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Altre testimonianze di altri presunti “attori”


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Qui appresso daremo alcuni orari, seguiti dall’avverbio circa che in questo caso, per ovvi motivi, è inteso con un largo margine di tempo prima o dopo.

Dunque, in orario imprecisabile, ma certamente poco dopo le 18,26 preceduto dalla macchina di Audisio, partì da Dongo sotto la pioggia il camion, che trasportava i ministri della RSI e gli altri poveri disgraziati, trucidati poco prima con metodi gangsterici.

Percorsero un poco più di venti chilometri e si fermarono ad Azzano sullo spiazzo della strada provinciale in orario non ben definito, ma che potrebbe essere tra le ore 18,35 / 19,00 circa.

Si racconta che da una stradetta laterale sbucò una macchina coperta.

C’è chi disse che era la stessa 1100 nera con la quale qualche ora prima era arrivato Valerio a Bonzanigo e che era ancora guidata da Geninazza (sembra improbabile anche se, come abbiamo visto, lo raccontò lo stesso Geninazza).

Non è invece affatto sicuro quale macchina fosse quella che caricò i cadaveri a villa Belmonte, non c’è una testimonianza, che sia una, che non sia in contraddizione con altre. Oltretutto, come vedremo nell’ultimo capitolo, già dal mattino ci furono svariate autovetture all’opera tra Bonzanigo, Giulino ed Azzano.

Di certo sappiamo comunque che la macchina adibita a carro funebre in quel pomeriggio tardi, era una macchina coperta che si dispose dietro il furgone che sembra essere appena arrivato.

Il camion era appena arrivato quando giunse, da una stradina laterale, la macchina con i cadaveri” affermerà il partigiano Orfeo Landini nel 1945 e la cosa sarà riportata in tutti i libri su questi avvenimenti. Egli aggiungerà: “Sui cuscini giacevano come in un rilassamento di sonno, Mussolini e la Petacci.”

In precedenza infatti, i cadaveri erano stati lasciati dalle 16,10 circa davanti al cancello di Villa Belmonte, guardati da Lino e Sandrino che poi, pare con l’aiuto di qualche ragazzotto del posto, li caricarono senza tanti complimenti nella macchina: Mussolini con la testa sul pavimento e i piedi all’altezza del finestrino e Claretta di traverso sui cuscini posteriori.

Non è però sicuro che la macchina che caricò i cadaveri fosse venuta da Dongo e meno ancora che fosse quella di Valerio, oppure invece era una altra già presente sul posto. 27

Ci sono anche voci che asseriscono che i due cadaveri vennero trascinati fino al bivio, dietro una macchina, legati per mezzo di una fune, ma il fatto ci sembra veramente improbabile.28

Vennero comunque scaraventati sul camion (giunto da Dongo), dai partigiani dell’Oltrepò con l’aiuto forse di qualche partigiano lì presente, che li afferrarono per gli arti e, dopo averli fatti dondolare, li sbatterono sul camion (facile per l’esile Claretta, più pesante per Mussolini).

Nel suo libro “In nome del popolo italiano” già citato, Audisio preciserà:

Giunti nei pressi di Mezzegra, la piccola auto (intende una utilitaria che aveva fatto da battistrada all’auto di Valerio e al camion n.d.r.) si inerpicò per la strada di montagna fino al cancello della villa Belmonte, caricò le due salme ivi lasciate, tornò indietro e si portò sulla strada maestra.



Qui avvenne il trasbordo di esse sull’autocarro e finalmente (erano le 20) partimmo per Milano”. 29

Con queste poche parole di Audisio, quindi, sembra di capire che l’ex autista Geninazza non partecipa al riporto dei cadaveri e che il camion, fatto il triste carico di fucilati ripartì intorno alle 20 di sera.

Per la ripartenza verso Milano, racconterà Dick (Oreste Alpeggiani), che prima di risalire sull’auto Valerio si avvicinò all’autocarro e chiese del ragazzo ferito volendo farlo scendere e riportare sull’auto:

Aiutato dai compagni scesi con un balzo e fui subito nella Fiat 1100, davanti con il colonnello e l’autista, il Barba, perchè l’autocarro lo guidava Arturo”.

Il camion quindi ripartì per Milano intorno alle 20 circa lasciando sul terreno una larga pozza di sangue, una gora spessa, che rimarrà impressa per un certo periodo.

In una celebre foto, scattata probabilmente qualche giorno dopo quei fatti, si vede ancora questa ampia macchia di sangue, lì quasi al centro del bivio di Azzano, che fu anche circoscritta in un cerchio di gesso.

