e in piccoli dettagli, il tempo sembra sospeso. Le due. “Trastevere riposa immobile dal Gianicolo alla Lungara”. Strade e vicoli vuoti.
a seguire

Estate violenta (1959)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: V. Zurlini, Suso Cecchi D’Amico, Giorgio Prosperi; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Eleonora Rossi Drago, Jean Louis Trintignant, Jacqueline Sassard, Cathia Caro, Enrico Maria Salerno, Lilla Brignone; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 98’



Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista s’innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violenta è stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l’abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo “peso” di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all’americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo [...] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell’ambiente analizzato in Estate violenta avevo cercato non di dare un’analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell’estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un’assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).
domenica 8

ore 16.30

Il deserto dei tartari (1976)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto: André G. Brunelin, Jean-Louis Bertuccelli, dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati; sceneggiatura: André G. Brunelin; dialoghi italiani: V. Zurlini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Kim Arcalli, Raimondo Crociani; interpreti: Jacques Perrin, Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Helmut Griem, Philippe Noiret, Jean-Louis Trintignant; origine: Italia/Francia/Germania Occidentale; produzione: Cinema Due, Fildebroc, Films de l’Astrophore, F. R. 3, Reggane Films, FIDCI, Corona Filmproduktion; durata: 150’



Il ventenne tenente di fresca nomina Drogo viene assegnato, forse per errore, alla fortezza Bastiani, ultimo baluardo posto ai confini dell’impero prima del deserto anticamente popolato dai Tartari. Nella postazione avanzata, tutti aspettano con ansia l’eventuale arrivo dei nemici come riscatto dall’opprimente grigiore della vita di guarnigione. «Il primo a voler girare Il deserto dei Tartari è stato Antonioni, poi Vittorio Gassman, Mauro Morassi, Franco Brusati... Insomma, è un progetto che ha interessato un po’ tutti i cineasti italiani. Quasi una chimera, un film impossibile. [...] L’interesse per un adattamento cinematografico coinvolge allora i francesi: Jacques Perrin pensa per primo di fare un film a partire dal Deserto dei Tartari. [...] Il film, costato quasi due miliardi di lire, ma in Francia ne sarebbe costati tre, è stato coprodotto da Italia, Francia, Germania e Iran. [...] La mia intenzione era di fare un finale estremamente fedele al libro. [...] Non è stato fatto perché per finire il film abbiamo dovuto pagarci le spese di viaggio. Abbiamo finito tutto il denaro disponibile: Jacques Perrin correva disperato tra Roma e Parigi per trovare il modo di comprare un po’ di pellicola. [...] È davvero per la mancanza di mezzi che non abbiamo potuto girare un finale conforme al libro, e seguire il finale previsto da Brunelin nella sceneggiatura. [...] Ho fatto otto film, e nei miei otto film c’è un tema minore – quello di Buzzati – che è contenuto nel tema maggiore. Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l’unica giustificazione. Io arrivo alla morte in tre dei miei film, Cronaca familiare, Seduto alla sua destra, La prima notte di quiete, con lo stesso significato che in Buzzati: la morte è la ragione della fine dei sentimenti. La validità di un sentimento non esiste, la validità di un’illusione non esiste, non c’è idealismo che tenga, non c’è nulla che sia al di fuori dell’amara sopravvivenza. Esiste una consolazione cristiana ma in un senso laico [...]. Così, senza arrivare alla grandezza tematica di Buzzati, tutti i miei film si assomigliano, dal primo all’ultimo. È inutile amarsi perché amarsi implica l’infelicità, è inutile credere in qualcuno, perché ci deluderà» (Zurlini).
ore 19.15

Un amore (1965)

Regia: Gianni Vernuccio; soggetto: dal romanzo omonimo di Dino Buzzati; sceneggiatura: Ennio De Concini, Eliana De Sabata, Enzo Ferraris; fotografia: Aldo Scavarda; musica: Giorgio Gaslini; montaggio: Gianni Vernuccio; interpreti: Rossano Brazzi, Agnès Spaak, Gérard Blain, Marisa Merlini, Lucina Morlacchi, Alice Field; origine: Italia/Francia; produzione: Produzione Vernuccio, Prima Film, P.I.P. - Paris International Productions (Francia); durata: 96’



«A Milano l’architetto Antonio Dorigo (Brazzi) conosce in una casa d’appuntamenti la giovane Laide (Spaak). Presto non può più farne a meno e sopporta ogni umiliazione e inganno da parte della ragazza, che ha vari altri amanti: compreso il giovane Marcello (Blain), col quale tresca sotto i suoi occhi. E un matrimonio borghese non guarisce Antonio. Adattamento con qualche variante del romanzo di Dino Buzzati [...]. Ai tempi lo videro in pochi e non piacque. Tuttavia, se è vero che la regia corretta e senza voli di Vernuccio è un po’ asfittica, risulta anche funzionale nel rappresentare una mania devastante quanto quella di Lolita, meno suscettibile di interpretazioni simboliche ma più fisica e carnale. E la descrizione dell’ipocrisia (col personaggio invadente della mezzana [Merlini]) è piuttosto forte per l’epoca. Brazzi accetta con coraggio un ruolo sgradevole. [...] Importante il ruolo delle musiche di Giorgio Gaslini; la canzone dei titoli di coda è cantata da Pino Donaggio» (Mereghetti).

