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Altre testimonianze di altri presunti “attori”


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- Giuseppe Frangi, Lino

Di questo carceriere del Duce, (Lino), nato nel 1914 ed ex guardia comunale della piccola frazione di Villaguardia (Como) relativamente ai momenti che ci interessano, non c’è rimasto nulla in quanto morirà, pochi giorni dopo, il 5 maggio 1945 in uno strano incedente di fucile (che fu quasi subito definito assassinio).13

A ridosso dei giorni successivi alla morte del Duce e prima di morire misteriosamente, il Frangi, soprannominato Diavolo rosso, rivelatosi un autentico criminale, si era reso responsabile di alcune aberranti e feroci esecuzioni di prigionieri fascisti o presunti tali. Si aggirava spesso tra gli arrestati o i fermati minacciandoli e pretendendo di prelevarli, cosa che quando gli riuscì si concluse con la morte di costoro che furono poi trovati sgozzati.

Veste un particolare interesse il ricordo di Pietro Carradori, già addetto alla sicurezza del Duce e quindi divenuto suo attendente, presente nella colonna Mussolini fermata a Musso, ferito e quindi tenuto prigioniero con gli altri.

Affermerà Carradori che il Frangi il pomeriggio del 28 aprile ’45 arrivò tutto stravolto nella caserma dei carabinieri di Dongo e brandendo il mitra verso l’alto con la mano destra urlava:

Con questo mitra ho ammazzato il boia, cinque colpi a lui e tre a lei!”.

Lo avevo osservato bene e con sgomento”, ricorda Carradori, “e fin dal primo momento non ebbi dubbi e mi resi conto che non mentiva. Forse con lui anche altri avevano sparato, ma l’esecutore era lui”.

Non vedendo quali motivi potesse avere Carradori per aver inventato questo aneddoto, da lui ripetuto per tutta la vita e considerando che l’ex addetto alla sicurezza di Mussolini doveva avere una certa perspicacia nelle osservazioni di questi particolari, possiamo pensare che il racconto sia vero anche se resta da vedere se fu una esaltazione di mitomania di Diavolo rosso o se invece effettivamente, quando Mussolini fu ammazzato, quest’altro eroe ebbe modo di cimentarsi tirando qualche colpo.

Vero o falso che fosse, comunque, il Frangi, dimostrava anche una certa loquacità certamente non gradita e forse anche un certo imbarbarimento derivante dalle vicende da lui vissute negli ultimi giorni.

E’ interessante conoscere una rivelazione fatta da Bill Urbano Lazzaro, ma molti anni dopo e comunque, data la morte del Frangi, non possiamo sapere se veritiera, in cui il Frangi avrebbe detto espressamente al Lazzaro che la versione apparsa il 30 aprile ’45 sull’Unità era completamente falsa, dandogli appuntamento in seguito (incontro che non avvenne per la sua sopraggiunta morte) per raccontargli la verità.


- Guglielmo Cantoni (Sandrino)



Guglielmo Cantoni (Sandrino-Menefrego), era nativo di Gera Lario, un paese dell’alto Lago di Como, dover era nato nel febbraio del 1924, quindi all’epoca dei fatti poco più che ventunenne; è morto improvvisamente nel 1972.

Dopo questi storici fatti si rifugiò nel paese natio cercando di farsi dimenticare, ma nel frattempo il Corriere d’Informazione aveva riferito alcune sue testimonianze (che abbiamo letto nel Capitolo 2) alquanto difformi dalla versione di Valerio in particolare, se vero quanto riferiva il Lanfranchi autore del servizio dell’ottobre 1945, attestanti una presenza del Cantoni al momento della fucilazione, cosa questa che invece, successivamente, venne sempre smentita dall’interessato.

Nel frattempo aveva sposato Savina Santi, anche lei ex partecipante alle lotte partigiane dalla quale ebbe tre figli.

Forse per le sue non gradite loquacità dovette successivamente aderire all’ ”amichevole” proposta di andare a lavorare in Svizzera.

Si dice che, al Sandrino, forse lo salvò anche la sua giovane età, ed il fatto che già si erano verificate le eccessive morti di Lino, Neri e Gianna, tutti in qualche modo legati a quegli eventi.

Oltretutto si tirò praticamente fuori, comportandosi da comunista osservante e parlando poco, dopo l’intervista del Lanfranchi riportata a fine ottobre ’45, almeno per una decina di anni, fino al 1956 quando venne intervistato da Giorgio Pisanò per il settimanale Oggi.

A Pisanò asseriva ora di aver visto la scena della fucilazione da lontano perché, attardato, aveva corso con Lino lungo una scorciatoia ed era sbucato sulla strada su cui si affaccia il cancello di Villa Belmonte, ma ad una certa distanza da questo.

Il motivo del ritardo ed il punto preciso di dove era sbucato, furono sempre alquanto imprecisi . Qui arrivato affermò (e poi ritrattò), di aver visto Moretti con il mitra spianato (versione inconciliabile con quella di Valerio) davanti ai due corpi già a terra.

Le mezze affermazioni e l’ambiguo atteggiamento di Sandrino, probabilmente tranquillo che questo ruolo di Moretti era pur sussurrato nel comasco e forse si poteva anche ufficialmente dire (ed in parte, ma in modo diverso, lo aveva già accennato al Lanfranchi nel 1945), costituiscono un altro dei tanti seri problemi per la interpretazione dei fatti.

Giorgio Pisanò, che per altro riferisce di vari colloqui avuti con Sandrino a partire dal 1956 (quando pubblicò il famoso articolo con intervista remunerata a Sandrino, poi dallo stesso ritrattata) proseguiti fino a pochi anni prima della morte del Sandrino stesso, ci descrive (sempre che Pisanò riferisca il vero)14 un Sandrino che dice e non dice, fa strane mezze affermazioni, sussurra alcuni particolari inediti e non conformi alla versione ufficiale dei fatti e mostra chiaramente di essere spaventato ed intimorito.

