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Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese


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Nel marzo del 1326 fu richiamato in patria perché coinvolto, come partigiano di Berengario Carroz, nei pesanti scontri tra quest’ultimo e Raimondo de Peralta. I due alti ufficiali aragonesi, ammiraglio della flotta reale l’uno e capitano delle truppe terrestri l’altro, erano divisi da una profonda inimicizia, sfociata in una vera e propria battaglia tra le vie del castello di Bonaria che lasciò sul campo morti e feriti. La faccenda fu tuttavia risolta, senza ulteriori gravi provvedimenti, con lettere assolutorie nel luglio dello stesso anno241.

Nel frattempo, in seguito al secondo trattato di pace tra Aragona e Pisa242, tutte le ville delle curatorie di Trexenta e Gippi, comprese Bangio de Arili, Seuni e Suelli, erano passate in feudo al comune toscano: Jofré Gilabert fu così indennizzato con una rendita annua di 330 libbre e 10 soldi genovesi, pari al reddito complessivo delle tre ville perdute, e si vide inoltre ridotto il servizio militare a due cavalli armati solamente243. A titolo poi di ulteriore indennizzo gli fu riconosciuto per tutta la sua vita l’esercizio del mero imperio sulle sue restanti ville di Donigala e Siurgus244, privilegio molto raro ma non unico nella Sardegna della prima epoca feudale, limitato a personaggi di alto lignaggio aristocratico come Guillem de Entença, cognato dell’infante Alfonso245, o Berenguer Carroz.

Tra gli ufficiali reali di stanza in Sardegna il de Cruïlles si distingueva come un sostenitore di quella che potremo definire una politica dura, tesa ad eliminare rapidamente le realtà politiche etereogenee che erano sopravvisute alla conquista. Così in una sua lettera indirizzata al re Alfonso gli raccomandava l’espulsione definitiva e totale dei pisani dall’isola per restituire il paese agli aragonesi246.

Nel 1328 fu armato cavaliere a Saragozza, il giorno dell’incoronazione di Alfonso IV, da parte dell’infante Pietro, uno dei tre che ebbero questo onore247. Sempre nel 1328 lo troviamo nella acque di Gibilterra al comando di dieci navi impegnato, assieme ad una flotta castigliana, nel vano tentativo di contrastare lo sbarco di truppe marocchine nella penisola iberica248. Nello stesso anno Alfonso IV lo nominò procuratore dell’infante Pietro nelle terre valenzane ultra Sexonam249, conferendogli l’alcaidia del castello di Orihuela250. Per i servigi resi alla Corona gli cedette poi nel 1329 i suoi diritti sulle cavalcature e sulle armature dei nemici251, e nel 1330 la capitania di Villa di Chiesa in Sardegna252 congiuntamente all’alcaidia del castello di Salvaterra253.

Anteriormente al marzo 1330 aveva venduto con carta di grazia a Guillem ça-Badia le sue ville di Donigala e Siurgus e, scaduto il termine del contratto, riuscì a riscattarle solo grazie all’aiuto finanziario del sovrano254.

Già in questi anni doveva aver ottenuto l’esonero dall’obbligo di residenza nell’isola, giustificato dai suoi gravosi impegni di consigliere e ufficiale regio. Nel marzo 1329, nell’ambito della rinnovata alleanza fra i re di Castiglia e Aragona contro il re di Granada, lo troviamo infatti ad Alquerias a ricevere, per conto di Alfonso IV, il giuramento da parte delle città, ville e luoghi del regno di Murcia255. Nel novembre del 1330 risulta ancora occupato nella guerra contro il re di Granada, tanto che la capitania di Villa di Chiesa è affidata al luogotenente Ramon de Blanes256. Si trovava ugualmente lontano dall’isola nel novembre del 1331 quando, mentre ricopriva l’ufficio di luogotenente e procuratore dell’infante Ferdinando nel regno di Valenza257, fu richiamato a corte da re Alfonso per perfezionare l’acquisto di non meglio precisati luoghi della Sardegna già posseduti da Eximén Perez Cornel258. Da documenti successivi apprendiamo che l’operazione riguardava le ville di Orroli e Goni, site nella curatoria di Siurgus, per breve tempo passate nelle mani di Ramon Desvall, sulle quali il de Cruïlles e i suoi successori si videro riconosciuto in perpetuo l’esercizio del mero imperio259. Simile concessione venne estesa anche alle contermini ville di Donigala e Siurgus nelle quali detto nobile già esercitava il mero imperio senza tuttavia la possibilità di trasmettere il privilegio agli eredi260.

