Tuttavia il nome Diego non è di origine valenzana essendo documentato per la prima volta da quel ramo degli Zapata che, fin dal secolo XII, si muove nell’areale circostante la città di Calahorra (La Rioja Baja), zona cuscinetto tra la Navarra e la Castiglia, prossima ai confini settentrionali dell’Aragona332.
Nella cosiddetta ‘Guerra de los dos Pedros’ che oppose i re Pietro IV d’Aragona e Pietro I di Castiglia (1356-1369), un cavaliere di nome Diego Zapata figura alcaide del castello aragonese di Los Fayos (Saragozza)333 quando l’omonimo giunto in Sardegna nel 1323 era già morto da diversi anni.
Per definire la condizione sociale di questo lignaggio in epoca basso medievale sono stati utilizzati a seconda degli autori una varietà di termini quali bassa nobiltà, aristocrazia locale, cavalieri locali. A quest’ultima categoria sembrerebbe appartenere il Diego Zapata che seguì l’infante Alfonso nella spedizione di conquista della Sardegna e che compare nei registri di cancelleria della serie Sardiniae col titolo di miles334.
In ricompensa dei servigi prestati alla Corona detto infante gli concesse in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati 4.000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, riservando per sé il mero imperio, il laudemio, la fatica di trenta giorni e il diritto di appello da parte degli abitanti. Contemporaneamento affidò a Pere de Llibià e Arnau de Caçà, amministratori generali dei redditi nell’isola, il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo, le cui rendite non eccedessero i 4000 soldi annui335. A questa donazione fece seguito l’investitura delle ville di Ortacesus e Quirra, site rispettivamente nelle curatorie di Trexenta e Sarrabus336.
Dopo il secondo trattato di pace stipulato tra Aragona e Pisa (25 aprile 1326)337 Diego Zapata perse la sua villa di Ortacesus a vantaggio del comune toscano, essendogli riconosciuto il diritto a rientrarne in possesso qualora la Corona l’avesse in qualche modo recuperata338.
Nel corso della sua breve esperienza di feudatario del regno di Sardegna entrò in contrasto col castellano di Quirra al quale non forniva quanto avrebbe dovuto per il mantenimento del castello339 e risulta deceduto alla data del 10 marzo 1332 quando il re Alfonso IV ingiunse al suo erede (non nominato) di prestare il servizio militare nella guerra contro i genovesi con un cavallo armato e uno alforrato340.
Da fonte letteraria apprendiamo che gli succedette il figlio Garcia, il cui nome, come quello del padre, è ben attestato tra gli Zapata del ramo riojano. Garcia Zapata morì pochi anni dopo il padre e i suoi discendenti non riuscirono a conservare il feudo che passò sotto il controllo del conte di Quirra341.
5.11. Guillem Sapera signore di Bangio Donico
Guillem Sapera o ça-Pera (Guillelmus de Petra nei documenti in latino) è un personaggio noto per aver preso parte alla spedizione di conquista della Sardegna del 1323-24 tra le fila dell’armata catalano-aragonese.
Narrano le fonti che durante il primo assedio a Castel di Cagliari, alla testa di soli otto cavalieri, si distinse in un temerario assalto alla porta di San Pancrazio, rischiando poi di soccombere dinanzi alla controffensiva dei pisani. Uomo di guerra dunque, verosimilmente cavaliere, al quale nel 1325 fu affidato il comando delle truppe inviate via mare a Porto Torres per sedare la ribellione di Sassari342.
Pur non essendo di origini nobili – il padre Bonanat Sapera era cittadino di Barcellona343 – non apparteneva certo ad una famiglia di secondo piano: il fratello, di nome anch’egli Bonanat, era infatti notaio regio e fido guardasigilli dell’infante Alfonso344, ed egli stesso suo domestico e segretario345.
Come premio per i servigi prestati alla Corona l’infante gli concesse una rendita di 4000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, affidando al governatore e agli amministratori generali il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati346. La donazione avveniva con la riserva del mero imperio, del laudemio, della fatica dei trenta giorni e del diritto di appello da parte degli abitanti, ed era seguita a distanza di pochi tempo dalla relativa investitura347.
La scelta degli amministratori cadde sulle ville di Gergei, sita nella curatoria di Siurgus, e su quella di Bangio Donico, sita nella curatoria di Trexenta, precedentemente concessa a Teresa Gombau de Entença alla fine del 1323 senza che la donazione avesse avuto esito effettivo.
Dopo la seconda pace stipulata tra la Corona d’Aragona e Pisa, Guillem Sapera perse la sua villa di Bangio Donico a vantaggio del comune toscano essendogli per ciò riconosciuto un non meglio specificato diritto a titolo di indennizzo senza apparente riduzione del servizio militare, oltre alla promessa di rientrarne in possesso qualora i pisani l’avessero perduta o ceduta alla Corona348.