Nella famosa intervista a “Oggi” del febbraio del 1956, Guglielmo Cantoni raccontò, molti particolari, che praticamente misero in crisi la versione ufficiale fino a quel momento, ingarbugliata, traballante, ma ancora abbastanza salda:

Per tredici ore consecutive, dalle tre di notte (forse era un po’ più tardi, n.d.r.) fino alle 16 del pomeriggio del 28 aprile, due sole persone ebbero contatti diretti con Mussolini: Lino ed il sottoscritto. Più di una volta potei parlare con lui. La prima occasione si presentò quasi subito: sentii dei rumori nella stanza ed entrai, pensando ad un tentativo di fuga.



Mussolini era invece a letto con il dorso leggermente tenuto su dai cuscini: era sveglio, la Petacci dormiva o faceva finta di dormire. Mussolini mi guardò e mi chiese come mi chiamavo …. Mi apparve un uomo sereno, naturalissimo, un uomo soprattutto che non riteneva affatto di essere sulla soglia della morte….. Anche la mattina del 28 aprile trascorse nella più assoluta tranquillità. Ogni tanto Lino ed io entravamo nella stanza per portare qualche cosa, e ogni volta, vedemmo i due chiacchierare fra di loro sempre con una certa serenità. Escludo nella maniera più assoluta che in quelle sue ultime ore di vita Mussolini abbia vergato un testamento o abbia affidato a me o la mio collega Lino dei documenti….

Dopo il frugalissimo pasto preparato dalla De Maria, che i due prigionieri consumarono nella stanza, non ricordo sia accaduto nulla di eccezionale, fino all’arrivo del colonnello Valerio…

Io, Valerio non lo avevo mai visto e nemmeno sapevo che esistesse: lo vidi entrare improvvisamente nella casa De Maria accompagnato da un altro comandante partigiano che non conoscevo , e da Moretti che invece conoscevo benissimo.

Raccontò, quindi ancora Sandrino, che una volta ricevuto da Moretti l’ordine di precederli sulla strada principale scendendo per la scorciatoia, lui e Lino obbedirono immediatamente.

Ci lanciammo giù per la scorciatoia: in meno di quattro o cinque minuti ci trovammo infatti nuovamente sulla strada ed ecco ciò che vidi: allorché mi girai sulla destra per assicurarmi che stesse scendendo l’automobile con Mussolini. A meno di cinquanta metri da me, Mussolini e Clara Petacci si stavano accostando al cancello di una villa con il viso rivolto però a Michele Moretti che era fermo davanti a loro con il suo mitra spianato.

La scena fu fulminea: in quel preciso istante Moretti scaricò sui due prigionieri una raffica di mitra….. Moretti corse incontro a me e Lino con viso felice, ci gridò una frase che suonava più o meno così: ‘siamo stati noi della 52ma ad avere l’onore di uccidere Mussolini’.

Nei brevi istanti intercorsi fra la raffica esplosa da Michele Moretti e il suo avviarsi verso di noi, io avendo avuto la sensazione che qualcuno stesse salendo dalla costiera verso di noi, girai per un momento il capo indietro e , in quel breve lasso di tempo, ricordo di aver udito distintamente i colpi di grazia, ma non posso dire se questi furono esplosi da Moretti, da Valerio o dall’altro sconosciuto partigiano (Lampredi).

Mi venne ordinato di restare a guardia dei cadaveri e lì restai insieme a Lino”.

Più o meno questa testimonianza, pubblicata sul settimanale “Oggi” del primo marzo 1956, tra l’altro retribuita con 120.000 lire dell’epoca (una bella sommetta per il Cantoni) giunta immediatamente alle orecchie del partito comunista, ne provocò la pronta reazione.

In questa sua testimonianza infatti, il Sandrino, aveva praticamente ripetuto quanto da lui detto nel ’45 al Lanfranchi, circa il ruolo di fucilatore di Moretti, invertendo però la sequenza degli spari tra Valerio e Moretti, ma adesso dopo le versioni ufficiali di Valerio e di Audisio pubblicate ancora dall’Unità negli anni successivi, queste ulteriori “rivelazioni” discordanti non erano più consentite.

Oltretutto, pochi giorni prima, anche il settimanale “L’Europeo” aveva iniziato la pubblicazione di una serie di articoli di Franco Bandini con i quali venivano confutate le distinte e contrastanti versioni di Valerio.



Il 25 febbraio 1956, infatti, ancor prima che il rotocalco “Oggi” uscisse in edicola, l’Unità pubblicò una smentita autografa di Gugliemo Cantoni il quale confessava candidamente di aver visto la possibilità di affrancare le sue precarie condizioni economiche, essendo disoccupato, con la somma che avrebbe ricevuto in cambio della sua relazione.

Ammetteva quindi, senza discussione, che la sua dichiarazione fatta a Milano nei giorni precedenti era falsa, “non essendo per nulla io stato presente alla fucilazione di Mussolini!”.

A complicare le cose, poche ore dopo la smentita di Sandrino, uscì il pomeridiano “Corriere d’Informazione”, con un articolo di Ferruccio Lanfranchi che, rievocando la fine di Mussolini proprio con rivelazioni (a suo dire) di Sandrino fatte anni prima nel 1945 (che abbiamo già letto) affermava, in sostanza, che lo stesso ebbe a dirgli che Valerio aveva sparato un paio di colpi di pistola, ma prima (tempi invertiti) della raffica mortale di Moretti.

Alla smentita scritta di Sandrino, ovviamente hanno sempre dato un gran risalto, nel corso degli anni tutti gli storiografi resistenziali e comunque l’ex partigiano carceriere, pietra dello scandalo di quel febbraio ’56, da allora in poi rientrò nei suoi canoni omertosi e più che altro asserì che aveva visto ben poco, essendo giunto tardi sul luogo della fucilazione.

In effetti, alla luce di quanto è emerso successivamente sia pure in modo ancora non perfettamente controllabile, Sandrino raccontò una bella storiella a Pisanò, forse infarcita di qualche verità, ma certamente alterata e soprattutto spostata nel tempo e nei luoghi.

