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Altre testimonianze di altri presunti “attori”


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e alla mia risposta affermativa mi disse di scendere subito.

Nel frattempo gli altri avevano proseguito verso il lavatoio. Vidi partire una macchina nera. Nella strada non c’era nessuno tranne due donne al lavatoio”.

Il Remund scese subito e venne accodato assieme ad altri tre o quattro partigiani sconosciuti dicendogli che c’erano dei fascisti ed occorreva fare dei posti di blocco.

Come si vede, con i suoi racconti, questo teste permetterà di intuire che nel breve corteo dei prigionieri che percorse la piazzetta del lavatoio per salire poi in macchina fu inscenata una mascherata atta a dare ad intendere che si conduceva il Duce e la Petacci, vivi, all’esecuzione. Si evince infatti che il gruppo di partigiani al seguito, che poi oltretutto si diedero da fare per effettuare svariati posti di blocco, era ben più numeroso di quello che invece avrebbe dovuto essere secondo la versione ufficiale (che indica Audisio, Moretti e Lampredi più i carcerieri Lino e Sandrino).

Molti altri particolari (come vedremo appresso) il signor Remund li scrisse anche in una sua interessante lettera spedita il 30 gennaio 1973 proprio a Franco Bandini che già a suo tempo lo aveva intervistato. La testimonianza di Remund, come afferma il Bandini, circoscrive, spiega e precisa in termini di orari molte delle precedenti testimonianze riportate, come ad esempio la sparatoria udita, giù verso il paese, attorno alle 12,30 o poco più, partigiani che sparavano come se rispondessero a qualche fantomatico attacco, proprio lungo la strada che conduce a casa De Maria, vari posti di blocco o di guardia improvvisati da partigiani in quei posti, ecc., il finto corteo atto a dimostrare il Duce e la Petacci condotti alla fucilazione, il ritrovamento di pallottole in terra o nelle crepe del basso muro di Villa Belmonte, ecc.



  • La signora Rosita Barbanti, torinese, al tempo sfollata a Bonzanigo presso la famiglia Peduzzi, sembra che venne a trovarsi, mentre stava nei pressi della piazzetta del Lavatoio con i suoi due cani, vicino la vettura del Geninazza parcheggiata sullo spiazzo del Lavatoio ed in attesa del ritorno dei giustizieri con i prigionieri (resta dubbio se poco più avanti era rimasto ad aspettare Valerio, come affermato dal Geninazza o se invece anche costui era andato a casa De Maria secondo la versione di Valerio). La signora si accostò all’autista e chiese cosa stava accadendo, ma ottenne solo una generica risposta.

  • Ancora la signora Barbanti raccontò che quel 28 aprile, già in mattinata si era notato un certo movimento in paese e si vociferava che si stavano cercando due fascisti fuggiaschi o due generali prigionieri. La signora asserì anche di aver visto un certo movimento dalla parte della chiesa e di aver udito dei colpi soffocati. Tutti trambusti questi, eccessivi che, secondo la versione ufficiale, non avrebbero dovuto constatarsi visto che Mussolini e Claretta prigionieri erano buoni e tranquilli in casa De Maria, il paese ne era all’oscuro e non sembra che ci furono fascisti fuggiaschi da ricercare.

  • Verso le 16, sembra che mentre Valerio stava arrivando al cancello di villa Belmonte, la signora Teresita, moglie di Bernardo Bellini proprietario della villa era seduta sulla terrazza che guarda il lago, mentre suo marito era all’interno cercando di ascoltare la radio assieme al signor Rinaldo Oppizzi e relativa moglie. Lelia, la figlia degli Oppizzi, si trovava invece nel giardino a leggere vicino alla donna di servizio, Giuseppina Cordazzo (Pina), che nel frattempo accudiva il giardino. Entrò in casa la Pina e disse “Sa ingegnere che ci hanno fatto ritirare?” “Ma chi?” chiese stupito il Bellini. “Dei soldati che c’eran lì”. Anche la signorina Lelia confermò che due giovanotti in divisa che correvano dietro una macchina avevano gridato “Ritiratevi, ritiratevi”.

La signora Teresita, invece, dalla terrazza e senza esser vista, aveva osservato una automobile che si fermava proprio di fronte al suo cancello ed aveva visto scendere un individuo corpulento con un berrettino militare che le parve nero. Teneva le due mani alzate ed infilate negli spacchi laterali del cappotto come un Alpino che regge le cinghie dello zaino.

