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Le radici culturali dell’esperanto: la pedagogia di Comenio


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4. Dalla «Panglottia» alla “lingua internazionale”

Già nel Vangelo leggiamo qualcosa che può attenuare un giudizio troppo negativo — e perciò immeritato — sulle conclusioni «fallimentari» del Comenio, ed esattamente quello che è ricordato ai discepoli di Cristo: succede molto spesso che colui che semina non potrà raccogliere poi i frutti. Il Comenio fu un grande «seminatore» e il benefìcio dei frutti toccò ad altri. Basti ricordare la sua volontà di aprire le scuole ai giovani di ambo i sessi e perfino a quelli che «natura hebetes et stupidos viderì»63; il suo Orbis Sensualium Pictus, antesignano di tutti i libri di testo usati nelle scuole di tutto il mondo; la sua idea di una scuola dell'infanzia, che troverà attuazione soltanto alcuni secoli più tardi.

Ebbene il grande «seminatore» ha gettato il magnifico seme di una lingua universale, un seme che oggi è pronto per essere raccolto. Questa Panglottia così appassionatamente promessa non è stata da lui portata a termine. Forse il Comenio stesso ha avvertito che le lacune ch'egli si lasciava dietro durante la costruzione della nuova lingua erano sempre più numerose e non si potevano più colmare. Aveva osato un'impresa che non era più capace di reggere, ossia voler creare una lingua viva che doveva servire ai rapporti fra gli uomini e contemporaneamente essere una lingua fìlosofica perfettamente logica: una cosa impossibile. Anche l’inglese Dalgarno aveva fallito in proposito. Che ciascuno di questi due compiti singolarmente presi si potessero attuare lo si è visto nel tempo. Una lingua artificiale, qual è l'esperanto, per i rapporti internazionali essenziali risulta adatta e ha dimostrato la sua validità in questo ambito ad essa assegnato.

 

La Panglottia non è, comunque, il momento conclusivo della riflessione comeniana: lo strumento in essa abbozzato non è altro che il sostegno materiale — e necessario — dell'idea sempre viva e operante nelle ulteriori elaborazioni della Consultatio, in particolare nel piano di riforma Eruditionis, Religionis, Politiarum chiamato Panorthosia 65, indispensabile per preparare degnamente l'avvento del Regno di Cristo. A questo fine il ruolo della lingua universale è determinante66: 1) perché ogni riforma universale ha bisogno della lingua universale; 2) perché la divisione delle lingue è divisione delle menti e dei popoli; 3) perché la riforma della monarchia suprema di Cristo comporta necessariamente una lingua degna della divina maestà.



 

In definitiva: «quaerenda omnino est Lingua Universalis, quae nonnisi Orbis finibus terminetur, tam late patens, quam ipsum humanum genus»; t0ota ruat Babylon, nulla eius parte relìcta»67 . Nell'ultimo libro della Consultatio c'è una calda appassionata esortazione — tale è il significato del nome assegnato a questo scritto: Pannuthesia — affinchè ogni uomo dia il suo contributo per l'opera riformatrice illustrata nei libri precedenti. Fra i mezzi che assicureranno il successo a quanti si dedicheranno a que­sto immane lavoro c'è ancora e sempre la lingua universale, che Dio non mancherà di regalarci. I sogni, le speranze, i voti del maestro delle nazioni non rimasero né isolati né inascoltati. I progetti per creare una lingua universale si sono moltiplicati dopo il Comenio e se ne contano a centinaia68. Anche gli Enciclopedisti, in primo piano nella Rivoluzione francese, non mancarono di prendere in considerazione questo tema, indubbiamente carico di stimoli innovatori e di prospettive davvero rivoluzionarie [nota 69].