Ma proprio questa intervista, poi smentita, dimostra la capacità di questi pseudo partecipanti e testimoni oculari, apparentemente persone semplici, tanto preziosi per le conferme della versione ufficiale, di imbastire con tanta disinvoltura dei racconti verosimili e credibili, nel solco e nel canovaccio della versione ufficiale stessa.

Questo atteggiamento mistificatorio è significativo ed è bene tenerlo sempre presente perchè si ripresenterà molte volte!

Ma ancor più Pisanò raccontò a più riprese che, nei giorni durante i quali si completarono le foto e l’intervista pubblicata su “Oggi”, Cantoni ebbe a fargli due importanti confidenze, ma fuori intervista.

Con la prima, dopo aver confermato di essere certo che era stato Moretti e non Valerio ad esplodere la raffica mortale, affermò di aver visto Valerio che invece sparava su due cadaveri, chiedendo poi il favore di non menzionare questo particolare nell’articolo che sarebbe stato pubblicato.

E con la seconda, forse dopo aver preso atto della somma che otteneva dall’editore in cambio per le sue rivelazioni, fece, in pratica, capire che c’era ancora qualcosa da raccontare, ma essendo legato al segreto, non poteva, visto che la pelle è una, e comunque promise che sarebbe tornato lui a cercare il giornalista.

Poi ovviamente scoppiò la bagarre della famosa smentita e non se ne fece più nulla: purtroppo per sempre.

Di Giorgio Pisanò e di molte sue esagerazioni di fatti e interviste, abbiamo già detto ed anche avanzato alcuni dubbi, ma in questo caso e data la, per anni, reiterata riproposizione di quest’ultimo aneddoto, siamo indotti a credere alla sua veridicità, anche alla luce della diversa realtà dei fatti emersi in seguito.

Pisanò riportò anche in seguito, a metà degli anni ’60, quest’altra testimonianza del Cantoni, un pò diversa dalle precedenti dello stesso Sandrino:

I tre (Audisio, Moretti e Lampredi, n.d.r.) si diressero verso la stanza dove erano Mussolini e la Petacci: che cosa abbiano detto ai due prigionieri io non lo so. Ciò che ricordo molto bene è che pochi istanti dopo li vidi uscire tutti insieme: Mussolini era calmo e impassibile e anche la signora Petacci non dava segni di preoccupazione”.

In ogni caso, al processo in Padova, per l’oro di Dongo l’11 maggio 1957 il Cantoni affermò, in risposta alla domanda del Presidente:

Lei assistette alla fucilazione di Mussolini e della Petacci?”,

No, feci da scorta a quelli che vennero e di questi conoscevo solo il Moretti”.

Sempre a Padova, e sia pure molto ambiguamente e senza specificare l’ora, il Cantoni fece capire che a Bonzanigo quel giorno c’era pure il capitano Neri (Canali). E questo se corrispondesse al vero cambierebbe molte cose.

Allo storico Franco Bandini, nel 1960, e relativamente allo scambio di frasi con Mussolini nella stanza, il partigiano, in linea con la versione ufficiale dei fatti allora conosciuta, affermò invece di aver sentito queste frasi:

Presto, sono venuto a liberarti”, al che Mussolini rispose soltanto, “Molto gentile”. E il Cantoni aggiunse: “Subito dopo Valerio si rivolse a Claretta con il medesimo tono, ingiungendole: Su alzati, fai presto, sbrigati”.



E poiché essa perdeva tempo nella sua ricerca tra cuscino e lenzuola:

Che cerchi?”, chiese sospettoso e nervoso Valerio.

Le mutandine”, sussurrò imbarazzata Claretta. “Tira via, non pensarci”, tagliò corto il colonnello”.

Accennando a Sandrino, Urbano Lazzaro Bill nel suo libro L’oro di Dongo, Mondatori 1996 ebbe a sottolineare la sua breve (oltretutto gli venne chiesto poco e niente) e penosa testimonianza al processo di Padova, con queste significative parole:

prima nega che Neri fosse presente alla fucilazione di Mussolini, ma è costretto poi ad ammettere che c’era. Nega di essere stato presente alla fucilazione ed anche di avere fatto la guardia ai due cadaveri. Mi fa pena Sandrino: mente in modo tale che tutti si convincono che mente, ma egli sa che il rischio maggiore che sta correndo è quello di dire la verità”.

Di Sandrino, comunque, avremo modo di riparlarne ampiamente quando dovremo analizzare l’ultima inchiesta di Pisanò del 1996.



L’autista Giovanni Battista Geninazza.

L’autista Geninazza,15 è un personaggio, seppur a Valerio totalmente sconosciuto, ma utilizzato per il suo viaggio da Dongo a Giulino di Mezzegra. Questo autista avrebbe dovuto essere determinante per la ricostruzione dei fatti ed invece finisce per non esserlo.

Nel dopoguerra fu stranamente poco cercato e del resto, per un certo tempo risultò introvabile. Finalmente rintracciato venne avvicinato svariate volte da cronisti in cerca di confidenze, ma in definitiva se ne ricavò sempre poco o nulla anche perchè il carattere giornalistico delle interviste non si prestava certo ad una assunzione di verità.

Le sue fumose testimonianze possono infatti essere accomunate a quelle dall’altro giovanissimo esponente partigiano, il Cantoni appena raccontato, che dissero e non dissero e quando dissero qualcosa, questa non collimava perfettamente con la versione ufficiale; fecero capire che qualcosa di diverso effettivamente c’era stato, si rifugiarono però nel fatto di non aver potuto osservare ogni cosa e soprattutto mostrarono una gran fifa.

Eppure il Geninazza, in base alla stessa versione ufficiale che lo cita sempre, dovrebbe essere il principale e solo teste oculare, estraneo agli esecutori materiali, della fucilazione in quanto trasportò in auto Mussolini e Clara Petacci nel breve tratto di strada che conduce dalla piazzetta del Lavatoio al cancello di villa Belmonte.