Nel corso del 1332 ampliò ulteriormente il suo patrimonio feudale in Sardegna acquisendo la villa di Sanluri, nella curatoria di Nuraminis, già appartenuta a Urraca de Entença, sorella della defunta moglie di Alfonso261.

Alla fine dello stesso anno Alfonso IV gli concesse 20.000 soldi di Barcellona in sostituzione delle perdute ville trexentesi di Bangio de Arili, Seuni e Suelli, ordinando che la somma fosse attinta dalle 11.500 libbre di alfonsini minuti che annualmente la regia curia ricavava dall’appalto dei redditi, diritti e miniere di Villa di Chiesa262. Contestualmente invitava Ramon Desvall, appaltatore di tali diritti, a procedere al pagamento263.

Negli anni successivi Jofré Gilabert continuò a servire la Corona in importanti missioni militari e diplomatiche per le quali fu esonerato più volte dall’obbligo di residenza in Sardegna264. Ebbe parte attiva nella guerra contro il re di Granada fino alla tregua del 1334, quando fece rientro temporaneo nell’isola per attendere ai suoi o obblighi di feudatario e castellano di Villa di Chiesa265. Dalla Sardegna fu in seguito richiamato per ricoprire la carica di procuratore dell’infante Pietro nelle terre valenzane citra Sixonam (dicembre 1335)266.

Nell’incerto periodo di crisi che accompagnò la successione al trono di Alfonso da parte del giovane Pietro IV (gennaio 1336) egli dovette essere tra i primi esponenti della cerchia di governo vicina al padre a legarsi strettamente al figlio, di cui era tra i più fidati consiglieri. Dal canto suo il nuovo sovrano, fin dai primi tempi del suo regno, lo gratificò con incarichi di prestigio come l’alcaidia del poderoso castello valenzano di Corbera (ottobre 1336)267, affidandogli inoltre importanti ambasciate in Castiglia268.

Nel duro conflitto che oppose il re Pietro IV al nobile Pedro de Xerica fu da questi catturato assieme ai più alti esponenti della corte e tenuto prigioniero per quasi un anno (1336-37)269. Riaquistata la libertà fu capitano, per la seconda volta, di Villa di Chiesa (ottobre 1337)270, nonché ammiraglio durante la difesa di Valenza dai saraceni in sostituzione di Ramon de Peralta (novembre 1337)271.

Quando, nella primavera del 1339, Pietro IV decise di aiutare il re di Castiglia nella lotta contro i saraceni mise a sua disposizione la flotta catalano-aragonese capitanata dall’ammiraglio de Cruïlles che di lì a poco si incontrò a Siviglia per coordinare, con l’ammiraglio castigliano Alfonso Jofré de Tenorio, la difesa dello Stretto272.

Agli inizi di settembre il nostro Jofré Gilabert salpò dalla sua base andalusa di Algeciras, presso Cadice, a capo di otto galere in direzione di Ceuta dove si scontrò con una flotta marocchina che mise in rotta conseguendo un importante bottino. Fuoriscito qualche tempo dopo da Algeciras, questa volta via terra, per ingaggiare battaglia contro alcuni saraceni, cadde ferito a morte da una freccia273.