Occorre, però, ora soffermarci sui due caricamenti fatti in due tempi diversi:

a) la raccolta dei cadaveri sulla macchina al cancello di Villa Belmonte, avvenuto non si sa bene quanto tempo prima, e

b) il trasbordo dei cadaveri fatto sul camion ad Azzano, diciamo tra poco prima e poco dopo le ore 19. 30

Per la versione ufficiale erano dunque trascorse, dalla morte di Mussolini, (ore 16,10 n.d.r.) da un minimo di 2,30 ore ad un massimo di 3,15 ore.

Si consideri, particolare importante, che in tutto questo tempo i cadaveri vennero lasciati all’aperto e si sostiene, da più fonti, che scendeva giù la pioggia, sebbene pare che fosse ad intermittenza (qualcuno asserisce invece che non pioveva, altri che la giornata era afosa). Ebbene in quel momento:



Potevano essere i cadaveri ancora caldi o viceversa in rigidità cadaverica?

Premesso che questo tipo di considerazioni e rilievi, fatti a rilevante distanza di tempo ed oltretutto espressi sulla base non di riscontri autoptici ed indagini scientifiche dirette, ma su impressioni e testimonianze dubbie, lascia decisamente il tempo che trovano, vogliamo comunque esprimere qualche nostro parere.

Raffreddamento:

la velocità di raffredamento di un cadavere è più o meno rapida, dipendendo da varie condizioni, le più importanti delle quali sono la temperatura dell’ambiente esterno dove questi sono conservati, l’eventuale presenza o assenza di una ventilazione, la resistenza offerta alla dispersione del calore (come ad esempio quella dei vestiti indossati), ed altri elementi ancora.

Le condizioni esterne della strada e della pioggia non potevano agevolare un trattenimento del calore nei due corpi per oltre due ore e mezza, per cui molto difficilmente sarebbe stato rilevabile un sensibile grado di calore sui due cadaveri.

Rigidità cadaverica:

Due ore e mezza dovrebbero essere un tempo appena sufficiente per far apparire segni apprezzabili del rigor mortis che, salvo vari casi (tra i quali il tipo di muscolatura e le modalità della morta), inizia a manifestarsi concretamente dopo 2 / 3 ore dal decesso e cominciando dai muscoli masticatori e del collo; quindi si apprezza poi a livello degli arti, ivi completandosi nel volgere di meno di 10 ore e fino ad un massimo di 24 ore.

Considerando che alcune di queste condizioni potevano anche esserci, possiamo ipotizzare che tra le 2,30 e le 3,15 ore si sarebbe già potuto avvertire un minimo di rigor mortis, più che altro tra la testa ed il collo. Una rigidità più estesa e consistente testimonierebbe invece una morte alquanto precedente alle 3 ore (tutte considerazioni queste che, comunque, restano alquanto problematiche e relative).

La domanda decisiva è questa: i corpi caricati sulla macchina e sul camion sono pressoché freddi e rigidi ed in preda al rigor mortis e nel caso quanto avanzato o sono ancora tiepidi e senza una apprezzabile manifestazione di rigidità cadaverica?

Ed inoltre, i due corpi sanguinavano ancora abbondantemente oppure no?

Nel primo caso (e con un evidente rigor mortis), Mussolini e la Petacci sono stati uccisi almeno 5 / 6 ore prima e forse di più, mentre nel secondo caso (rigidità appena percepibile) sono stati regolarmente uccisi alle 16,10 (ripetiamo, comunque, che queste sono tutte considerazioni generiche e relative)

Vediamo ora che riscontri abbiamo anche se riporteremo solo qualche esempio esemplificativo e specifichiamo comunque che questo tipo di indagini, su elementi fisici e tanatologici del genere e soprattutto se fatti, non su riscontri effettivi di periti medici (che già di per se stessi non hanno mai un valore temporale di assoluta precisione), ma addirittura su labili testimonianze raccolte alla bene e meglio, lasciano il tempo che trovano .

Per il cancello di Villa Belmonte abbiamo pochi e fumosi riscontri:

Franco Bandini, come abbiamo visto, ci racconta che il proprietario della casa, l’ingegner Naldo Bellini, non aveva visto, là dove giacevano i cadaveri, nè sangue per terra nè segni di proiettili sul muro.

Alessandro Zanella che ha realizzato il suo libro (“L’ora di Dongo” già citato) con svariate testimonianze raccolte dopo una meticolosa ricerca ci conferma, riprendendolo, però, in questo caso, sicuramente ancora da Bandini, che sul quel posto ci sono pochissime macchie di sangue e quel pochissimo è molto scuro (abbiamo infatti visto le testimonianze di Dino Giavarini e Roberto Remund).31

Ancora il Bandini, riportando nel suo Le ultime 95 ore di Mussolini, più volte citato, una intervista all’autista Geninazza fa capire che questi era presente al caricamento dei cadaveri in macchina di fronte al cancello della Villa (cosa che però lascia dei seri dubbi) e questi afferma che, anche lui, avrebbe concordato su una certa rigidità cadaverica delle salme.

