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Le radici culturali dell’esperanto: la pedagogia di Comenio


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Giordano Formizzi

 

Le radici culturali dell’esperanto: la pedagogia di Comenio

 

Se escludiamo* gli studiosi di professione e i ricercatori impegnati in modo specifico ad illustrare la vita e le opere di Jean Amos Komensky (latinamente detto Comenius e in italiano Comenio), la conoscenza di questo pedagogista-educatore è per molti limitata quasi esclusivamente alla lettura della Didactica Magna, un'opera che ha visto molte edizioni non soltanto in Italia, ma anche nei principali Paesi europei. A quest'opera se ne può aggiungere un'altra abbastanza nota: l’Orbis Sensualium Pictus, un testo scolastico fra i primi ad usare l'accoppiamento fra immagine e parola nell'apprendimento della lettura e della scrittura.



 

Qualora si pensi alle altre numerose opere scritte dal Comenio intorno all'educazione, ci si rende conto dello scarso materiale di cui dispone il lettore italiano1 (ed europeo? per conoscere questo pilastro della storia della pedagogia, e quindi della difficoltà cui si trova di fronte se volesse formarsi un giudizio documentato sull'opera svolta da quest'uomo impegnato quant'altri mai, nella pratica e con gli scritti, a diffondere un'idea nuova dell'educazione, a proclamarne l'importanza e a dichiararne la valenza universale. Detto questo, va precisato che il tema — oggetto di questo articolo — è circoscritto: educazione linguistica e, in particolare, indaga sul valore da attribuire allo studio delle lingue e, soprattutto, sull'idea di una lingua universale quale strumento per superare la Babele regnante nel mondo e per rendere possibile la comunicazione diretta fra tutti gli uomini (nonostante la presenza di migliaia di lingue diverse) grazie all'apprendimento generalizzato, nelle scuole di base, di una lingua comune: la seconda lingua di ogni uomo.

1 . LO STUDIO DELLE LINGUE

Già nelle prime pagine2 della Didactica Magna, la più nota fra le opere didattiche, si aprono — su questo argomento — finestre il cui valore sarà più facile apprezzare proprio nel momento in cui ci si parrà davanti il disegno globale e finale del nuovo edificio educativo. Eccone una3: «Linguae discuntur non ut eruditionis aut sapientiae pars, sed ut eruditionis hauriendae aliisque communicandae instrumentum [corsivo mio]».presso Bulzoni, 1976. Una sintesi in due volumi della Consultatio e, presso Armando, la Pampaedia, (1968) ormai esaurita e non più ristampata. La Nuova Italia, Firenze, ha pubblicato, Pagine scelte a cura di J. piaget, con l'introduzione di G. calò ( 1 962) . Vedi anche: G. limiti, Studi e testi comeniani, Roma, Ediz. dell'Ateneo, 1965, e Il tirocinio del leggere e dello scrivere, Roma, A. Armando, 1970.

II sapere vero, la pansophia (quella saggezza di cui abbiamo bisogno per diventare uomini nella pienezza del termine, per essere creature degne della nostra origine divina) non ha il suo fondamento essenziale nella conoscenza e nell'apprendimento della lingua. Queste, poi, non si possono né si devono imparare... tutte, «né molte, perché non serve, e anzi ci toglierebbero il tempo dovuto allo studio delle cose reali»4. Nello stesso capitolo troviamo un'altra notazione: «non è necessario a nessuno conoscere alla perfezione tutta una lingua, e se qualcuno cercasse questa perfetta padronanza farebbe una cosa sciocca e inutile»5 e il perché è spiegato più avanti: «non facciamo divenire principale ciò che è secondario e non perdiamo nello studio delle parole il tempo che serve allo studio delle cose»6.

Nelle scuole (di base e altre), allora come adesso, il tempo è sciupato perché si confonde il fine principale dell'istruzione — diventare uomini sapienti — e si sbaglia metodo nell'insegnamento delle lingue: ci si sofferma eccessivamente sulle regole della grammatica e si trascura «la pratica, l'uso» della lingua. Il tempo è assai prezioso, la vita è troppo breve e perciò importa assai impiegarla non tanto a raggiungere traguardi effimeri, a scambiare i fini con i mezzi7, ma a rispettare le priorità educative e metodologiche.