Quando il primo agosto 1327 l’infante Alfonso, nell’ambito di un accordo con i feudatari del regno di Sardegna che non detenevano il mero imperio, gli riconobbe la metà del denaro ricavato dall’esazione delle machizie nella sua villa di Gergei, tale diritto fu esteso anche alla villa di Bangio Donico nel caso in cui la Corona l’avesse in qualche modo recuperata349.
Da documenti posteriori si evince che Guillem Sapera aveva donato sin dal 1325 al fratello Bonanat la rendita di 4.000 soldi di genovini annui concessagli in feudo dall’infante Alfonso, mantenendone tuttavia l’usufrutto350 e continuando ad amministrare la villa di Gergei da effettivo feudatario tanto da prestare giuramento di fedeltà al nuovo re Pietro IV nel 1336351.
Non conosciamo la data della sua morte: di certo era ancora in vita nel 1340 quando operava come tutore del nipote Bonanat, figlio omonimo del defunto fratello352.
5.12. Perico de Llibià signore di Turri
Perico o Pere [III] de Llibià era figlio del più noto Pere [II] de Llibià, consigliere e stretto collaboratore dell’infante Alfonso, che seguì nella spedizione di conquista della Sardegna. Con carta del 21 giugno 1325 ottenne in feudo secondo il costume d’Italia una rendita annua di 4.000 soldi di genovini sopra i redditi di una o più ville della suddetta isola, col servizio di due cavalli armati e la riserva del mero imperio353. Come in altri casi analoghi furono gli amministratori generali Pere de Llibià e Arnau de Caçà ad individuare le ville da concedergli in feudo: Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus, site nella curatoria di Nuraminis, Gurgo de Sipollo e Sogus de Turri, site nella curatoria di Gippi, e Turri de Tragenta, sita nella curatoria di Trexenta354.
Quando la Corona d’Aragona stipulò la seconda pace con Pisa (25 aprile 1326), al comune toscano andarono tutte le ville delle curatorie di Gippi e Trexenta e al nostro Perico furono sottratte le ville di Gurgo de Sipollo, Sogus de Turri e Turri de Tragenta, col diritto a rientrarne in possesso qualora la Corona le avesse in qualche modo recuperate. Così quando l’infante Alfonso, sulla base di un accordo raggiunto con i feudatari della Sardegna che non detenevano il mero imperio, riconobbe a Perico de Llibià la metà del denaro proveniente dall’esazione delle machizie nelle sue ville di Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus, tale concessione fu estesa alle tre ville di Gippi e Trexenta da lui perdute, nel caso in cui le avesse riacquisite dopo il passaggio a Pisa355. Dalla documentazione riscontrata nei registri della Corona d’Aragona si evince che Perico non fu indennizzato con altri possedimenti, ma gli fu semplicemente riconosciuta la riduzione del servizio militare ad un cavallo armato. Sappiamo altresì che i redditi delle tre ville rimastegli erano così modesti che il servizio gli fu ulteriormente ridotto ad un cavallo alforrato, cioè armato alla leggera356.
L’avventura di Perico de Llibià come feudatario del regno di Sardegna sembrerebbe concludersi a Torroella de Montgrí il 21 marzo 1334, quando vendette al fratello Nicholau, feudatario di Siliqua357 e castellano del castello di Acquafredda358, le ville di Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus359.
Ma la morte di lì a qualche mese di Nicholau fece sì che Perico fosse nominato castellano del castello di Acquafredda360 e succedesse come erede universale nei possedimenti feudali del defunto fratello, prestando giuramento di fedeltà ore et manibus al re Alfonso IV361. In un documento databile alla fine del 1334 ove i feudatari del regno di Sardegna sono chiamati a contribuire in cavalli armati o denaro alla guerra contro i Doria, figura che:
En Perico de Libia te lochs valents de renda LXVII libres, XIII sols per les quals e tengut de fer serviy d’un cavall alforrat. Item te los lochs qui foren d’en Nicholay de Libia qui valen CXLII libres, X sols a serviy d’un cavall armat. E axi oltre los dits cavall armat e alforrat deu fer I altre cavall alforrat o pagar XX libres, V sols362.
Il 6 gennaio 1337 Ramon de Senesterra, come procuratore di Brunissenda, vedova «Petri de Libiano militis Turricelle de Montegrino» e tutrice del figlio minorenne ed erede universale Ramon, prestò giuramento di fedeltà e omaggio al re Pietro IV per le ville tenute in feudo dalla famiglia Llibià in Sardegna363.
