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1.4.2. METODOLOGIA ADOTTATA PER L'INQUADRAMENTO FAUNISTICO

La mobilità e la dinamicità delle popolazioni animali, nonché l’elusività di molte specie selvatiche rende piuttosto difficoltoso il loro monitoraggio. A tal proposito, l’inquadramento faunistico dell’area è stato effettuato utilizzando ed integrando più metodologie, in particolare, si è potuta rilevare la presenza della fauna selvatica, tramite osservazioni dirette (avvistamento dei soggetti) e indirette, valutando cioè la presenza dei soggetti, in base alle tracce di varia natura, reperite lungo il territorio e che ne che ne attestavano l’esistenza.

Le specie animali, inoltre, sono state monitorate, valutando le caratteristiche degli habitat, nonché delle faune ad esse associate. In particolare, al fine di fornire dati obiettivi su cui basare le scelte e gli interventi di tutela corretti scientificamente e calibrati in base all’ambiente e ai gruppi tassonomici interessati, si è scelto il metodo di rilevamento su percorso lineare (LINE TRANSECT), effettuando osservazioni dirette, associate a quelle indirette, lungo tracciati prefissati entro l’area ritenuta d’interesse.

Tali tracciati sono stati percorsi con vari mezzi (a piedi e in auto, in base alla morfologia del territorio), a velocità costante. Tale metodo è stato scelto per la sua larga applicazione verso un elevato numero di specie e ambienti, in considerazione dell’elevata eterogeneità dei luoghi che caratterizza l’area in oggetto.

In particolare per gli anfibi si è ricorso all’osservazione diretta degli adulti, nonché all’osservazione indiretta tramite la ricerca delle ovature, dei girini (Anuri) e delle larve (Urodeli).

La ricerca è stata effettuata nei momenti migliori, quali il periodo primaverile – estivo, in giornate umide senza vento, in acque dove la corrente non è molto veloce, in ambienti azonali, quali pozze, abbeveratoi e fontanili. Per quanto attiene alle indagini conoscitive sui rettili, fortemente influenzati per le attività, come il precedente gruppo, dalla temperatura dell’aria e del terreno, oltre all’osservazione e al riconoscimento diretto, è stato effettuato il riconoscimento delle uova, delle feci e dell’esuvie, a metà mattina e nel pomeriggio, tra la primavera e l’estate, approfondendo la ricerca agli ambienti più idonei, quali quelli di transizione, le siepi, le bordure, le pietraie vicino all’acqua, i boschi radi, le ceppaie e i ruderi abbandonati. Relativamente agli uccelli, oltre a ricorrere all’avvistamento diretto con strumenti ottici lungo i transetti, si è ricorso al riconoscimento di orme, piste, borre, resti alimentari, escrementi, nidi, in differenti periodi dell’anno, in base alla fenologia delle specie. Specificatamente, il periodo invernale, ha rappresentato il periodo maggiormente proficuo per la ricerca e l’osservazione di vecchi nidi.

I mammiferi sono stati indagati durante tutto il periodo dell’anno tramite osservazioni dirette, nonché tramite il riconoscimento di orme, piste, escrementi, resti alimentari, tane, covi, ecc. Per ogni traccia rilevata integrando l’osservazione diretta con l’individuazione di ulteriori segni (per es. fatte), il tipo di ambiente, il periodo dell’anno, nonché la conoscenza della fauna locale, si è potuta individuare e attribuire la relativa specie. Nel caso dei Chirotteri sono stati analizzati i dati ottenuti tramite i censimenti bioacustici.

Di seguito si riportano le principali metodologie di campo adottate per il rilevamento delle specie animali presenti nei SIC, suddivise per gruppi tassonomici.


MAMMIFERI

Le informazioni sulla presenza della maggior parte dei Mammiferi sono state ricavate attraverso l’esame di borre di rapaci (micromammiferi) o attraverso l’esame di tracce o altri segnali che si possono rinvenire in natura, inequivocabilmente identificabili.

Per quanto riguarda specificatamente i Chirotteri, sono stati effettuati censimenti bioacustici nei siti ritenuti di maggiore interesse che potevano essere possibili roost e presso gli habitat di foraggiamento individuati nell’area. Sono state scelte alcune stazioni strategiche presso cui effettuare i censimenti sonori all’ora del tramonto, quando i chirotteri escono dai rifugi, in modo da accertarne la presenza degli individui e identificarne le specie. Sono state inoltre scelte alcune stazioni negli habitat di alimentazione presenti all’interno dei SIC.