Per la rigidità dei cadaveri, il Bandini riporta poi la testimonianza già citata di Angelo De Angelis che attesta la stessa cosa (non è chiaro se riferiti al caricamento dei cadaveri a Villa Belmonte, più probabile, o al bivio di Azzano. Sembra comunque che il De Angelis, con qualche altro ragazzotto del luogo, seguiva dietro la macchina che era venuta a prendere i cadaveri al cancello della Villa ed ivi aiutò qui a caricarli in auto.

Sempre lo Zanella, attento ricercatore, afferma che Mussolini, proprio a causa del rigor mortis, aveva assunto una strana posizione quasi seduto e così era stato adagiato al cancello della villa per la sceneggiata della fucilazione (il signor Bordoli lo descrisse quasi in ginocchio). Evidente quindi, in questo caso, una morte risalente a molte ore prima.

I pochi del posto che aiutarono a caricare i cadaveri sulla autovettura raccontano, ma non se ne conoscono i nomi, di una loro rigidità cadaverica.

Per quanto riguarda il caricamento sul camion al bivio di Azzano, qualcuno asserisce che l’Angelo De Angelis, precedentemente citato, aveva aiutato a sollevare i due corpi da terra e a caricarli e pare che si sia accorto della loro rigidità cadaverica. Come detto, c’è da dire però che questa testimonianza del De Angelis per il caricamento dei cadaveri viene da altri, forse più correttamente, anticipata al cancello di Villa Belmonte dove costui appunto aiutò a metterli in macchina: nell’un caso o nell’altro comunque, la testimonianza è significativa.

Abbiamo così una conferma, sia pure tutta da verificare per la veridicità di queste testimonianze, che attesta che Mussolini e la Petacci sono morti molto prima delle ore 16,10.

Viceversa gli autori di parte resistenziale hanno asserito il contrario, riferendo di testimonianze di parte, ovvero di partigiani che ricordano addirittura un corpo ancora caldo (sic!) e non rammentano alcuna rigidità cadaverica. In genere trattasi di testimonianze di parte, raccolte negli anni ’80 e sorge il fondato sospetto che queste pezze di appoggio siano state fornite proprio per far fronte alle consistenti ipotesi circa una morte di Mussolini e Claretta di molto precedente le fatidiche 16,10.

In particolare Fabrizio Bernini, che pur non può essere definito uno scrittore “resistenzialista” ha riportato nel suo libro “Così uccidemmo il Duce” C.D.L. edizioni Pavia 1998 la deposizione di Codaro (Renato Rachele Codara), confermata da Steva (Stefano Colombini) due dei partigiani dell’Oltrepò pavese della spedizione a Dongo (a nostro avviso mendaci) che sembra caricarono il Duce sul camion. Il Codaro ci tenne a ribadire (o gli fecero precisare?), oltre alla mancata rigidità cadaverica:

erano ancora caldi! Perchè sono stato l’unico a prenderli per la parte della testa.... Perdeva il Duce ancora molto sangue, era ancora caldo”.32

Rispondendo, guarda caso, in un colpo solo a tutti gli interrogativi: sul calore corporeo, sulla rigidità e sulla perdita di sangue!

E Steva confermò: “Si era caldo. E, dicevamo, com’è pesante da caricare!”

Il Bernini che ha scritto il suo libro “Così uccidemmo il Duce” già citato (con una versione, alternativa per il luogo e gli autori della fucilazione, ma alquanto simile per l’orario alla versione ufficiale che viene qui anticipato di circa 30 / 45 minuti, tratta dalle tardive confessioni di Orfeo Landini Piero), aggiunge che questi ebbe a dirgli nel luglio del 1998, che non era ancora presente il rigor mortis.

Ma il Landini, partigiano a suo tempo impulsivo e molti anni dopo ciarliero e sempre inattendibile e reticente, visto che, come lui stesso ebbe poi a dire, doveva conformarsi alla versione ufficiale imposta dal PCI, sembra però che negli anni del dopoguerra rilasciò qualche commento che attestava il suo aver notato un certo rigor mortis, cioè l’esatto contrario.

Oltretutto il Bernini, nel suo libro prima citato, commette anche una forzatura a sostegno della sua tesi: egli presenta la famosa foto della pozza di sangue in terra al bivio di Azzano e, affermando che quella pozza è stata dalla popolazione nominata il sangue di Mussolini”, fa intendere che tutto quel sangue sia uscito dalle salme ancora fresche di Mussolini e della Petacci.

