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Volume primo traduzione italiana, introduzione e note: paola de paolis edizioni mediterraneelatin penauroville


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Canto XIII: NEL SÉ DELLA MENTE

Il titolo: Quando ci ritiriamo in tal modo nell'anima, scopriamo di non essere la mente, scrive Sri Aurobindo, ma un essere mentale che si tiene dietro l'azione della mente incarnata, non una personalità mentale e vitale, - la personalità è una composizione della Natura, - ma una Persona mentale, manomaya purusha... (The Synthesis of Yoga, 21, p. 607).


v. 11 e sgg.: un enorme Sé della Mente che conteneva tutta la vita (...)

Signore-testimone della miriade di atti della Natura etc.

Il Sé "immobile", "indifferente" al gioco di Prakriti, "impassibile", è quello descritto nella Bhagavad-Gita come il Purusha testimone: Il Purusha o coscienza fondamentale è il vero essere o almeno, in qualunque piano si manifesti, rappresenta il vero essere. Ma nella natura ordinaria dell'uomo, scrive Sri Aurobindo, è ricoperto dall'ego e dal gioco ignorante della Pralenti e resta velato dietro come il Testimone invisibile che sostiene il gioco dell'ignoranza (...) L'emersione del Purusha è l'inizio della liberazione. Ma esso può anche divenire lentamente il Padrone - lentamente, perché tutta l'abitudine dell'ego e il gioco delle forze inferiori si oppone a questo... [cfr. nota a II, 7, 27-29] (Letters on Yoga 23 p. 1006).

L'esperienza di questa Dualità di Purusha e Prakriti si ritróva più volte nelle opere di Sri Aurobindo. In The Synthesis of Yoga per es., leggiamo: Da un lato il cercatore diviene consapevole di una Coscienza recipiente testimone, osservatrice e sperimentante, che non appare agire ma per la quale tutte queste attività dentro e fuori di noi sembrano essere intraprese e continuare. Dall'altro è consapevole allo stesso tempo di una Forza esecutiva (...) che è vista costituire, sóspingere e guidare tutte le attività concepibili e creare una miriade difforme visibili per noi e invisibili e usarle quali stabili supporti per il suo incessante flusso d'azione e creazione. Entrando esclusivamente nella coscienza testimone egli diventa silenzioso indifferente, immobile.. (Op. cit., 20, p. 113). Cfr. nota a I, 4, 567-735.
v. 28: da silenzi nascosti nasce l'atto

Il silenzio dello Spirito e il dinamismo dello Spirito sono per l'A. verità complementari e inseparabili (mentre il Monismo vedantico ammettendo come unica realtà il Silenzio trascendente, conclude che il mondo i Maya, illusione): lo Spirito silenzioso immutabile può sostenere la sua infinita energia silenzioso e immobile dentro di essa, perché' non è vincolato alle proprie forze, non è soggetto ad esse o loro strumento, ma le possiede, le libera, e capace di un'azione eterna e infinita. (The Life divine, 18, p. 337). Cfr. nota a 1, 3, 81-82.


v. 52 e sgg.: lì, conquistato il Sé, il Silenzio, egli poteva fermarsi:

......

All'improvviso, un dito luminoso... etc.

Come osserva A. B. Purani, questo Sé potrebbe rimanere sempre il Sé in perfetto silenzio e pace ininterrotta. Esso conosce il cosmico tutto. Ma, per un misterioso atto di Provvidenza, quest'autocoscienza fu negata al sé e fu imposto uno sforzo agli strumenti della natura per ottenere la conoscenza del Sé. (Op. cit., p. 221).