I segnali d’ecolocalizzazione emessi dai chirotteri contattati in volo, sono stati captati con un bat detector D980 (Pettersson Elektronic AB, Uppsala) in divisione di frequenza e immediatamente convertiti con la modalità in espansione temporale, il segnale in uscita è stato registrato su cassette Sony Metal XR, collegando il bat detector con un registratore portatile (Sony Professional Walkman WM-D6C). I segnali registrati sono stati successivamente analizzati con il programma Bat Sound 1.0 (Pettersson Elektronic AB, Uppsala), che mostra gli spettrogrammi dei segnali. Dallo spettrogramma sono stati estrapolati i dati caratteristici del segnale in esame e, una volta inseriti in un database di riferimento, sono stati confrontati con segnali di nota identità (cfr. RUSSO & JONES, 2002). Il confronto statistico ha fornito l’identità del segnale incognito e il grado di attendibilità del risultato. Per avvalorare i dati, si è posto un valore minimo di attendibilità del risultato (80%), al di sotto del quale i risultati ottenuti sono stati invalidati.


UCCELLI

I dati quali-quantitativi sugli uccelli (specie nidificanti e svernanti) sono stati raccolti mediante contatti a vista in natura, con attrezzatura ottica (binocolo, cannocchiale) e attraverso il riconoscimento canoro (canti, richiami ed altre manifestazioni sonore delle diverse specie). Per alcune specie, in particolare Strigiformi, sono state raccolte tracce della loro presenza (ad es. borre, che sono state analizzate in laboratorio allo stereomicroscopio). La stima della frequenza si è basata soprattutto sul numero di contatti nei differenti habitat frequentati dalla specie secondo metodologie standard (transetti, punti d’ascolto). Le specie migratrici sono state contattate durante le stagioni migratorie primaverile ed autunnale ed inoltre si è fatto ricorso ai data-base delle campagne d’inanellamento.


RETTILI E ANFIBI

Per quanto riguarda i Rettili la maggioranza dei dati si basa su osservazioni dirette; si è tenuto conto anche del reperimento di esuvie di serpenti o di carapaci di testuggini, facilmente identificabili. Occasionalmente si è proceduto alla cattura di sauri con le mani o mediante apposito bastone con cappio.

Relativamente agli Anfibi, al di là dei ritrovamenti occasionali in ambiente terrestre, è stato invece condotto uno specifico programma di individuazione degli ambienti acquatici ricadenti all’interno dei SIC sia di acqua lentica (stagni/pozze temporanee, vasche e stagni agricoli permanenti, abbeveratoi) che di acqua lotica (canali, fiumi e torrenti). Durante i campionamenti, tramite osservazione diretta e ricerca attiva per mezzo di un retino con maglia di 1 mm, è stata stabilita la presenza/assenza di individui adulti o giovani, che sono stati catturati, identificati sul campo e successivamente liberati, e di uova, larve o individui neometamorfosati, e di maschi in canto. Tutti i siti di campionamento sono stati caratterizzati tramite l’utilizzo dei seguenti parametri, i cui valori sono stati registrati in occasione delle attività di campionamento:

- Fase del ciclo idrologico

- Dimensioni

- Torbidità

- Temperatura

- Copertura vegetale

- Vegetazione circostante
PESCI

Oltre ai dati ricavati in loco mediante interviste o occasionali osservazioni dirette, si è proceduto, laddove necessario, ad una raccolta di dati di campo mediante utilizzo di tecniche di elettropesca.


INVERTEBRATI

E’ stata svolta una generica indagine sugli Invertebrati presenti, attraverso la ricerca diretta in campo effettuata con i metodi standard utilizzati (uso di retini, retini da sfalcio, raccolta diretta su piante, sotto pietre, ecc.). Utili informazioni sono state ottenute anche attraverso l’analisi delle borre di rapaci.