Quella pozza di sangue, viceversa, è stata certamente prodotta dalla scolatura di tutti quei poveri cadaveri ammassati sul camion, rimasto lì per un certo tempo fermo, e questi sì, uccisi a Dongo circa un’ora prima!

Il nome di “sangue di Mussolini”, dato dalla popolazione a quella grande macchia, è solo una generalizzazione dell’immaginario collettivo.

Del resto una pozza del genere sarebbe impossibile che sia stata determinata da due salme uccise da più di due ore e mezza!



Il problema degli orari

Una puntualizzazione sugli orari attestati da varie fonti e da noi precedentemente usati.

Proprio il problema di risalire ad una ricostruzione precisa degli orari forniti dalle testimonianze è una delle imprese più difficili, non solo per la contraddittorietà delle testimonianze stesse, ma anche, tanto per fare un esempio, per la oggettiva impossibilità di stabilire quanto, all’epoca poteva impiegare un automobile a percorrere 20 / 30 chilometri, date le difficoltà o meno, i posti di blocco o meno, gli imprevisti o meno, e quant’altro.

Anche sul precedente argomento, quello del trasporto dei cadaveri dal cancello di villa Belmonte al caricamento sul camion al bivio di Azzano, abbiamo voluto seguire la versione ufficiale (partenza del camion da Dongo tra circa le 18,10 e circa le 18,30, arrivo al bivio di Azzano tra le 18,35 e le 19), ed in tal modo ci risultano da circa 2,30 ore ad un massimo (aggiungendo magari che si è perso altro tempo nel partire da Dongo o altro tempo ancora nel caricare i cadaveri ad Azzano) di 3,30 ore dal momento della morte di Mussolini e Clara Petacci fino a quando sono trasbordati sul camion e si hanno le testimonianze sul calore corporeo e sul rigor mortis precedentemente riportate.

Però ad una attenta osservazione si potrebbe anche ipotizzare, con una certa dose di credibilità, che il tempo trascorso dalla morte di Mussolini, orario ovviamente della versione ufficiale e fino al caricamento dei due cadaveri sul camion, è stato quasi certamente più vicino alle 3 ore.

Questa risultanza ci perviene da alcune considerazioni:

una partenza del camion da Dongo, che noi abbiamo dato pochi minuti dopo le 18, ma che probabilmente avvenne verso le 18,30 circa, proprio come del resto afferma lo stesso Valerio nel suo libro “In nome del popolo italiano”.

E questo perchè, nonostante la fretta di Valerio, le fasi terminali della fucilazione ed il caricamento di tutti i fucilati di Dongo (con il recupero del corpo di Marcello Petacci) hanno certamente portato via un certo tempo.

Racconterà Stefano Tunessi, detto primula rossa, il partigiano presente a Dongo al caricamento dei fucilati:

Quando il camion stava per partire, gridammo: ‘Ferma, ferma, ferma!’ Era venuto a galla il corpo di Petacci (Marcello Petacci n.d.r.)…” Lo caricano sul camion. “Valerio ha la furia addosso, è fuori di sé, urla e strepita. Dice che bisogna rispettare gli ordini: ripartire entro le 18!”



Valerio al processo di Padova del maggio 1957, leggendo alcuni suoi appunti, affermò di essere partito con il camion dei cadaveri da Dongo alle 17,55 (orario alquanto improponibile, considerando l’ora della fucilazione, circa poco dopo le 17,45 e le successive fasi di caricamento), ed un partigiano dell’Oltrepò, quel Dick (Oreste Alpeggiani) rimasto ferito al braccio durante le fasi della fucilazione, attestò una tremenda fretta di Valerio che voleva ripartire per le ore 18.

Ma nel suo libro (“In nome del popolo italiano, già citato), ben più ponderato, Audisio afferma, dopo aver detto che con il carro c’era anche una piccola utilitaria a fare da battistrada: “A Dongo avevo ritrovato la mia automobile (la Fiat 1100 targata BN8840 n.d.r.) e vi prendemmo posto Guido, Riccardo ed io... Erano le 18,30”.

Ricordiamo che il percorso Dongo – Azzano è di circa ventuno chilometri, con le difficoltà stradali dell’epoca e dovrebbe (e sottoliniamo dovrebbe) essere fatto, al tempo, in meno di mezz’ora. Correndo e senza intoppi potrebbe farsi in circa venti minuti, con qualche intoppo, viceversa, qualcosa più di mezz’ora.

A questo punto e nonostante che Orfeo Landini, testimoniò (ma così, diciamo a senso) che arrivarono al bivio di Azzano entro una quindicina di minuti, crediamo invece che probabilmente i minuti furono un pochino di più.