Il suo corpo fu tumulato nella chiesa conventuale di San Francesco di Girona274, all’interno di un bel sarcofago oggi esposto, dopo varie traslazioni275, al museo della città276. La scultura presenta dettagli arcaici del primo periodo gotico, propri della scultura funeraria catalana: gli occhi chiusi, con le palpebre separate da una semplice linea ed esageratamente globosi. L’ammiraglio defunto, vestito delle sue insegne, con una cotta di maglia che lascia scoperto solo l’ovale del volto al di sopra del mento, è raffigurato disteso col capo poggiato su un cuscino e le braccia ripiegate sull’addome. Un grande scudo con le armi di famiglia copre parzialmente le gambe dalla vita in giù lasciando scoperti i piedi rivestiti da scarpe a punta allungata poggianti su un leone. Sulla fronte del sepolcro, un’epigrafe fiancheggiata da una doppia coppia di scudi araldici inseriti in archetti gotici trilobati narra il sacrificio del nobile condottiero in difesa della cristianità:


HIC IACET NOBILIS AC MAGNANIMUS VIR DOMINUS GAUFRIDUS GILABERTI DE CRUDI/LLIS INCLITI DOMINI REGIS ARAGONUM ADMIRATUS QUI PRO CHRISTI NOMINE ET FIDEI CATHOLICE DEFEN/SIONE INTER PERFIDOS SARRACENOS IN LOCO DE L·ESTRET SIVE GIBALTAR VULGARITER NUNCU/PATO STRENUISSIME GUERRAM DUCENS MULTOS CELEBRES TRIUMPHOS TAM IN TERRA / QUAM IN MARI DIVINA VIRTUTE PROTECTUS OBTINUIT ET IN EISDEM GESTIS ARDUIS AD DEI GLORIAM / ET TOTIUS HONOREM PATRIE INFATIGABILI ANIMO LAUDABILITER PERSEVERANS TANDEM DEI PER/MISSIONE VIAM EST UNIVERSE CARNIS INGRESSUS IIII° KALENDAS IANUARII ANNO DOMINI M° CCC° XXXIX°.
Qui giace il nobile e magnanimo signore Goffredo Gilberto de Cruilles, ammiraglio del glorioso re d’Aragona, che in nome di Cristo e in difesa della fede cattolica, conducendo in maniera assai valente la querra contro i perfidi saraceni nel luogo dello Stretto, volgarnente chiamato Gibilterra, protetto dal potere divino, riportò molti celebri trionfi tanto in terra come in mare. E perseverando lodevolmente con infaticabile animo in queste ardue imprese per la gloria di Dio e di tutta la patria, finalmente, per volontà di Dio, seguì il destino di tutti i comuni mortali il IV° giorno prima delle calende di gennaio dell’anno 1339 (29 dicembre 1339).
Racconta Zurita che quando Pietro IV seppe della morte del suo ammiraglio concesse al figlio ed erede Jofré de Cruïlles la castellania del castello di Villa di Chiesa277, carica che poco dopo gli revocò dietro il versamento di 4000 libbre di alfonsini278.

Jofré de Cruïll morì senza eredi nel giro di alcuni anni e i feudi sardi concessi al padre furono incamerati dal regio fisco.



5.8. Guillem Sa Joncosa signore di San Basilio e Aluta
Guillem Sa Joncosa è uno dei protagonisti meno conosciuti della prima età feudale in Trexenta. Del resto assai scarse sono le notizie che riguardano la sua vita, così come oscure sono la sua condizione e le ascendenze familiari'279.

Il cognomen denuncia una chiara origine catalana, forse dalla regione del Penedès a cavallo tra le attuali province di Tarragona e Barcellona, dove il toponimo Sa/La Joncosa (femminile dell’aggettivo joncós, lett. ‘luogo pieno di giunchi’)280 è documentato alle falde orientali de El Montmell (Baix Penedès)281 e presso Gelida (Alt Penedès) dove, nell’attuale località di Can Rossel de la Muntanya, gli studi più recenti concordano nel localizzare la commenda templare de la Joncosa. Il toponimo, oggi estinto, è documentato per la prima volta nel 1142 quando ai templari fu donato il mas de Sant Pere, situato nei confini del castello di Gelida «infra Junchusam et Valilongam». Successivamente, nel 1309, il re Giacomo II d’Aragona cita il «castrum nostrum de Gilida cum Masone sive domo de la Joncosa que fuit Militie Templi», dato in permuta alla contessa di Pallars. A titolo di curiosità notiamo che circa trent’anni dopo il castello di Gelida e l’antico possesso templare de la Joncosa passarono al giudice d’Arborea282.