Egli, se tutto fosse andato come raccontano Valerio e compagni, avrebbe dovuto rilasciarci un precisa testimonianza, magari difforme in qualche particolare coreografico o di secondo piano, come accade di sovente in questi casi, ma tutto sommato in linea con la versione ufficiale. Invece dai suoi racconti, forniti a scaglioni nel tempo, solo apparentemente sembra di ricavarne questa sensazione, perchè in effetti, leggendoli attentamente si riscontrano particolari troppo difformi, sostanzialmente troppo in collusione con la versione ufficiale, che fanno ingenerare il fondato sospetto che questo autista menta spudoratamente o sia falsa la versione ufficiale stessa, o meglio, come in effetti è, che sia tutto un imbroglio.

Si disse che assistette alla fucilazione dalla distanza di un paio di metri e poi raccolse o gli vennero regalati alcuni bossoli appena sparati, quindi riportò Valerio, Guido e Pietro a Dongo e non si sa bene, o meglio ci sono forti contraddizioni, se poi ritornò a Giulino con Valerio (e non sembra proprio) per prelevare i cadaveri ivi abbandonati.

Quindi pare che per i giorni successivi se ne stesse chiuso in casa con 38 gradi di febbre probabilmente emotiva.

Quando nel dopoguerra si voleva dargli un nome ed un volto, lo si cercava e non lo si trovava, girava anche la storiella che il partito comunista lo aveva fatto fuggire in Argentina, con una versione quindi che, come vedremo, anni dopo e ben più seriamente cominciò a girare in ristretti ambienti politici, ma riferita ad un dirigente comunista milanese presunto uccisore di Mussolini.

Alla fine, nel 1956, lo si rintracciò a Milano e si seppe che faceva l’autista privato e a parte un certo riserbo o reticenza iniziale, oltre ad una evidente paura, risultò poi essere un uomo semplice ed abbastanza cordiale. Soprattutto Franco Bandini ebbe modo, per i suoi servizi su l’Europeo ed altre riviste, di intervistarlo almeno una decina di volte e vide anche i famosi bossoli della fucilazione, alcuni dei quali il Geninazza ancora conservava.

Il bello è che lo stesso Bandini, uno dei più autorevoli ricercatori storici di quegli eventi dapprima, cioè fin verso i primi anni ‘60, fu indotto a credere, pur con qualche dubbio, alle versioni, spesso particolareggiate, che il Geninazza forniva; poi con i primi anni ’70, riflettendoci sopra e forte di altri elementi, espresse il parere che forse al Geninazza gli avevano fatto vedere, poco e niente.

Del resto lo stesso Bandini ebbe a scrivere nel 1973, riconsiderando praticamente quanto aveva scritto nelle sue precedenti inchieste:

... ogni inchiesta critica, tra le quali purtroppo anche un paio scritte da me, sono state condotte tutte all’interno di una forma mentale tipica. Abbiamo sempre cercato infatti di ‘far quadrare’ i racconti di Valerio coi fatti che mano a mano andavamo scoprendo: ma sempre ammettendo tacitamente che la fucilazione di Mussolini fosse avvenuta , più o meno come ci era stato più volte raccontato, salvo particolari non essenziali”.

Però il Bandini rimase in contraddizione per il fatto che egli aveva pur pubblicato (anche nel suo libro Le ultime 95 ore di Mussolini - Sugar 1959) una testimonianza di Geninazza con tanto di particolari da questi riferiti sul momento della fucilazione, mentre poi asserì invece (anche nell’altro suo libro Vita e morte segreta di Mussolini - Mondadori 1978) che l’autista avrebbe invece detto che, per la paura, si era voltato e non aveva visto molto.

Comunque sia il Geninazza fu prelevato in piazza di fronte al bar Lario di Dongo, da Valerio, dove sembra che vi si trovava più che altro per curiosità e non si sa bene se nel frattempo era tenuto a disposizione, assieme ad una 1100 nera, dal comando della 52a Brigata Garibaldi.

Valerio requisì in piazza anche questa 1100 nera, targata Roma, dell’Accademia d’Italia, con guida a destra e bandiera tricolore sul cofano, sequestrata precedentemente a Cadenabbia e sulla quale l’anno prima fu assassinato Giovanni Gentile. Nei primi resoconti e lo stesso Bandini lo riportò, si asserì che anche l’auto era del principale di Geninazza che veniva dato come lavoratore alla Torcitura comasina di Musso, poi invece uscì fuori che al tempo di questi fatti forse egli faceva l’operaio o il parrucchiere ad Azzano ed in ogni caso la 1100 nera non era la sua, particolari questi, comunque, di poca importanza.

Nei suoi resoconti, dai quali occorrerebbe sfrondare qualche coloritura e particolare che l’autista ebbe sicuramente ad aggiungere in linea con la versione ufficiale che al tempo imperversava con ricchezza di particolari, spesso inventati di sana pianta, su tutti i giornali e riviste, Geninazza avrebbe comunque ricordato:16



<a Brigata Garibaldi, dalla quale ero stato requisito con una vettura 1100 targata Roma e di colore nero, guida a destra.

Mi si avvicinarono verso le 15 Michele Moretti, Guido Lampredi e Valerio: salirono sulla macchina e si partì verso il basso lago. Valerio che era al mio fianco dimostrò una grande premura e mi raccomandò caldamente di evitare ogni incidente perchè aveva assoluta necessità di arrivare.... Guido non aperse mai bocca durante tutto il tempo che fummo insieme. Anche Moretti è muto e distaccato: Valerio pareva veramente l’anima del gruppo.

Il viaggio fu regolare. Da Azzano, salendo verso Bonzanigo, notai che il colonnello Valerio guardava alla strada, probabilmente alla ricerca di un luogo che si prestasse a quanto aveva in mente. Diceva, . Mi ricordo che notò una specie di spiazzo prima di arrivare al cancello famoso e parve rimanerne soddisfatto.

(altri affermano che davanti sedeva Moretti, come è logico che sia essendo conosciuto in zona e conoscendo egli la destinazione, Geninazza invece dice di aver vicino Valerio, n.d.r)



Arrivammo al portico che immette nella piazza del lavatoio di Bonzanigo. Scendemmo tutti, io rimasi vicino alla vettura mentre Moretti e Guido si avviavano verso l’interno del paese. Valerio si fermò sulla piazza e sparò un colpo col mitra, forse per provarlo.