Relativamente ai Lepidotteri diurni, è stato utilizzato il metodo naturalistico basato sul riconoscimento in campo, ormai consolidato al punto che esistono diverse guide sul butterflywatching. In particolare sono stati svolti specifici sopralluoghi nei mesi primaverili-estivi, e

sono state effettuate numerose osservazioni sul comportamento e soprattutto sul ciclo riproduttivo delle diverse specie, nonché sugli eventuali fattori abiotici che condizionano la presenza dei lepidotteri.

La maggioranza degli Ortotteri Coleotteri ed Imenotteri significativi è stata identificata in campo, in alcuni casi è stato necessario raccogliere qualche esemplare ed identificarlo al binoculare in laboratorio.

Per gli habitat acquatici specifica attenzione è stata rivolta alla presenza di Crostacei, considerati buoni indicatori della qualità dei corpi idrici.


CARTE TEMATICHE

Relativamente ai criteri utilizzati per la cartografia dell’idoneità faunistica, relativa alle diverse specie di fauna selvatica presenti all’interno dei SIC, tenendo conto che ogni specie occupa in natura uno o più habitat identificabili dal tipo di vegetazione predominante, sono state utilizzate come cartografie di base quelle relative all’uso del suolo ed agli habitat individuati dai botanici; in particolar modo si è fatto riferimento agli habitat citati negli Allegati della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE.

Gli habitat campiti, per le varie specie, sono quelli sia reali (in cui la specie è stata più volte osservata direttamente o indirettamente) sia potenziali (in cui le aree posseggono le caratteristiche ambientali idonee affinché la specie vi possa nidificare o svernare). All’interno dei poligoni che identificano uno o più habitat, le specie possono essere distribuite in modo uniforme o in modo discontinuo o localizzato.

Nel definire i diversi gradi di priorità a fini faunistici dei vari ambienti sono stati considerati:

- habitat di riproduzione: gli habitat frequentati dalla specie, per la riproduzione e le attività connesse (corteggiamento, roosting, etc).

- habitat di alimentazione o di foraggiamento: gli habitat utilizzati dalla specie per alimentarsi e per le attività connesse (caccia, ricerca attiva della risorsa, controllo del territorio, etc), comprendendo anche gli habitat utilizzati dai migratori a tale scopo.

- habitat di ovideposizione: sono stati individuati e distinti da quelli di riproduzione soltanto nel caso della erpetofauna.

- habitat di sosta, permanenza e riposo: che includono gli habitat utilizzati a tale scopo dalla specie, comprendendo anche gli habitat utilizzati dai migratori a tale scopo.

- habitat utilizzati per lo spostamento: che individuano gli habitat utilizzati dalla specie per spostarsi fra habitat più idonei.

- habitat utilizzati per la termoregolazione: presi in considerazione soltanto per i Rettili.

- habitat utilizzati per lo spostamento durante migrazioni stagionali: presi in considerazione soltanto per gli Anfibi.

- habitat utilizzati per la ricerca degli ospiti: presi in considerazione soltanto per gli Imenotteri parassitoidi.

Una specie può utilizzare ciascun habitat per svolgere più funzioni, non è raro ad esempio che per gli Uccelli esso possa essere utilizzato sia per la riproduzione che per il foraggiamento. Tutte le informazioni sono state organizzate in un database e collegate, secondo una procedura di “join”, alla carta della vegetazione ottenendo una carta della idoneità degli habitat dei SIC in scala 1:10.000.


1.4.3. LA FAUNA

Grazie all’analisi dei risultati ottenuti tramite le indagini sulla fauna vertebrata presente nelle aree, si è potuta stilare una lista delle specie importanti per ognuna di esse, precisando che, numerose specie presentano ampia valenza ecologica e un home range di elevate dimensioni per cui lo status non si riferisce ai soli siti di indagine ma va considerato per i territori limitrofi e per alcune specie, per l’intero territorio lucano.

Alcune specie inserite nell’allegato I della direttiva uccelli, come Pernis apivorus e Falco peregrino, presentano un ampio home range, utilizzando l’area per la nidificazione e compiendo grandi spostamenti per la ricerca del cibo, mentre altre come ad esempio i rapaci notturni frequentano le aree per ragioni trofiche costruendo il nido in aree distanti anche decine di km.