L’attestazione di un Bartholomeus Joncosa operante come notaio a Vilafranca del Penedès nel 1345283 è un dato di supporto a questa ipotetica provenienza, non dimenticando che in provincia di Lerida esiste il paese di Juncosa (Les Garrigues), la cui pronuncia era Joncosa nel corso del secolo XIV284.

Partecipò attivamente alla campagna di conquista della Sardegna tanto da perdere due cavalli al servizio della Corona285 ed era, per un qualche incarico a noi sconosciuto, in contatto con la corte se inviò all’infante Alfonso una relazione sulla nomina di Miguel Perez de Guasillo a podestà di Sassari286.

Con carta del 5 novembre 1324 l’infante gli concesse in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di un cavallo armato le ville di Aluta e San Basilio site nella curatoria di Trexenta: in pianura l’una, oggi scomparsa, localizzabile qualche chilometro a sud di Senorbì ove sopravvive il toponimo Corte Auda287, in territorio collinare al confine col Gerrei l’altra, ancora esistente. Le clausole della donazione prevedevano a vantaggio dell’infante le riserve del mero e misto imperio, del laudemio, della fatica di trenta giorni e del diritto di appello da parte degli abitanti così che la giurisdizione del feudatario risultava alquanto limitata288.

Il nostro Guillem, attirato dalla concessione di questi feudi, aveva venduto tutto ciò che aveva in Catalogna destinando le sue risorse finanziarie al miglioramento dei nuovi possessi sardi, piantando alberi, costruendo edifici, facendo lavorare le terre289. Il suo investimento tuttavia non fu ben ripagato.

Del tutto ignaro di diritto feudale, lui che non deteneva né il mero né il misto imperio, aveva riunito il tradizionale tribunale di villaggio, la corona, determinando la condanna a morte di alcuni suoi vassalli e l’incendio delle loro case. Per ciò era stato perseguito e condannato al sequestro dei beni, pena poi revocata dopo la presentazione di una memoria difensiva presso il re Giacomo II290.

Inoltre dopo la seconda pace stipulata tra Aragona e Pisa291 perse nel 1326 le sue ville di San Basilio e Aluta giungendo ad implorare l’infante Alfonso affinché gli concedesse un indennizzo pecuniario indispensabile al suo sostentamento. L’infante, accolta benignamente la supplica, ordinò ai suoi amministratori generali dei redditi nel regno di Sardegna di ammettere Guillem Sa Joncosa nel novero degli stipendiati per un cavallo armato292 e che vi fosse mantenuto fin tanto che non fosse stato completamente risarcito293. In alternativa, che gli fosse conferito un ufficio dal salario congruo, tale da permettergli una vita decorosa294. In un’altra lettera, prima spedita poi fatta restituire e distruggere, l’infante ordinava semplicemente che fosse corrisposto al Joncosa quanto a lui dovuto dalla regia curia per la perdita delle suddette ville trexentesi295.

Quando, a partire dal 1328 circa, furono espulsi dal castello di Cagliari gli ultimi pisani che ancora vi risiedevano, a Guillem Sa Joncosa fu assegnato un alloggio in ruga mercatorum dal valore di 60 libbre296, dopo di che non abbiamo più sue notizie.

5.9. Guillem de Entença signore di Guasila e Guamaggiore
Guillem de Entença apparteneva ad un nobilissimo lignaggio catalano-aragonese imparentato con la casa reale le cui prime attestazioni rimontano al secolo XI297. Originari della Baixa Ribagorça, dove aveva sede il castello eponimo298, gli Entença arrivarono a possedere un vasto feudo a cavallo tra Aragona e Catalogna esteso sino al fiume Ebro (Falset, Móra, Tivissa) con giurisdizione su varie località del Priorat e del Camp de Tarragona: la cosiddetta baronia d’Entença299. Un ramo della casata titolare della baronia di Alcolea (Alcolea de Cinca, Huesca) acquisì fin dal secolo XII feudi in Valenza dando origine alla linea dei baroni di Alcolea e Xiva, ricostruibile con certezza solo a partire da Bernat Guillem I d’Entença300, nonno del nostro Guillem de Entença301.