 

La cultura è costituita dai pensieri, dalle idee e non dalle parole, queste ne sono solamente il tramite, necessario ma non sufficiente per sostituire quella: sarebbe come assegnare alla lettera il posto dovuto allo spirito. Imparare le lingue non è in sé sinonimo di arricchimento culturale. Non esiste un'equazione formulabile in questo modo: più lingue conosco più cultura possiedo, perché l'ampiezza e la profondità culturale di una persona non è per nulla proporzionale al numero delle lingue conosciute. Uomini ai vertici della cultura mondiale come Platone, Virgilio, Dante, Goethe, Dostoevskyi ecc., i cui scritti hanno riempito e arricchito il nostro spirito, fornendo­gli un tesoro culturale inestimabile, non erano dei poliglotti, ma dei «pensatori» originali. L'autenticità del messaggio evangelico (ad esempio) rimane sempre tale qualunque sia lo strumento linguistico al quale si appoggia. Se è vero, come è vero, che la verità ci fa liberi, ogni uomo potrà impossessarsi della verità ed essere di conseguenza libero, indipendentemente dalla lingua ch'egli usa: a questo fine ogni lingua risulta adeguata. La lingua è strumento di cultura e di comunicazione, ma non sostituisce — si perdoni la ripetizione — né la cultura né la comunicazione. Per la cultura il numero delle lingue è irrilevante — la mia sola lingua materna è pienamente adatta allo scopo, vedi la maggior parte dei «classici» sia romani sia greci — ma per la comunicazione può essere determinante. Allora, però, l'interrogativo da porsi è un altro: per ottenere la migliore e più ampia comunicazione possibile (idealmente la comunicazione universale) la via più intelligente da percorrere è quella di imparare quante più lingue si può (idealmente tutte le lingue del mondo], oppure è meglio accordarci per imparare una sola lingua comune, (non una lingua unica che sostituisca o soppianti quelle esistenti) da far apprendere fin dai primi anni di scuola?



 

2. La LINGUA UNIVERSALE-LA LINGUA COMUNE

Nelle opere del Comenio l'idea della lingua universale, della lingua comune a tutti gli uomini appare esplicita e chiara per la prima volta nella ViaLucis (1640-41)8.

Com'è nata in lui questa idea e attraverso quale percorso vi è arrivato? E possibile tentare una risposta, dicendo che a lui giunsero molteplici stimoli sia «esterni» sia «interni». Fra i primi possiamo annoverare la lettura delle opere del Vives (anch'egli «seguace» di tale idea) e, più concretamente, il soggiorno londinese alla fine del 1640, dietro invito di alcuni suoi amici della capitale inglese (in primo luogo Samuel Hartlib)9, durante il quale ebbe continuamente bisogno di un interprete perché non parlava l'inglese10.

 

Tuttavia non fu meno importante quell'interiore sentimento ispiratore presente in modo costante nella vita e negli scritti del Comenio: una profonda spinta utopica, una intraprendenza instancabile, una ricerca consapevole del nuovo, una visione universale riferite all'uomo e alla sua educazione, la cui lontana origine va ricercata nei suoi maestri ad Herborn e nella cultura germanica ivi presente: Alsted, Fischer, Andreae e Ratke11.



Per quanto riguarda l'originalità di Comenio, relativamente al tema della lingua universale, riprendo una citazione già altrove12 impiegata: «Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che elimini la confusione delle lingue naturali e ne superi le imperfezioni (...) si dedicarono, nella seconda metà del secolo [XVII], non pochi cultori inglesi di logica e di problemi del linguaggio (...). Per comprendere il significato di queste opere (...) e la funzione storica da esse esercitata (...) bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzarono (...) la vita intellettuale inglese nella prima metà del secolo XVII. Si tratta: 1) in primo luogo, della profonda azione esercitata in Inghilterra dall'opera di Bacone e dai gruppi "baconiani" della Royal Society (...); 2) in secondo luogo, di quella grande "rivoluzione" (...) che conseguì ai grandi progressi della "filosofia sperimentale" e degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della risonanza che l'opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Comenio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, politica, religiosa dell'Inghilterra del Seicento (13). E, ancora: «L'influenza esercitata dall'insegnamento di Comenio sui progetti di una lingua universale è stata minuziosamente documentata. Nessun libro dedicato alla lingua perfetta14 era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra nel 1641” (15)