Tra le specie di uccelli migratori abituali dell’Allegato I della Direttiva Uccelli 2009/147/CE è presente il Martin pescatore (Alcedo atthis). Il martin pescatore è una SPEC 3 e rientra anche nell’allegato II della Convenzione di Berna. E’ protetto anche a livello nazionale dalla l. n. 157/92 ed è considerata specie prioritaria a livello regionale.

Il martin pescatore è stato sottoposto negli ultimi anni ad alcuni fattori antropici di disturbo come l’inquinamento delle acque, gli interventi di cementificazione delle sponde dei fiumi e la canalizzazione degli alvei, che hanno ridotto gli ambienti idonei alla sua nidificazione. La specie necessita quindi di interventi di conservazione connessi alla rinaturalizzazione delle rive dei fiumi e dei canali. Esso, infatti, nidifica generalmente in prossimità di corsi d’acqua, di zone umide palustri e di piccoli stagni, torbiere, cave e fossati posti a quote non superiori a 500 m. La specie non è particolarmente influenzata dalla copertura arborea, mentre risente piuttosto marcatamente dell’urbanizzazione.

All’interno dei siti in oggetto, oltre a quelle brevemente descritte sopra, si evidenzia un gran numero di taxa e varie specie di chirotteri e micromammiferi, che testimoniano direttamente il grado di importanza del sic per la loro conservazione. Tra le specie elencate nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE, sono presenti tra i mammiferi, i Chirotteri Rhinolophus hipposideros, Rhinolophus ferrumequinum, e Myotis emarginatus e tra i rettili Elaphe quatuorlineata, rilevati tutti nel S.I.C. Acquafredda di Maratea (IT9210015).

I Chirotteri rappresentano l'ordine dei Mammiferi con il maggior numero di specie e gli animali maggiormente sensibili ai cambiamenti ambientali.

La particolare biologia dei Chirotteri li rende fortemente vulnerabili verso numerosi fattori limitanti.

Il basso tasso riproduttivo, i tempi lunghi di gestazione e di svezzamento, la tendenza delle femmine a riunirsi in grosse concentrazioni per il parto e l'allevamento dei piccoli, spiegano come singoli eventi distruttivi (anche limitati a una sola colonia) possano avere effetti sul popolamento di una intera Regione.

Inoltre, la dieta strettamente insettivora rende i pipistrelli soggetti a fenomeni di bioaccumulo per gli agenti tossici di origine antropica.

Per questi motivi, attualmente i Chirotteri europei sono considerati in forte diminuzione a livello globale e pertanto inseriti tra le specie rigorosamente protette (Allegato II) dalla Convenzione di Berna e dalla Convenzione di Bonn, nonché dal successivo "Accordo sulla conservazione dei pipistrelli in Europa".

Tra i numerosi fattori limitanti si hanno le oscillazioni climatiche, l'alterazione e la distruzione degli habitat forestali tipici di molte specie, la chiusura di cave, miniere e gallerie, l'utilizzo di pesticidi, insetticidi e di altri trattamenti chimici nell'agricoltura e nell'edilizia.

L'influenza umana si esercita attraverso una vasta gamma di interventi diretti e indiretti, come quelli sopra elencati. In particolare tra gli interventi diretti si ha la persecuzione diretta, volontaria, tramite l’espulsione delle colonie dai siti di rifugio, o a causa di vandalismo oppure involontaria tramite il disturbo recato alle colonie da numerose attività, come ad esempio l'attività speleologica, l'abbattimento di vecchi alberi per le specie fitofile, il rifacimento delle coperture degli edifici per le specie antropofile.

Tra la teriofauna, specialmente, nelle zone a macchia-foresta mediterranea sono presenti specie, quali tra gli Insectivora: il Riccio (Erinaceus europaeus, Erinaceidae), il Mustiolo etrusco (Suncus etruscus, Soricidae), tra i Rododentria: Muridae delle specie Apodemus sylvaticus, Rattus norvegicus, Rattus rattus, Mus domesticus.

Tra i mammiferi carnivori si è riscontrata l’elevata presenza di Vulpes vulpes e tra i mustelidi la faina e la donnola (Mustela nivalis).