Questi era figlio naturale di Gombau d’Entença e Stefania di Sicilia e pertanto fratellastro dell’infanta Teresa d’Entença, moglie e madre rispettivamente dei futuri sovrani Alfonso IV e Pietro IV d’Aragona302. Non va quindi confuso col Guillem d’Entença figlio di Berengario V del ramo dei baroni d’Entença, morto tra l’altro nel 1321303, come da taluni è stato fatto304. Furono suo fratello e sorella carnali Ponç Hug e Teresa Gombau che andò in sposa a Berenguer Carroz, figlio dell’ammiraglio Francesc Carroz305. Un’altra sua sorella, anch’essa di nome Teresa, fu monaca nel monastero di Casbes.

Tra i vari blasoni riconducibili al lignaggio Entença306 è stato attribuito al nostro Guillem quello partito d’oro e di rosso, ma non si comprende su quali documenti si basi l’attribuzione307. Lo stemmario seicentesco conservato presso la Biblioteca Comunale di Cagliari, composizione anonima manoscritta, assegna agli Entença l’arme seguente: d’oro al capo di nero308.

Dal suddetto padre Gombu, signore di Alcolea de Cinca, Xiva e Xestalgar, sobrejunter di Ribagorça e Pallars nonchè procuratore del regno di Valenza309, ebbe in eredità i feudi di Benavarren, Falco, Gual e vari diritti che nel 1309 il re Giacomo II gli fece permutare con altri beni paterni310. Assieme al fratello Ponç Hug accompagnò l’infante Alfonso nella conquista della Sardegna dove, con carta del 18 febbraio 1325, ottenne in feudo secondo il costume d’Italia le ville di Furtei e Villagreca site nella curatoria di Nuraminis e quelle di Guamaggiore e Guasila site nella curatoria di Trexenta, dietro la fornitura di tre cavalli armati per tre mesi all’anno311. Si trattava di un servizio oneroso ma compensato dal fatto che al feudatario erano eccezionalmente concessi il mero e misto imperio con tutte le entrate pecuniarie derivanti dall’esercizio della giurisdizione civile e criminale nei limiti del suo feudo. Nello stesso anno gli infanti Alfonso e Teresa gli donarono in libero e franco allodio una «domum seu palacium» sito nella villa aragonese di Barbastro (Huesca) assieme al castello che si ergeva nei pressi di detta villa312 e, con la stessa modalità, la villa e il castello d’Ivars (attuale Ivars d’Urgell, Lerida) nella viscontea catalana di Ager313. Fu altresì alcaide del castello aragonese di Candanchú (Aisa, Huesca)314. Dopo il trattato di pace stipulato nell’aprile 1326 tra la Corona d’Aragona ed il comune di Pisa perdette le due ville di Guamaggiore e Guasila le cui rendite annue ammontavano nel complesso a 5.360 soldi di alfonsini minuti. Fu così che l’infante Alfonso ordinò ai suoi ufficiali e amministratori operanti nel regno di Sardegna di individuare altre ville di pari valore da concedere in feudo al de Entença, riconoscendo a detto nobile il diritto a rientrare in possesso delle due ville perdute qualora il comune di Pisa vi avesse rinunciato315. Quasi contemporaneamente, a titolo di indennizzo, il nostro Guillem si vide ridotto ad un solo cavallo armato il servizio che doveva fornire per le restanti ville di Furtei e Villagreca316, prestazione che, successivamente, fu ulteriormente ridotta ai soli periodi di guerra effettiva317. Dalla documentazione in nostro possesso appare chiaro che egli non risiedeva nei feudi sardi, affidandone l’amministrazione al cognato Berenguer Carroz e a tale Bernat de Fornells che agivano come suoi procuratori nella riscossione dei vari diritti feudali e con i quali non mancarono aspri contrasti. Agli inizi del 1327 il de Entença li accusò infatti dinanzi all’infante di non avergli versato i redditi di quelle ville sarde che per suo conto amministravano e avevano amministrato in Sardegna318.