Ecco perchè affermammo precedentemente, che il camion arrivò al bivio di Azzano tra le 18,35 e le 19, ma considerando ora una partenza da Dongo avvenuta alle 18,30, ecco che l’orario di arrivo al bivio di Azzano è più verso le ore 19.

Questo giustificherebbe un pò meglio il fatto che il camion, dopo aver caricato i cadaveri di Mussolini e la Petacci, sia poi ripartito verso le ore 20 come attestano gli stessi partigiani allora presenti.

Comunque sia, un’ora circa di sosta, per il caricamento di due cadaveri, ci sembra un tempo eccessivo, soprattutto alla luce della precedente fretta di Valerio e del minor tempo che infatti aveva impiegato per caricare, in fretta e furia, i ben più numerosi fucilati di Dongo.

Da tutto questo si deduce che se Valerio, una volta caricati i due cadaveri di Mussolini e di Claretta Petacci, si muove verso le 20, vuol dire che non ha più la fretta indemoniata di ripartire: cosa è accaduto?



Non può darsi che il suo problema fosse quello di recuperare al più presto due cadaveri abbandonati a Villa Belmonte dove qualcuno avrebbe potuto notare che erano morti non alle 16,10 ma da un bel pezzo prima? Recuperate le due salme la fretta scomparve!

Quindi, o il nostro sospetto è giusto, oppure anche questo orario così dilatato della ripartenza (le ore 20 appunto) andrebbe in qualche modo rivisto.



Con il viaggio del camion carico di cadaveri verso Milano, si concluse finalmente questo maledetto Sabato 28 aprile del 1945, anche se nei giorni successivi si verificarono altri eccidi ed altri omicidi indiscriminati oltre a tante ignobili nefandezze.

Ma queste sono altre storie.



1 Di Lanfranchi, del resto, si dice che era nota una certa acredine nei confronti di Mussolini e soprattutto dei Petacci, perché durante i 45 giorni di Badoglio, avendo egli sferrato una campagna scandalistica contro i Petacci, fu costretto poi a rifugiarsi in Svizzera.

2 Quest’ultimo particolare come vedremo, se accaduto ed è possibile, fu probabilmente svolto prima dell’arrivo dei prigionieri quando qualcuno, forse la Gianna (Tuissi)¸ venne ad avvisare della loro prossima venuta per conto del capitano Neri (conosciuto dai contadini che in passato lo avevano anche nascosto).


3 Forse, questo particolare, visto che è improbabile che si conoscesse l’abitudine di Mussolini di dormire anche con due cuscini, potrebbe in qualche modo corrispondere al vero, anche se è difficile pensare che la richiesta sia venuta dalla Petacci.

4 Per la storia di queste mutandine, che secondo le prime versioni di Valerio la Petacci non trovava e quindi fu costretta ad uscire di casa senza, c’è il non indifferente particolare che se, come attestava il racconto di Valerio, erano rimaste in casa, successivamente le avrebbe dovute pur trovare la Lia De Maria. Ma quest’ultima non accennò mai a questo rinvenimento. Altri hanno asserito che forse la Petacci, per la fretta, se le era messe nella tasca della Pelliccia, ma anche in questo caso non ci sono stati ritrovamenti di sorta.


5 Carlo Cetti, “Come fu arrestato e soppresso Mussolini” Como 1945 (redatto il 15.5.1945).


6 Vedi A. Zanella L’ora di Dongo, Rusconi 1993.

7 Luigi Carpani era un milanese sfollato a Giulino. Verso le 16 si trovava vicino Villa Belmonte ed udì le scariche di mitra, corse a vedere e trovò i morti. Saputo che erano stati a casa De Maria vi si recò con la moglie intorno alle 16,30 circa. Dice che trovò tutto il cibo sulla cassapanca intatto e questo, a parte il fatto evidente che i prigionieri non avrebbero in tal caso mangiato, fa anche sorgere il sospetto che si era predisposto e messo in mostra un finto pranzo.


8 M. Vigano: Un istintivo gesto di riparo Nuovi documenti sull’esecuzione di Mussolini. Palomar N. 3 2001.

9 Come accennato, per rimediare a tutte questa ridda di voci, venne sostenuto un po’ assurdamente, da vari scrittori resistenziali, che i coniugi De Maria ignorarono l’identità dei prigionieri, qualcuno dice addirittura fino al mattino del 29 aprile. A proposito del recarsi della gente del paese, nel pomeriggio sullo stradone, come già detto, era stata fatta circolare ad arte la voce che, il Duce prigioniero, sarebbe passato da quelle parti. Il Bandini sostiene che le testimonianze sono numerose, esplicite e decisive. Ed in effetti, successivamente, questo fatto è stato confermato anche da fonti resistenziali.