Si possono fare due osservazioni sull’influsso esercitato dal Comenio sui posteri: primo: quasi tutti coloro che si adoperarono a “costruire” una lingua universale lo fecero animati da ideali di fratellanza e di pace; secondo: il solo progetto di lingua universale che sopravvisse al proprio autore e, a tutt’oggi, trova milioni di aderenti, nonché una folta schiera di entusiasti promotori e studiosi, è quello del dottor Ludovico Lazzaro Zamenhof (1859-1917), lingua da lui inizialmente (1887) chiamata lingua internazionale (quest’aggettivo era a quel tempo più “popolare” e più rispondente al clima politico-culturale dell’Europa nell’ultimo scorcio del XIX sec.) e dai suoi sostenitori più tardi “ribattezzata” esperanto. E’ la sola lingua che fino ai nostri giorni continua ad essere usata in trasmissioni radiofoniche (in Vaticano [nota 70] come in Cina) e in molte riviste pubblicate in tutti i continenti. Ogni anno si tengono congressi nazionali in numerosi Stati e il Congresso Mondiale (che quest’anno

sarà organizzato a Firenze alla fine di luglio) .

Non è intenzione di chi scrive tessere l’elogio della Lingua Internazionale Esperanto [nota 71], bensì di riconoscere in essa l’attuazione del sogno comeniano.

L’eredità del Comenio si manifesta in continuazione anche nel nostro tempo offrendo spunti fecondi e rilevanti. Mario A. Pei, un italo-americano, professore di filologia romanza presso la Columbia University di New York, scrisse negli anni Cinquanta The Story of ' Languagé72, un successo del mercato librario americano. L'opera è divisa in cinque parti e l'ultima, dedicata al nostro tema, s'intitola appunto: «La lingua internazionale»73, comprendente cinque capitoli. Parlerò soltanto dell'ultimo, dal significativo titolo: «Si può riuscire».

 

L'esergo d'apertura è affidato a Lewis Mumford74: «In questo momento, una lingua mondiale ha per l'umanità maggior importanza di qualsiasi progresso meccanico»75. L'autore è consapevole che questo argomento può trovare consensi, ma anche suscitare dissensi ed obiezioni, perché la straordinarietà della cosa diffìcilmente s'accorda agli schemi mentali, linguistici, religiosi degli uomini d'oggi, mentre i nostri figli e nipoti po­tranno benissimo, qualora l'educazione s'impegni (e il peso della nostra responsabilità risulta quindi incalcolabile), accettare tutto questo senza diffidenza alcuna.



E’ privo di senso — dice il Pei — «azzuffarsi per decidere se sia meglio usare una lingua naturale, modificata o artificiale (...): scegliere l'una o l'altra fa lo stesso, ammesso però che tutti i popoli si accordino per usarla, e in primo luogo non per se stessi, bensì per i loro discendenti: quel che occorre per la soluzione del problema è solo una lingua (...) naturalmente purché si soddisfacciano due requisiti: la lingua scelta deve presentare una perfetta corrispondenza fra segni e suoni76 e dev'essere adottata, per convenzione internazionale, in tutti i paesi nel medesimo tempo (...) nelle prime classi elementari, a fianco della lingua nazionale [corsivo mio],in modo che possa venir appresa facilmente, naturalmente e piacevolmente dalle nuove generazioni” [nota77].

 

L'introduzione «strisciante» dell'inglese come lingua ausiliaria nel mondo in ogni campo sfugge — consapevolmente? — alla regola demo­cratica (cui fa riferimento il Pei), che esige un accordo preliminare fra i popoli e intende suscitare una «irreversibile» situazione di fatto: è l'applicazione della legge del più forte78. L'inglese, tra l'altro, non è affatto una lingua fonetica: la lettura e la scrittura di questa lingua formano due mondi separati fra loro. Ma il Pei va ancora più a fondo nella discussio­ne: «II problema non riguarda i linguisti, bensì i governi (...). Se i gover­ni veramente lo vogliono, la soluzione della discordia linguistica mondia­le è nelle loro mani (...). O i governi vogliono dare alle generazioni futu­re del mondo intero uno strumento di reciproca comprensione, oppure no. In quest'ultimo caso non c'è più niente da dire»79.