 

Al centro di questo viaggio sta la Via Lucis16, che già circolava manoscritta in Inghilterra prima che il Comenio vi giungesse17. La parte centrale di questo libro18 («Comenii est opus unum pulcherrimorum»)19, è occupata dai capitoli XV-XIX, nei quali sono esposti i requisiti indispensabili perché la via universale che porta alla luce sia aperta a tutti i popoli.



 

Si tratta di un piano di riforma della società e della scuola che ha come fine ultimo il miglioramento e l'unificazione del genere umano («è necessaria una certa riunione universale, sono necessari degli strumenti per unirci»)20, sia in campo religioso sia in campo «politico». Il Comenio si presenta qui nei due ruoli — inscindibili — di riformatore religioso e di educatore: la scuola e la chiesa costituiscono i due pilastri portanti del nuovo edificio in cui tutti gli uomini dovrebbero sentirsi sollecitati alla formazione di sé: la fede e la ragione collaboreranno a formare l'uomo secondo un piano voluto da Dio nel rispetto della natura umana, cui la grazia offre un supporto decisivo per la sua crescita e perfezione.

Il Comenio si distingue per il suo impegno continuo, assiduo a favore della scuola e dell'educazione e, quindi, ritrovarle poste qui in primo piano non deve meravigliare nessuno. Anche di un Consiglio universale aveva già parlato e continuerà a parlare in seguito. Il vero tema nuovo, insolito, che attraverserà d'ora in poi tutta l'opera comeniana e che qui trova il suo «debutto» è quello della lingua universale (21). «Il problema di una lingua universale è centrale nell'opera comeniana (...). Nella moltitudine e varietà delle lingue, Comenio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia “.(22)

La presenza, nel mondo, di numerose lingue è considerata un fatto decisamente negativo perché è come se vivessimo in un regno di tenebre, dove la concordia fra gli uomini, gli studi della sapienza, la diffusione della verità, l'allargamento dei confini della chiesa(23) risultano molto difficili per non dire impossibili.

 

Dopo un breve riepilogo delle argomentazioni esposte dal Vives24, «il quale pure auspica una lingua comune per tutta la terra», ma a tale scopo consiglia il latino, il Comenio così si esprime: «Ma dal momento che i nostri pensieri vanno più in alto, non posso non sostenere che è assolutamente meglio impegnarci per una nuova lingua»25.



L'accento, l'enfasi e la decisione risoluta emergenti da questa asserzione non lasciano dubbi sulla volontà del Comenio. Il linguaggio qui usato fa trasparire l'entusiasmo di chi intraprende un cammino nella fiducia di aver intuito la direzione giusta, di aver scoperto un bene inestimabile e di volerlo trasmettere a tutti; un atteggiamento, questo, che ricorda quello, spesso citato dal Comenio, di Seneca: «Ipse gentilis Seneca se ideo discere, ut transfunderet in alias, contestatus est: negans se velle sapientiam, si ea conditione detur, ut eam sibi servaret nec communicaret.26 Già nel capitolo XV, presentando sinteticamente i «quattro requisiti» viae lucis universalis, a proposito della lingua universale, dice che essa si preoccuperà di assicurare questo soltanto, che noi in questa società subceleste ci possiamo capire meglio e tutti lavoriamo alla costruzione del bene comune27.

Il fine primario, essenziale, direttamente collegato alla proposta della lingua universale è quello di ristabilire la situazione esistente prima di Babele: quando tutti erano messi in condizione di capire tutti. La lingua universale ha il compito di rendere possibile la comunicazione universale. Il Collegio universale (uno dei quattro requisiti) sarà fra i primi a impiegarla, in quanto centro di raccolta e di distribuzione della pansofia proveniente da tutto il mondo.

 

Torniamo alla controproposta di Comenio al Vives.