Ricordiamo una lettera di Sri Aurobindo a un discepolo: Quando uno ricerca il Sé impersonale, si muove fra due opposti principi - il silenzio e la purezza dell'Atman impersonale e inattivo e l'attività della Prakriti ignorante. Si può entrare nel Sé lasciando la natura ignorante o riducendola al silenzio. Oppure, si può vivere nella pace e la libertà del Sé e osservare l'azione della Natura come un testimone. Si può perfino mettere un certo controllo sattvico [sattva è uno dei tre guna o modi della natura, quello di luce, equilibrio e pace: n.d.t.] mediante tapasya ['fervore': qualunque tipo di energia, esercizio, austerità della forza cosciente che agisce su di sé e i suoi oggetti: n.d t.], sull'azione di Prakriti; ma il Sé impersonale non ha alcun potere di cambiare o divinizzare la natura. Per questo si deve andare al di là del Sé impersonale e cercare il Divino che è sia personale sia impersonale e al di là di questi due aspetti. (Letters on Yoga, 23, p. 1009). Cfr. note a III, 1, 97 e sgg. e 2, 16.
v. 73 e sgg.: [L'Ignoranza] travestiva di fortuita sovranità etc.

L'intero passaggio, spiega Sri Aurobindo in una lettera del '48, è beninteso sui movimenti mentali e i poteri mentali, perciò riguardo a quello che l'intelletto vede come astrazioni, ma la visione sottile non le percepisce così. Per essa la mente ha una sostanza e le sue energie ed azioni sono cose molto reali e sostanziali. Naturalmente c'è un certo senso di scherno in questo passaggio, perché ciò che l'ignoranza considera propria sovranità e verità positiva è stato smascherato dallo "scettico raggio" [vd. v.58] come fortuito e irreale. (Letters on 'Savitri: 29, pp. 781-82).


vv. 130-31: Anche lo spirito silente che guarda i suoi lavori non era che una

pallida facciata dell'inconoscibile;

Naturalmente, scrive Sri Aurobindo a un discepolo viene in seguito un'esperienza in cui i due aspetti della Totalità divina, il Testimone e il Giocatore, si fondono insieme; ma quest'equilibrio dello spettatore viene prima più completa esperienza. (Letters on Yoga, 23, pp. 1078-79).


v. 136 e sgg.: C'era una pace profonda, ma non la Forza indicibile: non c'era la

nostra Madre dolce e potente etc.

Prakriti, la Forza-della-Natura ignorante, resta tale finché il Testimone distaccato. Ma quando il Purusha diviene l'Ishwara (lo "Spirito più grande del Sé del Mente", menzionato al v. 144: vd. nota seguente), cioè il Signore della Natura, allora Prakriti, perdendo il suo cieco carattere meccanico, diventa l'ishwari-Shaleti, la divina Forza-cosciente e Madre-cosmica, mediatrice fra l'Uno eterno e il Molteplice manifesto. (Cfr. Sri Aurobindo, The Synthesis of Yoga, 20, pp. 114-21). Cfr. note a n, 14, 222 e sgg. e III, 2, 76.


vv. 144-45 Uno Spirito più grande del Sé della Mente doveva rispondere

all'interrogativo della sua anima.

Come sedeva Sri Aurobindo, e indubbiamente una verità d'esperienza spirituale che esiste uno stato di pace e di silenzio nell'infinito dietro l'attività cosmica, una Coscienza che e il Testimone un mobile della creazione; ma questo non rappresenta l'integralità dell'esperienza spirituale, e non possiamo sperare di trovare in un solo aspetto-conoscenza una spiegazione fondamentale e totale dell'Universo. (The Life Divine, 18, p. 400). Cfr. Le due note precedenti.


v. 162 e sgg.: Sul suo petto (...) e Jed e forze, forme, idee com'onde etc

Egli e uno che osserva scrive Sri Aurobindo a proposito del "Testimone assiso al di sopra del flutto delle forze della Natura" di cui parla la Bhagavad-Gita, ma e impaniale e indifferente separato da esse al loro livello e, nella sua innata posizione, molto al di sópra di esse. Com'esse si sollevano e cadono in onde il Testimone guarda, osserva, ma né accetta ne per il momento interferisce con il lóro corso. Dev'esserci prima la libertà del Testimone impersonale in seguito può esserci il controllo del Padrone, l'ishwara (The Synthesis of Yoga, 20, p. 226). Cfr. nota al v. I 1 e sgg. di questo Canto e ai vv. 219-20 del Canto seguente.




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