Emozionata corse in casa, ma mentre ci si scambiava le notizie si udirono, distintissime, due raffiche di mitra, separate da un intervallo di non più che qualche secondo. L’ingener Bellini, come il signor Oppizzi, sono quasi certi che si trattò di un totale di dieci colpi. Fu allora mandata la Pina in esplorazione, la quale con noncuranza cercò di arrivare al cancello, ma fu fermata dalla voce di un uomo che non vide e che strillò: “Aria, aria” al chè la Pina rientrò in casa senza aver visto nulla.



  • E’ d’uopo ricordare la testimonianza del già citato Maximilian Mertz, per le sue implicazioni che potrebbero, sia pure con molte riserve, farlo passare come l’unico teste dei precisi momenti della finta fucilazione. Il Mertz era un cittadino svizzero di mezza età che proprio per la sua diversa nazionalità mantenne per diversi anni il segreto di quanto aveva visto. Successivamente però, forse sentendo approssimarsi la sua fine, sembra che ebbe a scrivere una lettera al figlio con i particolari di quanto aveva visto.23 Egli era proprietario di una grande villa sulla statale del lago, dotata di un grande parco che sale verso il monte ed il cui muro di cinta si inerpica fin quasi a villa Belmonte. Qui, al termine di questo lungo muro di cinta, si apre una porticina discreta, che immette su quella via San Vincenzo che, dopo un centinaio di metri, sbocca direttamente con sei larghi scalini in ciottolo, sulla via in cui si disse che Mussolini venne fucilato.

Il Mertz riferì, oltre ad aver udito degli spari intorno a mezzogiorno, che anche verso le 16 udì uno sparo verso Bonzanigo (forse il colpo di avvertimento di Valerio?). Si mosse quindi per curiosità, così come si trovava, ovvero in vestaglia e pantofole e con una specie di foulard in testa. Percorse in fretta la via di San Vincenzo, ma poi rallentò al salire degli ultimi scalini: in tal modo potè osservare discretamente nascosto un gruppo numeroso di combattenti intorno ad alcune persone stese per terra (anche questa versione è stata ripresa, da vari autori ed in varie edizioni, con alcune varianti, aggiungendovi o meno la presenza del giardiniere Giavarini).

Ma ancor più significativo si dice che il Mertz ebbe ad affermare che aveva visto delle persone sparare in aria e su “dei cadaveri morti da un pezzo”.

Questa testimonianza sarebbe veramente decisiva per attestare una finta fucilazione ed oltretutto sarebbe l’unica testimonianza esterna al gruppetto degli esecutori e l’autista, che avrebbe assistito alla fucilazione.

Purtroppo però occorre prenderla con cautela, perchè è una testimonianza, fornita di riporto da F. Bandini, ma non risulta che sia stata approfondita o attestata esplicitamente come avrebbe dovuto essere. Il bello è che lo stesso Valerio scrisse in una delle sue relazioni di aver intravisto in quei momenti una vecchietta intenta a far legna (evidentemente proprio il Mertz che per il suo abbigliamento fu così scambiato). Questo particolare scatenò per anni i cronisti alla ricerca di questa fantomatica vecchietta.




  • Giacomo Giavarini, al tempo residente con la famiglia ad Azzano, era il giardiniere di Maximilian Mertz. Quel fatidico giorno era nel parco della villa, quando verso le 11 o le 12 udì molte scariche di mitra verso la montagna, dietro la chiesa. Spostatosi riuscì a vedere molti soldati o partigiani in divisa che si muovevano confusamente nella parte alta del paese. Come vedesi questa testimonianza, sia pure in modo confuso ed impreciso, fa il paio con la precedente.