Debbo chiarire che Valerio non si recò a casa De Maria, ma rimase tutto il tempo sulla piazza ad attendere. Sono ben certo che non si mosse dalla piazzetta: lo vidi che camminava avanti e indietro in attesa che gli altri ritornassero>>.



Questo particolare, qualora veritiero (ma si fa per dire, visto che tutta la versione ufficiale è artefatta), smentirebbe tutta la serie dei dialoghi del Colonnello giunto in casa De Maria a liberare il Duce, e smentirebbe anche le testimonianze di Lampredi e Moretti che invece lo danno come presente in casa, ma qui dobbiamo prendere tutto con le molle. 17

Prosegue il Geninazza:



<(dovrebbe trattarsi della signora Rosita Barbanti, allora sfollata a Giulino, come vedremo più avanti, n.d.r.) e mi chiese che cosa stava succedendo: io risposi che non sapevo nulla. Poi risalii in macchina e la girai nella piazza del Lavatoio ritornando con la macchina voltata verso Giulino presso a poco nel punto da cui ero partito, per girarla.

Dopo pochi minuti ritornarono i due con Claretta e Mussolini. I due prigionieri erano a braccetto: Mussolini era molto pallido, abbattuto e stanco, camminava a stento. Lei sembrava un poco più sicura di sè.

La comitiva era scortata dai soli Guido, Moretti e Valerio: non vidi nè Lino, nè Sandrino, che ebbi modo di conoscere fugacemente dopo la scena della fucilazione. Claretta indossava, a quanto mi pare, una pelliccia di visone (la stessa che sforacchiata, la sera stessa, venne consegnata da Valerio al partigiano Lino).

Mi ricordo che in quella occasione Valerio commentò: . In quello stesso momento Valerio estrasse anche dal suo portafoglio mi pare un biglietto da cinquecento lire che tese a costui che non voleva accettarle, poi le prese dicendo, alle insistenze di Valerio, .

Oltre alla pelliccia Claretta aveva sul braccio destro un cappotto color cammello che poi mi rimase in macchina (incredibile: altre testimonianze asseriscono invece che è la pelliccia ad essere portata in mano da Claretta! n.d.r.).

La signora aveva anche due borsette: una di cuoio grasso, chiaro di piccolo formato, l’altra era una grossa borsa a secchiello. Queste due borse rimasero in macchina quando Claretta ne scese per essere fucilata: la sera a Dongo Guido le prese in consegna>>.

(Si notino ancora le evidenti contraddizioni tra la versioni ufficiale e questa testimonianza: secondo Valerio, questi mise alla donna una gran fretta, facendola addirittura uscire senza le mutandine, ora invece sembra che Claretta sia uscita portandosi dietro tutto il guardaroba! ndr). Ma proseguiamo con il racconto di Geninazza:



<.

Vedevo la coppia nello specchietto della vettura: erano avvinghiati strettamente, le teste quasi si toccavano, Mussolini era pallido e la signora sembrava tranquilla. Non mi parve che nutrissero alcun particolare timore>>.

E’ qui importante notare il particolare che il Geninazza afferma di aver notato i due prigionieri dallo specchietto retrovisore e la testimonianza è riportata proprio dal Bandini, il quale però, anni dopo, rivedendo tutti i suoi resoconti arrivò alla conclusione che, davanti al cancello di villa Belmonte, si recitò una sceneggiata essendo infatti Mussolini e Claretta già morti da ore.

A tal proposito, affermò il Bandini negli anni ‘70, l’autista Geninazza aveva ammesso di non essersi mai voltato a vedere i prigionieri in macchina e, del resto aggiunse, l’auto, come quelle del suo tempo, non aveva specchietto retrovisore! nd.r.).

Proseguiamo nel racconto:



<

Il colonnello disse seccamente: e i due uscirono dalla vettura. Credo che in quel momento Claretta abbia capito cosa stava per succedere: dette due o tre rapide occhiate in giro e sembrò agitarsi notevolmente. Il ‘comandante’, io lo chiamavo così, li spinse quasi fisicamente con la persona contro il muretto. Siccome mi ero fermato con la vettura quasi al centro della strada che è molto stretta, tra il suo fianco sinistro ed il muretto non correvano certo più di due metri. Si può dire che Mussolini e Claretta scesi dalla vettura non fecero che un solo passo verso sinistra.

(Come vedesi si notano ancora altre contraddizioni, in quanto era stato asserito da fonti resistenziali che per eseguire la fucilazione Valerio fece retrocedere la macchina fin verso la curva e spedito l’autista di vedetta da quelle parti, il che sembrerebbe anche logico perchè non si vede come avrebbe potuto e con quale sicurezza, eseguire una fucilazione con la macchina davanti al muretto del cancello ed in un ambito così stretto, n.d.r.).



Stando con il mitra spianato Valerio pronunciò alcune parole, molto rapidamente. Si riferivano ad un ‘ordine’ e ad una sentenza di morte, ma io ne sentii poco e comunque da quel momento la scena si svolse con estrema rapidità. Mussolini rimase immobile, quasi assente, ma Claretta sviluppo subito una grande energia. Si aggrappò a Mussolini e cominciò ad agitarsi freneticamente: un poco guardando Valerio ed un poco aggrappandosi disperatamente a Mussolini.

Disse: .

Aveva una espressione estremamente tesa e la voce alterata, come presa dal terrore, gli occhi stravolti.

La voce suonava stridula. Con voce secca, nervosa, Valerio urlò. .

Ma Claretta continuava a rimanere attaccata a Mussolini come se neppure avesse sentito. A questo punto Valerio schiacciò il grilletto dell’arma. Ma udii distintamente il ‘click’ del percussore che batteva a vuoto. Mussolini ebbe come un soprassalto, forse determinato dalla tensione nervosa. La situazione era cambiata con rapidità fulminea e Claretta la fece precipitare afferrando con le due mani la canna del mitra che Valeria impugnava. Si udì di nuovo la sua voce: .