5.13. Arnau de Caçà signore di Dei
Arnau de Caçà era un mercante cittadino di Maiorca364 noto per aver partecipato alla conquista della Sardegna come “patronus” di una cocca365. Precedentemente era stato amico personale e fidato consigliere dell’infante Ferdinando, fratello del re Sancio I di Maiorca, del quale fu procuratore in importanti atti diplomatici366 e che accompagnò in Grecia nella sfortunata campagna di Morea (Acaia) ove detto infante trovò la morte (1316)367.
In virtù dell’esperienza maturata tra gli almogàvers negli scenari di guerra del mediterraneo orientale fu tenuto in grande considerazione dall’infante Alfonso che nella documentazione cancelleresca si rivolge a lui con l’appellativo di «domesticus», affidandogli importanti missioni diplomatiche368 nonché la procura generale per riscuotere denaro a suo nome da qualunque persona nel regno di Sardegna sin dall’aprile 1324369.
Dall’epoca della conquista risiedette stabilmente nell’isola dapprima nel castello di Bonaria e poi in quello di Cagliari370 ricoprendo ruoli di primo piano in seno all’amministrazione regia: nel 1324 fu infatti nominato amministratore generale delle regie entrate in coppia con Pere de Llibià371, mentre dal 1331 operò come doganiere del Castello di Cagliari372. Morto Pere de Llibià alla fine dello stesso anno fu richiamato a coprire la carica di amministratore generale in qualità di reggente373. Risulta deceduto alla data del 6 settembre 1333374 e sostituito nell’ufficio di amministratore dal barcellonese Francesc Dierga375.
Dopo la prima pace tra Aragona e Pisa (25 aprile 1326) ricevette in feudo secondo il costume d’Italia le ville di Sheutas, Nuragi e Postmont site nella curatoria di Nuraminis, con la riserva del mero e misto imperio e il servizio di due cavalli armati376. In seguito la concessione fu ampliata con l’aggiunta delle ville di Monastir e Sigogus, site nella curatoria di Bonavoglia (alias Dolia) e Dei, sita nella curatoria di Trexenta377. In tale circostanza gli fu inoltre riconoscioto l’esercizio del misto imperio, rimanendo invariato il servizio in cavalli armati378.
Poiché la carta conteneva degli errori fu rinnovata alcuni mesi più tardi379 anche se le inesattezze non vennero del tutto eliminate. Si rese così necessaria, dietro istanza del Caçà, l’emanazione di una terza carta380 e poi ancora di una quarta dove finalmente le ville furono chiamate col loro giusto nome e collocate nelle debite curatorie. In quest’ultimo documento si fa riferimento alla villa di Dei che nel frattempo era stata ceduta a Pisa dopo la seconda pace stipulata tra la Corona d’Aragona e il comune toscano: al Caçà veniva riconosciuto il diritto a rientrarne in possesso qualora la regia curia l’avesse recuperata381.
Quando nell’agosto del 1327 l’infante Alfonso, sulla base di un accordo raggiunto con i feudatari dell’isola di Sardegna che non detenevano il mero imperio, riconobbe ad Arnau de Caçà la metà del denaro proveniente dall’esazione delle machizie nelle sue ville di Monastir, Sigogus, Sahutas, Nuraxi e Postmont, tale concessione avrebbe dovuto essere estesa anche alla villa di Dei nel caso in cui detto Arnau ne fosse rientrato in possesso382.
A compensare la perdita della villa trexentese non intervenne alcun rimborso ma la semplice riduzione del servizio militare da due cavalli armati ad uno armato e ad un altro alforrato383.
Morto Arnau de Caçà il diritto sulla villa di Dei dovette trapassare al figlio ed erede universale Nicolau de Caçà che il primo ottobre 1333 prestò a re Alfonso giuramento di fedeltà ed omaggio per le ville già possedute in feudo dal padre nelle curatorie di Dolia e Nuraminis384.
5.14. Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai
Francesc II Carroz apparteneva ad una delle più insigni famiglie della nobiltà valenzana, essendo il figlio primogenito dell’ammiraglio Francesco Carroz, signore del castello di Rebollet385. I Carroz furono tra i principali protagonisti della spedizione per la conquista del regno di Sardegna, in quanto l’ammiraglio Francesco, oltre ad essere stato nominato comandante della flotta reale, allestì ben venti galere armate a sue spese portando con sé i figli Francesc junior, Berenguer, Jaume e Nicolau386.