Tra i grossi mammiferi, all’interno dei siti a terra l’unico Ungulato presente allo stato selvatico è il Cinghiale, che nell’attuale panorama della gestione faunistica italiana, riveste un ruolo contestualmente peculiare e problematico, per le sue caratteristiche biologiche e per la grande adattabilità alle condizioni ecologiche più varie. Tale specie esercita un forte impatto negativo sulle attività agricole soprattutto a causa dell’attività di scavo (rooting) ma al contempo sono innegabili gli aspetti positivi connessi alla sua presenza nelle aree protette, quale elemento di ricchezza per l’ecosistema e quale base trofica dei grandi carnivori in ambiente appenninico.

Come più volte specificato i siti presentano un elevato interesse ambientale legato soprattutto all’eterogeneità degli habitat presenti, a cui corrisponde un’elevata ricchezza di zoocenosi. Tra gli indicatori faunistici fortemente indicativi ai fini dello studio dell’efficienza ecologica del sito e della funzionalità degli habitat, sono dotate di elevata ricchezza specifica le comunità ornitiche.

Nel corso dell’indagine si è data particolare importanza all’individuazione delle specie di rapaci diurni che frequentano il territorio protetto, al fine di valutare il tipo di utilizzo delle diverse tipologie ambientali, con l’obiettivo finale di formulare le proposte ottimali per la gestione dell’area, mirate alla conservazione della locale popolazione dei rapaci diurni.

Particolare attenzione nella ricerca è stata prestata alle specie di rapaci diurni di interesse comunitario, rilevando la presenza di specie importanti nidificanti, tra cui Buteo buteo, Pernis apivorus, Falco peregrinus e Falco tinnunculus.

Durante la ricerca dei possibili siti idonei per i rapaci diurni si è riscontrata la presenza del corvo imperiale, Corvus corax, che occupa nicchie ecologiche simili a quella ricercate da alcune specie di rapaci diurni.

Sono numerose le specie di rapaci notturni stanziali nell’area, quali Tyto alba e Athene noctua, e tra quelli migratori nidificanti Asio otus. Lo status delle popolazioni di Rapaci notturni in tutta Italia, anche se di difficile valutazione, non sembrano fornire elementi di preoccupazione.

Si è visto che tra gli elementi del paesaggio antropizzato che possono minare la sopravvivenza di queste e di altre specie dell’avifauna presenti stabilmente o di passo nell’area (per es. Grus grus), un ruolo prioritario può essere assegnato alle linee elettriche, sia per quanto riguarda gli episodi di mortalità causati dai tentativi di attraversamento di barriere fisiche o di folgorazione conseguente alla posa su cavi elettrici, sia relativamente all’interruzione della connettività ecologica con conseguente riduzione della superficie necessaria alla sopravvivenza. Al fine di salvaguardare le popolazioni di avifauna sensibili a questa problematica si raccomanda la ricerca e la sperimentazione di misure di mitigazione per ridurre tali impatti così come indicato nelle Convenzioni di Bonn e Berna e dal Ministero dell’Ambiente in accordo con l’ISPRA.

Come precedentemente specificato gli uccelli rappresentano uno dei gruppi di maggiore interesse conservazionistico e gestionale, nonchè gli indicatori ecologici più appropriati per il monitoraggio della biodiversità. Le aree in oggetto rivestono particolare interesse dal punto di vista ornitologico, in modo particolare oltre a presentare habitat di elevato pregio naturalistico, con la loro posizione geografica offrono opportunità uniche di sosta ai migratori Paleartico-Africani impegnati in prolungati voli di attraversamento di ampi tratti di mare.

Alcune aree all’interno dei siti rappresentano un importante habitat di riproduzione per alcune specie migratrici, tra queste si annoverano Apus apus, Apus pallidus, Saxicola torquata, Columba palumbus, Turdus merula, Turdus viscivorus.

Tra le popolazioni ornitiche stanziali di elevata importanza all’interno degli ecosistemi forestali sono le numerose specie insettivore tra cui Picus viridis, Dendrocops major assieme a numerose altre specie di passeriformi migratori e non. Le zone di transizione sono frequentate da numerose specie sedentarie quali Passera d’Italia, Gazza, Occhiocotto, Cinciallegra, Cinciarella, Cardellino e specie migratrici come ad esempio l’Upupa, l’Assiolo, la Capinera, il Fringuello. Il picchio verde, in particolare, ha uno status di conservazione sfavorevole in tutta Europa, le cause di minaccia sono probabilmente da imputare a cambiamenti nella conduzione forestale e nella diminuzione della pastorizia (e quindi al numero di insetti presenti). La specie è protetta a livello nazionale (L. 157/92 art. 2) e rientra nell’allegato II della Convenzione di Berna.