Sono molte le questioni che il Pei affronta in questo capitolo e sareb­be troppo lungo seguirlo pagina per pagina, ma le sue osservazioni ap­paiono sempre molto ragionate e assai pertinenti. Ritroviamo nelle sue parole spesso l'eco degli scritti comeniani («Lo spazio della vita umana ci permette di apprendere a sufficienza solo pochissime delle tante lingue del mondo». La brevità della vita è lamento ricorrente in Comenio) e non sarebbe difficile un riscontro testuale in proposito. Rimandiamo forzata­mente alle ultime pagine di questo avvincente libro di cui riportiamo una parte delle conclusioni: «Nazionalismo, pregiudizio, superstizione, scioc­ca rivalità, peso della tradizione sarebbero altrettante pistole puntate al cuore di chi anela a un mondo migliore. (...) Ma il progresso del mondo (...) nel campo dello spirito come nel regno della materia, non è mai sta­to opera di dubbiosi supinamente proni a una concezione pessimistica della natura e del destino dell'umanità»80.

3. Riflessioni conclusive

L'idea di una lingua universale appartiene ad un ordine di idee assolu­tamente insolito, è parte di un disegno assai ardito che coinvolge le basi stesse della nostra cultura educativa. La scuola non ce l'ha insegnata e quindi esce dagli «schemi» usuali del comune apprendere. Pensare alla lingua universale è come affrontare un mondo ignoto la cui costruzione non può poggiare in alcun modo sull'esperienza passata e sui supporti tra­dizionali: essa è una novità autentica, esige un radicale cambiamento di prospettiva, così come lo è l'idea di costruire la Stato Federale Europeo. Il paragone non è casuale. «(...) un discorso sulla problematica europeistica, orientato al tema educativo e pedagogico, deve puntare su una revisione e trasformazione degli atteggiamenti mentali e pratici, con evidenti ri­flessi d'ordine istituzionale-scolastico, che hanno distinto e tuttora distinguono un indirizzo condizionato dalla logica degli Stati nazionali (...). Il federalismo (...) rappresenta un salto qualitativo, una radicale inversio­ne di tendenza, per cui viene intravista una nuova e più adeguata forma di convivenza sociale (...)»81.

I grandi temi della cultura, fra i quali s'annoverano: la pace82, la giustizia, la libertà, l'unificazione del mondo e, appunto, la lingua universale, non si comprendono se non li inquadriamo in una visione «globale», che sola dà ordine e significato alle singole parti. Anche il Comenio parla del­la lingua universale all'interno di un piano di riforma generale della so­cietà e dell'educazione, dapprima nella Via Lucis, e successivamente nel­la Panorthosia. La lingua universale è un irrinunciabile strumento — pre­sto o tardi si sarà costretti ad ammetterlo — al servizio del miglioramen­to e del progresso dell'umanità. Introdurre la lingua universale nelle scuo­le porta necessariamente con sé positivi cambiamenti nel processo educa­tivo, mai presi adeguatamente in seria considerazione e che qui cerchia­mo di elencare, limitandoci ai più evidenti.

1) Se tutti i bambini del mondo (oppure, in via sperimentale, di un solo continente — come suggeriva lo stesso Comenio — imparassero contemporaneamente la stessa lingua (la lingua comune, la seconda lingua di ogni uomo, la lingua dell'umanità — definizione comeniana, questa — la lingua internazionale esperanto), gradualmente scomparirebbe dalla loro mente83 la categoria «straniero», e questo sarebbe un enorme, incalcolabile contributo all'avvicinamento, alla comprensione e alla fratellanza dei popoli. Lo «straniero», si sa, è, in prìmis, colui che parla una lingua straniera, e io lo scopro tale proprio quando esperimento la reciproca incomunicabilità. La lingua comune è certamente in grado, nel tempo, di eliminare gli effetti più nocivi e deleteri del falso nazionalismo.

2) L'apprendimento di una lingua comune nelle scuole di tutto il mondo (oppure, come già detto, di un solo continente) permetterebbe di mettere subito in comunicazione diretta fra loro i bambini che la imparano, mentre oggi questo traguardo, stante l'attuale direttiva in àmbito nazionale ed europeo, risulta irraggiungibile, perché attraverso la conoscenza di due o anche di tre lingue «straniere» il collegamento con gli altri non è a cerchio completo, a tutto tondo, ma a spicchi e molti bambini resterebbero isolati, esclusi dal consorzio con gli altri. E poi perché imparare, due, tre lingue quando al fine della comunicazione universale ne basta una sola a fianco della propria?