  • Ancora Giacomo Giavarini ha raccontato che verso le 15,40 di quel 28 aprile, uscì dalla villa sulla statale per poter potare le siepi, ma poco discosti dal cancello vide due partigiani in giacca mimetica, armati di mitra, con spallacci che gli fecero un brusco segno di rientrare. Il giardiniere rientrò, ma incuriosito percorse un lungo tratto della villa uscendo da una porticina secondaria che immette su via San Vincenzo, una stradina acciottolata che congiunge la statale con villa Belmonte. Arrivato agli scalini ed accingendosi ad attraversare la via principale, trovò altri due partigiani, con abbigliamento simile ai precedenti, seduti sul muretto che gli intimarono di tornare indietro. Dopo una diecina di minuti udì le famose scariche di mitra della fucilazione al cancello di villa Belmonte. Come vedesi la testimonianza attesta che gli accessi da sud, del luogo scelto per l’esecuzione, erano sbarrati da almeno mezzora prima dell’evento e quindi non si accordano con il presunto ed improvviso arrivo, alla chetichella di Valerio, così come lui lo ha tramandato alla storia!

  • Il giovane Dino Giavarini, figlio del giardiniere Giacomo, al momento della fucilazione si trovava a circa 20 metri dal cancello, sotto strada, in un triangolo erboso di proprietà Bordoli, per sincerarsi che un ciliegio avesse dei frutti. Mentre stava tra le fronde dell’albero udì un lungo e vasto dialogo concitato e, occhieggiando, dall’albero notò un gruppo di persone, non meno di una quindicina, indaffarate davanti al cancello. Dopo pochissimo sentì un paio di scariche di mitra per cui, spaventato, scappò a perdifiato.
    Il giorno successivo, il 29 aprile, Dino si recò al cancello della villa con un cacciavite onde estrarre qualche pallottola. Ne trovò una incastrata tra due pietre e se la prese.

  • E torniamo a Roberto Remund che quella stessa mattina del 29 aprile, si portò sul posto con un collega, anche loro per trovare pallottole ricordo. Ne trovò due che tenne con sè per anni, ed attestò anche di aver incontrato sul posto un abitante del luogo munito di cacciavite (probabilmente Dino Giavarini).

  • Padre Ersilio Farè del Convento di Barbarano di Salò, ebbe a riferire nel 1973 che padre Evaristo Cerioli, allora al convento dei Padri Cappuccini di Lenno Abbadia Acquafredda, si imbattè in un altro posto di blocco, questa volta a nord di Azzano, da lui incontrato prima delle ore 16 del 28 aprile. Padre Evaristo, infatti, stava rientrando da Tremezzo a Lenno, quando giunto all’altezza di Azzano si imbattè in alcuni partigiani che lo consigliarono di cambiare strada perchè c’era fermento. Padre Evaristo allora prese per il lungolago, invece che per la statale, ma fatti pochi passi udì forti colpi di arma da fuoco. Seppe poi che quelli erano i colpi della fucilazione di Mussolini. Ne concluse Franco Bandini, a cui va il merito di aver raccolto queste preziose testimonianze, che tutta la zona era bloccata molto prima che arrivasse Valerio, il quale non arrivò improvvisamente senza neppure saper dove fucilare Mussolini!

  • La signora Rosa Di Rizzo ricorda perfettamente che intorno a mezzogiorno qualcuno portò la notizia che tra poco Mussolini sarebbe passato prigioniero lungo la statale del lago. La signora con la sua famiglia pranzarono in fretta e si precipitarono sul posto dove attesero inutilmente fin verso le 16. Verso le 15,30 al loro gruppetto si aggiunse la Lia De Maria, proprio la padrona della casa-prigione che invece testimoniò poi di aver visto e parlato con i giustizieri arrivati a prendere Mussolini.

I compaesani chiesero alla De Maria cosa stava succedendo e la stessa rispose un laconico “Mi su nient”. Come vedesi questa testimonianza, se vera, sbugiarda tutta la versione di comodo dei coniugi De Maria i quali furono, opportunamente, spediti fuori di casa in quel primo pomeriggio.

  • Dino Bordoli, da Azzano, al tempo partigiano assieme al fratello, riferì nel 1973 che la mattina del 28 aprile, tornato in paese verso le 14 o 14,30, incontrò al pontile di Azzano alcune donnette emozionate le quali gli raccontarono che “qualche tempo prima” nelle immediate vicinanze dell’albergo Milano, sito tra la via Albana e la Regina, avevano visto arrivare una veloce auto che si arrestò in prossimità della via Albana (che porta verso casa De Maria). Ne erano scesi, senza neppure chiudere gli sportelli, quattro uomini armati di mitra ed in tuta mimetica che si misero a correre lungo la stessa stradina verso l’alto. Le donne avevano avvertito alcuni partigiani del luogo, ma dopo poco si udirono alcune raffiche di mitra alle quali risposero dei colpi provenienti dalla montagna, tanto che le donne atterrite non vollero tornare a casa.