Nell’area sono ampiamente rappresentate anche le cenosi ad anfibi e rettili, anch’essi utili indicatori.

In particolare, tra i rettili, si è riscontrata la presenza di Elaphe quatuorlineata, specie inserita nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE, e che costituisce un importante elemento guida.

Sulla conservazione delle numerose specie prioritarie presenti nell’area dovranno essere orientati gli interventi di protezione, le misure gestionali, le scelte di pianificazione e ogni altra azione volta alla loro tutela.

Analizzando le specie faunistiche prioritarie presenti, si riconosce il ruolo primario che gli ambienti indagati svolgono nel mantenimento delle specie presenti, appare, pertanto necessaria una loro protezione vigorosa da qualunque attività che ne modifichi lo stato.

In particolare si ritiene auspicabile l’interdizione di attività antropiche che possano compromettere la naturalità degli habitat, da associarsi con il dimensionamento del pascolo, nelle aree sfruttate in tal senso.

Le risorse naturali, infatti, possono essere esaltate attraverso una gestione integrata tra attività produttive e naturalistiche plasmate secondo le “vocazioni” ambientali di un determinato luogo.

Tra le numerose attività possibili, di notevole importanza ai fini dell’incremento faunistico risultano gli interventi di gestione e di miglioramento degli habitat agro-forestali, che cercano di eliminare o almeno ridurre gli impatti negativi delle attività agricole e non, creando e ripristinando, al contempo, le condizioni ambientali più favorevoli alla fauna.

Tra queste, risultano prioritarie al fine del ritorno e del mantenimento di determinate specie faunistiche, in particolare gli anfibi (sia anuri che urodeli) appare prioritaria la conservazione e il ripristino di piccole pozze d’acqua naturali per l’abbeveraggio del bestiame domestico.

È di indubbia necessità nelle zone interessate, il monitoraggio costante delle popolazioni di cinghiale al fine di prevenire una loro eccessiva densità, che eserciterebbe un’azione distruttiva su soprassuoli e piccoli corsi d’acqua, con conseguenti danni a diverse componenti della zoocenosi, con particolare riguardo a micromammiferi, anfibi, rettili, d’interesse comunitario.

Un altro gruppo di interventi dovrebbe prevedere la modifica di pratiche agricole ritenute dannose per la fauna selvatica (per es. svolgimento delle pratiche agricole di raccolta e sfalcio dei foraggi con barra d’involo, sfalcio ritardato, astensione dallo sfalcio di appezzamenti di cereali o leguminose in presenza di siti di riproduzione di specie che nidificano a terra, innalzamento delle barre di taglio ad almeno 25 cm per i foraggi e 45 cm per i cereali e girasole).

Di notevole importanza poi risulta il mantenimento e la corretta gestione dei margini erbacei non coltivati, soprattutto in considerazione dell’intensa antropizzazione dell’area, in particolar modo in corrispondenza del SIC Marina di Castrocucco (IT9210155).

Questi tipi di ecotoni, noti con il nome di field margins, sono rappresentati da aree non coltivate di margine; tra le più importanti dal punto di vista ambientale si distinguono siepi, alberi, frangivento, nonché fasce erbose come le banchine delle strade, canali e fossi, scoline inerbite, fasce erbacee di confine tra coltivazioni, ecc.

Tali aree sono spesso utilizzate dagli animali selvatici come aree di rifugio, riproduzione ed alimentazione e pertanto dovrebbero essere previste misure di sovvenzione specifiche per favorirne la conservazione.

Siepi, alberi e frangivento rappresentano elementi fissi del paesaggio rurale, nonchè le strutture ecologiche di maggiore rilevanza naturalistica e faunistica soprattutto se fortemente antropizzato.

Questi elementi, infatti diversificano significativamente il paesaggio sub-urbano formando numerosi micro-habitat semi-naturali e svolgendo l’importante ruolo di rifugi, siti di alimentazione e riproduzione per numerose specie selvatiche.