Esaminiamo inoltre altri due fattori determinanti qualora venisse introdotto nella scuola di base (elementare, popolare ecc.) l'insegnamento della lingua internazionale esperanto:



a) se si incomincia dalla classe terza si avranno tre anni utili per impararla accanto a quella materna, e in modo facile, rapido, data la sua struttura semplificata: si legge come si scrive, c'è una sola coniugazione ver­bale è voci verbali unificate nei vari tempi, un solo articolo ecc.; il tempo richiesto a ogni alunno è in tal modo assai ridotto107, a tutto vantaggio di un graduale arricchimento della lingua e di un suo necessario approfondimento;

b) l'insegnamento triennale della lingua internazionale esperanto non pregiudicherebbe (anzi lo faciliterebbe) l'apprendimento ulteriore, nei successivi gradi di scuola, di altre lingue, per fini diversi da quello della comunicazione universale, ossia per finalità contingenti proprie di alcune categorie sociali (medici, scienziati, ambasciatori ecc.)85 o per ragioni, come dire, pratiche, commerciali ecc., che possono interessare, quindi, non tutti, ma solamente scelte particolari, personali, elitarie.

 

Prima di concludere voglio riportare una recente riflessione sul ruolo straordinario ed esclusivo che può svolgere la lingua internazionale: «Un inizio determinante per un nuovo e giusto ordine sociale per tutta la terra sarebbe un sistema di comunicazione mondiale, la paritetica partecipazione di tutti gli uomini e di tutti i popoli, ad ogni livello e in ogni campo, al patrimonio scientifico-culturale dell'umanità. Un passo di grande portata in questa direzione sarebbe costituito dalla decisione a favore di una lingua ausiliaria mondiale, da insegnare in tutti i Paesi accanto alle rispettive lingue materne. Diventerebbe, questa, la base per dare a tutti gli uomini uguali possibilità di avvio. Nessun altro provvedimento potrebbe, a medio termine, esser migliore per lanciare socialmente ed economicamente i Paesi del Terzo mondo, dell'introduzione d'una lingua ausiliaria mondiale. Essi potrebbero, per la propria formazione, concentrare i propri sforzi su questa sola lingua e in tal modo ottenere, su ampia scala, l'accesso al patrimonio scientifico-culturale del mondo. Non ultimo, la consequenziale introduzione di una lingua ausiliaria mondiale favorirebbe, grazie ad un più intenso scambio, su scala mondiale, di uomini, informazioni e idee, la crescita di una identità mondiale. Questa stessa identità, lungi dal soffocare l'identità regionale linguistica e culturale, rafforzerebbe invece la stima e la dignità della diversificazione regionale»86.



 

In secondo luogo cito dal libro di Umberto Eco: La ricerca della lingua perfetta. Fare l’Europa (La serĉo de la perfekta lingvo. Konstrui Eŭropon), Ed.Laterza, Bari, 1993: “Sino ad ora le lingue veicolari si sono imposte per forza di tradizione […], o per una serie di fattori difficilmente ponderabili […], o per egemonia politica (l’inglese, dopo la seconda guerra mondiale. […] E’ innegabile tuttavia che oggi molte circostanze sono cambiate; per esempio quello scambio curioso e continuo tra popoli diversi, e no solo a livelli sociali elevati, che è rappresentato dal turismo di massa, era fenomeno sconosciuto nei secoli scorsi. Né esistevano i mass media, dimostratisi capaci di diffondere su tutto il globo modelli di comportamento abbastanza omogenei […] Pertanto se a una decisione politica si accompagnasse un a campagna pianificata dei media, la LIA (Lingua Internazionale Ausiliaria) prescelta potrebbe facilmente diffondersi.[…] Se questa decisione politica non c’è stata sinora, ed è apparsa difficilissima da sollecitare, questo non vuol dire che essa non possa essere presa in futuro.”87

Per finire io propongo, per contrastare l’egemonia linguistica dell’inglese e la conseguente colonizzazione culturale, quanto segue:

- in ogni scuola ove si insegna la lingua inglese si insegni contemporaneamente la lingua internazionale esperanto.