Valerio si riprese subito: sudava abbondantemente. Estrasse la pistola e la puntò verso i due. Contemporaneamente ad altissima voce chiamò Michele Moretti. Gridò testualmente:
. Moretti scese di corsa sino a dove ci trovavamo. Tese il suo MAS a Valerio e quest’ultimo lo afferrò, rimettendosi in tasca la pistola.


Fu in quel preciso momento che Mussolini in un estremo recupero d’energia, intuendo che oramai la fine non avrebbe tardato, si portò le mani al petto, allargando i baveri del cappotto grigioverde e dicendo: .

La sua voce era chiara: la udii perfettamente. Furono le sue ultime parole. 18

In quel preciso istante Claretta si trovava al fianco sinistro di Mussolini, parzialmente ricoprendolo. Valerio sparò la raffica mortale, che mi parve unica, senza intervalli.

(l’autista, pur affermando solo che “gli sembra”, ma non menzionando altre armi, a parte un colpo di grazia successivo, non si accorda con i racconti di Valerio che, anche per il numero dei colpi che hanno attinto il Duce, non indicano certo una sola raffica di mitra! n.d.r.).



La prima ad essere colpita fu Claretta, che cadde di schianto. Fece proprio un colpo sordo quando toccò terra ai piedi di Mussolini. Non emise un gemito, non un grido. Mi dette quasi l’impressione che fosse caduta a terra prima ancora che le pallottole l’avessero raggiunta. Mussolini cadde quasi immediatamente, ma la sua caduta fu frenata dal muro sul quale scivolò lentamente sino a terra. Era in una posizione leggermente contorta e la spalla destra faceva forza contro il muretto: arrivò a terra accasciandosi sulle gambe che gli si piegarono sotto, quasi si accovacciasse. Nella caduta il berrettino a bustina cambiò posizione dando al suo volto reclinato un’espressione quasi grottesca>>.

Come si vede, questa testimonianza, è tutta sul canovaccio della versione ufficiale, tranne la clamorosa rivelazione dello “sparami al petto!” gridato da Mussollini, molto precedente a quella simile che poi fece Lampredi, ma per le molte, sia pur piccole divergenze dalla versione di Valerio, essa da veramente il senso di un teste che venne abbondantemente istruito su quello che avrebbe dovuto dire, ma con il passare degli anni, dopo aver, tra l’altro, letto una serie di versioni ufficiali una diversa dall’altra, andando a ruota libera, finì per accumulare ed aggiungere tutte queste ulteriori difformità.

Riprendiamo ancora il racconto:

<

Il corpo di Mussolini ebbe un ultimo sussulto e non si mosse più. Il Colonnello osservò per un momento la scena e disse: .... Moretti che mi era vicino, riavutosi dalla sorpresa mi guardò e mi fece una mossa con la bocca come per dire ’accidenti’, E fu tutto.

(Di bene in meglio: qui c’è il resoconto di un Mussolini che resta vivo per molti secondi e Valerio lo finisce con un colpo di grazia al petto, ma stranamente con la sua pistola e non con il mitra come si era detto, pistola che però viene indicata dalla versione ufficiale, ora di Valerio ed ora di Guido, ma soprattutto venne detto che si era inceppata e non potè sparare, n.d.a. Come vedesi le incongruenze regnano sovrane).



Ero molto scosso e anche Valerio mi parve emozionato. Levò di tasca un pacchetto di sigarette ‘Africa Orientale’ e benchè non fumassi mai gliene chiesi una. Lui me la tese. Pochi istanti dopo si presentò al cancello piccolo sulla sinistra della strada una donna del paese, e Valerio le fece cenno di allontanarsi immediatamente dicendo .

Raccogliemmo i bossoli: io cinque, due dei quali ho poi regalato e Valerio pure ne raccolse qualcuno.19 Non credo che Moretti ne abbia raccolti.

A questo punto sono arrivati vari partigiani, tra cui Sandrino e Lino. Valerio cominciò subito a gridare perchè sgombrassero. Dopo poco dette ordine a Sandrino e Lino di rimanere di guardia....

La sera riportai Valerio al luogo della fucilazione di ritorno da Dongo. Dette ordine ai presenti di caricare i cadaveri sulla mia macchina, ciò fu fatto subito. Mi ricordo che Claretta era ricoperta dal suo pastrano di cammello che evidentemente subito dopo la fucilazione qualcuno le aveva buttato addosso. Era fradicio di pioggia.

Rimase a me, ma ora non possiedo più. Claretta venne caricata per prima e Mussolini subito dopo: ricordo che la sua testa, giacendo tra i cuscini posteriori e lo schienale, mi obbligava a guidare un poco chinato. Mi fece molta impressione. Scendemmo ad Azzano dove era fermo il camion giallo: i due corpi vennero caricati e gettati sul mucchio di cadaveri che vi si trovavano>>.

Come si vede, ora qui l’autista attesta con estrema precisione e particolari vari, di aver riportato Valerio a Giulino di Mezzegra, ovviamente dopo le 18, per caricare i cadaveri sulla sua macchina, cosa questa che contrasta con altre testimonianze della stessa versione ufficiale.

Ci sono molti e seri dubbi che sia andata come l’autista racconta ed in questo caso risulterebbe evidente una evidente totale inaffidabilità anche degli altri suoi resoconti.

Quando il Bandini andò a pubblicare queste testimonianze raccolte dall’autista aggiunse anche, in linea con il racconto di costui che affermava di essere rimasto vicinissimo al fucilatore, che il Lampredi Guido e Moretti Pietro erano stati spediti da Valerio, il primo verso la curva in alto, a cinquanta metri di distanza, l’altro a quella in basso a circa 17 metri, per fermare chiunque si fosse presentato: come si vede c’è una ulteriore inversione di ruoli visto che invece la versione ufficiale attestava l’autista e non Guido come colui che fu spedito di guardia.



Qui logica vorrebbe che il racconto del Geninazza sia falso in quanto è certamente più logico che vicino a Valerio sia rimasto il Lampredi e non certo uno sconosciuto, oltre al fatto che la macchina è più plausibile che avrebbe dovuto esser fatta retrocedere fino alla curva.