Tra gli elementi meglio utilizzabili e sicuramente di positivo effetto per l’incremento della popolazione di numerose specie selvatiche (riccio, volpe, passeriformi, ecc…), nonchè facilmente reperibili nell’ambiente in esame, si ricordano: varie specie di ginestra, biancospino, prugnolo, caprifoglio, sorbo degli uccellatori, nocciolo, rosa canina, lentisco, mirto, corbezzolo, alaterno, fillirea, acero campestre, carpino, olmo, melo selvatico, perastro, sorbo comune, corniolo, orniello, querce, salici, pioppi, ecc.

Tali elementi oltre ad assicurare un buon valore estetico e faunistico, apportano notevoli vantaggi all’agricoltura: limitazione dell’erosione, riduzione dei danni da vento sulle colture, presenza di microfauna terricola utile alle colture, presenza di predatori di specie fitofaghe, incremento impollinatori, disponibilità di prodotti secondari (legna da ardere, miele, frutti, ecc.).

Per quanto attiene alle misure gestionali per il mantenimento delle popolazioni vitali di Chirotteri, le proposizioni gestionali consistono nell’evitare l’alterazione delle sponde di canali, la conservazione di vecchi alberi cavi o con crepe e fessure, il mantenimento, nelle abitazioni, delle coperture a coppi,.

È importante, infatti, la valutazione della presenza di Chirotteri antropofili durante eventuali interventi di manutenzione, e nel caso, evitare l’utilizzo di sostanze tossiche nelle aree interessate.

Occorre, inoltre interdire la chiusura di fenditure, cavità e crepe in corrispondenza delle formazioni rocciose e attuare misure di conservazione per l’entomocenosi.

Riguardo al mantenimento di specie ornitiche, nidificanti lungo le pareti rocciose, è necessario delineare delle differenti linee guida in base al valore faunistico delle stesse al fine di delineare per tali ambienti azonali le corrette misure gestionali: per esempio è auspicabile in corrispondenza delle pareti che ospitano specie assai rare quali il falco pellegrino, nonché il pecchiaiolo, interdire sempre l’accesso; mentre lungo le pareti sulle quali nidifica almeno una copia di rapaci diurni, interdire l’accesso solo per alcuni periodi dell’anno, dal 15 febbraio al 15 luglio.

In tutte le aree forestali gli interventi selvicolturali devono essere programmati al fine di consentire il riequilibrio forestale e la tutela della complessità ecologica dei boschi, si dovrà, inoltre, evitare un’eccessiva raccolta della legna secca, e garantire la disetaneità delle fitocenosi.

All’interno dei boschi di leccio è importante prevedere il mantenimento e la creazione di zone aperte, dove si possano creare le condizioni adatte per la diffusione di specie erbacee, in territori caratterizzati dalla presenza di boschi e arbusteti.

Questa tipologia d’intervento riguarda soprattutto le zone di alta collina, dove a causa dell’abbandono dei pascoli e dei coltivi, il bosco tende a chiudersi e a formare ambienti monotoni ed omogenei.

Piccole aree aperte o coltivate estensivamente rappresentano in tale contesto importanti siti ecologici per la fruizione da parte della fauna selvatica e per una maggiore biodiversità.

La riduzione di questo tipo di ambienti (habitat eterogenei: presenza contemporanea di coltivo, pascolo, bosco, cespugliato ed incolto) ha comportato la scomparsa e la riduzione di tutte quelle specie legate agli ambienti eterogenei come ad es. lepri, tassi, istrici, Galliformi, Tetraonidi ed alcuni Passeriformi.

Di singolare importanza, risulta all’interno delle zone boscate la presenza di specie, quali Picus viridis e Dendrocops major, che rappresentano importanti indicatori biologici della prossimità allo stato naturale dell’ecosistema. I cambiamenti gestionali ed in particolare l’asportazione dal bosco di grandi e vetuste querce, nonché di latifoglie nobili morte in piedi, potrebbero, pertanto, rappresentare una seria minaccia alla sopravvivenza di popolazioni stabili di picchio.

A tal fine si auspica l’applicazione di una selvicoltura che tenda a mantenere il più possibile lo stato naturale nelle aree di maggiore importanza per tali specie. Tali aree potranno essere determinate attraverso l’inanellamento scientifico ed il censimento a vista al fine di localizzare le zone con la maggiore concentrazione di alberi scelti come siti di nidificazione e per la ricerca di risorse trofiche dalla specie.