 

1) «Primo, lingua universali consulendum est ex aequo universis: Latina vero consuleremus nobis potissimum, quibus illa jam nota est»31. La motivazione è chiara e plausibile: il latino sarebbe «universale» solamente per finalità contingenti proprie di alcune categorie sociali (medici, scienziati, ambasciatori ecc.), per alcuni e non per tutti: quindi si creerebbe un'ingiustificata situazione di privilegio, contraria all'omnes della famosa triade comeniana. Meno convincenti le motivazioni contro il latino considerato come lingua troppo difficile, complicata, irta di difficoltà per le anomalie in essa presenti ecc.

2) «Deinde, linguam universalem oportet esse omniun locupletissimam, ad exprìmendum apte res omnes et promendum facile omnes animi conceptus omnino sufficientem, qualem se non esse Latina ultra fatetur»29. Anche questo secondo punto non convince, tanto più che il latino già da secoli ha mostrato di essere più che sufficiente strumento di comunicazione al di là dei confini di Roma e dopo che questa era ormai «scomparsa». Lo stesso Comenio, in realtà, lo userà quale «surrogato temporaneo» di quella lingua universale il cui progetto è rimasto incompiuto nelle pagine comeniane a noi tramandate.

3) «Tandem, et quod maxime intenditur, linguam universalem oportet esse confusionis conceptuum antidotum universale»30. La confusione dei concetti non nasce per colpa della lingua in uso, essa ha la sua origine nella mente, qui, e soltanto qui, vanno chiarite le idee, e ad esprimerle, in seguito, basterà qualsiasi lingua. Questa potrà, sì, essere razionale, analogica, armonica e in tal modo favorire una sempre più stretta convergenza fra idee e parole, ma il compito tutto suo consisterà nel contribuire alla chiarezza delle idee fra i popoli e individui di lingue diverse perché sarà bandita ogni mediazione di «terzi incomodi» traduttori: eliminare la «traduzione» è già un'impresa rivoluzionaria senza precedenti. Adesso è più agevole consentire con il Comenio là dove dice: «talis haec lingua nova illustrandae in oculis mundi modo nova sapientiae Dei pulcherrìmum foret medium31.

Mettere tutti gli uomini in comunicazione fra loro ha del miracoloso e la lingua universale che lo attua è a ragione vista come uno strumento meraviglioso messo a disposizione degli uomini dalla sapienza divina (la luce diffondentesi nel mondo).

Il messaggio forte che promana da questi primi accenni della Via Lucis può essere sintetizzato: 1) in quella visione sognante che conclude il paragrafo 6 di questo capitolo XIX: «Et poterit, quicunque volet, per quascunque mundi regiones et climata peregrinari, omnes intelligere et ab omnibus intelligi gnarus»; 2) nella speranza, saldamente fondata sui princìpi della pansophia, di riuscire a ottenere una lingua universale «quae latina sit decuplo facilior (...) et centuple perfectìor (...) et millecuplo ad rerum naturas harmonice exprimendo accomodatior»?32. Nel frattempo, tuttavia, per fugare ancora una volta i sospetti di quanti temono l'abbandono o la sparizione delle lingue quale conseguenza inevitabile, dopo l'adozione della lingua universale33, egli precisa quanto segue.

 

I) «Primo, ut linguae doctae, titulo crucis Christi sanctificatae, eruditis in uso maneant», dove appare, forse, la preoccupazione particolare, oltre a quella appena accennata più sopra, di tranquillizzare proprio quegli «eruditi», più di altri preoccupati, e per ragioni non sempre lodevoli, di perdere la posizione di privilegio raggiunta all'interno della società.



II) «Deinde, ut linguas quoque suas peculiares sibi gentes servent et excolant (...) ut omnis spiritus laudet Dominum omnesque linguae canant Deo».34

La Via Lucis risente di uno sforzo e di un impegno eccezionali, certamente proporzionali alle aspettative che la precedettero e alle innovazioni di cui sarebbe dovuta essere foriera35. Le conclusioni di Comenio sulla opportunità e necessità di una lingua universale qui esposte troveranno ulteriore ampliamento nella grande opera conclusiva della sua vita e del suo pensiero: la Consultatio, specialmente nella Panglottia. (E’ con ragione che, quindi, la Via Lucis è stata considerata una Consultatio in nuce).36

Queste conclusioni si possono già leggere nella lettera scritta da Comenio alla Royal Society e inserita come introduzione alla Via Lucis37.