Abbiamo riportato ampi stralci dei ricordi di Geninazza, a suo tempo pubblicati nel libro di F. Bandini Le ultime 95 ore di Mussolini già citato, in quanto, come detto, la sua presenza pone alcuni problemi in merito a quanto accadde veramente. 20

La logica fa infatti pensare che l’autista nella realtà e nonostante le sue rivelazioni, non è che abbia potuto vedere molto, visto che la configurazione del luogo, strade strette e curve in pendenza fa pensare in ogni caso alla necessità di dover retrocedere la vettura per ottenere lo spazio sufficiente all’esecuzione. Inoltre questa presenza dell’autista, così prossima a Valerio, non collima con l’atteggiamento di Valerio tutto preso dall’agire in discrezione e che, oltretutto, nella versione del 1947 aveva asserito di aver allontanato Moretti e l’autista a circa 100 metri per metterli di guardia, ed ora invece secondo Geninazza, lui l’autista, tra l’altro sconosciuto ai tre partigiani, starebbe li vicino ad osservare ed annotare e raccogliere bossoli, mentre Moretti, un comunista fidato, viene spedito più lontano!

Ripetiamo, resta però sempre problematica (ovviamente prendendo per buono almeno il filone della versione principale) questa presenza dell’autista e quanto effettivamente possa o creda di aver visto e che ha poi riferito, soprattutto alla luce di quello che, come vedremo, sempre ammettendo la effettiva presenza di Geninazza in quei tempi e luoghi, potrebbe essere realmente accaduto:

una sceneggiata, precedentemente preparata, con due interpreti alla bene e meglio acconciati da Duce e Petacci, per simulare una fucilazione.

Ma anche in questo caso non è semplice spiegare tutta la faccenda, che oltretutto per quei luoghi e tempi ha dell’incredibile.



La mascherata, al fine di ingannare eventuali testimoni, fatta per mostrare Mussolini e la Petacci condotti vivi all’esecuzione (quando invece erano già morti da ore) è difficile da credere, ma invece, oltre che molto probabile, ha anche una sua logica. 21

Per dimostrare, infatti, che i due prigionieri erano ancora vivi e quindi si eseguiva una regolare fucilazione in nome del popolo italiano, bisognava giocoforza transitare a piedi per un certo tratto del paese con il piccolo corteo di condannati ed esecutori.

Ed è proprio quanto la versione ufficiale ed alcune scarne testimonianze, con al centro quella di Geninazza, ci attestano.

Viceversa se invece si doveva eseguire, come la dinamica della fucilazione raccontata da Valerio dimostra, una vera esecuzione sbrigativa e senza tanto clamore, allora il corteo non ha senso ed avrebbe dovuto essere evitato, senza contare poi che oltretutto il luogo più adatto per questo tipo di esecuzione sbrigativa sarebbe stato certamente quello vicino casa De Maria e non certo al cancello di villa Belmonte.

Anni dopo Michele Moretti affermò che per andare a prendere il Duce a Bonzanigo avevano perso tempo in quanto, la prima volta e di notte, avevano fatto la scorciatoia (via del Riale) mentre ora erano passati dall’altra parte (dal Lavatoio).

La domanda che sorge spontanea è perchè? Si trattava di un diversivo di strada affrontato perchè, come dice il Moretti stesso, lui c’era stato una volta sola, oppure era già tutto studiato (il cancello di villa Belmonte, la passeggiatina dei prigionieri vivi, ecc.)?

La scenetta con la mascherata di un Mussolini e la Petaccivivi” condotti fino alla macchina, ebbe in pratica solo tre testimoni (a parte forse un paio di donne intente a lavare dei panni al lavatoio, ma di cui non abbiamo abbastanza attendibili riscontri):

un certo signor Remund, la signora Barbanti (che però non si sa se ha visto la coppia dei presunti Duce e Claretta), le cui testimonianze riporteremo più avanti, ed appunto l’autista Geninazza.

Ma nessuno di costoro può attestare con certezza l’identità di Mussolini e Claretta perchè, i primi due non potettero riconoscere o capire chi fossero i partecipanti a quel breve corteo, e l’autista ha solo supposto o dato per scontato che fossero loro, ma non può attestarlo con precisione.

A tutti poi, guarda caso, fu fatto vedere un uomo con berretto (altrimenti si sarebbe dovuta ben individuare la pelata del Duce), berretto di cui poi se ne persero le tracce.

Affermò il Bandini, in Vita e morte segreta di Mussolini, Mondadori 1978, che in realtà neppure Geninazza potè riconoscere se l’uomo caricato in macchina e trasportato al massimo per cinque minuti fino al cancello di villa Belmonte era davvero Mussolini e per parecchie ragioni:



per il fatto che costui aveva in testa una bustina con la visiera calcata sugli occhi (particolare confermato dai pochi testimoni e fatto osservare anche da Valerio);

per la mancanza dello specchietto retrovisore nella macchina che possedeva solo quelli esterni;

per il momento concitato che lo rese teso e non si voltò mai in quei pochissimi minuti di tratto stradale;

ed inoltre, come asserì Bandini, è certo che Valerio lo fece fermare alla curva superiore e quindi non potè vedere bene cosa in realtà accadde al cancello.