  • Una certa signora De Tomaso, disse di aver seguito, nel pomeriggio del 28 tutta l’operazione davanti a villa Belmonte con personaggi vivi (ma non si comprende esattamente cosa intenda e la testimonianza serve a poco);





  • Mentre una certa signora Clementina Sironi da Monza, anche lei sfollata in una villetta lì vicino pochi metri a sud di villa Belmonte, pare che raccolse, al cancello della villa, scarpe da donna n. 34 (adatte per i piedi della Petacci), un fazzoletto e due pallottole più un bossolo, rimasti evidentemente abbondanti per terra. Raccontò che, la mattina del 29 aprile, sentì alla radio le notizie della morte di Mussolini ed allora corse al cancello di villa Belmonte, avendo ricollegato di aver udito due scariche di mitra il pomeriggio prima. Al cancello trovò i Bellini e gli Oppizzi che erano usciti per lo stesso motivo e raccolse due pallottole ed un bossolo. Una delle pallottole appare deformata dall’urto contro un oggetto solido come non avesse attraversato corpo alcuno o soltanto parti molli. L’altra reca una leggera ammaccatura. Erano di calibro 7,65. Il bossolo reca la sigla SFM 1940 che corrisponde a quella di una piccola società francese di munizioni, indice che furono sparati da un MAS.

  • Un’altra signora, certa Angela Bianchi, da lontano seguì una serie di frettolosi movimenti proprio in quel punto di via XXIV Maggio.

  • Ancora Roberto Remund attestò che alla vista dei cadaveri addossati al muro, indicatigli da un paio di partigiani seduti su un muretto a sinistra della strada, rimase sconvolto e si soffermò solo pochi momenti “però effettivamente mi ricordo che non vi erano pozze di sanguee la stessa pochezza di sangue, molto scuro e sulla parte bassa del muro, ebbe a riscontarla anche Dino Giavarini il mattino successivo, ovvero il 29 aprile.

  • Testimonianze dello stesso tenore di queste due precedenti furono rese da molti abitanti di villa Belmonte, come i coniugi Oppizzi che erano sfollati proprio nella villa Belmonte ed il signor Dino Bordoli, il quale ultimo precisò anche che il corpo di Mussolini era in ginocchio, mentre quello di Claretta pareva steso a terra.

  • Naldo Bellini, il proprietario di villa Belmonte, ci informa F. Bandini, che non aveva visto, là dove giacevano i cadaveri, nè sangue per terra nè segni di proiettili sul muro. Una foto, fatta al tempo di questa testimonianza e pubblicata su Storia Illustrata del febbraio 1973 mostra l’anziano Bellini imitare una posa atta ad indicare come aveva visto posizionato il cadavere di Mussolini mezzo appoggiato al muro.

  • Significativa ci sembra un'altra indiscrezione, sempre del Maxmilian Mertz e sempre se vera, che pare sorprese, il mattino successivo 29 aprile 1945, un pescatore di Mezzegra mentre sembrava intento ad operare dei buchi nel muretto che fu teatro della cosiddetta fucilazione di villa Belmonte, come per prelevarne delle pallottole.24

Questi, curiosamente, dopo la guerra, sembra che si trasferì a Voghera dove impiantò un lucroso commercio di raccolta di stracci e rottami, il cui agente principale, guarda caso fu, per molti anni, proprio quell’Alfredo Mordini, Riccardo, che alcuni danno come presente a Giulino di Mezzegra, ed altri lo indicano come uno dei fucilatori del Duce.

  • Si raccontò che quando verso le 16,20 Valerio, Moretti e Lampredi ripartirono per Dongo, lasciarono sul posto Lino e Sandrino (Frangi e Cantoni) a guardia dei corpi.