 

“Quia denique deprehendimus unicum, sed praevalidum ad gentes cum lumine hoc penetrandi obicern esse linguarum multitudinem, varietatem, confusionem: ausi sumus impedimenti huius amolitionem moliri, per nova consilia de linguarum omnium meliore cultura et de polyglottia reddenda faciliore: una denique lingua prorsus nova, prorsus facili, prorsusque rationali et philosophica (imo pansophica), Lucis vehiculo universali, condenda»38.



3. Dalla «Via lucis» alla “Panglottia”

Quando per lungo tempo nutriamo un sogno pensiamo continuamente al modo di attuarlo.

Esso occupa la nostra mente sì da sollecitarla a cercare tutti gli strumenti possibili, le argomentazioni più convincenti affinché l'impresa, in esso contenuta, trovi consensi, appoggi e la volontà sia sempre più motivata ad agire. Il sogno non può restare incompiuto, occorre tradurlo in opera concreta, tanto più se la sua attuazione serve non solamente interessi particolari bensì e soprattutto il bene comune, ossia il bene che riguarda tutta l'umanità.

Se l'idea di una lingua universale fosse rimasta circoscritta alla Via Lucis e relegata al periodo del soggiorno londinese del Comenio, essa non perderebbe oggi, certo, il suo valore. Noi sappiamo, però, che tale idea non cesserà mai di riaffiorare e di ripresentarsi in tutte le opere successive dell'educatore e pedagogista moravo e ciò ne aumenta il valore.

A tal fine l'itinerario dalla Via Lucis alla Panglottia passa necessariamente attraverso la Methodus linguarum novissima un'opera di grande mole, specifica sul tema che stiamo trattando. Il titolo del capitolo sesto di questo scritto suona così: «De lingua aliqua una prae caeteris colenda, et cur honor ille apud nos Latinae deferatur». Già nel primo paragrafo incontriamo un'affermazione «forte» che si collega a quella della Didattica Magna (citata all'inizio di quest'articolo): «Linguarum plurìum scientiam non esse partem sapientiae (quae in rerum notitia vera usuque legitimo consistit) fatemur»39. Non solamente l'apprendimento delle lingue quindi è strumentale e non genera sapienza, esso è anche da ridimensionare, o meglio da ridurre: tutti ne saremmo felici «si ut in paradiso ita semper linguas ignoraremus praeter unam [corsivo mio]».

 

Nel seguente paragrafo Comenio ammette che nella situazione attuale occorre (l'esigenza nasce dalla struttura e dall'organizzazione sociale) imparare anche «le lingue divise»: ad esempio, per intenderci con i popoli confinanti.



Questo può darci una certa soddisfazione, procurarci una piccola gioia perché già così, sia pure in forma minima, superiamo l'ostacolo della divisione linguistica.

E allora quante se ne dovranno imparare? Comenio risponderà più avanti a questa domanda in modo pieno, ma già fin d'ora afferma: «Nunc demonstrandum suscepimus uni alicui linguae prae ceterìs colendae dandam esse (vel omnibus hominibus) operam fini triplici. Primo, ut illa ipsa una lingua multorum communi ope excolatur perfectius. Secundo, ut sic exculta aliis quoque linguis melius perpoliendis velut exemplar sit. Tertio, ut eo lubentius assumatur in commune gentium vinculum, interpretem scilicet universalem omnium ad omnes, postquam a sapientioribus univer­sali confusioni, gentium et linguarum, universale remedium pridem optarì coeptum est, lingua aliqua universalis»40.

 

Ci troviamo, a questo punto, di fronte al problema: quale potrà essere la lingua da scegliere al fine di usarla come vincolo comune dei popoli, come loro interprete? La storia ci insegna che le lingue (sottinteso: i popoli che le parlano) in proposito si sono comportate da rivali: ciascun popolo ha sempre considerato la propria lingua la sola adatta a trasformarsi in «lingua di tutti».