In tal modo alla “ragione della forza” (che ha portato quella lingua ad una posizione dominante insieme con la potenza che la usa) si oppone la “forza della ragione” rappresentata dalla lingua internazionale esperanto neutralmente e disinteressatamente ideata al servizio di tutti i popoli del mondo.

Giordano Formizzi
* Premettiamo, nell'intento di aiutare il lettore, la traduzione latina, fatta dal Comenio stesso, dei titoli - presi dalla lingua greca - dei libri che compongono la Consultatio (così di solito si abbrevia il titolo dell'opera, che in seguito sarà Cons.): De Rerum Humanarum Emendatione Consultatio Catholica; quest'ultimo aggettivo, «catholica», va inteso nel senso di «universale».

Libro I: Panegersia, excitatorium universale; Libro II: Panaugia, lux universalis; Libro III: Pansophia, sapientia universalis; Libro IV: Pampaedia, ingeniorum cultura universalis; Libro V: Panglottia, sapiens linguarum cultura; Libro VI: Panorthosia, eruditionis, religionis, politiarum emendatio; Libro VII: Pannuthesia, exortatorium universale. Della Consultatio esiste una editio princeps in due volumi, pubblicati a Praga nel 1966. Il primo volume contiene i primi tre libri, il secondo gli altri quattro più il Lexicon Reale Pansophicum. Le citazioni da quest'edizione indicano: 1) il titolo del libro, 2) il volume in cui si trova, 3) la pagina (e non la colonna in cui solitamente è divisa). Con la sigla (D)JAK ci si riferisce all'edizione praghese (iniziata nel 1969) di tutte le opere del Comenio. È un'edizione critica ampiamente documentata e commentata, ma non ancora completa, degli scritti comeniani. Sta diventando, ormai, l'opera di riferimento comune per tutti gli studiosi. Le citazioni dalla (D)JAK indicano: 1) il titolo dell'opera, 2) il volume in cui è contenuta, 3) la pagina del volume seguita dal paragrafo.



2 «(...) si potrà affermare che ora, nello stato di corruzione, se qualcosa si deve sapere, bisogna impararlo (...). Certo, questo è più difficile per noi di quanto non sarebbe accaduto nello stato di perfezione: ora infatti le cose ci sono diventare oscure, e le lingue confuse così che non ne basta una sola, ma se ne devono imparare diverse. Cfr.: G.A. Comenio, La grande didattica, cap. VI, 5, trad. it. a cura di A. biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993. Tutti i brani di quest'opera citati in italiano sono presi da questa edizione, e insieme sarà riportata anche quella della (D)JAK, dove la D.M. si trova nel vol.15(1).

 


 

3 Didactica Magna, cap. XXII, 1 . In nota a questo passo sono citati anche i seguenti brani: «L'eloquenza (...) è soltanto la serva delle scienze e delle arti». Pansophia, voi. I, p. 499; «Rimane pertanto fermo questo principio: che la lingua latina è strumento di rea- lizzazione di un'istruzione reale». Didactica Dissertano, (D)JAK, 15(1), p. 360, § 27. Le parole (di .qualsiasi lingua) sono solamente un tramite della sapienza, perché essa è costituita dal «messaggio» che queste trasmettono. L'espressione evangelica ama il tuo nemico conserva il suo valore culturale, sapienziale indipendentemente dalle parole adoperate (lo stru-mento, appunto) per trasmetterlo. Nessuna lingua aggiunge alcunché di essenziale al si-gnificato del precetto divino, sì da stravolgerne il senso o da migliorarlo. Al massimo, si può parlare di una maggiore o minore quantità di persone raggiungibili grazie ad una lingua piuttosto che ad un'altra, ma il tutto non modifica l'essenza di quanto è detto.