Questi si disposero qualche metro a valle ed a monte del luogo dell’esecuzione bagnandosi sotto una pioggia torrenziale. Qui è bene aprire una parentesi per segnalare che molte testimonianze dicono che, poco dopo la fucilazione, venne giù, sembra sia pure a tratti, un forte acquazzone. Qualche fonte invece non segnala questa pioggia. Certamente ci fu una pioggia la notte precedente e forse al mattino presto, ed un altro acquazzone si ebbe a Dongo proprio poco dopo (circa le 17,50) la fucilazione dei ministri, ma a Giulino di Mezzegra, c’è per il dopo fucilazione di Mussolini un poco di confusione.
Il particolare sarebbe invece importante perchè renderebbero ancora più stridenti le testimonianze che asseriscono che davanti al cancello di villa Belmonte rimase poco o nulla sangue. Comunque sia sembra che un certo Galli, capomastro della villa immediatamente a valle del famoso cancello, si affacciò alla finestra e già incuriosito dalle scariche di mitra udite poco prima chiamò un partigiano che passeggiava con mitra imbracciato li vicino (si dice che probabilmente era Sandrino) e gli offrì un impermeabile. Quindi domandò cosa stesse facendo e quello rispose sorridendo: “ Quando domattina lo saprete, sarete tutti contenti”.

Il particolare non riveste alcuna importanza nella nostra controinformazione e lo diamo per semplice cronaca storica aggiungendo che sembra che, poco dopo, alcuni partigiani locali arrivati sul posto ignari di tutto ebbero a disarmare Lino e Sandrino, ma poi riconosciuti i cadaveri si scusarono e si eclissarono. A nostro avviso quest’ultimo aneddodo è probabilmente una invenzione di quei tempi, fornita per condire una versione di comodo che era stata data alla storia.




  • Un certo Angelo De Angelis, la cui testimonianza venne anche pubblicata con una sua foto su Storia Illustrata del febbraio 1973, riferì di aver aiutato a caricare i cadaveri sulla macchina davanti al cancello di villa Belmonte. Egli comunque notò con stupore che i cadaveri erano rigidi e la sua testimonianza assume un certa importanza,

  • Estremamente importante è invece, quanto riportato da un interrogatorio fatto dall’autorità giudiziaria il 15 settembre del 1945, vi si dice:

si presenta Tuissi Cesare di Umberto, abitante, ecc. ecc…il quale dichiara che due mesi fa, il 23 giugno, scomparve la di lui sorella Giuseppina (Gianna) di anni ventidue, che aveva partecipato insieme con Neri, Pedro, Bill, Renzo, Biondino, Pierino, Ardente, Lino, Nino, Cesare, Arno, ed altri due, all’arresto di Mussolini. L’esecuzione dello stesso fu fatta da Gianna, Neri, e Lino, tutti e tre scomparsi”.


  • Altre testimonianze, sia di altri presunti partecipi a quei fatti (per esempio Piero, Orfeo Landini), o comunque a quei fatti correlati (per esempio Bill, Urbano Lazzaro) e soprattutto alcuni abitanti del posto che aggiunsero tessere al mosaico nell’ultima ricostruzione di G. Pisanò (soprattutto le rivelazioni di Dorina Mazzola di Bonzanigo), le riporteremo più avanti e molte altre le troveremo, sia pure in modo confuso ed impreciso (e spesso non attendibile) nel Capitolo dove andremo a prendere in considerazione le più importanti versioni alternative di quei fatti.

  • Un ultima testimonianza, recentissima e veramente stupefacente anche se, fino ad oggi, non dimostrata: una anziana signora comasca 78enne, che desidera restare anonima, dichiarò nel 2007 alla TV satellitare Ebv che Mussolini è morto all’alba in casa De Maria. Essa afferma che possiederebbe anche una foto dell’evento.25 Probabilmente è una mezza invenzione, ma anche questa attesta un evento, certamente noto in quelle località: la morte di Mussolini in un orario mattutino, alquanto diverso da quello della versione ufficiale.

* * *

Come abbiamo potuto constatare dalla lettura di queste eterogenee testimonianze, una cosa risalta evidente: la “versione ufficiale” dei fatti non si è svolta come l’hanno raccontata!

I pochi testimoni dell’epoca, però, si conformarono tutti al canovaccio della versione ufficiale, creando una confusione generale, uno stravolgimento di fatti e particolari, una larvata mitomania, che rendeva e rende tutte quelle testimonianze scarsamente utili.

Ci vollero molti anni (come accaduto per esempio al Bandini) per accorgersi che, già in quelle poche e fumose testimonianze del luogo, c’era qualcosa di profondamente diverso da quanto la versione ufficiale aveva raccontato.