Ma se così non fosse ci sarebbe persino un'altra assurdità nella stessa assurdità della versione ufficiale: l’autista, infatti, non cita il particolare che Mussolini, per quel tratto di strada, avrebbe dovuto avere uno stivale rotto o sdrucito, come più volte attestato da Valerio. Eppure questo particolare se, come raccontò il Geninazza in un primo momento, lui ebbe modo di osservare buona parte di quegli eventi, non avrebbe dovuto sfuggirgli. 22

Ecco come lo stesso Bandini ipotizzò, probabilmente senza sbagliare di molto, questa messa in scena del piccolo corteo:

Secondo lo scrittore toscano, Valerio si era portato da Dongo un giovane partigiano ex gappista di Baggio e garibaldino nella Capettini, che era giunto a Musso per trovare dei parenti e poi si era portato a Dongo a seguito degli avvenimenti di quelle ore. Qui aveva ritrovato Cesare Tuissi e sua sorella Giuseppina, la Gianna, ed anche il Mordini Riccardo, tutti da lui conosciuti. Questo partigiano aveva una corporatura alquanto simile a quella di Mussolini ed in tal modo fu facile fargli poi indossare il suo cappotto, uno sciarpone ed il beretto del Duce ben calcato sulla fronte. Ad un certo punto la spedizione di Valerio si divise e mentre il colonnello si dirigeva lungo la statale verso il Lavatoio di Bonzanigo, gli altri, tra cui sicuramente la Gianna, si diressero a piedi per via del Riale verso casa De Maria.

Qui giunti la Gianna si mise il cappotto della Petacci, un foulard in testa e prese in mano anche la Pelliccia. Con Valerio si era rimasti d’accordo che quando egli fosse pronto ad attenderlo sulla piazza del Lavatoio avrebbe sparato un colpo in aria. Così fu.

Al segnale uscirono da casa De Maria il gruppettino di attori e accompagnatori ed imboccarono via Mainoni d’intignano sbucando sulla piazza del Lavatoio dove fecero salire le comparse in macchina. Si diressero quindi al cancello di villa Belmonte dove poco prima, probabilmente il capitano Neri ed altri avevano scaricato i cadaveri oramai freddi di Mussolini e Claretta. Quindi ci fu il finto scambio di personaggi vivi e cadaveri veri e fu sparato qualche colpo in aria e/o addosso ai cadaveri.

Comunque sia, riassumiamo in breve tutte le incongruenze della testimonianza di Geninazza (del resto da lui stesso contraddetta in altre occasioni) rispetto alla versione ufficiale che attesta un diverso andamento dei fatti.

Abbiamo posto in bleu alcuni dettagli, raccontati dal Geninazza, che potrebbero collimare con l’ipotesi di una sceneggiata messa in atto quel pomeriggio per dar ad intendere una vera fucilazione, ma lo facciamo a solo titolo di curiosità perchè, ovviamente, è contraddittorio discernere il possibilmente vero, dal falso, in una testimonianza del genere:



  • Valerio che parte da Dongo sedendo lui in macchina al fianco di Geninazza e non il Moretti che era già stato da quelle parti;

  • Valerio che si ferma nella piazzetta e non sale a casa De Maria;

  • l’eccessivo abbigliamento, con borse, ecc. che Claretta si porta dietro;

  • una problematica e pericolosa fucilazione davanti all’auto, fermata al centro di una strada già di per se stessa stretta, che restringe lo spazio a fucilatori e fucilati;

  • Moretti e Lampredi spediti di guardia a distanza e lui, l’autista sconosciuto e disarmato, che resta a fianco di Valerio;

  • Mussolini che si apre il pastrano e griderebbe “sparami al petto!”;

  • Il colpo di grazia sparato con la pistola da Audisio;

  • L’arrivo, a fucilazione appena avvenuta, di vari partigiani (?) oltre a Lino e Sandrino;

  • il ritorno, a sera, sul luogo della fucilazione per prendere i cadaveri.

Rilevato quanto sopra, resta sempre da capire perchè Valerio si è portato appresso da Dongo proprio questo giovane estraneo che poteva vedere e poi riferire cose non gradite, quando per altri versi e come vedremo cercava l’assoluta discrezione ?

E, si badi bene, Valerio nelle sue versioni ha sempre tenuto a nominare questo autista rendendosi perfettamente conto che era l’unico testimone, non di parte, che poteva avallare la sua versione. Forse per questo si portò dietro il Geninazza?

In ogni caso, se fosse stata inscenata una mascherata, a uso e consumo dell’autista (con partigiani travestiti, sia pure alla buona, da Mussolini e Petacci), il Geninazza sarebbe certamente stato tenuto il più lontano possibile (come infatti sembra sia accaduto), ma in questo caso, per quale motivo, quello che ha interpretato Mussolini avrebbe poi gridato, tanto da farsi sentire dall’autista, il “Mirate al petto!” (o è una invenzione del Geninazza?)?

Forse per rendere più verosimile tutta la messa in scena?



Ma una volta per tutte, cosa vide e dove stava esattamente questo autista, sia nel breve tragitto in cui ha trasportato i prigionieri (veri o falsi che siano) vivi e sia nel momento in cui sono stati fucilati?

Purtroppo non è possibile stabilirlo con certezza ed a veder bene non è poi così azzardato ipotizzare che forse al Geninazza è stata fatta interpretare una diversa parte ed è anche per questo motivo che l’autista non ci dice nulla dei vari gruppetti di partigiani, che pur molti altri attestano di aver incontrato, sguinzagliati attorno al luogo fatidico della fucilazione per vigilare che non avessero a sopraggiungere occhi indiscreti.

Secondo Bandini, proprio il fatto che dalle parti della mulattiera (via del Riale, n.d.r.) Valerio avrebbe potuto fucilare con calma e discrezione Mussolini, quando invece volle percorrere con un piccolo corteo attraversante la zona più fittamente abitata di Bonzanigo, dimostra che egli stava seguendo un piano finalizzato ad una finta fucilazione con tanto di sceneggiata.

Dal complesso di tutte le testimonianze di questi presunti partecipanti a quegli eventi, i dubbi e gli interrogativi che si sollevano sono molteplici e spesso fanno a pugni tra di loro.



Anzi di più: come tra poco vedremo, traspare da tutti i racconti fumosi e contraddittori che ci sono stati tramandati, che c’è stato un generico allinearsi da parte di tutti alla versione ufficiale così come veniva divulgata ed in seguito adattata, ma si intuisce benissimo, dietro le righe, che i fatti che questa versione va raccontando:

passeggiata dei prigionieri fino alla macchina, fucilazione al cancello, ecc., fanno parte di una sceneggiata andata a suo tempo in atto e quindi è addirittura inutile stare a stabilire dove possono eventualmente essere, almeno in parte, veritieri.
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