 

4 Didattica Magna, p. 351.



 

5 Ivi, p. 353 e cap. XXII, 5.

 

6 Ivi, p. 355.

 

7 In questa fase in cui la lingua universale ancora non emerge quale tema da discutere, vediamo che al Comenio interessa che le lingue s'imparino in modo veloce e con facilità, criteri, questi, che giocheranno un ruolo primario sia nella Methodus linguarum novissima (1643-48), — (D)JAK, 15 (II), pp. 91-102 — sia nella nuova lingua prospettata nella Panglottia.

 

8 Qui, prima di tutto ed essenzialmente, si vuole mettere in luce la pedagogia innovatrice del Comenio. Il suo progetto di una lingua universale interessa senz'altro anche il linguista, sia pure in modo marginale, mentre risulta assai stimolante e fecondo soprattutto per l'educatore, cui si apre una prospettiva oggi certamente meno utopistica di quanto potesse sembrare nel secolo XVII.

 

9 Hartlib, insieme con il Dury, invitò Comenio a Londra in nome del Parlamento d'Inghilterra e tutti e tre incominciarono a preparare il progetto per la nuova società. Fu Hartlib ad ospitare il Comenio per tutto il tempo che questi passò in Inghilterra e collaborò, insieme ad altri, alla diffusione degli scritti pansofici. Cfr. i contributi di M. fattori e K. schaller in: B. bellerate (a cura di), Comenio sconosciuto, Cosenza, Pellegrini Ed., 1984, rispettivamente pp. 41-49 e pp.145-154.

 

10 È pur vero che qualcuno poteva parlare in latino, ma fu per il Comenio una grossa fortuna l'aiuto di Figulus, il quale «beherrschte die englische Sprache und konnte ihm sehr nützlich sein»: cfr. M. blekastad, Comenius. Versuch eines Umrisses vom Leben, Werk und Schicksal des Jan Amos Komensky, Oslo, 1969, p. 316.

 

11 Cfr.: B. bellerate, «Comenio e l'utopia», in Orientamenti pedagogici, 1986, 5, pp. 809-828. «Anche l'impegno didattico, che all'"omnia" dell'enciclopedismo associa l'"omnes", non può ritenersi esente (...) da una connotazione utopica. Questa anzi acquista in spessore e ruolo, sia pure in senso più negativo, se la si collega all'esasperata fiducia nel metodo, che, a sua volta, presuppone parallelismi inesistenti, p. es. tra "res et verba", da cui ha successivamente preso corpo l'idea e l'esigenza di una lingua unica e universale», p. 823.

Johan Heinrich Alsted (1588-1638). Teologo, filosofo ed erudito. Al Comenio interessò il suo impegno per il metodo in generale, «studiato e propagato nella sua funzione, unificante e armonizzante, benché frequentemente espresso in regole minute». Cfr. B. bellerate in Enciclopedia pedagogica, Brescia, La Scuola, alla voce corrispondente.

Johan Fischer (Piscator, 1546-1625). Fu, insieme con l'Alsted, insegnante del Comenio presso l'Accademia di Herborn in Nassau. Ambedue questi maestri iniziarono il giovane studente moravo alla dottrina del millenarismo, ossia della seconda venuta di Cri­sto sulla terra.

Johan Valentin Andreae (1586-1654). Teologo evangelico a Vaihingen e a Calw (Sve­zia), cappellano di corte a Stuttgart, sovrintendente generale della scuola conventuale di Bebenhausen. Di lui Comenio ricorda in particolare Reipublicae chrìstiano-politanae de-scriptio, un progetto di città cristiana scritto nel 1619. Cfr. la voce corrispondente nella Enciclopedia pedagogica sopra citata.

Wolfgang Ratke (1571-1635). Si dedicò alla didattica quasi fosse un'arte occulta, una scienza per iniziati. Ai prìncipi tedeschi riuniti a Francoforte nel 1612 per il Reichstag egli promise di fornire le istruzioni necessarie per facilitare lo studio di tutte le lingue e di tutte le arti, ed addirittura per creare una lingua, un governo e una religione unica. Cfr. il Dizionario enciclopedico di pedagogia, Torino, SAIE, 1969 e la voce corrispon­dente Ad\'Enciclopedia pedagogica sopra citata.

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