Suffragati da tale convinzione ecco che «gli aspiranti» a tale ruolo si servirono di metodi diversi: alcuni — i Greci — impiegarono la loro cultura, gli Arabi la loro religione; altri — Romani, Germani, Spagnoli ecc., usarono la forza delle armi: «quando gentes subjectae victricis subire leges propterque conservandam inferiorum a superoribus dependentiam linguae admittere commercium coguntur”41. E’ la normale condotta dei vincitori nei confronti dei vinti: in questo nulla di nuovo sotto il sole.

Interessante è l'esempio riportato dal Comenio e concernente il re del Perù: «Ita Gvainacapa rex Perù subjectis numerosissimis gentibus linguam Cuscanam (quae Ingarum appellatur et Quicham) ita mandavit, ut hunc usque in diem permultae gentes particularìbus idiomatibus separatissimae hujus beneficio sese mutuo intelligant»42. In un territorio «sovraffollato» da molte lingue diverse (come lo è og­gi, ad esempio, l'Europa) il sovrano comandò l'uso di una lingua comune per potersi reciprocamente intendere, per rendere possibile lo scam­bio di informazioni, per superare l'isolamento cui sarebbero condannati i numerosi popoli di uno stesso regno.

La situazione del Perù nel XVI secolo è, in proporzioni ridotte, quella del mondo intero: la diversità, la molteplicità vanno ridotte all'unità, il singolarismo, l'individualismo hanno da essere superati in nome dell'universalismo. In conclusione, afferma il Comenio, «perstat votum nostrum de lingua una eligenda»; e anche dopo aver fatto riferimento al Vives44 (come già nella Via Lucis e prima di aderire alla proposta dello stesso per cui «Latinam prae aliis orbi commendandam esse») non vuole abbandonare del tutto la sua idea. Crede perfino d'aver letto fra le righe del Vives «tacitum viri pro lingua aliqva perfectiore […] votum: a quo tamen mox recedit, quia forsan nobis tam fore beatis hac in vita non speravit». La lingua comune avrebbe il potere di restituirci la beata convivenza del perduto paradiso!

 

Il «pansofo» e il «didattico» mostrano due comportamenti differenziati e nella personalità del Comenio affiorano alternativamente — lo si vede anche nelle sue opere — l'educatore e il pedagogista, il filosofo e il teologo, il realista e il sognatore, l'uomo che appartiene ad una minoranza etnica e religiosa e l'uomo proiettato nella dimensione degli orizzonti «extraterritoriali» mondiali e dell'escatologia: questo è il fondamento sempre presente in lui45 che lo conduce irresistibilmente all'universalismo, che è e permane come essenza costitutiva, distintiva della sua personalità; da qui nasce la stesura della Consultatio, dove l'idea di una lingua universale impronterà di sé i vari libri che la compongono e darà origine alla Panglottia, opera incompiuta sì, ma bastevole a fornirci le ultime, conclusive riflessioni del Comenio su questo argomento che mi appare come «il pensiero dominante» della sua vita46.



 

Il marchio negativo dell’attuale mondo è la disunione, l’incomprensione reciproca, la confusione linguistica, il settarismo religioso e politico. Il rimedio a tutti questi mali sta nell’educazione dell’uomo, ogni riforma deve cominciare da lui. La prima cosa da imparare è la lingua, che costituisce l'imprescindibile legame che unisce gli uomini fra loro, quasi il necessario visto d'entrata nel consorzio umano. Comenio ha in mente l'umanità tutta e forse non è azzardato immaginare ch'egli — mutatis mutandis — ricordasse l'inizio del Vangelo di Giovanni: In principio era la parola. «At nobis, primo, maximae Societatis nostrae, seu maximi Collegii, quod est Genus humanum per Orbem expansum, unum commune prorsus deest vinculum. Linguam enim communem, qua cum quibusvis Orbis incolis colloquamur, habemus nullam: ideoque commercium Hominum cum Hominibus universale nullum»47. La mancanza di una lingua comune vanifica il piano divino della creazione dell'uomo — gli individui e i popoli vivono isolati gli uni dagli altri — e il piano universale del Comenio rivolto ad omnes.