Nonostante tutto, infatti, emergeva già da allora, tra il falso e lo stravolto, il confuso e quant’altro, che dietro le quinte pur aleggiava un altra verità, in modo particolare per quanto riguardava la misteriosa fucilazione davanti al cancello di villa Belmonte e soprattutto per la presenza di tanti partigiani, del luogo o da fuori venuti, o di alcuni, sia pur limitati, posti di blocco o di accesso alle strade, che per la versione ufficiale in quei posti ed a quelle ore non avrebbero dovuto esserci, visto si racconta che, in paese e alla chetichella, erano sopraggiunti solo Valerio, Guido, Pietro e l’autista.

Così come non avrebbe dovuto esserci stata la falsa voce, sparsa forse tra le 12 e le 13 di quel sabato 28 aprile 1945 e che spinse, dall’ora di pranzo e fino agli eventi di villa Belmonte (16,10), i pochi abitanti del luogo, sulla statale per veder passare Mussolini prigioniero.

Chiudiamo quindi questo confuso argomento relativo alle varie testimonianze d’epoca esprimendo una nostra certezza:

E’ assodato che con l’ausilio di questi ricordi, testimonianze e relazioni, tranne qualche rara eccezione ben accertata, non è possibile avallare qualsiasi versione alternativa.

Esse possono essere utilizzate, tutto al più, per una critica o il tracciato di un quadro d’insieme alternativo rispetto alla cosiddetta versione ufficiale.

Abbiamo già visto come il Sandrino (Cantoni) stesso, riuscì con tanta naturalezza a mettere in piedi e a vendere una versione più o meno credibile per il settimanale “Oggi” e poi, con altrettanta naturalezza, a smentirla restituendo quanto ricevuto!

Ne potremmo citare tante altre, come ad esempio i romanzati memoriali di Pedro (il Bellini) e simili. Oppure i tanti testimoni oculari, poi risultati addirittura assenti ai fatti !

Del resto è notorio, ed i magistrati inquisitori o le indagini di polizia lo sanno benissimo, che spesso ed in perfetta buona fede, quando più di una persona assiste ad un evento improvviso, le fasi ed i particolari di quell’evento possono essere riportati in modo difforme dai pur presenti testimoni.

Figuriamoci per le tragiche storie che stiamo raccontando dove, oltretutto, agiscono anche tendenze ed interessi politici!

Quando poi, certe confessioni, apparentemente confermano quanto da altri già riportato, ma arrivano a distanza di tempo, a volte di anni (vedi ad esempio il particolare riferito prima da Geninazza e poi successivamente da Lampredi sul “Mirate al petto” o “al cuore” di Mussolini), è anche evidente una loro perdita di valore: chi garantisce infatti la sincerità di questa conferma?, visto che la notizia era già stata resa nota e, chi la ripete e la fa anche sua in tutto o in parte, non abbia trovato uno dei tanti modi per mentire ?

Significativo, è comunque il fatto che nonostante queste testimonianze ruotino attorno al canovaccio della versione ufficiale, accade invece che la storica versione venga stravolta ed in qualche caso letteralmente smentita.

Bivio di Azzano: il caricamento dei cadaveri

Facciamo ora un piccolo e ameno diversivo e leggiamoci la faticosa ricostruzione, che appresso riportiamo, la quale ci sarà utile per comprendere come, a causa della imprecisione negli orari, delle contraddittorie testimonianze raccolte e specialmente oggi, dopo tanti anni, sia oltremodo arduo se non quasi impossibile conseguire, dalle testimonianze e dai fatti così come ci sono stati raccontati, un sufficiente grado di verità oggettivamente riscontrabile.

A proposito di testimonianze confuse, incontrollate o totalmente inventate, infatti, prendiamo ad esempio quanto si è potuto (o non potuto) appurare dall’episodio, tutto sommato secondario, concernente il trasbordo dei cadaveri dei due fucilati, prelevati a Villa Belmonte e poi caricati sul camion che da Azzano li portò a piazzale Loreto.

Vedremo così come possono esserci testi che affermano una certa verità e parimenti altri testi ed autori (però di parte resistenziale) che sostengono il contrario.

Si faccia attenzione perchè i particolari che, purtroppo, le controverse testimonianze non consentono di dirimere con assoluta sicurezza, sarebbero invece stati importanti per un sia pur relativo riscontro induttivo dell’ora di morte dei due fucilati.

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