10 Il Lanfranchi asserì persino, al tempo del processo di Padova nel 1957, che Sandrino-Menefrego gli aveva riferito di una discussione avvenuta in casa al mattino, perché a Mussolini era stato servito pane bianco mentre a loro, nero, con insinuazioni, inoltre, a prodezze amatorie (?) del Duce. Erano quelli come i tempi delle rivelazioni da rotocalco.

11 Visto che il Moretti era già stato in quella casa, sa tutto ed era conosciuto, perchè invece si sarebbe fatto avanti questo estraneo indiavolato a domandare incredibilmente se c’erano ospiti in casa?!


12 Sembra però che, oltretutto, allo storico Duilio Susmel e a Urbano Lazzaro, la De Maria, nel marzo 1980, ebbe invece a riferire che “quando vennero non erano ancora le quattordici”.

13 La versione che venne fatta circolare era che il Frangi si era addormentato sul suo mitra dal quale sarebbe partito un colpo che lo aveva attinto al capo, ma venne subito ritenuta inconsistente.

Una successiva indagine giudiziaria, pur non chiarendo esattamente la sua morte, indicò che il Frangi era morto assieme ad un gruppetto di fascisti fucilati da una squadra di partigiani comandata da Arno Bosisio Ardente. Nonostante le sue efferatezze, visto il suo ruolo, quale custode del Duce, ottenne una sfacciata copetura della sua figura da parte del PCI che presenziò persino ai funerali.



Oggi viene dato per scontato che venne eliminato, ovviamente con il consenso, se non su direttiva, comunista, per non ben precisati motivi.

14 A volte G. Pisanò, che pur ha avuto molti meriti nelle ricostruzioni storiche della guerra civile ed in particolare sulla morte del Duce, tendeva ad adattare o esagerare testimonianze e racconti per scoop giornalistico o magari per finalità politiche.

15 Geninazza, di Tremezzo, ventiseienne, aveva lavorato alla Torcitura Comasina di Musso, ed ora, sembra che facesse il parrucchiere ad Azzano. Non essendo inquadrato in formazioni partigiane, sembra che fù spinto dalle circostanze e dalla curiosità a recarsi a Dongo per sapere qualcosa di più sulla cattura di Mussolini. Qui fu requisito, assieme ad una 1100 nera, con metodi bruschi ed autoritari da Valerio,” per essere accompagnato poco distante e per pochi minuti.” Sulla macchina si dice che prendessero posto Audisio e Lampredi nei sedili posteriori e Moretti, pratico della zona e ben conosciuto, davanti, vicino al guidatore (Geninazza però pone il Moretti dietro e Valerio davanti).

16 Per i racconti appresso riportati vedere F. Bandini: Le ultime 95 ore di Mussolini - Sugar 1959

17 E’ indubbio che questa testimonianza del Geninazza sia un misto di parziali verità, menzogne e fantasia ricavata dai racconti dell’epoca, ma questo particolare di Valerio, rimasto sulla piazzetta ad attendere sembra logico in quanto, dovendosi effettuare una finta fucilazione non si vede perchè Valerio doveva salire su casa visto che, oramai, i prigionieri erano morti da ore.

18 Il problema del cappotto indossato da Mussolini (altri parlano di pastrano, altri di giaccone), come del resto la bustina della GNR (riferito anche da Valerio) che il Duce indossava in stanza, non è di poco conto. Il giaccone indosso al cadavere di Piazzale Loreto sembra non presentare fori di proiettili causati dalla fucilazione ed era di foggia inusuale rispetto a quelli che avrebbe dovuto indossare il Duce. La giacca della divisa, poi, si è letteralmente volatilizzata nel nulla.

19 Per alcuni, questo particolare, troverebbe conferma nel fatto che Valerio nel 1957 inviò in Albania, oltre al mitra MAS ed un caricatore, anche quattro bossoli. Ma ovviamente, anche se il particolare corrisponde al vero, è molto facile che siano i bossoli sparati nella finta fucilazione, ovvero la sceneggiata che, come vedremo, fu messa in atto al cancello di villa Belmonte.


20 F. Bandini, comunque, gia in questo libro del 1959 espresse molti dubbi su queste testimonianze ed ebbe a scrivere, dopo averle riportate: “C’era qualcosa nei fatti, qualcosa in più che Geninazza non ha mai voluto raccontare. Chi scrive ha ricavato una straordinaria impressione da queste reticenze: che alla fucilazione fosse presente ‘qualcun altro’ oltre Valerio”.