Stando così le cose i tentativi riformatori dei filosofi e degli educatori e dei politici cadranno nel vuoto. Nella religione, nei fiumi, nei mari, nei monti, nelle lingue e nei costumi, restiamo vicendevolmente separati48 e impotenti nei nostri sforzi di «liberazione».

La riforma delle istituzioni umane — dell'educazione, della religione e dello Stato — già trova sul suo iniziale sentiero un grande ostacolo — anche se non il solo — ossia la confusione delle lingue che è una delle più gravi e pericolose malattie di cui soffre l'umanità.

E siccome il Comenio, come sempre, non si limita a descrivere e a deplorare i mali che affliggono l'umanità, ma cerca e suggerisce dei rimedi a questi mali dell'uomo, egli anche qui non si perita di esporre il suo pensiero «risanatore»: «Tandem quaeremus modum, qua Linguarum studia reddi faciliore queant: ut cuicunque Hominum lubuerit quamcunque Linguam, aut quotquot opus, brevi et levi opera addiscere possit. Aut etiam quomodo una aliqua lingua toti Mundo communis possit affici. Atque hoc vocabimus Panglottiam, universalem Linguae usum»49

Un rimedio intravisto è la facilitazione dello studio linguistico, ma più ancora la costruzione di una lingua mondiale comune quale porta aperta a tutte le genti. Un'impresa del genere, per quanto insolita e sconcertante possa essere, è considerata assolutamente necessaria e anche di non difficile attuazione50.

E’ invece difficile seguire il Comenio nel suo progetto di lingua perfetta, perché stiamo davvero sul terreno dell'impossibile. Una lingua del genere né esiste oggi in nessuna parte del mondo, né sarà mai ragionevolmente proponibile nel futuro; in quanto invenzione umana essa risentirà sempre e comunque dei limiti propri della natura umana, del suo inventore cioè o dei suoi inventori. Tuttavia ciò è riferito espressamente all'a­spetto linguistico e interessa soltanto marginalmente il discorso che qui si sta facendo. Più rilevante è, invece, l'aspetto educativo, culturale, umano: «Panglottia tollet commercii universalis repagula — barriere — potenter (...) et noxia illa turpisque humano generi inter gentes afonia (...) ut in toto societatis humanae Orbe nihil amplius impervium sit»51. Ci si avvia in questo modo all'opera per eccellenza in cui sarà esplorata, in lungo e in largo, la tematica della lingua universale: la Panglottia52.

 

L'inizio è, come in tutte le opere del Comenio, un saluto, rivolto «Omnibus Populis, Gentibus, Linguis sub toto coelo dispersis»53. Degna di nota è la datazione applicata a questo libro e soltanto a questo: «anno a Confusione linguarum, et dispersione Gentium 4220»54. Tanti secoli sono ormai trascorsi, tantissimi anni, il tempo è maturo, il giorno è venuto in cui sarà posta la parola fine alla barbarie linguistica per colpa della quale «alii aliis non intelligimur» (p. 153), in cui, in forma definitiva, si prenderà in esame, col proposito di attuarla, quella proposta che supera tutte quelle immaginate finora, sì da rappresentare la soluzione definitiva. Nell'indirizzo di saluto premesso alla Didattica Magna si legge: «Quaerere magna licet, licuit, semperque licebit, nec labor in Domino coeptus inanis erit.: p. 152 della (D)JAK, 15 (1).



 

Il problema della comunicazione universale

 

La confusione delle lingue nell'ambito del problema comunicativo si erge come il maggiore ostacolo: impedisce di stabilire relazioni fra tutti i popoli e impedisce di adempiere la missione universale — al religioso Comenio essa sta veramente a cuore — di annunciare Cristo a tutte le genti.



La causa di tanti mali — pensa il Comenio — è un male gravissimo da estirpare subito e con forza senza paura alcuna, fidando nelle proprie forze (e nei miracoli) che Dio non mancherà di sostenere perché si lavora alla sua gloria, si obbedisce alla sua volontà. Tre sono le possibilità che ci si offrono: 1) coltivare nel modo migliore le pro-prie lingue, 2) coltivare le più dotte, 3) inventarne una nuova55.