Vietato ai minori di anni 18
ore 21.00

Adua e le compagne (1960)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: Ruggero Maccari, Ettore Scola, A. Pietrangeli; sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola, A. Pietrangeli, Tullio Pinelli; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Piero Piccioni; interpreti: Simone Signoret, Sandra Milo, Emanuelle Riva, Gina Rovere, Claudio Gora, Ivo Garrani; origine: Italia; produzione: Zebra Film; durata: 106’



Entrata in vigore la legge Merlin, Adua e le compagne decidono di proseguire il “mestiere” clandestinamente, dietro la facciata di una trattoria fuori città. Costituiscono una società e rilevano una cascina di campagna, che puliscono e sistemano riscoprendo la semplicità di una vita “normale”. Ma il passato non si può cancellare… «e per poter fare strada delle povere donne come loro non possono fare a meno di rivolgersi a protezioni e ad appoggi che in definitiva le conducono di nuovo alla rovina. Una tesi polemica, dunque, che la regia ha risolto spesso con mano ferma e sicura disegnandoci con buona intuizione psicologica i caratteri delle quattro protagoniste e risolvendo non di rado le situazioni drammatiche che le hanno al centro con piglio forte e risoluto, felice nell’evocare i climi affannosi e drammatici e felice, soprattutto, nell’alternarli, con tranquilla misura, a climi se non propriamente comici almeno amabilmente umoristici» (Rondi).

Vietato ai minori di anni 16
lunedì 9

chiuso
martedì 10



ore 17.00

Le soldatesse (1965)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Ugo Pirro; sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, V. Zurlini; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Anna Karina, Marie Laforêt, Lea Massari, Rossana Di Rocco, Valeria Moriconi, Tomas Milian; origine: Italia/Francia; produzione: Debora Film - Zebra Film, Franco London Film, Omnia Deutsch, Avala Film; durata: 120’



Fronte greco, 1942. Il tenente di fanteria Gaetano Martino viene incaricato di scortare un gruppo di prostitute destinate alle sedi militari. Dapprima offeso nella sua dignità di combattente, il giovane tenente sviluppa gradualmente un senso di solidarietà nei confronti di quella povera umanità degradata e si rende conto che molte di quelle donne hanno scelto il “mestiere” spinte dalla miseria e dalla fame. «Credo che l’interesse dei produttori per il progetto derivasse dal carattere un po’ paradossale del soggetto: un giovane ufficiale italiano deve condurre a destinazione non un plotone di soldati ma un gruppo di prostitute. Fu Morris Ergas a chiamarmi perché mi occupassi del film, circa un anno prima delle riprese. Presi conoscenza della sceneggiatura scritta da Piero De Bernardi e Leo Benvenuti, una sceneggiatura che mi pareva molto affascinante per certi aspetti [...]. In fondo, la sceneggiatura partiva da una chiave di natura intimista: poco a poco l’ufficiale, nel corso del viaggio lungo e avventuroso, finiva per considerare quelle quindici povere ragazze che si prostituivano per miseria, come dei veri soldati del suo plotone. Mi pareva che la nascita di un rapporto così intenso all’epoca dell’occupazione italiana in Grecia costituisse un tema assai stimolante [...]. Alla fine della guerra gli italiani sono stati abilissimi a far cadere tutte le responsabilità su Mussolini e sui tedeschi. Secondo me, ciò che fa l’importanza di Le soldatesse, importanza spesso misconosciuta, è il fatto che il film dice: “No, la colpa non era loro ma nostra, anche noi abbiamo fatto la guerra come loro e ci siamo comportati male”. E infatti è l’unico film italiano in cui si vede un massacro commesso da italiani, un atto di rappresaglia compiuto dalle camice nere, cioè dagli uomini che si distinguevano dai soldati normali soltanto per una differenza ideologica» (Zurlini).

Vietato ai minori di anni 14
ore 19.15

La banda Casaroli (1962)

Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Sergio Perucchi, Stefano Strucchi, F. Vancini; fotografia: Alessandro D’Eva; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Tatiana Casini; interpreti: Renato Salvatori, Jean-Claude Brialy, Tomas Milian, Gabriele Tinti, Adriano Micantoni, Isa Querio; origine: Italia; produzione: Documento Film, Le Louvre Film; durata: 100’



Le gesta della banda Casaroli, tristemente nota alle cronache per una serie di rapine in banca compiute nel 1950, partendo da Bologna, in alcune città italiane. Vancini «ha avuto […] la mano felice nel contrasto tra i fatti e la cornice, sulla singolarità di una tragedia americanizzata, inquadrata nella più pacifica e refrattaria città italiana, Bologna: sia nel disegno dei personaggi, sia nell’analisi del loro rapporto, sia nell’immergere la loro vicenda nella brumosa e malinconica scenografia dell’inverno petroniano» (Cattivelli). Il film fu rimontato per volere di De Laurentiis e a Vancini non piacque la nuova versione. «Ho conosciuto i ragazzi della generazione Casaroli: gente che usciva dalla guerra con le armi in tasca, o a portata di mano» (Vancini).
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