Ma ancor più nel 1978 il Bandini sottolineò che quando nel 1956 ebbe a contattare il Geninazza questi disse di aver assistito alla fucilazione, ma nonostante le pressioni non si risolse mai a fornire dei dettagli e se ne scusò dicendo che per la paura ‘aveva voltato gli occhi’ e quindi gli erano sfuggite le sequenze del fatto. Questo però non collima con quanto il Bandini stesso, nel 1959, riportò come intervista a Geninazza, perchè, come abbiamo visto, la testimonianza nel libro abbonda di particolari anche se molto imprecisi e contraddittori.




21 E vedremo, poco più avanti nelle testimonianze varie riportate in questo stesso capitolo, che ci furono anche alcune testimonianze in proposito che possono far pensare proprio ad una mascherata e poi ad una finta fucilazione.

22 In effetti la storia di Mussolini e la Petacci condotti vivi al cancello di villa Belmonte è falsa.

Oltretutto, se fosse vera, Mussolini non avrebbe potuto camminare con uno stivale aperto che aveva la chiusura lampo scardinata. Rispetto ai ricordi dell’autista si potrebbe comunque supporre che egli vide solo la controfigura di un falso Mussolini il quale ovviamente non aveva uno stivale rotto. Chi invece vuole attestare la vericidità della conduzione dei prigionieri vivi alla fucilazione, potrebbe asserire che la storiella dello stivale sdrucito fu una invenzione a posteriori aggiunta gratuitamente da Valerio e per questo il Geninazza non ebbe modo di constatarla: ma in questo caso come e quando si ruppe quello stivale effettivamente rotto?



23 Da alcuni storici questa lettera è stata messa in dubbio ed effettivamente non la si è mostrata. Però si sa per certo che tempo dopo quegli avvenimenti il Mertz cercò, attraverso intermediari, di contattare il Comando Generale di Milano ed anche il partito comunista affinchè, quanto aveva visto e di cui pensava fosse trapelato qualcosa in Azzano, non venisse riportato ufficialmente. Si preoccupava infatti della sua posizione neutrale quale cittadino svizzero.

24 Da queste testimonianze sembra che vennero ritrovate almeno 7 pallottole. C’è però una certa confusione tra pallottole (molto difficile a trovarsi se non conficcate da qualche parte) e bossoli ed anche in che punti (solitamente a terra o nel basso muro) vennero ritrovate. Secondo il Bandini è una prova che, nella finta fucilazione, si sparò in aria o per terra tanto che solo nel basso muro e per terra furono trovate pallottole. Resta indeterminato se si sparò anche qualche colpo sui cadaveri, come potrebbe essere attestato da un colpo postmortem nella nuca di Mussolini.

25 Vedere A. Bertotto Mussolini ucciso dagli inglesi su Rinascita del 18 gennaio 2008

26 A Dongo, sembra intorno alle 18, la ignobile tecnica del caricamento dei cadaveri è descritta dal capitano David Barbieri: “Poi quando li hanno caricati tutti ci stendono sopra un telone e ci si siedono sopra. Ci sono atti di sciacallaggio: a Barracu viene presa la medaglia d’oro, a Daquanno l’orologio”.

Questi particolari però vennero poi smentiti da un paio di risentiti, ma sospetti in quanto interessati, partigiani dell’Oltrepò. A chi credere? Vedi: A. Zanella: L’ora di Dongo e F. Bernini: Così uccidemmo il Duce, già citati.



27 Stabilire che macchina fosse, questa che portò i cadaveri di Mussolini e della Petacci, è un problema di non facile soluzione. Il caos delle testimonianze impera. Geninazza fece capire, ma la testimonianza è incontrollata, che era sempre lui quello che riportò Valerio a villa Belmonte dove caricarono i cadaveri sulla sua macchina, ma per la verità questo autista, dopo aver riportato Valerio a Dongo, sembra uscire di scena e Valerio arrivà ad Azzano con la sua macchina.

Del resto quando Valerio ripartì con la sua 1100 da Azzano per Milano l’autista era il Barba (uno del plotone dell’Oltrepò di cui non si conoscono le generalità) ed è quindi molto probabile che, anche poco prima, quando da Dongo arrivarono al bivio di Azzano, sia la macchina che l’autista fossero gli stessi e non l’auto guidata dal Geninazza.

Il partigiano ferito dell’Oltrepò Dick alias Oreste Alpeggiani dice che si trovava su la macchina di Valerio (la Fiat 1100 targata BN8840 arrivata da Como) in testa, che distanziava l’autocarro per la diversa velocità “dovendo anche andare su per Giulino di Mezzegra a recuperare i cadaveri al cancello di Villa Belmonte”. Al bivio di Azzano scese ed in effetti Valerio proseguì.