Un documento successivo ci informa che Guillem de Entença vendette «ad certum tempus» tutti i redditi, le machizie, i proventi e i diritti delle ville e luoghi posseduti per regia concessione nella detta isola ad Arnau Ballester il quale dovette anch’egli fare i conti con la prepotenza del Carroz319.

Nel testamento della sorellastra infanta Teresa d’Entença, signora di Alcolea de Cinca, Xiva e Xestalgar nonché contessa di Urgell e moglie dell’infante Alfonso, redatto a Saragozza il 23 ottobre 1327, è ricordato come fratello carnale della testatrice che gli riconosce tutte le donazioni fattegli in vita320. Nel 1331 re Alfonso IV d’Aragona lo convocò per la crociata che stava allestendo contro Granada321, mentre nel marzo dell’anno successivo compare per l’ultima volta in una lista di feudatari sardi322, dopo di che non abbiamo più sue notizie. Dovette morire di lì a poco dopo aver venduto i feudi che possedeva nell’isola: alla data del 13 giugno 1332 le ville di Furtei e Villagreca risultano infatti acquistate dal governatore generale Ramon de Cardona anche se su di esse manteneva diritti Berenguer Carroz in virtù di un precedente contratto di arrendamento stipulato con i procuratori del de Entença323. Un documento di qualche mese posteriore, ove sono annotate tutte le rendite dei feudatari del regno di Sardegna, ci informa che «lo noble R. de Cardona <... omissis ...> te VII mill CLXVI sols de renda qui foren d’en G. d’Entença»324. I feudi iberici, per mancanza di figli, passarono invece ai nipoti cui nel 1333 furono riconosciuti vari censi325.



5.10. Diego Zapata signore di Ortacesus
Diego Zapata discendeva da antica famiglia aragonese legata agli ambienti di corte sin dalla prima metà del secolo XII326. Secondo alcuni autori, tra cui l’erudito Gregorio Garcia Ciprés, noto genealogista e araldista vissuto a cavallo dei secoli XIX-XX, gli Zapata sarebbero originari del paese di Uncastillo (Saragozza). Alcuni membri del casato, per essersi segnalati nelle guerre di Reconquista al seguito dei re d’Aragona, furono premiati con feudi a Calatayud e nel regno di Valenza327; altri ancora, nel corso della seconda metà del secolo XIV, si trasferirono in Castiglia328. Si formarono così rami distinti per quanto discendenti da un ceppo comune, riflessi nella varietà dei blasoni riconducibili al casato. Ne diamo alcuni: di rosso con cinque scarpe (zapatos) d’argento scaccate d’oro e di nero ai margini; di rosso con tre scarpe d’argento scaccate d’oro e d’argento ai margini e bordura di rosso caricata di otto scudetti d’oro con banda nera; di rosso con tre o cinque scarpe scaccate d’oro e di nero e bordura identica alla precedente; d’argento con tre scarpe di nero poste in triangolo maggiore e bordura di verde caricata di otto scudetti d’oro con banda rossa329.

I discendenti del ramo di Valenza furono successivamente signori di Provencio, del Real, di Pedralba e Monserrat, ottenendo dal re Filippo II il titolo di Conti del Real.

Dal ramo di Calatayud discendono illustri personaggi quali Giovanni Zapata, justicia d’Aragona nell’anno 1289, padre di quel Miguel Pérez Zapata signore di Cadrete († c. 1358), che fu valente capitano sotto i re Alfonso IV e Pietro IV.

Nonostante molti autori abbiano trattato degli Zapata in opere di genealogia e araldica non vi sono riferimenti a questo Diego della prima metà del secolo XIV, per cui non è possibile stabilire una parentela col citato Miguel Pérez Zapata (†c. 1358), elencato dallo Zurita tra i partecipanti alla spedizione per la conquista della Sardegna assieme al figlio Rodrigo330. Le uniche notizie desumibili dalla letteratura danno Diego Zapata discendente dal ramo valenzano della famiglia, senza che si possa appurare l’esistenza o meno di un legame genealogico con i successivi Zapata residenti, da nobili, nel castello di Cagliari e che tanta parte ebbero nella storia cittadina del secolo XVI331.

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