A circa un anno dalla conquista Francesc II Carroz, ricevette in feudo secondo il costume d’Italia una rendita annua di 10.000 soldi di genovini sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, con l’inusuale concessione del mero e del misto imperio e un servizio di tre cavalli armati387. Come in altre concessioni del 1325 l’infante affidò agli amministratori generali Pere de Llibià e Arnau de Caçà il compito di individuare i luoghi da assegnare in feudo al rampollo del potente casato che fu investito entro breve tempo delle ville di Mandas, Escolca e Nurri, site nella curatoria di Siurgus, e di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai site in quella di Trexenta. Da un inventario di feudatari e dei loro possessi in Sardegna databile attorno al maggio 1326 apprendiamo infatti che: «Lo noble Ffrancesch Carros, fill del almirayl, ha vila Mandas e vila Escolca e vila Nurri qui son en la curadoria de Suurgus. E vila Arili e vila Seoco e vila Donicaylalba e vila Segolay qui son en la curadoria de Tregenta»388.
Delle quattro ville trexentesi, tutte scomparse tra il XIV e il XVIII secolo, solo quella di Donigala Alba rimane di incerta localizzazione mentre la sopravvivenza dei toponimi Oliri, Nuraghe Oliri, Gruttas de Oliri (campagne tra Guasila e Samatzai), Siocco, Nuraghe Siocco (campagne a sud-est di Ortacesus) e dell’antica chiesa di S. Maria di Segolai (periferia settentrionale di Senorbì) permette di posizionare senza difficoltà le altre tre nella carta della Trexenta medievale389.
Dopo il trasferimento delle ville suddette ai pisani in seguito al secondo trattato di pace dell’aprile 1326, a Francresc II Carroz fu ridotto da tre a due il numero dei cavalli armati che era tenuto a fornire alla Corona, mentre a titolo di rimborso gli furono assegnate altre rendite nella curatoria del Sigerro390. A causa dell’aspro contrasto tra il padre e Raimondo de Peralta fu costretto a fare ritorno in patria dove si distinse nelle guerre contro i mori, ereditando successivamente la signoria di Rebollet. Nel 1343 lasciò le signorie di Mandas, Escolca e Nurri al fratello Nicolau391.
5.15. Pietro Penna mancato signore di Arili
Pietro Penna, unico personaggio non iberico coinvolto nella prima feudalizzazione della Trexenta, è sufficientemente noto in letteratura per essere stato notaio di Ugone II d’Arborea392 del quale fu anche ambasciatore presso la corte d’Aragona393. Sin dai primissimi tempi della conquista ottenne vari benefici da parte dell’infante Alfonso394 e nel 1328 fece parte della comitiva che accompagnò a Barcellona il domicello Pietro per essere armato cavaliere da Alfonso IV in occasione dei festeggiamenti per la sua incoronazione395. Pare che in quella circostanza abbia sconsigliato il rampollo di sottomettersi all’autorità del sovrano d’Aragona suscitando le ire di quest’ultimo che lanciò contro di lui gravissime accuse396. Lo strappo tuttavia si ricucì e le missioni del Penna in terra iberica continuarono sino al 1331397. Nel 1332 risulta passato al servizio dei Doria, all’epoca acerrimi nemici degli Arborea398.
Nel 1325, con carta data a Daroca il 12 luglio, l’infante Alfonso gli concesse la villa di Arili399 sita nella curatoria di Trexenta, in feudo secondo il costume d’Italia e col censo di un bacile d’argento dorato («unum ciphum argenti deauratum») da corrispondere ogni anno il primo di gennaio. La donazione prevedeva che qualora la villa fosse stata già assegnata o la sua rendita annua avesse ecceduto le 50 libbre in moneta di Genova, l’infante gli avrebbe assegnato la villa di Ortacesus, sita nella medesima curatoria, a patto che il suo reddito annuo non superasse la predetta quantità di moneta. Nel caso in cui entrambe le ville fossero state già concesse gli avrebbe assegnato mille soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi altra villa o ville del regno di Sardegna affidando a Pere de Llibià e Arnau de Caçà, amministratori generali dei redditi, il compito di individuare la villa o le ville da concedergli in feudo secondo il costume d’Italia, con le riserve del mero imperio, del laudemio, della fatica di trenta giorni e del diritto di appello da parte degli abitanti400.
Entrambe le ville risultarono tuttavia indisponibili: quella di Arili, su cui vantava diritti il monastero femminile di San Giorgio o Santa Greca di Decimo401, perchè infeudata a Francesc II Carroz, quella di Ortacesus perché già assegnata al cavaliere Diego Zapata. A motivo di ciò l’infante condonò al Penna il censo di un bacile d’argento dorato che questi era tenuto a corrispondere ogni anno. Poiché inoltre detto notaio nel volgere di un anno non era ancora entrato in possesso di tutti i 1.000 soldi di rendita promessigli in alternativa, l’infante ordinò agli amministratori Pere de Llibià e Arnau de Caçà di ridurre ad un solo fiorino d’oro il censo annuo dovuto per un orto e altri beni da lui tenuti in enfiteusi, che gli venivano confermati anche qualora il loro reddito avesse dovuto eccedere le 32 libbre e 10 soldi annui402.
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