La terza possibilità è chiaramente la preferita e quindi sorge spontanea la domanda: si può inventare una lingua del genere? La risposta l'aveva già data nella Panaugia (capitolo XIV, 19). Se ne abbiamo un'idea esatta, se ne conosciamo i requisiti esenziali, nessun dubbio sulla positività della risposta. La possibilità numero uno, elencata sopra, è chiamata pantoglottia, e richiede un lavoro di ripulitura, di rifinitura dei vari elementi costitutivi delle singole lingue, dalle parole alle sillabe, alle lettere dell'alfabeto e alle numerosissime combinazioni che ne scaturiscono.

La possibilità numero due viene chiamata polyglottia e significa impegnarsi ad imparare alcune lingue considerate più colte e con il loro aiuto capire le cose, acquistare la sapienza, oppure ad imparare le lingue dotte per eccellenza: ebraico, greco e latino56, secondo un metodo che ne renda più facile l'apprendimento di quanto non lo sia stato finora, Oppure — e qui riemerge l'acuta intuizione comeniana — « Quomodo obtinerì queat, ut quaelibet Continens una unam prìncipalem, Omnibus in ea Continente habitantibus Populis servientem habere possint Linguam»57 .

Una lingua comune per ogni continente! Così si ridurrebbe notevolmente il numero delle lingue da imparare ai fini della comunicazione, nonché il tempo e le energie che invece richiede la Pantoglottia, e si potrebbe da subito pensare di introdurla nelle scuole di ogni ordine e grado attraverso i libri, i dizionari e quant'altro occorre allo scopo.

Il poliglotta Comenio rimpiange dentro di sé il tempo buttato via, quello adoperato — come si dice oggi — a imparare le lingue. Egli addirittura sembra avvertirci del rischio — da ricordare ora agli zelanti promotori della seconda e addirittura della terza lingua nella scuola dell'obbligo — di finire in stupidum. E molto più ragionevole — è sempre il Comenio che parla — pensare di offrire al genere umano un labbro solo (espressione biblica che nella mente del maestro delle nazioni vuoi dire una sola lingua) se è possibile58. Questa clausola finale più che un dubbio esprime un impegno, richiama un dovere. Non è forse vero che il mondo è la patria comune di tutti gli uomini?59 Non è forse vero che «facilius etiam foret Homines Linguam discere Unam omnes, quam unum quempiam multas»?60

A questo punto è impossibile non riproporre la domanda già posta altrove: «Quae autem erit illa Lingua, quam omnibus Mundi Nationibus commendari dignamputabimus?»61. La risposta suona immediata e chiara: se si decidesse di scieglierne una fra quelle esistenti, gli uomini, egoisti e pretenziosi come sono, vorrebbero concedere tale onore alla propria e la lite che ne seguirebbe non sarebbe facile da dirimere.

Il Comenio nega si possa preferire — nel ruolo di lingua universale — una delle lingue della croce, anche se ad alcuni sembra non manchino ragioni plausibili in proposito. Tutte e tre, chi più e chi meno, presentano difetti, manchevolezze, imperfezioni, lacune ecc. incompatibili con il concetto di lingua pansofìca — tale è, infatti, la lingua universale—: esse vanno di conseguenza scartate.

II rifiuto necessariamente si allarga e comprende tutte le altre lingue conosciute, che ricevono la loro denominazione dalle proprie genti che le parlano, dagli Stati in cui sono impiegate; questa — a differenza di tutte — è la lingua dell'umanità. Una tale lingua così perfetta, così eccelsa, così meravigliosa — per non dire miracolosa — potrà mai davvero esserci? Il Comenio nutre al riguardo una fiducia incrollabile, ma il risultato dei suoi sforzi è più un fallimento che altro: alla fine si è trovato in un vicolo cieco. Sotto il profilo linguistico non abbiamo niente che si possa chiamare una nuova lingua, una nuova grammatica, ma neanche un abbozzo o una struttura sulle cui fondamenta poter costruire un edificio abitabile. Si sa che quest'opera — come tutta la Consultano — è incompiuta, e forse ciò può spiegare, in parte, le contraddizioni in cui il Comenio si è trovato invischiato e alcune assurdità presenti nel suo Tentamen. «Comenio anche qui si è dimostrato, una volta di più, un suggeritore di idee da sviluppare in seguito»62.


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