Uno degli aspetti più importanti da tenere in considerazione è il problema degli incendi sia per cause naturali che sociali. La misura più efficace di lotta agli incendi resta comunque quella della prevenzione in quanto meno impattante all’interno di un territorio protetto e perché riduce le possibilità che l’evento si verifichi.

Tra le emergenze è apparsa prioritaria la definizione di corrette misure di gestione di Callosciurus finlaysonii, specie aliena, che presenta un’elevata entità di popolazione con alto grado di penetrazione nelle cenosi naturali. Tale specie occupa, attualmente tutta la fascia costiera della Basilicata e dalle indagini è apparsa in notevole espansione verso le zone più interne, rappresentando una reale minaccia per la conservazione delle biocenosi naturali dell’Italia meridionale. Dopo una fase iniziale di incremento lieve, l’espansione della popolazione è stata rapidissima e, attualmente, interessa circa 26 Km2 di territorio, con forte rischio di colonizzazione dei boschi di latifoglie dell’interno (Aloise et al., 2005).

Il contenimento di tale specie, infatti, assume notevole importanza conservazionistica, in considerazione degli effetti negativi sulle fitocenosi, a causa dell’intensa attività di scortecciamento sull’essenze arboree e per la potenziale competizione con Sciurus vulgaris meridionalis, specie autoctona dell’Italia meridionale e con altre specie semiarboricole e arboricole. Numerosi studi hanno evidenziato che l’alto successo delle introduzioni di queste specie è probabilmente legato all’opportunismo alimentare e al loro elevato tasso riproduttivo. Al momento, nelle aree di introduzione sono segnalati fenomeni di competizione con lo scoiattolo comune (Sciurus vulgaris) e danni alla vegetazione arborea e a manufatti. Si è osservato che lo scortecciamento (bark-stripping) avviene in primavera, con lo scopo di potersi nutrire della linfa e in inverno per raggiungere i tessuti sottostanti.

In accordo con la strategia europea, l’Italia deve implementare un sistema di risposta rapida per evitare future introduzioni di scoiattoli. Nel frattempo queste specie dovrebbero essere sottoposte a misure restrittive del commercio. Considerando i possibili rischi per la biodiversità e per alcune attività umane, l’Italia dovrebbe adottare un principio di precauzione, rimovendo vecchi e nuovi nuclei di specie introdotte prima che queste si espandano su ampie superfici (Bertolino et al, 2005) .

Per rispondere alla minaccia delle specie aliene che attualmente in Europa costituiscono un serio problema sia in termini di grave un impatto sociale che economico, con conseguenze sulla salute umana, sulla pesca, sull’agricoltura e sulla produzione di alimenti, l’Unione Europea si è impegnata a sviluppare una strategia comunitaria di azione, basata su un sistema coordinato di misure di prevenzione delle invasioni e di mitigazione degli impatti.



A livello internazionale si conviene che il problema necessita di un approccio in più fasi, le principali riguardano: la prevenzione, che rappresenta lo strumento più efficace con maggiori controlli alle frontiere e uno scambio di informazioni a livello regionale, nazionale e internazionale; l’eradicazione delle specie aliene tramite un coordinamento centrale; e infine nei casi in cui l’eradicazione non sia possibile, il contenimento e il controllo nel lungo termine al fine di arrestare l’ulteriore diffusione delle specie invasive. A tal fine, alcuni studi su altre specie di scoiattoli hanno rilevato che un metodo considerato accettabile in Italia è quello del trappolamento in vivo (utilizzando di live-trap) e successiva eutanasia. Tuttavia, tale metodo, trattandosi di una specie presente nell’area dagli anni ‘80, potrebbe incontrare il dissenso di parte della popolazione e degli animalisti. Tra le soluzioni più idonee la soluzione migliore potrebbe essere quella del controllo della popolazione tramite sterilizzazione. La sterilizzazione chimica è ancora in fase di sperimentazione, mentre la sterilizzazione chirurgica è già tecnicamente possibile, ma di fatto non sempre realizzabile, a causa di costi elevati e problemi logistici dovuti all’elevato numero di esemplari (Milana et al., 2010)
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