Giunti ad Azzano, quindi, Audisio scaricò Dick davanti ad una osteria indicandogli che il camion si doveva fermare lì vicino, e quindi partì per la strada di Giulino di Mezzegra come afferma anche Arturo Giacomo Bruni. Il fatto è che è possibile che Valerio sia salito fino a Giulino, ma probabilmente non fu la sua auto a riportare i cadaveri.

Molte altre versioni, infatti, negano che fu Valerio con la sua auto a recarsi a prendere i cadaveri. Audisio nel suo libro “In nome del popolo italiano”, come vedremo tra poco, ci informerà che a Dongo aveva ritrovato la sua autovettura BN8840, ma indicherà, per il trasporto dei cadaveri, l’utilitaria che faceva da battistrada. Su tutti questi particolari però la confusione regna sovrana.

Altri affermano che, come battistrada, c’era una piccola utilitaria dove sul cofano di questa auto, era salito il capitano Barbieri essendo conosciuto in zona. E’ probabile che questa utilitaria sia poi quella impiegata per prelevare i cadaveri dal cancello di villa Belmonte, ed è anche probabile che fosse l’Aprilia di Sforni e De Angelis (ma sono sempre solo supposizioni).



Albero, il Cavallotti, affermò che Riccardo il Mordini, ebbe a dirgli che lui era salito sul camion che portava i cadaveri assieme a Piero, Audisio invece scrisse nel suo libro, dimenticandosi di Dick il partigiano ferito da lui trasportato, che Ricccardo era nella sua 1100, come affermato anche da Mario Ferro.

Piero, Orfeo Landini, molti anni dopo ebbe ad escludere che Valerio con la sua auto riportò i cadaveri da Giulino ed indicò invece l’Aprilia nera di Sfroni e De Angelis, in ciò concordando con quanto ebbe a scrivere Giovanni Pesce nel suo libro.

Mario Ferro, invece, recentemente raccontò: “Da Dongo partimmo su due autovetture. Sulla prima, la Fiat 1100 c’erano Valerio, Mordini, il partigiano ferito (Dick, n.d.r.).... e sull’altra io con Lampredi ed un certo Canali un operaio della federazione comunista di Como. Il Canali quale capitano Neri lo lasciammo a Cernobbio” (altri dicono invece che Neri era rimasto a Dongo a fare l’inventario dei valori).


28 C’è addirittura un teste, tale Lino Nava di Lenno, che asserì, ma solo nel 1998, di essere stato presente al bivio di Azzano dove vide arrivare l’auto con Mussolini e la Petacci, attaccati posteriormente con una corda e trascinati lentamente.

29 E’ anche probabile che nella Fiat 1100 di Valerio potesse trovarsi una borsa di documenti trafugata a Dongo o altri reperti e quindi, tale vettura, non poteva essere impiegata come carro funebre. Anni dopo, però, il solito Giusto Perretta (noto aggiustatore, attraverso i “ricordi” di uomini di apparato di partito, delle malefatte comuniste), ottenne da un anziano Mario Ferro una testimonianza che escludeva, per quella sera tardi che avessero, Valerio o Lampredi, anche una borsa di documenti. Era accaduto infatti che Valerio, di ritorno a Milano con il camion carico di cadaveri, verso le 22,30, fu fermato in via Fabio Filzi dall’esagitato capitano Luigi Vieni e minacciato di essere fucilato perchè scambiati tutti per fascisti. Si persero alcune ore per questo equivoco e si dice che i partigiani presenti con Vieni ebbero modo di vedere alcuni importanti documenti trovati a Guido e/o Valerio. A tal proposito ci sono alcune conferme (anche se dubbie) raccolte dal Bandini che attestano che “qualcosaValerio aveva con sè, e soprattutto nella stessa denuncia al Comando CVL, presentata il giorno dopo da Valerio contro l’arbitrio subito e l’equivoco commesso dal Vieni, tra le altre accuse vi riportò testualmente “rivelazione di segreti”.

Quali segreti potevano essere, si sono chiesti tutti, se non quelli dei documenti portati via da Dongo?




30 Tutti orari questi da prendere comunque con alcune riserve e con largo margine. Infatti non si capisce perchè poi il camion sarebbe ripartito verso le ore 20, potendo quindi supporre un caricamento avvenuto in orario più avanzato o gli stessi orari di arrivo e partenza imprecisi.

31 Guarda caso c’erano però sparsi per terra svariati oggetti di Clara Petacci: borsetta, scarpe, soprabito, tanto per dare un tono di verità alla scena.

32 ISREC (PV), Afo. N. 138, Dongo, 24 settembre 1983. Ed anche F. Bernini Così uccidemmo il Duce opr. cit.



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